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Autore: Myranda Kalis    29/06/2007    5 recensioni
[SPOILER!!] Zouchouten e Ten-ou, dopo la conclusione dello scontro finale che ha devastato il Tenkai, si metteranno sulle tracce dell'Imperatore, trascinandosi dietro il peso dei loro lutti e del loro attonito sconforto. Una squisita analisi del principe ereditario e dello Shitennou del Sud.
[Traduzione dall'inglese di Juuhachi Go]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ten-ou, Zochoten
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Peace
fanfic di Myranda Kalis tradotta dall’inglese da Juuhachi Go
[link al testo originale]

Nella morte, il volto di Kendappa-ou era placidamente sereno, le sue labbra perfette atteggiate nel più soffice dei sorrisi, la curva scura delle sue ciglia adagiata sulle guance pallide, come se fosse stata sul punto di dischiuderle ancora in un istante e ridere di qualcosa detto da qualcuno. Se si concentrava unicamente sulla serenità del suo viso immobile, riusciva quasi a ignorare il sangue schizzato sulla pelle bianca e la terribile ferita che le attraversava la gola. Questo gli consentiva anche di allentare appena il tormento che gli aveva ghermito il cuore, e di ingoiare il dolore che gli riempiva la gola del bisogno di piangere, o urlare. Kendappa-ou era morta velocemente, e senza dolore, fra le braccia di colei che aveva amato al disopra di qualunque altra cosa, anche della sua stessa vita. Si aggrappò a quel pensiero per il relativo conforto che offriva, e chiuse gli occhi per imprimere a fuoco nella mente l’immagine del suo volto tranquillo, per sempre.
«Mio signore,» la voce era calma, bassa e rispettosa, così Ten-ou non si mosse visibilmente quando questa si rivolse a lui, da dietro e appena dal basso. Si voltò per metà e fissò uno degli uomini di Zouchouten. «Mio signore, abbiamo frugato quest’area al meglio delle nostre possibilità, ma non abbiamo trovato traccia dell’Imperatore.».
Ten-ou inghiottì con una certa difficoltà, e, con un cenno del capo, diede segno di aver recepito la notizia. Il soldato dall’aria logorata fece un profondo inchino e indietreggiò, voltandosi per unirsi nuovamente al piccolo crocchio di uomini lì vicino, che parlavano piano fra di loro. Tenou si tese lentamente e strofinò le dita lungo l’elsa della spada di Kendappa-ou, la cassa di risonanza che aveva conferito all’arpa di lei un timbro così caratteristico. Il clan dei Kendappa non era mai stato molto esteso a partire dalla fine delle Guerre Sacre; il suo numero non si era mai ripreso dalla devastazione, e Kendappa-ou era l’unica figlia dei suoi genitori. Poteva esserci una cugina in uno dei rami cadetti che avrebbe potuto ereditare il trono, ma non poteva dirlo con certezza – lei non aveva mai parlato della propria famiglia. Sollevò la pesante lama, afferrandola nella curva del braccio, e si preparò ad alzarsi, quando un baluginio d’oro, mezzo nascosto da sangue e stoffa nera, lo fermò. Mise da parte l’orlo inferiore del mantello di Kendappa-ou; all’ombra del suo corpo, e di quello della donna che giaceva fra le sue braccia, vi era un paio di mezzelune d’oro, un’estremità tagliente, l’altra leggermente più ampia e smussata.
Gli occhi di Ten-ou cercarono il volto dell’amata di Kendappa-ou, Souma, l’ultima del suo Clan. Quelle armi, sapeva, dovevano essere sue, e non vi era nessuna rimasta a prenderle, poiché, se i Kendappa erano stati indeboliti nelle Guerre Sacre, i Souma erano stati di fatto annientati, e adesso si erano del tutto estinti. Di nuovo, esitò, poi, in un improvviso afflusso di risolutezza, raccolse le mezzelune d’oro e le lasciò scivolare all’interno della propria cintura.
Ci sarebbe stata qualcuna, un giorno, e, quando costei sarebbe giunta al suo cospetto, avrebbe custodito quelle lame e la storia della donna coraggiosa e gentile che le aveva brandite.
