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Autore: Sylphs    02/12/2012    4 recensioni
I Lawrence, antica, ricchissima e corrotta famiglia svedese, si sono macchiati di innumerevoli peccati, il peggiore dei quali è stato l'imprigionamento del figlio quartogenito Raphael, trasformato in un mostro da un patto stretto dal padre e per questo nascosto al mondo. Quindici anni dopo che ha ucciso il genitore e il terzo fratello, fa ritorno alla dimora di famiglia per vendicarsi definitivamente e pretendere di essere riconosciuto e, a questo scopo, rapisce la fidanzata dell'unico fratello rimasto in vita, Jesper, ricattandolo con la vita di lei. Ma Jesper, alleatosi con la cognata Christine, ha bisogno della ragazza per motivi ben più oscuri di un semplice matrimonio, motivi legati al passato, ed è deciso a riprendersela, mentre lei e Raphael si scoprono più complici di quanto credessero e una bambina coraggiosa decide di indagare.
Sequel della mia storia "Follia d'amore e d'oscurità", ispirata al celebre romanzo "Il Fantasma dell'Opera" di Gaston Leroux.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore di sangue'
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Capitolo 7
 

 
 
 
 
 
 
Le ombre delle ultime casupole del borgo si facevano sempre più lugubri, allungandosi a dismisura mentre i bagliori del sole morente si inabissavano sotto l’orizzonte per portare luce ai popoli al di là del mare, scalzando la notte dal loro cammino. I contorni delle vie si nascondevano nell’oscurità. Nel giro di qualche minuto il buio attorno fu totale, e così denso che neppure un occhio di lince avrebbe potuto penetrarlo.
Fortunatamente Jesper aveva portato con sé una torcia, così da poter girare ancora, contravvenendo alla più grande legge della natura che prevede che ogni essere chiuda le palpebre con il calare della notte. Ma la sua missione era più importante di qualsiasi regola, e non poteva rimandare la visita a Ursula al mattino seguente. Tanto non sarebbe riuscito ad assopirsi quella notte, così la legge divina non sarebbe stata comunque rispettata.
Girò gli ultimi due incroci con il cuore che batteva fortissimo nel petto. Suo padre e suo fratello erano stati assassinati appena quattro giorni prima ma l’unica cosa che lo turbava era la lettera da lei inviatagli quello stesso giorno, l’orribile commiato scritto dalla mano che più amava. Gli aveva voltato le spalle, detto addio, proprio come tutti gli altri, si era allontanata da lui per sfuggire alla maledizione che gravava sulla sua famiglia, ma doveva essere in grado di spingerla a cambiare idea. Non si erano forse amati fin da bambini, non erano esistiti l’uno per l’altra, non aveva anteposto lei alla sua insaziabile sete di potere, già viva in lui malgrado i sedici anni vissuti? Com’era possibile che bastasse solo quell’infausto avvenimento, quell’omicidio a spegnere la passione che li aveva uniti?
No, Ursula non poteva averlo abbandonato davvero. Aveva avuto paura, del resto era una creatura debole e fragile, paura che, essendogli vicina, la maledizione colpisse anche lei, e per questo aveva cercato di ampliare le distanze, ma le avrebbe riportato alla mente i bei momenti trascorsi insieme, l’avrebbe indotta a tornare sui suoi passi. Il Mostro gli aveva già portato via suo padre e Viktor, non si sarebbe preso anche lei, soprattutto adesso che aveva avuto la sua vendetta ed era scomparso per sempre dalla sua vita!
La porta di legno verniciata di scuro era leggermente scrostata, così come il resto della casa, piccolina e malridotta, ricoperta da graffiti e chiazze di sporcizia. Jesper sorrise prima di bussare: il ceto sociale di Ursula era di gran lunga più basso del suo, ma non gli interessava.
Rimase ad ascoltare l’eco dei battiti che si perdeva nell’oscurità della notte. Nessuna risposta.
