Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: EvilGrin    14/12/2012    0 recensioni
Perché dovete sapere, che io non appartengo alla bella vita, all’aristocrazia, come la chiamano, ma sono nato per strada, da una puttana –no, non lo trovo un termine offensivo, quanto più oggettivo e chi pensa sia oggetto di scherno e disprezzo da parte mia non ha di che prendere uno specchio e pronunciare queste poche parole: io, essere ambiguo e schifoso, do della lurida baldracca alla madre altrui. Ecco, questo potrebbe essere offensivo- ed un suo cliente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Tu dici che ami la pioggia, ma quando piove apri l’ombrello. Tu dici che ami il sole, ma quando splende cerchi l’ombra. Tu dici che ami il vento, ma quando tira chiudi la porta; per questo ho paura quando dici che mi ami.»

 

«William Shakespeare» basso il tono di voce, per un momento sembra rimbombare nella stanza, interrompendo in maniera tanto brutale da sembrare un crimine la citazione di quella che è una donna, seduta su una poltrona in pelle di uno studio dai tratti vagamente retrò, di fronte ad una scrivania «Patetico» sembra uno sputo per come viene pronunciato, sprezzante –in maniera oscenamente ostentata- ed accompagnato da un sorriso quasi beffardo «Posso vedere l’espressione delusa sul vostro volto» una mano, coperta con rigorosa attenzione da un guanto in stoffa nera, si poggia sul vetro di fronte all’uomo, sfiorando i lineamenti del riflesso di quella voce femminile. Il filo del mento, perfetto; le labbra rosse e piene, quasi eccitate; gli occhi velati di una finta angoscia, sicuri; il tremito delle membra, traditore. Le goccioline della condensa sul vetro vengono portate via dalla mano che lo carezza con dolce attenzione, sino a sfregare quegli stessi polpastrelli contro il pollice «Voi mi state chiedendo di fare giustizia a vostro marito e non ricordate che io altro non sono che un cinico avvocato, che sa usare le parole, ma che tende alla perfezione, miss Edmond, e la perfezione non può sopportare l’arte, sapete perché?» si volta, il volto ha lineamenti fortemente androgini, il taglio degli occhi è ampio, allungato agli estremi, donando allo sguardo un velo di sarcasmo. I capelli sono lunghi, di un colore chiaro, al limite dell’albinismo, raccolti in parte sul capo e lasciati sciolti per il resto, seguono in linee morbide il corpo longilineo dell’avvocato, disegnandolo con autentica precisione. «No, non lo sapete. Perché per quanto un quadro possa essere perfetto, ei racchiude in sé l’anima di ciò che viene rappresentato e deve rammentare, sempre, che la perfezione è stantia, asettica, priva di personalità. L’arte, nel suo perfetto antipodo, è pura imperfezione. Dunque un giorno di pioggia non è una particolare giornata, ma solo un giorno in cui bisogna vestirsi adeguatamente per uscire. Oppure un’occasione per dedicarsi ad una bella lettura, ovviamente.» sorride, un sorriso tanto vuoto poche volte s’è visto al mondo, sterile di ogni emozione, per realtà o per finzione. Uno sguardo all’orologio appeso alla parete, accanto ad un quadro tremendamente kitsch, regalato da qualche parente dal dubbio senso artistico «Tra una parola e l’altra, credo che il tempo ci sia sfuggito di mano ed a breve ho una cena, dunque permetta a questo cinico senza tempo di rivederla domani, per definire meglio i limiti della denuncia e portare a casa un..patteggiamento, con quanto successo credo che sia il massimo che può aspettarsi e si reputi fortunata, non tutti escono con una quasi-vittoria da un errore tanto plateale, ha sicuramente di che ringraziarmi per il mio essere poco ligio al dovere. Le cinque, le cinque possono andare bene?» quegli occhi verdi, una tonalità chiara di verde, si posano sul volto della donna, quasi saggiandolo, prima d’ottenere risposta.

 

«Le cinque andranno sicuramente bene. Chiedo scusa per il disturbo e le auguro di passare una buona serata.» un sorriso gentile screzia quelle labbra tinte di quella che è finta eccitazione, un rosso acceso, ma falso. La stilografica traccia un tratto lucido ed allungato sul foglio ampio che scandisce le ore dell’11 Dicembre 2012. Kathrina Edmond. I tacchi alti della donna ne annunciano la presenza e la dipartita, in questo caso, a mano a mano che il rumore si fa più accennato.

Il tono alzato, la voce dell’uomo «E rammenti: la pioggia disseta la terra ed i cuori malinconici. Costei bagna la bocca dei poeti.» ironico il sorriso che ne allunga le labbra, perfettamente consapevole di essersi appena contraddetto e trovando nella cosa una nota di divertimento, di imperfetta arte, perché altro non è che un essere imperfetto, che, pur tendendo alla perfezione, è conscio di non poterla raggiungere e quella tensione verso l’irraggiungibile ne logora l’anima, da quando essa fu baciata dalla più misera delle morti.