Mentre si alzava, divenne consapevole di quanto dolore sentisse di preciso – tutto il corpo gli doleva, dalla radice dei capelli fino alle punte dei piedi, il dolore era un concentrato, ritmico pulsare nel braccio nel punto in cui Shuratou l’aveva tagliato fino all’osso. Le ancelle di sua madre avevano strappato delle strisce dalle loro vesti per farne dei bendaggi per la ferita, e le avevano legate più strette che avevano potuto per arrestare la perdita di sangue, e la sua manica era ancora rossa e coperta fino al polso. La testa gli girò un po’ mentre si rialzava in piedi, e l’oscurità si librò attorno ai margini della propria vista per un momento; piazzò la mano libera su un pezzo di macerie a disposizione e attese un attimo fino a che il mondo non smise di girargli intorno. A quel punto, svenire per lo shock e la perdita di sangue non avrebbe aiutato le cose; con suo padre scomparso doveva esserci qualcuno che conferisse alla Corte una parvenza di forza. Avevano sopportato più che abbastanza, in un giorno solo.
Immediatamente, la vertigine si fermò davvero e l’oscurità recedette alquanto, mentre alcune delle sue energie facevano ritorno. Ten-ou si mosse con cautela attorno ai cumuli di macerie sparsi disordinatamente lungo quelli che una volta erano stati i corridoi e le gallerie che conducevano alla sala del trono di Zenmi-jou – o, almeno, era lì che supponeva si trovassero. La distruzione era così totale che era difficoltoso distinguere cosa qualunque cosa fosse stata un tempo, nonostante la preponderanza delle colonne crollate gli facesse pensare alle camere centrali del palazzo. Fili di fumo salivano ancora dalla pietra bruciata e dai resti di raffinati arredi; l’odore di fuoco e fulmini aleggiava ancora pesantemente nell’aria, e i vapori che si sollevavano quasi coprivano l’oscura carcassa dell’enorme kekkai che si ergeva da dove il sigillo di Ashura-jou era stato un tempo posto. I lucenti occhi mogano di Ten-ou continuavano a rivolgersi indietro, in quella direzione, attratti da una forza irresistibilmente trascinante, e gli occorse tutta la volontà che gli rimaneva per non fermarsi e fissare ad occhi sbarrati quella prigione vivente, in un misto di fascinazione e repulsione. Da qualche parte lì in mezzo, lo sapeva, si trovavano sia suo padre che suo fratello, e dentro di lui vi era un profondo conflitto riguardo a chi dei due desiderasse trovare per primo, e per quale ragione. Distolse lo sguardo con un fremito, gli occhi che scandagliavano il campo di macerie fino a che non si poggiarono su ciò che cercavano. Zouchouten era chino a pochi metri di distanza, la schiena, rivolta al suo principe, era piegata come in profonda meditazione. Ten-ou si avvicinò in silenzio, consapevole di cosa lo Shitennou più anziano stesse rimirando così intensamente, e si fermò alle spalle del suo maestro. Un manto di piume di un bianco puro, macchiato qua e là di piccole gocce cremisi, copriva il suolo bruciato dai fulmini. Zouchouten tratteneva una di quelle piume sul palmo della mano possente, delicatamente, come se temesse di danneggiarla ulteriormente, e il cuore di Ten-ou si compresse dolorosamente per il vecchio soldato. Non era stato l’unico a subire una grave perdita, quel giorno, sebbene sospettasse che Zouchouten non avesse mai parlato a Karura-ou dei propri sentimenti, e adesso la sua occasione era andata perduta in un colpo di fulmine e in una lama che si abbatteva.
La Signora Bianca di Tenku-jou aveva amato una sola cosa al mondo oltre alla propria libertà, e, quando sua sorella era morta, la furia sopita di una guerriera e di un'incantatrice si era risvegliata e rivolta verso l’Imperatore che l’aveva così profondamente offesa. Zouchouten gli aveva raccontato della battaglia fra Karura-ou e suo padre, e di come fosse morta trafitta dalla lama mostruosamente potente di Paranjya, così come Ashura-ou prima di lei, la sua carne che si era dissolta in un flusso di piume candide come neve, Garuda che era caduto assieme a lei.
Ten-ou pose la propria mano sulla spalla di Zouchouten in un gesto di conforto; il vecchio soldato guardò verso l’alto, il suo volto era una maschera scolpita nel granito, i suoi occhi di un blu metallico provati oltre ogni dire. «Non avrebbe mai perdonato.». La sua voce era bassa e roca. «Qualunque torto, tranne l’omicidio di sua sorella, Ten-ou. Vostro padre non fu stupido quando scelse di colpirla così, e di obbligarla a prendere una decisione.». Fece una smorfia, stringendosi il braccio ferito nella benda più vicino al petto coperto dall’armatura, mentre, lentamente, si sospingeva in piedi. «E non avrebbe mai affidato il proprio cuore in custodia a qualcuno, anche se la ragazza fosse morta della sua malattia. Karura-ou non era fatta per essere sottomessa all’amore.».
«Mi spiace, Zouchouten. Avrei dovuto essere in grado di fare di più.».