Con il cuore in gola bussò ancora. Magari lei era davvero decisa a stargli lontana, e non voleva lasciarlo entrare. E se vedendo dalla finestra chi era aveva già deciso di tenerlo fuori? Oppure non aveva ancora visto nulla…in questo caso non sarebbe stato meglio nascondere il proprio viso nelle tenebre, e fare in modo che lei aprisse la porta? Senza pensarci due volte spense la torcia e il nero della notte lo circondò nel suo abbraccio soffocante, divorando la chiazza di luce in cui aveva camminato fino a quel momento. Una lieve smorfia contrasse i suoi lineamenti: lui, Jesper Lawrence, membro di una delle famiglie più ricche e prestigiose, costretto a nascondersi nel buio come uno spettro a causa della vergogna e del disonore in cui l’aveva gettato quella creatura che forse non era nemmeno chi dicevano che fosse…giacché non riusciva a credere che suo padre potesse aver stretto un patto con un demone. Il pensiero del genitore gli inflisse una fitta di dolore.
“Chi è?”
La voce di Ursula era debole e assonnata, ma se lui avesse sentito quella di Dio non gli sarebbe parsa più bella.
“Ursula…sono io, Jesper”.
Aveva pronunciato quelle poche parole con tono esitante, ma caldo, e sentì che dalla parte opposta della porta lei si stava ritraendo, trepidante e ostile.
“Che cosa vuoi? Mi sembra di essere stata abbastanza chiara nella lettera, di aver spiegato a fondo ogni motivo che mi avrebbe spinta a….”
“Perché lo hai fatto? Perché ti sei allontanata da me? So che mi ami”.
Dietro l’uscio la sentì esitare, stretta alla maniglia di ottone, ma la risposta che arrivò qualche attimo dopo era dura: “Tu credi solo quello che ti fa comodo credere. Ti convinci senza alcun motivo di cose che nessuno ha mai detto” la voce argentina era incrinata dalle lacrime di rabbia che le riempivano gli occhi: “Qual è il problema? Non sei in grado di accettare la realtà dei fatti o cosa? Non capisci che le cose non avvengono come le desideri tu? Mi hai mentito, mi hai tenuto nascosta la verità per tutti questi anni, finché ho dovuto scoprirla grazie ad un omicidio!”
“Ti prego, apri la porta. Voglio parlarti di persona, non attraverso un muro. Nulla ci aveva mai diviso, in passato…”
Il tono del ragazzo era carezzevole, quasi stucchevole. Dopo qualche attimo la maniglia si abbassò e la porta si aprì, cigolando. La luce invase il vialetto, mostrando ogni cosa prima nascosta dalla notte. Jesper scorse la fanciulla, ritta sulla soglia, con il viso ostinatamente voltato per non guardarlo negli occhi, nascosto da una cascata arruffata di capelli dorati.
“Non puoi mandare tutto all’aria, Ursula. Ricordi quanto siamo stati felici? Ricordi…”
“Non hai alcun diritto di dirmi ciò che posso o non posso fare!”
La voce di lei esprimeva rancore, ma le sue mani candide si torcevano nervosamente sulla lunga camicia da notte in cui era avvolta, ed era certo che la sua espressione non era affatto di rabbia, bensì di sconforto e indecisione. Rincarò la dose, sicuro di essere sulla strada giusta: “Ricorda quando passeggiavamo in riva al mare, e io ti dicevo che ti avrei protetta sempre e…”
Lei scoppiò in una risata aspra e colma di derisione: “Sei forse riuscito a proteggere tuo padre e tuo fratello? Sei riuscito a impedire che un ragazzino di dodici anni li facesse a pezzi? E riusciresti a fermarlo, se decidesse di tornare? No! Non ti rendi conto che…”
“Quel ragazzino se n’è andato” Jesper si stupì del proprio tono duro e aspro, ma si costrinse a proseguire: “Non può più farci del male, chiunque fosse, è sparito. La sua scomparsa ha preteso un prezzo terribile, e per questo sarà cercato e punito. Ma non tornerà”.
Dietro i capelli chiari e spettinati di lei gli parve di scorgere un sorriso sarcastico, una smorfia schernitrice. Continuò: “Io ti ho protetta, sempre. Tu non sai, tu non capisci…quanto io ti ami”.
