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Autore: Inessa    18/12/2012    12 recensioni
Alla Camelot Corp. ogni anno, il 23 dicembre, si tiene una festa di Natale. Merlin quest'anno non è intenzionato ad andarci perché non ha un accompagnatore, ma Arthur non ci sta e decide di trovargliene uno perfetto per lui.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Note iniziali: Uhm. Questa storia è… la cosa più lunga che abbia mai scritto nella mia vita e mi sono divertita da morire a scriverla. Ad un certo punto non riuscivo più a smettere, quando mi sono resa conto che in pochi giorni avevo già quasi esaurito tutti i punti ho iniziato a pensare che ne avrei aggiunti altri solo perché non volevo mettere il punto finale.

Ho tante cose da dire, ma le inserirò nelle note finali, come spiegazioni *___* spero che possa piacervi, davvero, ormai per me è una tradizione scrivere la Merthur di Natale, è una cosa che adoro e … no, e non parlerò del finaleppessempre della serie, perché non ci voglio pensare XD

 

Thanks to: MartyRH e chibimayu per il proofreading, ne aveva DAVVERO bisogno, questa storia. Ovviamente gli errori rimasti sono esclusivamente colpa mia. E pure a Graffias, perché io le racconto le mie trame sceme, lei individua i problemi senza che io le dica che mi ci sto scervellando sopra, e li risolve XD Grà è magica, lo sanno tutti! E la canzone in epigrafe me l’ha fatta conoscere lei, dicendo “Guarda, una canzone Arlin!”

 

Buona Lettura!

 

Someone Like You

 

 

Please don’t stand so close to me
I’m having trouble breathing
I’m afraid of what you’ll see
Right now


(Distance – Christiana Perri)

 

Attento a non versarsi addosso il contenuto fumante dei bicchieri in plastica che aveva tra le mani, Merlin aprì con una spalla la porta dell’ufficio, quel tanto che bastava per entrare e farla poi richiudere da sé alle sue spalle. Arthur stava urlando al telefono contro qualcuno e, a giudicare dalla vena che pulsava sulla sua tempia, avrebbe fatto meglio a portargli una camomilla, anziché un caffè, pensò lui poggiando i due bicchieri sulla scrivania e accomodandosi nella poltrona di fronte a quella di Arthur.

Il CEO della Camelot Corp., camicia impeccabilmente stirata come sempre, continuò a parlare per qualche minuto al telefono, passandosi più volte le mani sul viso. Aveva i capelli leggermente scompigliati, segno che doveva averci passato le mani un paio di volte, forse prima di ricordarsi che se avesse continuato non sarebbe stato più impeccabile come sempre.

Merlin afferrò una matita impeccabilmente temperata e cominciò a picchiettare sul legno della scrivania, in attesa che il suo caffè si raffreddasse, ma non passò che qualche secondo, poi Arthur gliela tolse dalle mani con un gesto stizzito e la ripose con più violenza del necessario al suo posto nel portapenne.

Quel gesto convinse Merlin ad alzarsi dalla scrivania e rimpiazzare davvero il caffè con una camomilla, ma proprio in quel momento Arthur concluse la sua telefonata e gli puntò gli occhi addosso.

“Giornata pesante?” domandò tentando di essere il più innocente possibile, “Ti ho portato il caffè,” disse spingendo nella sua direzione il bicchiere.

“Sono impegnato,” fu l’unica risposta, secca e arrabbiata, che giunse dal suo superiore.

“Andiamo, nessuno è mai troppo impegnato per un caffè!” Merlin sorrise e sollevò il bicchiere, ancora fumante, in direzione di Arthur, “Poi tutto ti sembrerà più sopportabile, ma sappi che la prossima volta ti prendo un decaffeinato.”

Arthur si lasciò cadere indietro sullo schienale della poltrona, che lo accolse con un buffo soffio d’aria. Si passò di nuovo le mani sul viso un paio di volte. “Tu non hai idea,“ disse scuotendo il capo in un gesto frustrato. Poi lasciò andare indietro anche la testa e chiuse gli occhi.

“Posso immaginare,” Merlin soffiò sul suo caffè, “Ma smetti di pensarci per un po’, e poi ho una buona notizia per te.”

Arthur aprì un occhio sembrando piuttosto scettico e lo invitò a continuare.

“Il tuo portatile è sano, salvo e funzionante e non hai perso nemmeno un byte del prezioso porno che ci avevi messo dentro.”

Sorrise e sorseggiò il suo caffè.

“Non ci avevo messo del porno dentro, Merlin, è il mio computer di lavoro-“ si interruppe prima di dare all’altro la possibilità di fare una battuta, “Davvero? Ma al tuo reparto mi avevano detto che stavolta-“.

Merlin fece una gran scena di lucidarsi le unghie sulla maglietta e poi soffiarci sopra, “Non ci avevo ancora messo su io le mie magiche mani.”