Gli occhi di Ten-ou si serrarono con forza attorno a un improvviso fiotto di lacrime, «Io—».
«Ten-ou,» la mano di Zouchouten gli strinse il braccio sano più gentilmente che poté – era un uomo dalla forza enorme. «Non dovete affatto biasimarvi per questo. La via che ci ha portati a questo punto è stata stabilita assai prima della vostra nascita – nulla sarebbe riuscito a deviarla.». I suoi occhi si volsero verso il buio relitto della kekkai, che torreggiava sulla devastazione come una specie di gigantesca lapide, e circoscrisse la propria speculazione. «Forse non… nulla.».
«Mio padre è lì da qualche parte, lo so.». Ten-ou lottò per evitare che un brivido gli scorresse lungo tutto il corpo. «E anche mio… mio… E anche Ashura e Yasha-ou.».
«Spero che non vi offendiate per questo, mio principe,» lo informò Zouchouten, torvo «ma spero di non rivedere mai più vostro fratello.». Alzò la voce. «Sparpagliatevi! Passate al setaccio la kekkai per una qualunque traccia dell’Imperatore, di Yasha-ou o del figlio di Ashura-ou. In caso trovaste Yasha-ou o il principe degli Ashura, non tentate di scontrarvi con loro – è stato versato abbastanza sangue, per un solo giorno! Mandate immediatamente a chiamare me e Sua Altezza.».
Gli uomini di Zouchouten si sparsero di nuovo nei loro drappelli di ricerca e svanirono fra le rovine. Lo stesso Zouchoten mantenne la presa sul braccio di Tenou e, nonostante le sue proteste, lo condusse presso una colonna franata e lo costrinse a sedersi. «Chi vi ha bendato il braccio?».
«Le ancelle di mia madre,» ammise Ten-ou, un po’ mortificato, guardando le strisce di seta inzuppate di sangue.
«E si vede,» sbuffò Zouchouten. Strappò parecchie strisce dal bordo più pulito del proprio mantello, estrasse il pugnale e tagliò il bendaggio fradicio dal braccio di Ten-ou. Utilizzò una striscia per asciugarne via il sangue nel miglior modo possibile, esaminando la stessa ferita in cerca di segni di infezione. «Lascerà una cicatrice, Giovane Altezza, ma non temo affatto che perderete l’uso del braccio. Come…?».
«Shuratou,» sussurrò Ten-ou, serrando i denti per il dolore, mentre Zouchouten cominciava a pulire proprio la ferita.
«È un miracolo che abbiate ancora l’arto, allora. Tenete la mano qui e aiutatemi a legare questa – che la Grande Madre mi impicchi per essermi mai lanciato in mezzo a vostro padre e Yasha-ou!». Zouchouten terminò di legare le bende pulite e tagliò il resto della manica di Ten-ou. Tornò a sedersi sui talloni, mentre lui lasciava scorrere la mano sulle bende e sfregava delicatamente i muscoli affaticati del braccio. «L’Imperatrice?».
«Morta,» Ten-ou lottò per articolare le parole attraverso una gola occlusa dall’intensità delle emozioni che gli annodavano il cuore, «Ashura – lui-».
«Silenzio, giovanotto. Sarete in grado di parlarne, un giorno.» il tono di Zouchouten era gentile.
«Dopo… che lui… dopo… lui si è girato verso di me e mi ha detto che non mi avrebbe ucciso,» Ten-ou inghiottì con una certa difficoltà «che voleva che lo spettacolo della profezia che si compiva mi rimanesse profondamente impresso nel cuore.».
«La profezia?» Zouchouten sollevò il capo, gli occhi d’acciaio che si riducevano leggermente a fessure.
Ten-ou annuì, incapace di formulare le parole – le parole sicure che gli avrebbero fornito il distacco di cui aveva bisogno - per descrivere l’ultimo incontro con il suo gemello. Sapendo, anche in quel momento, che Ashura non gli sarebbe mai stato più lontano delle cicatrici che si sarebbe portato dietro.
«Vostro padre era… ossessionato… dalla profezia delle Sei Stelle – l’ultima profezia dell’hoshimi Kuyou,» le riflessioni di Zouchouten erano una distrazione di cui gli era grato. «E Hanranya stava a scrutare costantemente, per suo ordine, negli ultimi giorni…».
«Quando sarò Tentei,» Ten-ou fece una risata tremante «ricordatemi che il futuro non sarà mai importante quanto il presente.».
«Potreste cambiare idea in merito prima che tutto sia finito, Giovane Altezza,» gli assicurò Zouchouten, ironico «ma ve lo ricorderò – giusto per stare sicuri.».