Fece una pausa, ascoltando l’eco delle sue parole. Non aveva pronunciato quella frase in nessuna occasione, aveva mostrato il suo sentimento con i fatti, ma non era mai arrivato a dichiararlo. Ora gli sembrava quasi di essersi liberato da un peso, come se quelle parole avessero gravato a sua insaputa sul suo animo fino a quel momento. Una sensazione calda, confortevole, lo invase, la stessa che si prova dopo aver superato uno scoglio particolarmente impervio, o aver scalato una parete ripidissima.
Ursula non parve però dare peso eccessivo alla frase.
Jesper andò avanti, rosso in volto: “Ma so che anche per te è lo stesso, non ti rimprovero per un solo attimo di indecisione. Non commettere questo errore, vieni con me, non lasciamo cadere ogni cosa nel dimenticatoio, rafforziamo il nostro amore con i fatti, dimostriamocelo l’un l’altra! Tu volevi, in un momento di sconforto, stroncare l’unica ancora che ci tiene al mondo…perché tu, Ursula…tu sei la mia ancora, senza di te io sarei…sì, sarei sospeso nel vuoto. Solo tu mi permetti di vivere ancora”.
Era uno dei discorsi più melensi e stupidi che avesse mai pronunciato, si disse appena ebbe chiuso la bocca. Ma mentre parlava non programmava le frasi, non calcolava astutamente l’esito di ogni parola, come aveva sempre fatto nei suoi sedici anni di vita, perfezionando il proprio lessico e la propria eloquenza su consiglio di suo padre. Quel discorso gli veniva dal cuore.
Allungò la mano, trepidante, e prese quella di lei, stringendola forte. Ursula volse lentamente la testa a guardarlo, e per un istante lui le lesse sul viso tutti gli anni passati insieme, quando la loro vita era ancora perfetta e rosea, priva di ombre, a passeggiare sulle rive del Mar Baltico e a promettersi un futuro felice e luminoso, prima bambini, poi adolescenti.
Ma fu, appunto, questione di un istante.
I lineamenti angelici della ragazza si deformarono in una smorfia di risentimento e di rabbia e tutte le emozioni precedenti scomparvero, lasciando il posto ad un disgusto totale e pieno, come se il mostro fosse lui, e non il fautore della loro rottura. Con uno strattone ritrasse la mano e gli disse con furia: “Non entrerò nel tuo orrore, Jesper. Non cadrò vittima delle aberrazioni di cui la tua famiglia si è macchiata. Non ti amo più, lo capisci questo? Sei sicuro che anche per me sia lo stesso? Beh, ti sbagli, tu ti sbagli sempre. Credi che non ti conosca? Non fai altro che convincerti di ciò che è meglio per te. Non so come fai, ma ogni volta che capita un inconveniente lo superi fingendo che non esista. Mi hai tenuto nascosta una cosa troppo grande, e non posso passarci sopra, è inutile che cerchi di persuadere entrambi del contrario. Il nostro amore è finito e non possiamo fare nulla per ravvivarlo”.
“Ursula, cosa stai dicendo, ascolta quello che…io posso…posso…”
“Tu puoi cosa? Cosa, Jesper?!” lei proruppe in una fredda risata che rese il suo volto ancora più duro, gli occhi azzurri più glaciali, prima di proseguire: “Puoi forse offrirmi una vita senza tenebre e orrori? Puoi forse cancellare ciò che è stato? Puoi forse garantirmi la sicurezza e la protezione che desidero? Cos’hai tu da offrirmi, Jesper, se non una casa maledetta da avvenimenti orribili, uno spettro che ti perseguita e un cuore troppo vigliacco da ammettere la verità?” Ursula lo stava fissando da un luogo lontanissimo e le sue parole gli arrivavano soffuse, come se avessero dovuto percorrere prima un lungo tunnel che li separava: “Nella mia ingenuità, nella mia cecità, ti avevo concesso il mio amore. Solo ora mi sono accorta di essermi sbagliata, di essermi legata al membro di una famiglia di mostri. E non resterò vincolata ad un mostro solo in nome di ciò che è stato, al fratello di un assassino. Hai sempre preteso che fossi alla tua altezza senza mai darmi niente in cambio, e non è questo che desidero. Non hai niente da offrirmi? Dunque lasciami in pace e non tornare più!”