Finalmente Arthur rise e si sporse sulla scrivania, sembrandogli appena più leggero. Afferrò il bicchiere e mescolò lentamente il caffè.

“Però ti consiglio comunque di procurartene uno nuovo, ti sto facendo per sicurezza un backup di tutti i dati, poi puoi venire a prenderlo.”

Arthur gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, accompagnato da un “Forse allora non sei poi così inutile, Merlin,” cui l’altro rispose solo sollevando gli occhi al cielo e facendo un gesto con la mano che stava a significare Va bene, va bene, questa l’ho già sentita.

Rimasero in silenzio per qualche momento, sorseggiando i loro caffè, quando la segretaria di Arthur lo contattò per annunciargli che Gwen voleva parlargli e lui la invitò a farla passare.

“Perché la ragazza su cui sbavi poco dignitosamente da un paio di mesi deve farsi annunciare per entrare nel tuo ufficio?” domandò Merlin sottovoce, sorridendo irrispettosamente, mentre sentiva i tacchi di Gwen avvicinarsi alla porta.

Tutti devono farsi annunciare prima di entrare nel mio ufficio, Merlin,” iniziò Arthur puntandogli contro un dito, “E io non sbavo.

Lo liquidò con un gesto vago, “Io non mi faccio annunciare”.

“Questo è perché ormai la mia segretaria ci ha perso le speranze, dato che la oltrepassi ed entri ed esci quando ti pare e piace,” rispose Arthur tra i denti prima che Gwen aprisse la porta alle loro spalle.

“Ah, grazie a Dio stai finalmente facendo una pausa, ciao Merlin!” esclamò Gwen quasi deliziata guardando la scena dall’uscio della porta.

Merlin rispose al saluto ondeggiando la mano aperta e sorridendole, mentre lei avanzava verso la scrivania di Arthur e gli porgeva una penna e dei documenti da firmare.

“Mi dispiace interrompervi, ma mi servono solo un paio di autografi su cose che hai già approvato, poi sparisco.”

Arthur le rivolse un sorriso aperto, farfugliando che non interrompeva affatto e “Puoi unirti a noi, se vuoi.”

Gwen lo ringraziò con un sorriso appena imbarazzato e declinò l’offerta, dicendo che i documenti in questione dovevano essere spediti immediatamente. Lasciò l’ufficio guardandosi indietro per un pezzo, seguita dallo sguardo di Arthur.

Merlin finse di sorseggiare il suo caffè, puntando gli occhi sul fondo del bicchiere ormai vuoto, per non intromettersi in quel gioco di sguardi.

“Sai che l’ho invitata alla festa di Natale?” chiese Arthur non appena la porta dell’ufficio fu chiusa.

“Uh, questa è nuova,” Merlin ricominciò a picchiettare, stavolta con le dita, sul legno della scrivania, “E lei cosa ti ha risposto?”

“Ha accettato,” rispose Arthur tentando di suonare il più cool possibile, “Tu con chi vieni?”

“Io non vengo,” le parole abbandonarono in automatico la sua bocca, prima che Merlin potesse impedirselo, visto che ormai ci aveva rimuginato sopra varie volte.

Arthur sembrò risvegliarsi dal torpore in cui era caduto mentre Gwen usciva dall’ufficio e fissò di scatto lo sguardo su di lui, “Scusa?”

Merlin arricciò le labbra. Lui era un amante del Natale, lo aspettava ogni anno ed amava il freddo, i mercatini di Natale, le luci, gli abeti e tutto l’ambaradan ed Arthur lo sapeva benissimo. Il party di Natale della Camelot Corp. gli piaceva molto meno, perché, nonostante nell’azienda avesse trovato alcuni tra i suoi migliori amici, non tutti lì dentro gli ispiravano canti di Natale, presepi, vin brulé e romanticismo natalizio. Come se non bastasse, quest’anno non aveva nessuno che lo accompagnasse e non aveva proprio voglia di andarci da solo, ancora meno adesso che aveva scoperto che Arthur ci sarebbe andato con Gwen e quindi si sarebbe sentito solo ed imbecille. E Sophia del reparto Vendite, che una volta – Merlin ci pensava ancora con orrore – ci aveva provato con lui e non aveva preso per niente bene la sua omosessualità come rifiuto, lo avrebbe tormentato fino alla fine dei suoi giorni, visto che sembrava che il suo essere (quasi) perennemente single la divertisse immensamente.

“Ho un altro impegno,” improvvisò sperando che Arthur se la bevesse o decidesse comunque di non farne un caso nazionale.

“Merlin, questa festa è da sempre programmata per il 23 di dicembre, inventane un’altra”.

Per l’appunto.