«Vostra Altezza! Generale Zouchouten!». Entrambi si alzarono velocemente, Ten-ou aggrappandosi con forza al braccio di Zouchouten mentre era colto da una vertigine e uno degli uomini di Zouchouten correva nella loro direzione il più rapidamente possibile, attraverso il campo di macerie. «Abbiamo trovato Yasha-ou! Venite, presto!».
Camminare attraverso la kekkai era anche più spaventoso dello stare semplicemente a guardarla – ed era, senza alcun dubbio, lo spettacolo più disturbante a cui Ten-ou avesse mai assistito. Era viva, la vita pulsava visibilmente al suo interno, ma era una vita che girava su se stessa, invece di irradiarsi nel mondo esterno, una vita ingabbiata, e aggrappata, imprigionata, come la crisalide di una farfalla durante la sua metamorfosi. Una strana luce dorata pareva brillare appena sotto la superficie, attraverso le spirali e le striature della sua bizzarra sostanza, attraverso i fili e i viticci intrecciati di chitina simil-corazzata di cui era composta. La luce ambrata era sufficiente a vedere da vicino, e Ten-ou e Zouchouten attraversarono con cautela il labirinto di viottoli ripidamente arzigogolati dietro la loro guida, e quel riverbero si intensificava man mano che si avvicinavano al centro dell’edificio.
Il fiato abbandonò i polmoni di Ten-ou in un debole ansito. Gli uomini di Zouchouten erano riuniti a rispettosa distanza dall’uomo che stava in piedi di fronte alla fonte della luce dorata. A dispetto delle precedenti ostilità del giorno, nessuno di loro sembrava particolarmente ansioso di guadagnarsi la poco amichevole attenzione del più forte fra i Bushinshou, così le loro armi erano tutte inguainate. Yamatou non lo era, ma Ten-ou sospettava fortemente che Yasha-ou vi si stesse appoggiando più per supporto che per una qualche intenzione ostile.
Bene o male, Yasha-ou sembrava essere nelle sue stesse condizioni – era malridotto, quasi completamente distrutto, l’occhio destro chiuso e il viso cereo sotto i ricami di sangue e contusioni. Si reggeva in piedi, pensò Ten-ou, principalmente perché le cuciture dei suoi vestiti lo tenevano su e perché Yamatou era un’arma davvero alta.
«Zouchouten.» mormorò Ten-ou, lanciando una breve occhiata in direzione dei soldati.
«Aspettate fuori.» la voce di Zouchouten riecheggiò in maniera strana fra i muri della kekkai, ma i suoi uomini le obbedirono ugualmente.
Tenou attese che tutti i soldati di Zouchouten se ne fossero andati prima di avvicinarsi a Yasha-ou, le mani tese per mostrarsi disarmato.
«Yasha-ou, siete ferito. Dovreste-».
«Non lascerò questo posto.» la voce di Yasha era bassa e piena di dolore. «Non mentre lui è ancora qui.».
«“Lui”?» domandò Ten-ou, piano, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi.
Yasha esitò un istante, e sostenne il suo sguardo. Qualunque cosa vi lesse dentro dovette averlo soddisfatto, poiché si fece da parte, facendo scivolare Yamatou nella cintura e appoggiandosi pesantemente contro i viticci più spessi della kekkai. Ten-ou sentì tutto il respiro e il calore fuggirgli dal corpo, i polmoni dimentichi di come respirare, il sangue che si tramutava in acqua ghiacciata mentre realizzava cosa Yasha-ou stesse sorvegliando. I contorni del corpo di Ashura erano ancora vagamente distinguibili sotto la superficie della kekkai; la sostanza si stava ancora rapprendendo attorno alla sua figura di sottile eleganza. Cavi di chitina gli si avvolgevano intorno, cullando e trattenendo allo stesso tempo, aggrovigliati su ogni centimetro del suo corpo, eccezione fatta per il volto pallido, spigoloso, e una cascata di capelli corvini. Ten-ou si accostò lentamente, attirato contro la propria volontà, l’anima sospinta con una dolorosa intensità e una forza irresistibile.
«Ashura,» soffiò «fratello mio.».
Il viso di Ashura era immobile, ma non quanto lo era stato quello di Kendappa-ou. Quello di lei gli aveva dato l’impressione che, un tempo, la vita vi avesse dimorato, e che ora si fosse dileguata. Una traccia di espressione. Un debole calore. Gli accarezzò la guancia con la mano e rimase scioccato dal freddo, dal gelo che la sua carne quasi emanava. La pelle era pallida, pallida, fredda e dagli angoli appuntiti, come se fosse stata intagliata nel marmo. Ciglia pesanti come velluto scuro erano poggiate sulle guance, le labbra perfette non davano segno di essersi mai mosse, di aver mai riso, o parlato.