Gli scoccò un’occhiata carica di disprezzo, si girò, superò la soglia della casa che lui conosceva così bene e chiuse la porta dietro di sé, lasciandolo solo nel buio.
 
Jesper era immobile dinanzi alla finestra della sua stanza da letto e teneva la fiera fronte premuta contro il vetro freddo, la mano destra stretta sulla tenda di broccato che aveva scostato per poter ammirare il mare che si rifrangeva contro gli scogli, forza irruenta e implacabile di cui aveva udito lo scroscio fin da bambino, avendo la camera situata sul lato a picco su di esso. Era ancora in vestaglia, malgrado fosse mattino inoltrato, e il suo bellissimo volto era scuro di emozioni nient’affatto allegre, lo sguardo offuscato da ricordi che si era sforzato di scacciare e che la maledetta figura mascherata aveva riportato a galla.
Christine aveva ragione, occorreva chiamare qualcuno che si occupasse di quell’ostacolo in silenzio e senza destare scalpore, eliminandolo e gettandolo nuovamente nel dimenticatoio dove era giusto che stesse. Non voleva saperne più niente, niente, di quella storia, non voleva neanche prendere in considerazione l’idea che il mostro avesse detto la verità, perché se davvero fosse stato così, se davvero quello che l’aveva minacciato fosse stato suo fratello, allora l’odio e il rancore che aveva accumulato da quella notte sarebbero emersi dalla gabbia nella quale li aveva intrappolati e…non sapeva cosa sarebbe successo, a quel punto.
Abbassò le palpebre e le serrò, la mascella contratta per un tumulto di sentimenti che magistralmente non manifestava e le dita bianche per quanto forte stringevano la tenda. Nel buio dei suoi occhi chiusi, risplendente come una stella, era apparsa quella figura che si era imposto di non rammentare più, non come l’aveva vista l’ultima volta, piena di rancore e di disgusto, ma come si era mostrata a lui prima che Raphael rovinasse tutto, una ragazza ingenua e vitale, che lo fissava con i suoi dolci e luminosi occhi azzurri.
“Presto” bisbigliò tra sé e sé, un sussurro inquietante che fluì rauco dalle sue labbra serrate: “Presto”.
Bisognava affrettare le nozze con Harriet, concludere la faccenda prima possibile, anche a costo di destare sospetti. Non temeva affatto che il mostro potesse attuare le proprie minacce, Lawrence Borg era ben sorvegliata e non gli avrebbe permesso di posare un dito sul suo tesoro senza che ne venisse immediatamente a conoscenza. No, non avrebbe distrutto tutto una seconda volta, non gli avrebbe portato via il suo amore di nuovo. Se necessario, avrebbe incominciato a raccogliere l’occorrente prima del tempo, ma il piano doveva funzionare. Doveva.
Perché non era il potere che desiderava, pur avendolo bramato infinitamente fin dalla più tenera giovinezza. Quello lo aveva già, e sapeva perfettamente come procurarselo. No, lui voleva una cosa che non aveva più cercato, che si era negato da allora.
E l’avrebbe ottenuta a qualsiasi costo, sarebbe stato disposto a sprofondare in qualunque abisso.
“Niente è mai come ti aspetti” le parole di suo padre gli echeggiarono nella mente: “Ricordalo sempre, Jesper: se da una parte il tuo desiderio verrà esaudito, dall’altra ciò esige sempre, sempre un prezzo”.  
Abbassò lo sguardo sulla lettera, ormai sbiadita dal tempo, che si rigirava tra le mani e la strinse con forza, passando i polpastrelli in una lunga, fremente carezza sulla svolazzante firma scritta in fondo: Ursula.
 
Harriet non riusciva a togliersi dalla testa quel crisantemo.
