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Autore: _Caline    17/12/2012    3 recensioni
[Arrow]
Ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo e riconoscere Oliver Queen, che in quei giorni non faceva altro che rimbalzare con la notizia del suo ritorno da un canale all’altro, prima che la sua mug e tutto il caffè le si versassero addosso.
Oliver Queen e Felicity Smoak. Un supereroe e un genio del computer. In questa raccolta c'è il racconto di alcuni momenti in cui le loro vite si sono incrociate.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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  Kidnapping

betata da nes_sie, la donna più paziente che conosca.




Era buio.
Tremendamente buio.
E c’era un odore strano.
Felicity Smoak si era appena risvegliata in un luogo che sicuramente non era il suo letto.
Si sentiva frastornata, come se si fosse risvegliata dopo una sbronza, ma era sicura di non aver bevuto nulla di alcolico nelle ultime tre settimane.
Okay, nella torta al cioccolato che aveva preso mercoledì c’era del liquore, ma quello non contava, giusto?
Era certa di essere andata a letto presto, nonostante fosse Sabato e le avessero proposto di uscire.
Aveva bevuto il the alla menta e aveva cominciato a leggere gli ultimi aggiornamenti della sua rivista di informatica preferita, ma era così stanca (dato che aveva lavorato anche nel week-end) che era crollata quasi subito.
E adesso si ritrovava in mezzo al nulla.
Che poi non era proprio il nulla, ma quel posto era decisamente al buio.
E lei aveva decisamente freddo.
Portò istintivamente le mani intorno alle braccia e tentò di assumere una posizione più comoda, ma si accorse di avere una caviglia legata.
Legata?!
Ci mise un attimo a realizzare che quello non era un sogno e che lei era stata portata via dalla sua camera.
Qualcuno l’aveva…rapita?
«Mi hanno rapita!» urlò al buio, arrabbiata. La sua voce rimbombò, apparentemente tra le pareti di una stanza.
A quanto sembrava, intorno a lei non c’era nessuno, e niente aveva accennato a muoversi. Non che lei potesse vedere molto, comunque.
Riuscì a mettersi in piedi, ma non riuscì a fare più di tre passi in avanti.
Si fermò, ma era decisa a scoprire a cosa era legata.
Scese con le mani fino alla caviglia destra, e tastò lentamente per vedere cosa la tratteneva. Era una catena.
L’afferrò e seguì il suo percorso, cercando di mantenere l’equilibrio. Dopo sette passi, si scontrò con qualcosa di estremamente solido. Fece scorrere le mani su una superficie piana. Un muro.
Intercettò qualcosa con le dita, e capì che la catena era agganciata al muro tramite un occhiello in ferro, molto spesso.
Si diede della stupida quando provò a tirare. Ovviamente non avrebbe smosso nulla, tirando.
Non tentò una seconda volta, sapeva che era inutile.
Fece scorrere di nuovo le mani sulla parete e si accasciò per terra.
L’istinto le diceva di liberarsi, ma non sapeva come.
Rifletti, Fel, rifletti! – disse a se stessa, passandosi una mano tra i capelli sciolti.
Perché l’avevano portata lì?
Chi avrebbe potuto rapirla?
E soprattutto, cosa volevano da lei?
Felicity non ebbe molto tempo per riflettere.
All’improvviso una luce si accese, tanto accecante da costringerla a portare le braccia sugli occhi.
Cercò di abituarsi lentamente alla nuova luminosità della stanza, e quando finalmente riuscì a scoprire del tutto gli occhi, trovò di fronte a se un uomo, seduto su una sedia.
Anche se non portava i suoi occhiali, ci mise meno di un secondo ad identificarlo: era Ben Hawthorne.
Magnate dell’acciaio, Hawthorne era uno dei pezzi grossi di Starling City.
Periodicamente il suo nome compariva sui giornali perché, oltre che all’industria, il suo nome era legato a molte iniziative filantropiche.
Accanto a lui, nella penombra, c’era un uomo alto in completo scuro. Aveva l’aria decisamente minacciosa.
Ma una domanda assillava Felicity in quel momento: cosa diamine voleva Hawthorne da lei?
Come per rispondere alla sua domanda, l’uomo iniziò a parlare.
«Suppongo che lei voglia sapere perché è qui».
Felicity non rispose, si limitò a fissarlo, ancora parzialmente frastornata.
«Vede, signorina Smoak, lei ha qualcosa che mi appartiene. O meglio, lei ha scoperto qualcosa che mi riguarda molto, molto da vicino.»
La ragazza continuava a non capire. Si limitò ad uno sguardo interrogativo.
«Qualcosa che riguarda me i miei affari. E vorrei sottolineare miei. Di nessun altro»
Stufa delle illusioni che Hawthorne continuava a fare, Felicity quella volta reagì. «Di cosa sta parlando?»
«Lei lavora per la Queen Consolidated, e il signor Steele si affida a lei per tutto quello che riguarda il settore informatico, dico bene?»
La domanda ovviamente era retorica. Fel restò immobile.
« Signorina Smoak, anch’io ho i miei esperti. Ieri abbiamo rintracciato un’intrusione nel nostro sistema. Il mio uomo è riuscito a risalire al suo computer.»
Era vero. Steele le aveva affidato un ulteriore lavoro, e per portare a compimento le sue ricerche era stata costretta ad invadere il sistema della Hawthorne Industries, ma Felicity si stranì di quell’affermazione. All’ansia adesso si era aggiunto il dubbio. Poteva essere stata così stupida da non coprire le sue tracce? Lei copriva sempre le sue tracce.
E poi la sua intrusione era stata rapida e indolore, aveva solo bisogno di un dato in un vecchio bilancio dell’azienda.
Come avevano fatto a rintracciarla?
Hawthorne lesse nei suoi pensieri. «Non crederà di essere l’unica esperta sul campo, vero?». Il sorriso che seguì a quell’affermazione era decisamente diabolico.
«Adesso, signorina, ho bisogno che lei mi dica esattamente cosa ha scoperto. »
Fel non sapeva cosa fare.
Confessare?
Probabilmente se non l’avesse fatto, Hawthorne l’avrebbe tenuta in ostaggio.
O peggio, torturata.
Cosa ne sarebbe stato di lei?
E di Bill Cates? Il povero gatto sarebbe rimasto senza croccantini! Sarebbe morto di fame!
Ti sembra il momento di pensare al gatto, Fel? – le disse la solita vocetta dentro la sua testa.
Forse era il caso di trovare una soluzione. E anche in fretta.
Hawthorne non sembrava per nulla paziente.
«Allora?» le chiese, ancora retorico, appoggiando i gomiti alle ginocchia.
Felicity sospirò, e si preparò ad iniziare a parlare, sperando che la bugia che aveva architettato funzionasse.
«Signor Hawthorne, io…»
La ragazza non ebbe il tempo di terminare la frase perché la luce, proveniente da un’unica lampadina al centro della camera, si spense di botto.
Felicity si guardò intorno nella speranza di scorgere qualcosa, ma non riuscì a vedere nulla.
Hawthorne e il suo uomo si erano decisamente agitati, e parlavano tra loro, nella speranza di capire cosa fosse successo.
Se avesse avuto lo sguardo laser, Fel avrebbe potuto approfittarne per liberarsi, ma ovviamente non poté far nulla, se non piegarsi ancora di più su se stessa, tentando di farsi più piccola.
Hawthorne e il suo guarda spalle tentarono di uscire dalla stanza, ma da quello che capì dal loro vociare, la porta era bloccata.
Perfetto, adesso avrebbero potuto ucciderla senza troppi sforzi.
Felicity maledisse l’inventore delle catene.
D’un tratto, mentre cercava una soluzione a quel macello, finalmente la serratura della porta scattò, e la ragazza sentì chiaramente i due uomini che si dirigevano all’esterno, ma prima che la porta potesse richiudersi, udì anche due urla di dolore.
La porta si riaprì cigolando, e Fel percepì chiaramente la presenza di qualcuno nella stanza.
Si agitò ancora di più e si appiattì contro il muro contro il muro, temendo che il bestione di Hawthorne fosse tornato per ucciderla.
La persona nella stanza con lei si avvicinò sempre di più, e molto velocemente, ma al contrario di quello che pensava Felicity, non la colpì. L’unica cosa che udì fu un sonoro clang, e immediatamente sentì la tensione intorno alla caviglia allentarsi.
La stava forse liberando?
La ragazza si sentì sollevare da due braccia forti.
Cercò di scorgere il viso di chi l’avesse presa con sé, ma portava un cappuccio che copriva la sua visuale.
Un momento. Che fosse…il Vigilante?
Era assurdo.
Il Vigilante che salvava Felicity Smoak?
Era parecchio assurdo.
Adesso che erano fuori dalla stanza in cui Felicity era stata tenuta, una luce tenue illuminava il corridoio di quello che doveva essere un grattacielo, a giudicare dalla visuale che si scorgeva oltre un’enorme vetrata in fondo.
L’uomo che la stava tenendo in braccio si voltò verso di lei, e per un attimo incrociò il suo sguardo.
Fel era sicura di aver già visto quelle iridi blu.
Un attimo dopo percepì un pizzico al braccio e precipitò immediatamente in un sonno profondo.