Ten-ou crollò in ginocchio, incapace di staccare gli occhi dal volto vuoto ed esanime di suo fratello, l’anima che gli si straziava dentro. «Cos’è accaduto?» sussurrò «È… è… morto?». Mio fratello, il mio gemello, l’altra metà della mia anima?
«Ashura è stato richiamato all’interno di Ashura-jou dal risveglio del palazzo e della sua kekkai.» la voce di Yasha mescolava in parti uguali angoscia e spossatezza. «Mentre si trovava lì, il profeta Kujaku ha parlato con noi – con me e vostro padre – riguardo al vero significato della profezia che ci ha guidati sin qui…».
«La profezia?» chiese bruscamente Zouchouten, spostando la propria preoccupata attenzione da Ten-ou a Yasha-ou.
Yasha annuì lentamente, il movimento che sembrava costargli molto in dolore. «La profezia che Ashura era destinato a portare a compimento – la rinascita del Dio della Guerra, guerra senza clemenza, o compassione, o giustizia. E lui, Ashura il Distruttore, che avrebbe ridotto questo mondo a un inferno di fuoco e sangue.».
Ten-ou, al ricordo, rabbrividì e appoggiò la fronte rigata di sangue contro quella di Ashura, richiamando alla memoria il calore del fuoco infernale che lo aveva improvvisamente colpito, e la velocità con la quale Shuratou aveva strappato la vita di Ryuu-ou, e la visione di Ashura che emergeva dalla kekkai in cui aveva riacquistato la propria vera forma, meravigliosa e algida, come una morte perfetta.
«E vostro padre ci ha raccontato della promessa che aveva fatto ad Ashura-ou – che, se la profezia fosse stata sul punto di diventare realtà, Taishakuten avrebbe ucciso Ashura prima che potesse distruggere il mondo.». Nella testa di Ten-ou calò il silenzio e lui fissò Yasha, incredulo, incapace di ordinare i propri galoppanti pensieri in una domanda coerente. «Ashura è risorto da Ashura-jou, portando l’armatura di Ashura-ou e Shuratou, ripristinata nella totalità dei suoi poteri. Taishakuten si è frapposto fra noi, cosicché Ashura avrebbe dovuto ucciderlo prima di poter riuscire ad arrecare danno a me. Lo sapevo, e sapevo che non sarei stato in grado di alzare Yamatou per fargli del male, o anche per fermarlo. Non ho potuto. Non ho dovuto.». Il solo occhio di Yasha scrutò il viso inespressivo di Ashura.
«Ha preferito gettarsi su Shuratou, piuttosto che uccidere me, e la kekkai me lo ha strappato prima che potessi anche solo allontanarlo da essa.».
«Ashura…» sussurrò Ten-ou. «Io… so per quale ragione Yasha non avrebbe alzato la propria mano contro di te.». Ten-ou si rialzò piano, carezzando la guancia di suo fratello. «È… morto, allora. Non si risveglierà veramente più.».
«Così ha detto Kujaku – e le profezie degli hoshimi non sono mai errate.». La voce di Yasha era sottile.
«Zouchouten… vi prego di mandare un guaritore che si prenda cura delle ferite di Yasha-ou.».
L’espressione negli occhi di Ten-ou mise a tacere le proteste di entrambi. «La profezia si è compiuta, Yasha-ou. Non ho mai desiderato essere vostro nemico, l’uomo che ha distrutto il vostro clan è morto per mano vostra. Oggi ho perso mia madre, mio fratello, e, con ogni probabilità, mio padre, che non riusciamo a trovare. Non ho intenzione di perdere anche voi, che eravate la persona amata dal mio unico fratello.».
«Vostra Altezza.». Zouchouten ruggì abbastanza forte da far sì che i soldati in attesa fuori scappassero alla rinfusa, alla ricerca di un guaritore, senza farselo ripetere una seconda volta.
«Vostro padre era ancora in vita quando l’ho visto per l’ultima volta, Ten-ou.» gli disse Yasha, sottovoce. «Era ferito, ma non credo che le sue ferite fossero sufficienti a ucciderlo – ha combattuto contro Ashura ad armi pari, e anche contro di me.».
«Padre…» gli occhi di Ten-ou presero a bruciargli, e un basso rombo a riempirgli le orecchie. «Deve essere qui da qualche parte… Zouchouten…». L’oscurità che aveva indugiato così a lungo ai margini della sua vista sembrò rafforzarsi senza una spiegazione, e i piedi di Ten-ou vacillarono. «… Dobbiamo trovarlo. Io ho bisogno… ho bisogno di chiedergli…».