Per la verità era alquanto strano che un semplice fiore potesse aver catturato così fortemente la sua attenzione, ma durante l’intera giornata seguente occupò gran parte dei suoi pensieri, balenandole alla mente nei momenti più impensati e nelle situazioni meno convenienti. Dopo averlo rinvenuto sul comodino, era rimasta a lungo seduta sul letto, in camicia da notte, stringendolo fra le mani e carezzandone distrattamente i petali bianchi, e aveva cercato e ricercato di venirne a capo. Non era da escludere l’ipotesi che, ubriaca com’era, se lo fosse portato lei stessa in stanza e avesse dimenticato ogni cosa, però non riusciva a convincersene fino in fondo. Dell’imbarazzante festa di Halloween e della sua umiliante condotta aveva pochi e vaghi ricordi, su cui peraltro non desiderava neppure soffermarsi, ma nulla che riguardasse il crisantemo.
Aveva fatto la figura della stupida e si era resa ridicola, questo lo rammentava benissimo, e se ne pentiva. Non soltanto per le occhiatacce di sua madre e gli sguardi furtivi dei domestici, ma soprattutto perché aveva dimostrato che a lei importava, di Jesper, delle sue scappatelle, della sua mancanza d’amore, e non era così…non per davvero, almeno. Naturalmente soffriva per gli affronti che le faceva e non aveva alcuna intenzione di starsene buona e zitta, ma il suo non era un amore non corrisposto. Lei non amava Jesper. Probabilmente era attratta da lui, questo sì, tuttavia i suoi sentimenti non andavano al di là di questo. E invece ubriacandosi, facendo quella scena, aveva dimostrato esattamente il contrario. E aveva dato spettacolo di fronte a quello sconosciuto travestito da Fantasma dell’Opera, quello strano individuo che si era presentato alla festa al braccio di Erin…gli era praticamente caduta fra le braccia, e il solo ripercorrere nella mente il loro incontro la induceva ad avvampare con violenza e ad avvertire un intenso disgusto per se stessa.
Sperava vivamente che fosse solo un ospite di passaggio e che non l’avrebbe mai più rivisto, non avrebbe osato guardarlo negli occhi dopo lo stato in cui si era fatta sorprendere. Aveva gettato la maschera, gli aveva rivelato quel che vi era nascosto, e non se lo poteva perdonare.
Finì per sistemarsi distrattamente il crisantemo fra i capelli castani, incastrandolo in una ciocca e usandolo come una sorta di talismano o di portafortuna. Erano passati parecchi anni dai tempi in cui credeva ancora in Babbo Natale, la Fatina del Dentino o gli spiritelli domestici a cui dovevi lasciare una ciotola di latte per ottenere il loro favore, ma la parte di lei ancora bambina trovò divertente l’idea che un buon genio l’avesse presa in simpatia e avesse deciso di proteggerla. Sarebbe stata una novità, mai nella sua vita qualcuno si era preso davvero cura di lei e le piaceva crogiolarsi in quell’illusione, confidare nell’esistenza di un folletto benefico.
“Un folletto dai gusti bizzarri” pensò con un sorrisetto: “Poteva scegliere un fiore meno lugubre…anche se, devo ammetterlo, questo mi piace”.
“So che è dura per lei”.
Trasalì bruscamente, strappata da quella voce al flusso dei suoi pensieri. Per un attimo appena credette sul serio che a parlare fosse stato lo spirito che le aveva donato il crisantemo, uno spirito di cui in qualche modo avvertiva la presenza nell’aria, ma quando si volse, assumendo involontariamente una posizione di difesa, si diede della cretina e arrossì. Era soltanto Eva, la vecchia cameriera che si occupava di pulire la sua stanza, entrata per adempiere ai suoi compiti giornalieri così silenziosamente da non aver palesato la sua presenza. O forse piuttosto era lei quella troppo distratta per accorgersi del resto del mondo.
“Eva!” esclamò, vergognosa e sollevata. Chi diavolo credeva che potesse essere? “Mi hai…spaventata”.
“Mi scusi, signorina Ullmann” disse l’anziana donna, mortificata: “Non era mia intenzione”.