 

[10 Dicembre 2012 – Due ore posteriori ai fatti narrati]

 

C’è chi, nella propria vita, non è nato per deludere le aspettative altrui, ma per rendere tutti, indistintamente, fieri, un giro logorroico di “Ma che bravo bambino, amore della zia!” che a tratti potrebbe essere considerata violenza psicologica su un minore. Ma dietro quel sorriso e quella frase smielata, si cela un “Piccolo bastardo di strada e tu dovresti prenderti i meriti di mio fratello?”. Perché dovete sapere, che io non appartengo alla bella vita, all’aristocrazia, come la chiamano, ma sono nato per strada, da una puttana –no, non lo trovo un termine offensivo, quanto più oggettivo e chi pensa sia oggetto di scherno e disprezzo da parte mia non ha di che prendere uno specchio e pronunciare queste poche parole: io, essere ambiguo e schifoso, do della lurida baldracca alla madre altrui. Ecco, questo potrebbe essere offensivo- ed un suo cliente. Ma sapete che succede ai marmocchi che non possono essere cresciuti per mancanza di soldi o anche solo vergogna? Se sono particolarmente sfortunati riescono a finire nell’unico orfanotrofio dall’indirizzo cattolico di tutta la città, ed è dovuto sottolineare che Praga è una città ampia. No, non ho mai subito crimini, ma non è una violenza doversi sorbire due anni di catechismo per mettersi in bocca un pezzo d’ostia? Sono cresciuto, durante i primi anni, in una scuola dove dicevi “cacca” ed erano esplosioni di risate. Che scuola infelice. Fui adottato all’età di otto anni, da quelli che si definivano aristocratici e che altro non erano se non fantocci dalla dubbia capacità cognitiva. La moglie del grand’uomo era sterile, nessuna possibilità di avere figli, ergo, nessun erede di quell’immensa fortuna che possedevano. Probabilmente fui notato per l’intelletto, vi erano bambini più belli, più piccoli e più allegri di me, ma lo sguardo di quei due cadde comunque sulla mia piccola persona. Il mio patrigno, un famoso avvocato. La mia matrigna, primario del reparto ospedaliero che comprendeva la chirurgia e direttore sanitario. Avevo una sola opzione: ereditare lo studio ed il buon nome di quello che da qualche anno a quella parte era divenuto il mio nuovo padre. Cos’ero? Una pedina, nonostante tutto. Studiai, mi laureai, mio padre mi lasciò il posto pochi anni dopo. Mi sposai, ebbi una figlia, Geshe; mia moglie, l’unica cosa bella in mezzo a quel covo di serpi, morì il giorno del parto, per “complicazioni”. Il medico che doveva far nascere mia figlia e mantenere in vita mia moglie ora non ha più nemmeno una casa sua, gli tolsi tutto, come lui lo aveva fatto con me. Sono passati due anni, due anni precisi dalla morte di Helena, è il secondo compleanno di mia figlia ed io non sono a casa.

 

Guido lungo le strade a un soffio dal piangere, vergognandomi di essere così sentimentale e del possibile amore. Un vecchio confuso che guida nella pioggia chiedendosi dove sia finita la buona sorte.

 

«Charles Bukowsky» una risata placida, che nella sua tranquillità pare avere una nota malata, arsa in qualche modo e corrosa dallo scorrere inevitabile del tempo. Gli occhi fissano la strada, i lineamenti del volto si contraggono e le mani, coperte, si stringono ulteriormente sul volante. Solo pochi minuti dopo la macchina, una tipica Hummer dal colore nero e cupo, si ferma in prossimità di una cappella. Piove. Venefica quella pioggia ammanta l’intera città, vestendola e lasciandola stringere nei suoi stessi peccati. Lo sportello della macchina si richiude in maniera energica. Non c’è ombrello a coprire quella figura slanciata, non un fazzoletto ad impedire che quelle gocce pesanti facciano quasi appassire i petali di quella rosa rossa che stringe tra le dita. Lo sguardo nero, scuro quanto la pece, fissa quel nome, segue le linee morbide della scrittura elegante e la voce riempie e satura l’aria:

 

«Tu sei per la mia mente, come cibo per la vita. Come le piogge di primavera, sono per la terra. E per goderti in pace, combatto la stessa guerra che conduce un avaro, per accumular ricchezza. Prima, orgoglioso di possedere e, subito dopo, roso dal dubbio, che il tempo gli scippi il tesoro. Prima, voglioso di restare solo con te, poi, orgoglioso che il mondo veda il mio piacere. Talvolta, sazio di banchettare del tuo sguardo, subito dopo, affamato di una tua occhiata. Non possiedo, né perseguo alcun piacere, se non ciò che ho da te, o da te io posso avere. Così ogni giorno, soffro di fame e sazietà, di tutto ghiotto, e d’ogni cosa privo.»

 

Ci vogliono schiavi, sì, ma noi berremo le loro anime, come ricompensa..ovviamente, che non si dica che noi Demoni della società prima di ogni altro non siamo ottimi ospitanti, ma che non si confonda anche la benevolenza di un Vogel per una sua debolezza. Non sono così semplice, non sono solo cinismo e fredda razionalità, che uomo sarei? Tanto vuoto quanto morto. No, se porto all’anulare ancora una fede e se ancora recito imperfezione è perché di me si possono conoscere più lati, ma sono tenuti tanto sottochiave da rischiare di puzzare di chiuso, prima o poi. Nel mio essere cinico svolgo un compito infimo: il mercenario dei criminali e per loro divengo creditore, chi meglio di un aguzzino può comprendere la mia posizione?

 

«Aria, sì, forse dovrei cambiar aria» solleva il volto verso l’alto, poche sono oramai le gocce sottili che cadono ed infangano «S’è vero che questo cielo è una bieca imitazione di quello londinese, qualcosa di potrà dire di quello d’altri paesi.»

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: EvilGrin