«Ten-ou!» gridarono simultaneamente Yasha-ou e Zouchouten, mentre lui, finalmente, permetteva al buio di circondarlo. Basta, era abbastanza, per una sola giornata.

Quando Ten-ou si risvegliò, non fu immediatamente in grado di capire dove si trovasse. L’aveva preso un disorientamento talmente feroce che poteva quasi sentirlo conficcargli degli artigli acuminati come aghi nella mente, e, nell’istante dopo aver aperto gli occhi, la testa gli vorticò e l’unica domanda coerente che riuscì a porsi fu «Cosa?». «Dove?» fu quella immediatamente seguente, e si mise a sedere così velocemente che la sua azione successiva fu stendersi un’altra volta, perché gli girò la testa, lo stomaco gli si rivoltò ed entrambi si avvicinarono di molto a una rivolta aperta. Un basso grugnito sfuggì alle sue labbra, e lui seppellì il viso nel guanciale su cui era stato disteso, provando a non sentirsi troppo come un bambino malaticcio e riscontrando un limitato successo.
«Ten-ou?» La voce di Zouchouten arrivava da vicino, Ten-ou sollevò adagio il capo e si guardò intorno in cerca del suo proprietario.
L’anziano Shitennou stava sulla soglia della tenda in cui Tenou realizzò, in ritardo, di stare giacendo, una lampada in una mano a spandere un caldo riverbero dorato. Ten-ou arrangiò per lui un sorriso malfermo mentre attraversava la stanza, accompagnato da una guaritrice vestita di bianco che portava una borsa di bende e medicinali. «Non sono ferito in maniera così grave, Zouchouten, ci devono essere altri-».
«Siete febbricitante, Ten-ou. E avete perso una grande quantità di sangue.».
Il tono di Zouchouten, sinceramente affranto, zittì le sue proteste. «Una guaritrice?».
Una fitta trapassò Ten-ou quando la giovane donna si inginocchiò al suo fianco; era chiara di capigliatura, carnagione ed occhi, se così non fosse stato non avrebbe mai potuto guardarla in faccia, ricordando la posizione che Souma occupava a Corte. Il suo esame fu rapido e approfondito in ogni dettaglio, le sue mani gentili, e anche Zouchouten che gli stava da un lato come una mamma chioccia servirono a distrarlo. «Le ferite di Sua Altezza sono piuttosto serie,» anche il tono di lei lo era, ed era anche repressivo, nella sua disapprovazione di guaritrice, «e non avreste dovuto avere il permesso di effettuare qualsiasi ricerca, non importa di chi.». La sua occhiataccia da basilisco inchiodò Zouchouten alla parete della tenda, e lui fremette in un soddisfacente sfoggio di contrizione. «Dovete riposare, prima di ogni altra-»
«Ma mio padre-» cominciò debolmente Ten-ou.
«Sua Maestà è più che capace di badare a se stesso – e, in ogni caso, anche metà dell’esercito di Zouchouten lo sta cercando! Voi dovete star fermo e riprendervi.». La guaritrice incrociò le braccia al petto in una maniera intenzionata a far tacere ogni discussione; ebbe sortito l’effetto desiderato quando Ten-ou riaffondò fra i guanciali. «Sua Altezza ha perso, come ha fatto presente il Generale Zouchouten, un’ingente quantità di sangue. Avete inoltre subito diversi gravi colpi, di cui almeno uno diretto alla testa, e una profonda ferita da arma da taglio, che, per miracolo, non è stata gravemente infettata, a dispetto della totale mancanza di buonsenso dimostrata sia da Vostra Altezza che da un certo branco di ancelle con cui farò… quattro chiacchiere.».
Sia Ten-ou che Zouchouten si ritrassero in un moto di riflesso, e di pietà per le sfortunate domestiche, mentre la guaritrice cominciava a versare erbe e polveri nel proprio mortaio e le tritava insieme. Ten-ou, nonostante il bruciante bisogno di alzarsi e fare qualcosa, preferì trattenersi e si distese nuovamente fra i cuscini, sorridendo beffardo a Zouchouten. «Fatemi indovinare – lei è colei che è principalmente responsabile di aver messo insieme chiunque avesse un minimo di conoscenze mediche e abbastanza destrezza nell’arrotolare bende per farne la più efficiente squadra di guaritori mai vista al mondo?».