“N-no, non è colpa tua” per qualche strana ragione, la ragazza non riusciva a liberarsi dall’incomprensibile ansia che la pervadeva. Aveva a che fare con qualcosa che serpeggiava nell’aria, in quella camera prima tanto familiare… una nota stonata, un particolare fuori posto…aveva…aveva come la sensazione che qualcosa fosse cambiato, lì. Ma era solo suggestione, senza dubbio. Scrollò le spalle: “Cosa stavi dicendo?”
La domestica abbassò gli occhi in un atteggiamento umile e sottomesso. Lavorava a Lawrence Borg da parecchi anni, fin da quando Hugo era piccolo, e adesso era curva sotto il peso dell’età avanzata, con le rughe scolpite in profondità nella pelle e il seno cadente. Le malelingue sostenevano che fosse stata una delle amanti del defunto signor Lawrence e che in gioventù fosse stata bellissima, ma lei non aveva mai né smentito né confermato quelle voci. Era una figura piuttosto interessante, in effetti, e sembrava in preda ad una lotta interiore. Alla fine mormorò, esitante: “Io…comprendo il suo stato d’animo, signorina. Il signor Jesper…lo conosco da quando era bambino, e so che…beh, ho sempre saputo che non avrebbe fatto un matrimonio felice”.
Harriet si voltò prontamente verso di lei, dedicandole tutta la sua attenzione. Finora in sua presenza aveva sempre conservato un silenzio religioso, e quest’improvvisa confessione la coglieva di sorpresa, ma la catturava anche. Dopotutto, Jesper era il suo futuro marito e sapeva pochissimo di lui, a parte che era l’erede di un cospicuo patrimonio e che, se Jonas non si decideva a saltar fuori, avrebbe avuto in mano la compagnia fondata dai suoi avi: “Perché?” interrogò la vecchia: “Perché dici questo?”
Eva rimase qualche attimo soprappensiero, fissandola, la scopa stretta tra le mani avvizzite. Poi esordì con un racconto, molto più dettagliato di quanto Harriet avesse sospettato.
“Jesper era un bambino dolce ed affettuoso, sempre delicato e attento, a detta di tutti gli insegnanti che lo avevano seguito anche educato, intelligente ed interessato ai discorsi affrontati. Era inoltre bellissimo e molto ambizioso ed era l’orgoglio di suo padre. Il signor Lawrence non aveva mai dedicato molto tempo ai suoi figli, ma riponeva numerose speranze nel suo secondogenito, parecchi pensavano addirittura che lo preferisse a Viktor e a Jonas, e che non gli sarebbe dispiaciuto vederlo a capo della sua compagnia. C’era però un’unica pecca nel suo comportamento. Trascorreva moltissimo tempo con una bambina, la figlia di una delle cameriere, che l’aveva avuta giovanissima”.
Fece una breve pausa. Harriet pendeva dalle sue labbra. Jesper non aveva mai lasciato intravedere nulla di sé, si era sempre ammantato della sua aura di perfezione, e poter vedere cosa si celava sotto quell’aura, chi era veramente il suo compagno era per lei una benedizione: “E poi?” sollecitò la domestica. Quella riprese: “Il signor Hugo aveva sempre tentato di scoraggiare quest’amicizia, ma purtroppo senza mai prendere alcun provvedimento serio. Così il bimbo era cresciuto condividendo tutto con quella ragazzina di basso ceto, che si faceva di anno in anno più sfacciata. All’epoca io avevo il comando in cucina e la madre di quella creatura serviva le portate, e intimavo spesso alla bambina di smetterla di darsi arie da gran signora e di tentare anzi di non contrariare Mr Lawrence, ma tutto inutilmente. Sulle prime mi dava ascolto, rimanendosene qualche giorno, dopo la scuola, rincantucciata in cucina, ma poi immancabilmente il signorino Jesper si abbassava a presentarsi lì per cercarla. Con il tempo poi è diventata sempre meno pronta a obbedire. L’ultima volta che provai a ripeterle il rimprovero, quando aveva circa quindici anni, mi disse queste testuali parole: Oh, Eva, piantala di infastidirmi con la solita solfa, altrimenti giuro che lo racconto a Jesper e ti faccio licenziare, così impari! Mi disse proprio così, lo ricordo bene. Naturalmente, come può capire, signorina, mi sono guardata bene dall’aggiungere altro, anche se ce ne sarebbe stato proprio bisogno. Quella ragazzetta si credeva ormai una di famiglia, era convinta che sarebbe diventata la nuova signora Lawrence, si figuri un po’! Jesper, la giovane promessa, il promettente uomo d’affari erede del patrimonio dei Lawrence sposato con la figlia di una donna delle pulizie rimasta gravida a diciassette anni!