“Credo che tu abbia del lavoro da fare, non volevi nemmeno prendere un caffè dieci minuti fa,” si alzò e raccattò i bicchieri, facendo per andarsene, ma Arthur lo afferrò per un polso e lo costrinse a sedersi di nuovo.

“Va tutto bene, Merlin?”, gli occhi blu di Arthur gli si fissarono addosso.

Merlin poggiò entrambi i gomiti sulla scrivania, mettendosi entrambe le mani sulla faccia in quel modo che gli deformava gli occhi e la bocca facendolo sembrare un deficiente. Poteva sopportare tutto, poteva sopportare l’Arthur-babbeo-insopportabile, o l’Arthur-asino, persino l’Arthur-qui-il-capo-sono-io, quello di cui tutti gli altri nell’edificio avevano paura. L’Arthur-amico-preoccupato aveva difficoltà a reggerlo, però.

“Merlin? So quanto ti piacciano le feste natalizie, quindi te lo chiedo di nuovo: va tutto bene?” la sua mano era attorno al suo polso, solo che non stringeva più, ma lo avvolgeva soltanto in quel modo vagamente affettuoso che, per varie ragioni, non gli risultava che più doloroso.

“Sì, Arthur, è tutto okay, non devi preoccuparti, è solo che-“ si interruppe, tentando di misurare le parole in maniera da non sembrare un ragazzino troppo petulante con complessi di inferiorità.

“Non hai nessuno con cui andarci e visto che io ci vado con Gwen e tutti più o meno avranno un accompagnatore ti sentiresti un imbecille.”

Merlin lo guardò come se fosse sceso da un altro pianeta. Era davvero così prevedibile? Dio, era patetico se persino Arthur, notoriamente cieco come una talpa di fronte a certe cose, se ne era reso conto.

“E se ti presenti di nuovo con Will quell’arpia di Sophia continuerà torturarti.”

E, davvero, quel sorrisetto compiaciuto sulla faccia di Arthur era proprio necessario?

“Okay, Sherlock, ci hai preso, ora possiamo smettere di parlarne e tornare a lavoro? Ci sarà tutto il resto dell’azienda, nessuno sentirà la mia mancanza.”

Arthur rise e Merlin avrebbe voluto seriamente chiedergli quale fosse il suo problema. Lui aveva Gwen con cui andarci; dopo diversi mesi di occhiate struggenti e conversazioni imbarazzanti era riuscito a tirare fuori gli attributi e chiederle di accompagnarlo. Lui, esattamente, a cosa sarebbe servito?

“Facciamo così,” iniziò Arthur con il tono pratico che utilizzava quando voleva dare a vedere di avere la soluzione al problema aziendale del secolo che stava facendo uscire di testa ogni singolo impiegato, “Ti troverò io qualcuno che ti accompagni!”

Fu il turno di Merlin di scoppiare a ridere. Per qualche secondo non riuscì a smettere, ogni volta che provava a riprendere fiato una nuova ondata di risa gli scuoteva il torace e alla fine aveva addirittura le lacrime agli occhi. Quando riprese fiato, fu solo per notare che Arthur aveva ancora in faccia stampata la stessa espressione seria di poco prima.

“Mio Dio, ci credi seriamente!” disse guardandolo con gli occhi spalancati ed asciugandosi gli angoli degli occhi con le dita.

“Puoi giurarci! Anzi, potresti rendermi il compito più facile dandomi qualche indizio sul tipo di persona su cui dovrei puntare. Fidati, troverò l’uomo perfetto per te.

Merlin non riuscì ad evitarsi di scoppiare di nuovo a ridere, mentre Arthur, tutto soddisfatto, ripeteva Perfetto, Merlin!

 “Seriamente, la prossima volta decaffeinato.”

“Andiamo, Merlin,” riprese Arthur allargando le mani, “Non hai né alternative né voce in capitolo, quindi o mi dai una mano, o ti prepari psicologicamente ad un appuntamento al buio con qualcuno che io personalmente sceglierò secondo i miei criteri,” concluse guardandolo con un’espressione molto divertita.

Merlin si alzò dalla sedia afferrò di nuovo i bicchieri vuoti e ormai freddi del caffè, deciso ad andarsene al più presto possibile da quell’ufficio maledetto.

“Va bene, Arthur, acconsentirò ad un appuntamento organizzato da te,” disse prima di uscire senza guardarsi indietro e dare quindi ad Arthur la possibilità di saltar su con un’altra delle sue trovate folli, “Ma solo se riesci a trovarmi il Mark Darcy di  Colin Firth.”

Continuò a ridacchiare per tutto il tragitto fino al suo ufficio: era proprio da Arthur inventarsi certe cose.

Il CEO della Camelot Corp., intanto, nel suo ufficio, sperava di avere indietro il suo portatile al più presto. Nell’attesa, continuava a ripetersi sottovoce il Mark Darcy di Colin Firth, chiedendosi cosa diavolo volesse dire e optando per appuntarsi il nome su un post-it per googlarlo una volta messe le mani sull’aggeggio infernale.