«In una parola, Giovane Altezza,» disse Zouchouten, riuscendo a mantenersi serio come suo solito, «sì. Ed è stata lei a domandare di potersi occupare di voi, poiché, cito testualmente, “Tutti coloro che per primi si sono presi cura delle sue ferite sono risultati essere un completo mucchio di sciocchi incompetenti che sono stati selezionati per il servizio a palazzo più sulla base della loro inoffensività, che su quella della loro capacità di portare a termine qualcosa di costruttivo”. Quella ragazza mi piace.».
Ten-ou sorrise lievemente, tutto il corpo investito da un sussulto quando il movimento gli ricordò ogni ferita, ogni osso rotto e ogni livido subito durante l’ultima giornata o più. Le mani di Zouchouten lo presero per le spalle e lo trattennero con gentilezza fino a che lo spasmo non passò, e il fiato fece più o meno ritorno. «Yasha-ou?».
«Non si è riusciti a farlo spostare, ma almeno è stato sottoposto alle cure di un guaritore. Ho piazzato delle guardie a una discreta distanza, nell’eventualità che dovesse farsi vedere – il guaritore che lo ha visitato riteneva non fosse esattamente in ottima salute.».
«Le profondissime ferite di Yasha-ou non possono essere curate con l’utilizzo di farmaci.». La guaritrice trasferì il miscuglio che stava preparando dal suo mortaio a un pacchetto di carta oleata, aggiungendone uno o due pizzichi in un calice d’acqua fredda. «Quelle sta a lui guarirle da solo o meno.». Agitò vigorosamente e tornò al fianco di Ten-ou, passandogli il calice mentre Zouchouten lo tirava su. «Bevete questo, tre volte al giorno, due pizzichi disciolti in acqua fredda, non nel vino. Ne porterò dell’altro domani. Aiuterà il vostro corpo ad epurare il malessere, vi abbasserà la febbre e vi consentirà di dormire tranquillo. Non vi affaticate troppo – siete giovane e forte, ma il vostro corpo ha anche sopportato un tremendo shock. Bevete.».
Ten-ou si mantenne forte e si portò la coppa alle labbra, aspettandosi forse uno dei filtri amari che gli erano stati imposti quando, da bambino, aveva preso la febbre. Con sua sorpresa, la bevanda era invece vagamente dolce - gli ricordava dell’idromele leggero - e terribilmente emolliente sulla sua gola arida. Vuotò la coppa e la restituì alla guaritrice. «I miei ringraziamenti.».
«Mi ringrazierete meglio facendo come vi dico e riprendendovi completamente.».
Lei mise via la coppa e raggruppò i propri medicinali. «Generale Zouchouten, lascio Sua Altezza alle vostre cure, per il momento. Sarò di ritorno domani, con altri farmaci. Ci sono altre persone ad occuparsene – assicuratevi che gli vengano cambiate le bende.». Si alzò, raccogliendo le proprie cose sotto il mantello bianco e alzandosi il cappuccio contro l’aria fredda della notte.
«Ci vedremo fuori.» Zouchouten si alzò in piedi, con una certa fatica, con l’uso di una sola mano, rifletté Ten-ou, insonnolito, mentre il farmaco cominciava ad avere l’effetto sperato. Una piacevole, fresca apatia si stava improvvisamente impossessando dei suoi arti e un peso gli stava calando sulle palpebre, un peso a cui non si sentiva troppo propenso a resistere strenuamente.
Magari solo per qualche attimo, per far piacere alla guaritrice…
Entrambi stettero a guardare in silenzio fino a che gli occhi di Ten-ou non finirono per chiudersi ancora, e il suo respiro si fece profondo. Un piccolo sorriso incurvò le labbra della guaritrice mentre si voltava, Zouchouten le trattenne di lato l’ingresso della tenda, per poi seguirla anche lui. Di comune accordo, si allontanarono di alcuni passi, fino a trovarsi a una distanza relativamente prudente sia dalla tenda del principe che da ogni eventuale spia che avrebbe potuto aggirarsi all’ombra degli altri alloggi che vi erano piantati intorno. Le vesti perlacee della guaritrice si confondevano quasi naturalmente nel crepuscolo, e Zouchouten, grande e goffo com’era nelle sue condizioni attuali, riusciva a starle dietro in una maniera che sembrava più che altro furtiva.
«Non ho ancora saputo il vostro nome, guaritrice.». Suonava più accusatorio di quanto fosse stato nelle sue intenzioni, e lui brontolò fra sé e sé a bassa voce, irritato.
«Generalmente, il mio nome è Jin.». Il cappuccio che indossava non adombrava completamente il suo viso, o il caratteristico piccolo sorriso che appariva e spariva sulle labbra finemente cesellate.