“Il problema era che Jesper, nonostante il suo desiderio di farsi strada, sembrava prenderla in assurda considerazione. I due, crescendo, si accorsero che l’amicizia che li legava si stava trasformando velocemente in amore. Così vidi che spesso si appartavano in lunghe passeggiate in riva al mare, o in stanzette isolate. Naturalmente mi venne il sospetto che fossero diventati amanti, e come a confermarlo il signorino prese a parlare di matrimonio, di unione, attirandosi l’ira del padre, che in quel periodo era particolarmente irritabile di suo. Sembrava ammattito. Una volta, mentre trasportavo dei panni sporchi, lo udii litigare furiosamente con Hugo e sentii il signore gridargli queste parole: Sei davvero convinto che l’amore sia più importante del potere? Ah, in questo si vede la tua giovinezza, Jesper! Credi che quella ragazza ti sarà grata, che ti ami per ciò che sei? C’è una sola cosa a cui punta, ed è il tuo denaro! È così che va, tutti cerchiamo il potere, poveri e ricchi, ed io lo so bene, benissimo! Al momento opportuno, quando si sarà assicurata il tuo patrimonio, ti abbandonerà!
“E così fu. O almeno, in parte. Perché qualche mese dopo, come lei ben sa, lui e il signorino Viktor vennero assassinati da un omicida senza volto di cui non si trovò più traccia e si cominciò ad avere paura, a temere che il palazzo fosse infestato, che per qualche motivo la famiglia Lawrence fosse maledetta. Molti dei domestici che allora lavoravano al mio fianco diedero le loro dimissioni, io rimasi solo per l’affetto che mi legava ai padroni. Quell’orrendo avvenimento aveva marchiato questo luogo troppo a fondo, era come se il sangue di quei due poveretti macchiasse le pareti, le vasche, il pavimento… come se contaminasse l’aria che respiravamo. E probabilmente fu troppo da sopportare per Ursula, questo era il nome della ragazza amata dal signorino Jesper. Pochi giorni dopo l’omicidio, si licenziò senza neanche dirgli addio, lasciandogli una gelida lettera di commiato nella quale spiegava frettolosamente di non farcela più a vivere in quel luogo maledetto e che, in capo ad una settimana, sarebbe partita con la madre.
“Da quel momento in poi, il signorino non fu più lo stesso. Iniziò a frequentare bische e locali malfamati, a cercarsi un’amante dopo l’altra, a seppellire qualunque sentimento. Gli rimase solo la sete di potere, la stessa sete di potere che aveva animato suo padre. Il colpo ricevuto era stato troppo grave e profondo, non c’era più amore nel suo cuore…per questo mi sono sempre detta che non avrebbe avuto un matrimonio felice, né lui, né la sua sposa”.
Eva tacque e, come pentita di averle rivelato il segreto del suo padrone, si congedò con un cenno della testa e uscì in fretta dalla stanza.
Harriet si lasciò cadere pesantemente sul materasso, schiantata dal peso di quelle confessioni. Aveva sempre giudicato Jesper dalle apparenze, vedendolo solo come un giovanotto arrogante e narcisista, interessato unicamente al denaro e al piacere e incapace di scorgere l’infelicità altrui…ma ora scopriva che era diventato così a causa del comportamento di quell’Ursula, che era stata quella ferita a trasformarlo nel mostro con cui avrebbe dovuto trascorrere il resto della vita. E come poteva odiare una persona che aveva sofferto quanto lei, che aveva patito le sue stesse delusioni? Ma, del resto, non riusciva neanche a perdonarlo, giacché era sbagliato arrecare dolore agli altri solo perché tu lo avevi provato. Quindi i suoi sentimenti per lui erano ancora più complicati!