 

* * *

 

Una volta tornato a casa, Arthur indossò degli abiti più comodi della sua tenuta da lavoro e, afferrato il suo computer personale, si stravaccò sul divano del salotto. Lasciò il computer ad avviarsi sul tavolino di fronte a sé ed afferrò carta e penna, iniziando a pensare a qualche nome adatto per mettere giù una lista e trovare un accompagnatore per Merlin. Non doveva essere difficile, conosceva Merlin come il palmo della sua mano ed aveva un sacco di amici gay o quantomeno bisessuali che avrebbero potuto fare al caso suo. E ciascuno di loro sarebbe stato sicuramente più decente dei nerd schizofrenici che sembrava attirare Merlin.

Se ci pensava, l’unico fidanzato decente che avesse avuto Merlin era stato Will, il che era tutto dire. Ed erano stati insieme nella preistoria, prima che Merlin arrivasse alla Camelot Corp. Se ancora ripensava a quel Cornelius e a quanto fosse inquietante, Arthur aveva i brividi.

Rimase per qualche momento a fissare il blocco di fogli bianchi, senza che nulla gli venisse in mente, quindi scrisse soltanto Lista di probabili fidanzati per Merlin, sperando che scribacchiare qualcosa gli facesse venire qualche idea. Poi cancellò la parola ‘fidanzati’ (troppo impegnativo) e la rimpiazzò con ‘accompagnatori’, che suonava un po’ male, ma sicuramente meno minacciosa.

Non servì, quindi stiracchiò un po’ i muscoli del collo ed optò per andare in cucina a farsi un tè o versarsi del vino.

Lì trovò Morgana e Mithian intente a sfogliare una rivista e sgranocchiare biscotti dietetici. Salutò entrambe con un bacio sulla guancia e versò dell’acqua nel bollitore.

“Com’è andata in ufficio?” domandò Morgana prima di bere un sorso di tè, “Ho saputo che sei stato una spina nel fianco per tutto il piano finché non è venuto Merlin a distrarti,” disse sorridendo compiaciuta, nonostante lui non ci vedesse alcun motivo.

“Se lo sono stato, vuol dire che c’era un motivo!” fissò il bollitore come per incoraggiarlo a fare il suo dovere e andar via dal raggio di azione della sua sorellastra.

“Lascialo stare, Morgana, fa parte del suo personaggio,” li interruppe Mithian, sollevando lo sguardo dalla sua rivista per la prima volta da quando era entrato, “In realtà è un cuor di leone,” gli fece un occhiolino.

Alla parola personaggio Arthur si riscosse. Mithian e Morgana erano due donne, c’era la possibilità che sapessero chi fosse Mark Darcy e cosa diamine volesse dire il Mark Darcy di Colin Firth. Persino lui sapeva chi fosse Colin Firth, era il resto che gli mancava. Pensò che un tentativo non avrebbe fatto male a nessuno.

“Ho una domanda,” due paia di occhi lo puntarono improvvisamente incuriosite, “Sapreste dirmi chi o cosa sia il Mark Darcy di Colin Firth?”

La risata in coro se l’aspettava, pensò voltandosi  e versando l’acqua del bollitore in una tazza, aspettando che l’ilarità generale causata dalla sua domanda si estinguesse. E no, non era decisamente arrossito.

“Mio Dio, Arthur,” disse Morgana tentando di smettere di ridere, “Perché mai ti interessa una cosa del genere?”

Sperò di non avere fatto una domanda eccessivamente imbarazzante, vista la reazione, ma dopotutto era stato Merlin a tirare in ballo costui, quindi – a meno che Merlin non gli avesse tirato un colpo basso, nel qual caso lui gli avrebbe fissato un appuntamento con Morgause, che non era un uomo e inquietava Merlin come nessuno al mondo – non poteva essere niente che avrebbe bloccato la sua crescita per gli anni a venire, giusto?

“Be’-“ si rese conto di non sapere da dove iniziare, quindi pensò che avrebbe iniziato all’inizio. Morgana e Mithian potevano anche essere utili, “Devo trovare questo fidanzato-“ Morgana alzò un sopracciglio, “No, non fidanzato… un accompagnatore,” questo gli fece acquistare la totale attenzione anche da parte di Mithian, “Insomma, Merlin  non vuole venire alla festa aziendale del 23 perché non ha nessuno che lo accompagni e quindi mi sono offerto di trovargli io qualcuno.”

Ilarità generale, secondo round. Di nuovo, perché aveva pensato che parlare con la sua sorellastra e sua cugina di una cosa seria potesse essere una buona idea?