Lanuginose ciocche di capelli vi ricadevano davanti, e i suoi occhi di un azzurro argenteo scintillavano. «Chi mi conosce bene mi chiama Dokujin.».
«Dokujin-ou.». Zouchouten si arrestò completamente, i suoi occhi d’acciaio sgranati dalla sorpresa. «Non sapevo che il vostro clan esistesse ancora.».
«Il mio clan è sempre stato piccolo – ed è stato facile per noi rimpicciolirci ulteriormente.». Fece un sorriso asciutto. «Sapevate chi fossi?».
«Fra tutti i clan, i più dotati in fatto di arti guaritrici sono sempre stati i Souma e i Dokujin. I Souma sono stati tutti annientati – la conclusione era ovvia.». D’improvviso desiderò che gli fosse sovvenuto di portarsi dietro un’arma più grande di un pugnale. «Sospetto… che non siate qui per fare del male.».
«Non siamo venuti a tale scopo – se così fosse stato, non mi avreste mai vista in volto.». Improvvisamente, la mano pallida e sottile di Dokujin-ou impugnò una spada lunga e sottile, di sua proprietà. Girò il polso, voltando la lama e presentandola a Zouchouten dalla parte dell’elsa. «Su questo avete la mia parola.».
«Penso che deciderò di credervi.» Con due dita della mano che gli restava, Zouchouten sfiorò l’impugnatura dell’arma, che svanì rapidamente fra le pieghe della manica da cui era emersa. «Perché?».
«“Perché” cosa?». Lei inarcò le pallide sopracciglia con esagerata innocenza, sgranando graziosamente gli occhi.
«Perché avete scelto questo preciso momento per fare ritorno dal luogo in cui siete rimasti nascosti durante tutti questi anni… qualunque esso fosse?». Anche Zouchouten aveva sopportato una giornata lunga e straziante, e la delicatezza non era mai il suo forte; non aveva alcuna voglia di discutere con la Regina di Spade.
Camminarono in silenzio per qualche attimo prima che lei si prendesse la briga di rispondere. «Alla vigilia delle Guerre Sacre, il mio clan era ancora un’arma inguainata, che attendeva che la mano di Ashura-ou ci estraesse e usasse. Quando la fine incombeva su di noi – sebbene non l'avessimo riconosciuta come tale, all’epoca – e l’esercito di Taishakuten era alle porte di Zenmi-jou, mio padre fu convocato ad Ashura-jou. Tutti noi, dai più giovani ai più anziani, credemmo che quello fosse il richiamo che avevamo così pazientemente atteso – per avanzare nell’ombra e di porre fine alla guerra con le lame delle nostre spade alla gola del Raijin e dei suoi ribelli. Quando mio padre fu di ritorno, ci ordinò di raccogliere tutte le cose necessarie di cui avremmo avuto bisogno per un viaggio, ci invitò a lasciare Zenmi-jou e a cercare nuove città in cui vivere, nuove identità a cui assimilarci, nuove maschere dietro cui nasconderci. Ci disse che era stato Ashura-ou a richiederlo, e che ci aveva inoltre chiesto di attendere l’arrivo del prossimo vero Imperatore del Cielo.».
«E Ten-ou lo è.». Non era una domanda.
«Il nome» il tono di Dokujin non lasciava trasparire nessuno dei suoi pensieri «parla da sé. Noi abbiamo osservato. Abbiamo aspettato. E ora siamo tornati.».
«Avete ucciso Taishakuten?» Il pensiero colpì Zouchouten all’improvviso, mentre si fermava senza preavviso; lei non lo fece, e lui guardò la sua sagoma snella dileguarsi nell’oscurità, senza curarsi del fatto che lui la stesse seguendo o meno – oppure, sospettò, del fatto che lui avesse creduto o meno alla sua risposta.
«Ashura-ou non ci aveva chiesto di vendicarlo, Zouchouten.».
E se ne andò.

Note della traduttrice: non traducevo fanfic da almeno un anno e mezzo, e non ho mai completato una traduzione che fosse di una fanfiction scritta con cura come questa – tradussi una SXS fluffy da far venire i brividi, ma adesso posso dire che il mio inglese può permettersi altri livelli XD – e per la quale ringrazio Myranda Kalis per l’entusiasmo dimostrato in seguito alla mia richiesta. Mille ringraziamenti vanno anche a lisachan e Harriet, mie povere beta martire durante tre giorni di full-immersion nel mondo delle traduzioni, e a chiunque mi abbia dato il proprio aiuto. Nel caso leggiate la versione originale dal link che vi ho fornito e trovaste degli errori, vi prego di segnalarmeli in modo che io possa correggerli.

  
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