Felicity si risvegliò che il sole era già alto.
Bill Cates era accoccolato accanto a lei, sulla coperta al patchwork, e ronfava beatamente.
Si stropicciò gli occhi e tentò di ricordare cosa aveva sognato.
Ricordò una stanza buia e una catena. E Oliver Queen.
Aveva sognato che Oliver Queen era il Vigilante, e che l’aveva salvata da qualcuno che l’aveva rapita.
Si sorprese della sua stessa fantasia e si alzò dal letto.
Oliver Queen il Vigilante.
Che assurdità.
Eppure le era sembrato tutto così reale.
Non che avesse dubbi sull’aver sognato, ma per sicurezza ispezionò la caviglia alla ricerca di un qualche segno. Era leggermente arrossata.
Fissò lo specchio sopra la toilette. Che fosse accaduto davvero?
Decise che era meglio schiarirsi le idee e andare a preparare del the, ma voltandosi non notò il piccolo livido viola appena sotto il gomito destro. Era il piccolo segno di una puntura.


Angoletto dell' autrice:
Questa OS, è necessario pecisare, è stata scritta appena dopo la messa in onda della 1x05, quindi ancora la chimica tra Oliver e Fel non era al punto a cui è arrivata adesso, né tantomeno Fel era stata vicina a scoprire la verità sulla vita segreta di Ollie.
Insomma, ho solo immaginato un altro momento in cui le loro vite si sono intrecciate, ma ci tenevo a descrivere Ollie nei panni di Green Arrow per una volta.
La mia incapacità totale nel raccontare le scene che mi vengono in mente è palpabile, ma ci tenevo comunque ad inserire qualcos'altro in questa raccolta.
Alla prossima,
Anna.




   
 
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