“E cosa c’entra Mark Darcy in tutto questo?” domandò Mithian tenendosi gli addominali per il troppo ridere.

“Be’, gli ho detto di darmi qualche indicazione e lui mi ha risposto di trovargli il maledetto Mark Darcy di Colin Firth, qualsiasi cosa voglia dire.”

Perché, tra le altre cose, tutti sembravano conoscere questo Mark Darcy tranne lui? Arthur dava per scontato che non si trattasse di una citazione di Jane Austen. Merlin dopotutto non era una ragazzina fino a quel punto… o no? E poi quel Darcy si chiamava in un altro modo, ne era sicuro.

“Dunque, vediamo,” Morgana si picchiettò una guancia con un’unghia perfettamente curata, “Avvocato, se la passa molto bene, apparentemente un arrogante viziato figlio di papà…“

“Ma in realtà un cuor di leone che lotta per i diritti umani,” si intromise Mithian, come se entrambe stessero parlando di un amico di vecchia data e non di… Arthur non aveva ancora capito chi fosse il tipo in questione, in tutto questo, “La cui famiglia studia a Eton da cinque generazioni”.

“Ovvero in un ‘odioso istituto fascista in cui ti ficcano un bastone non stiamo a dire dove che non riuscirai a rimuovere per tutta la vita’,” concluse Morgana d’un fiato, come recitando a memoria la battuta di un film visto e rivisto cento volte.

Entrambe lo guardarono dalla testa ai piedi con un ghigno che non gli piaceva per niente.

“Be’, direi che mi ricorda qualcuno, Mithian, tu che dici?”

 

Dieci minuti dopo, Arthur era ancora seduto sul divano, col computer in grembo a guardare video su YouTube, il suo block-notes ancora aperto sul tavolino, completamente bianco.

Sentì Mithian e Morgana salutarsi ricordandosi un appuntamento per il sabato successivo. La cugina gli si avvicinò, dicendo che andava via, poi notò il foglio con la stupida intestazione e, sorridendo, gli si sedette accanto.

“Ancora nessuna idea?” domandò indicandolo con la testa.

Arthur mise in pausa il video che stava guardando e poggiò il computer sul tavolino.

“No, pare sia più difficile di quello che pensavo e le indicazioni su Mark Darcy non hanno aiutato molto,” rispose grattandosi la testa.

“Secondo me dovresti presentargli Gwaine, quello nuovo che lavora in succursale,” disse Morgana comparendo da chissà dove ed andandosi anch’ella a sedere di fianco a lui. Era circondato.

“Non se ne parla nemmeno,” rispose senza esitare. C’erano almeno un milione di motivi per i quali quella era una pessima idea, “Gwaine è troppo… sconsiderato,” disse dopo una breve pausa per trovare l’aggettivo giusto, “Merlin invece è un tipo giudizioso, a modo suo.”

“Infatti, si bilancerebbero a vicenda! Secondo me farebbero scintille, avevo pensato io stessa di farli conoscere.”

“Be’, hai perso la tua occasione, Morgana, adesso tocca a me e Gwaine è assolutamente fuori discussione.”

Gwaine era troppo… troppo Gwaine: era insopportabilmente irrispettoso nei suoi confronti - e già per quello bastava Merlin; beveva come un camionista e Merlin non reggeva l’alcol nemmeno a pagarlo; forse non era mai stato in una vera e propria relazione e, anche se lui non stava cercando un fidanzato per Merlin ma solo qualcuno che lo accompagnasse alla festa, non voleva certo prenotargli un’avventura da una notte. Da una parte poteva vedere perché Morgana pensasse che lui e Merlin avrebbero potuto fare scintille, ma, semplicemente,  no.

“Che ne dici di Percy?” chiese Mithian dopo averci pensato un po’ su.

“Oh, sì, Percy è adorabile,” Morgana batté le mani entusiasta, “Sarebbero una coppia tenerissima, e poi, insomma, Percy è enorme, non so se mi spiego…”

Arthur si tappò le orecchie con le mani, “Non voglio sapere altro!” Ci pensò su e… in effetti Percy era una persona tranquilla e pacata e molto attraente, lui stesso ci aveva fatto su qualche pensierino, ma “No, troppo tranquillo, Merlin è una furia, con lui si annoierebbe”.

Nonostante insistesse a fissare il foglio davanti a lui e non girarsi a incontrare lo sguardo di Morgana, poteva sentire che lo stava studiando.

“Quindi Gwaine non va bene perché è troppo sconsiderato, Percy non va bene perché è l’esatto contrario?”

“Esattamente.”

“E tu con chi vai, Arthur?” chiese Mithian, come se fosse la domanda conseguentemente più logica da fare, anche se a lui sfuggiva il perché.

“Con Gwen,” rispose continuando a fissare un punto che non fosse il viso di Mithian o di Morgana.

Morgana accanto a lui si irrigidì.