“Oh mio dio” sussurrò, sfiorando il crisantemo incastrato tra i suoi riccioli: “Ma che cos’ha questa famiglia? Perché le sventure sembrano seguirla ovunque? E succederà la stessa cosa a me, quando ne farò parte?”
Sotto di lei, nel nascondiglio, un’ombra si mosse e abbandonò il punto da cui aveva origliato tutta la conversazione, seguita dall’orlo strisciante del mantello. Qualcosa non quadrava. Se Jesper aveva amato soltanto Ursula, perché si era tanto spaventato quando aveva minacciato di far del male ad Harriet? La cosa non l’avrebbe minimamente interessato se gli avesse dato quanto voleva, ma il fratello stava temporeggiando troppo, per i suoi gusti, e lui non era tipo da fare niente per niente.
Bene, se quell’imbecille gli avesse negato ciò che gli spettava, avrebbe messo in atto le sue minacce e avrebbe scoperto cos’è che lo legava alla sua promessa sposa.
 
Erin sostava in piedi davanti allo specchio di camera sua, la mezza maschera bianca stretta tra le manine esili e il visetto pieno di una determinazione e una rabbia che toglievano dolcezza ai lineamenti morbidi. Un fuoco sorprendente le ardeva nelle iridi cerulee, dello stesso azzurro chiarissimo che contraddistingueva gli occhi di Raphael da quelli del resto della famiglia, e le labbra piene erano serrate in una linea sottile.Si era chiusa nella propria camera dopo aver abbandonato il salone da ballo e non aveva voluto vedere nessuno, nemmeno Harriet.
Lentamente, con gesti quasi ieratici, sollevò il pezzo di fine porcellana candida e lo fece aderire alla metà destra del volto, rabbrividendo di un misto di piacere e paura quando la sua pelle morbida entrò in contatto con il gelo della maschera, un gelo stranamente confortante. Tornò a guardare la propria immagine riflessa e ciò che vide le piacque, tanto che riuscì persino a sorridere, un lusso che le parole crudeli del signor R le avevano tolto.
Con quella maschera, sentiva di poter fare qualsiasi cosa, di non avere vincoli a trattenerla. Era come se fosse Erin e allo stesso tempo non lo fosse, e dal momento che, sopra tutti gli altri, odiava se stessa, quell’idea la allettava, la allettava molto. Suo padre l’aveva abbandonata, ormai era inutile illudersi, non sarebbe tornato mai più. Non poteva vivere per sempre in una favola.
“So che sei qui intorno, signor R” bisbigliò al suo viso semicoperto, gli occhi pieni di quella sconcertante decisione: “Gli altri non possono percepire la tua presenza, ma io sì, perché c’è qualcosa che ci unisce, e non mi importa che l’idea non ti va. Prima o poi ti troverò, scoprirò chi sei”.
 
 
Angolo autrice: *squillo di trombe*….Jesper è stato innamorato!!! Chi l’avrebbe mai detto? Il belloccione vanesio un tempo aveva pure un cuore! Vedete a cosa si va incontro badando solo alle apparenze XD? Okay, scherzi a parte, in questo capitolo ci sono state rivelazioni a proposito di questo personaggio odiato all’unanimità (anche dalla sottoscritta, lo ammetto). Il racconto del suo passato non ha lo scopo di renderlo migliore, visto che è una carogna fatta e finita, ma sto cercando (invano) di dare un certo spessore psicologico a tutti quanti e ho deciso di indagare un po’ anche lui. Qual è il piano suo e di Christine, cosa vogliono ottenere? Vi avverto che il secondo incontro Harriet/Raphael è molto vicino ;)
Ringrazio calorosamente Homicidal Maniac, Niglia, Nimel17 e Dora93 per il loro preziosissimo appoggio, ragazze, non ce la farei senza di voi, un bacione a tutte quante, come sempre vostra
Sylphs 
 
  
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