“Gwen? Pensavo che-“ Mithian si interruppe, come se si fosse resa conto solo dopo di essere sul punto di dire qualcosa di sconveniente. Lei e Morgana si scambiarono uno sguardo preoccupato, ma non dissero nulla.

Tentò di tirarsi fuori dall’imbarazzo e dalla netta sensazione che tutti sapessero qualcosa che lui non sapeva dicendo la prima cosa che gli passò per la testa.

“Però, pensandoci, potrei presentare Percy a Gwaine.”

 

* * *

 

Il Great Dragon era un pub relativamente intimo e con musica non troppo invadente, abbastanza vicino alla Camelot Corp., cosa che spingeva spesso il CEO e la sua cerchia di colleghi-amici più intimi ad andare a bere qualcosa insieme dopo le giornate di lavoro più insopportabili e, spesso, il venerdì sera.

Quel venerdì, Arthur, seduto su un divanetto al ‘loro’ angolo, aveva appena trovato il coraggio di mettere un braccio attorno alle spalle di Gwen, tentando di farla sembrare una cosa del tutto casuale, quando tutto iniziò ad andare a farsi benedire. Per colpa di Morgana, ovviamente.

“E quindi, Merlin, Arthur ci ha detto che sta tentando di trovarti un accompagnatore per la festa”, irruppe con un sorrisetto fuori luogo, da dietro il suo bicchiere di vino bianco.

Merlin arrossì e quasi si soffocò con della birra, e Arthur lanciò un’occhiataccia alla sorellastra, sperando di incenerirla con lo sguardo. Anche se da una parte la faccenda poteva essere presa come una sorta di scherzo tra lui e Merlin, Morgana non aveva il diritto di spiattellare in giro i fatti altrui in quel modo, soprattutto considerando che si era proposto di trovargli un accompagnatore unicamente per non farlo sentire a disagio o fargli saltare una festa che, in fondo in fondo, lo sapeva, all’altro piaceva, come tutte le feste natalizie.

“Sei pregata di farti gli affari tuoi, Morgana”, le intimò sperando che il suo tono serio riuscisse a farle capire che si stava comportando in maniera inopportuna.

“Pensa che io e Mithian abbiamo dovuto spiegargli chi fosse il Mark Darcy di Colin Firth,” continuò invece lei ignorandolo volutamente. Arthur aveva la vaga sensazione che fosse totalmente consapevole di quello che stava facendo, ma che, per qualche motivo, insistesse a farlo comunque.

Gwen accanto a lui rise, tappandosi la bocca con il retro di una mano.

“Davvero, Arthur? Avvocato, la cui famiglia studia da cinque generazioni in un ‘odioso istituto fascista in cui ti ficcano un bastone non stiamo a dire dove, che non riuscirai a rimuovere per tutta la vita’…”

Arthur roteò gli occhi. Un’altra che sembrava conoscere a memoria la filmografia di Colin Firth. Cos’aveva mai questo Mark Darcy, perché tutte le sue conoscenze femminili nonché il suo amico gay lo conoscessero così bene? A lui fondamentalmente sembrava un asino.

Tutti si girarono a guardarlo e scoppiarono a ridere, incluso Leon, che pure era una delle persone più serie che conoscesse. E Lancelot, che non avrebbe mai messo in imbarazzo nessuno per nessun motivo al mondo. Si passò una mano sul volto con frustrazione. E non solo perché tutti sembravano conoscere il maledetto Mark-Darcy-di-Colin-Firth tranne lui.

“Offro io il prossimo giro,” disse Merlin, che non aveva proferito parola sino a quel momento, rosso d’imbarazzo fino alla punta delle orecchie e con quella che riconobbe come una finta allegria.

Arthur lo guardò allontanarsi verso il bancone, e il fatto che il resto del gruppo stesse ancora ridendo o tentando con scarso successo di nascondere dei sorrisi divertiti gli diede la nausea. Sollevò il braccio che aveva tenuto fino a quel momento attorno alle spalle di Gwen e si alzò, la mascella serrata e i pugni chiusi lungo i fianchi.

Lanciò un’ultima occhiata a Morgana, che rispose con un’espressione particolarmente soddisfatta, e si avviò anche lui tra la folla, in cerca di Merlin. Lo trovò seduto al bancone, che picchiettava debolmente con le dita sul legno, lo sguardo basso. Per un momento odiò con tutto il cuore sua sorella ed i suoi amici, Gwen inclusa, per essere stati così insensibili.

“Ehi,” sussurrò poggiando una mano sulla spalla di Merlin, che lo guardò leggermente stupito, senza rispondere. “Ascolta… mi dispiace, io-“ Merlin abbassò di nuovo lo sguardo sul bancone, “Ho solo chiesto a Morgana e Mithian chi diavolo fosse il maledetto Mark Darcy eccetera eccetera, non pensavo che avrebbe tirato fuori l’argomento in quel modo di fronte a tutti, davvero, ti prego di perdonarmi. E poi sono sicuro che non ridessero per malizia, ridevano più alle mie spalle che alle tue.”

Merlin tirò un grosso sospiro, prima di scrollarsi di dosso la sua mano, “Non preoccuparti, Arthur, sono abituato a sopportare di peggio, in genere da parte tua, per di più.”

Nel frattempo il barista aveva poggiato sul vassoio davanti a lui il suo ordine di birre e drink, e Merlin tentò di afferrarlo il più saldamente possibile, prima di sparire di nuovo in direzione del loro tavolo, senza degnarlo di ulteriori commenti.

Arthur rimase in silenzio, a guardare per la seconda volta nell’arco di pochi minuti la schiena di Merlin che si allontanava, con le spalle leggermente ricurve, e sentì una certa amarezza in bocca. Se ci ripensava, in effetti, non si era mai fatto mancare l’occasione per prendere in giro Merlin, che pure considerava uno dei suoi migliori amici. Anche quando si era offerto di trovargli un accompagnatore per la festa, lo aveva fatto con una certa ilarità, col desiderio di stuzzicarlo, e anche un po’ perché voleva fare sfoggio della sua felicità nell’essere finalmente riuscito a chiedere a Gwen un appuntamento. Il senso di colpa lo colpì come uno schiaffo, facendolo sentire miserabile.

Merlin lo aveva sempre incoraggiato e supportato ed aveva sempre ascoltato i suoi (volutamente esagerati e poco dignitosi) monologhi per non essere in grado di fare un passo verso Gwen. E lui per prima cosa, quando finalmente era riuscito ad ottenere quello che voleva, cosa aveva fatto se non tentare di sbattere in faccia a Merlin quanto successo avesse avuto in confronto a lui?

Certo era più da biasimare lui di Morgana o tutti gli altri messi insieme, che avevano solo colto l’occasione per ridere alle sue spalle per quella che era stata oggettivamente un’idea un po’ infantile. Merlin aveva ragione, era un asino.

Ordinò qualcosa di forte e lo bevve d’un fiato, lasciando che gli bruciasse la gola. Scosse la testa e pensò che, arrivati a quel punto, l’unica cosa che potesse fare era impegnarsi davvero a trovare qualcuno che potesse rendere felice Merlin, sia pure per una sera. Anche se avrebbe voluto potergli offrire molto, molto di più.

 

 

Merlin col trascorrere della serata era diventato sempre più rosso e poi aveva iniziato a parlare marcando il suo accento nordirlandese come faceva sempre quando era sul punto di varcare la soglia tra il ‘leggermente brillo’ e il ‘decisamente ubriaco’ (il passo successivo era ‘totalmente ubriaco’ e prevedeva il diventare incredibilmente incline al contatto fisico, agli abbracci soffocanti e – una, memorabile volta - al cantare in maniera incredibilmente stonata).

Adesso era solo poggiato sul tavolo, con la testa sulle braccia conserte, sveglio ma con un’espressione struggente in viso. Un’espressione che Arthur non riusciva a sopportare di vedere sul viso solitamente allegro di Merlin. In quel momento si sarebbe anche reso ridicolo pur di vederlo sorridere di nuovo, ma forse in quel frangente non era sobrio al cento per cento nemmeno lui. Per altro, sembrava l’unico ad essersi accorto delle condizioni dell’amico, realizzò mentre notava che tutti gli altri continuavano allegramente a chiacchierare, con un tono solo leggermente più alto del normale.

Allungò d’istinto la mano verso la testa di Merlin e gli scompigliò i capelli, sperando di ottenere una qualsiasi reazione.

“Non sei un grande bevitore, Merlin, dovresti saperlo, ormai,” sussurrò inclinandosi un po’ verso di lui.

Merlin non rispose e si stropicciò solo la faccia col retro di una mano. “Puoi aggiungerlo alle caratteristiche del mio fidanzato: deve reggere l’alcol meglio di me per portarmi a casa quando sono andato,” disse infine.

Arthur sorrise un po’ esasperato. Per essere ubriaco, Merlin era riuscito a fare una battuta e, notò con un pizzico di orgoglio, sotto sotto aveva anche sorriso.

“Aggiungerò anche che deve farti sorridere quando hai la sbornia triste,” gli sussurrò attento a non farsi sentire dal resto della compagnia che, intanto, sembrava essere finalmente pronta a lasciare il locale e dividersi.

“Mi accompagni a casa?” chiese Gwen mentre indossava il cappotto.

La guardò perplesso per un attimo, non essendosi aspettato la domanda e nemmeno la vicinanza, concentrato com’era su Merlin. Poi scosse la testa, “Scusami, ma credo che qualcuno debba prendersi cura di Merlin, prenderemo un taxi fino a casa sua, nemmeno io dovrei guidare.”

“Hai ragione,” disse lei sorridendo intenerita verso Merlin, “Trattalo bene, mi raccomando.”

“Ho mai fatto il contrario?”

Gwen lo osservò con l’espressione di chi la sapeva piuttosto lunga, sospirò e gli diede due colpetti compassionevoli sulla spalla, prima di allungarsi per stampargli un bacio sulla guancia. Poi si voltò chiedendo ad alta voce se ci fosse qualcuno abbastanza sobrio da poterla accompagnare a casa o farle compagnia in taxi.

Arthur rivolse di nuovo la propria attenzione verso Merlin e lo trovò assorto nel tentativo di chiudere la zip della giacca, senza alcun successo. Con uno sbuffo divertito si chinò verso di lui per aiutarlo, poi gli mise una mano attorno alla vita e lo aiutò ad alzarsi, “Andiamo, idiota, ti porto a casa.”

 

 

“Giuro, Merlin, se mi sbavi sul cappotto, ti lascio in mezzo alla strada,” digrignò tra i denti Arthur ad un Merlin ignaro che gli si era addormentato sulla spalla nel lungo tragitto in taxi tra il locale e casa sua. Riuscì in qualche modo a pagare l’autista e tirare l’altro fuori dalla macchina una volta giunti a destinazione. L’impatto con l’aria fredda sembrò scrollargli un po’ di dosso la sbornia e Merlin riuscì da solo a trovare le chiavi di casa dentro le tasche ed aprire il portone.

“Puoi andare, se vuoi, Arthur, grazie, sono in grado di trovare il mio appartamento.”

“Finiscila,” rispose tenendo la porta aperta con un braccio e spingendolo dentro, “Mi assicurerò che tu arrivi sano e salvo e che ti metta a letto senza inciampare o rompere qualcosa.”

Merlin rimase in silenzio per le scale (niente ascensore, fortunatamente viveva solo al terzo piano) e riuscì ad inciampare solo una volta, il che diede comunque ad Arthur il diritto di essere incredibilmente compiaciuto e “Visto che senza di me non vai da nessuna parte?”

Però, Arthur dovette dargliene atto, era tranquillamente riuscito ad aprire la porta e togliersi la giacca appena entrato in casa (suddetta giacca era stata lanciata a caso sul pavimento, ma lui non avrebbe attribuito la noncuranza alla sbronza, quanto alla naturale propensione al caos dell’amico). L’appartamento di Merlin era piuttosto piccolo, ma indubbiamente confortevole e indiscutibilmente “Merlin”, con le pareti coperte di fotografie, disegni, ritagli di giornale, libri sparsi dovunque sul pavimento (e, davvero, considerando che Merlin era troppo goffo per la sua incolumità era un miracolo che non si fosse mai rotto qualcosa inciampandoci sopra) e strani pezzi di mobilia.

Una cosa che Arthur segretamente amava, anche se non faceva che sottolineare quanto secondo lui fosse scomoda, erano i cuscini da pavimento che ricoprivano oltre metà del minuscolo salotto di Merlin. Ogni tanto Merlin cambiava loro disposizione in base alle necessità e all’umore, ma in quel momento erano semplicemente allineati sul pavimento a formare una sorta di materasso gigante e coloratissimo e Merlin vi si lasciò cadere sopra a peso morto, affondandovi il viso.

“Merlin, so quanto tu ci tenga a quegli orrendi cuscini, quindi, se devi vomitare, è meglio che ti porti in bagno,” disse osservandolo e cercando di captare un qualsiasi segno di malessere.

Merlin si voltò, sdraiandosi sulla schiena, e si mise un braccio sugli occhi, “Sto bene, non sono così andato.”

Pensando di potersi fidare, Arthur rimase fermo davanti alla porta, indeciso sul da farsi. Era riuscito a portare l’altro a casa sano e salvo, avrebbe dovuto spogliarlo e metterlo a letto (Merlin lo aveva fatto per lui diverse volte)? Gli sembrava in grado di intendere e volere in quel momento, quindi forse non era il caso.

“C’è qualcosa che posso fare?” domandò infine, indeciso.

Merlin si lasciò sfuggire una risatina amara, “Puoi aggiungere alla tua stupida lista che il mio ragazzo deve apprezzare i miei cuscini senza aver paura che dirlo ad alta voce attenti alla sua virilità.”

Arthur lo guardò con un sopracciglio alzato, sospirò ed optò per togliersi a sua volta il cappotto. Lo attaccò all’appendiabiti e poi, in un impeto di generosità, fece lo stesso con la giacca di Merlin, raccattandola da terra. Merlin sembrava in fase da sbornia loquace e lui non aveva lo spirito per lasciarlo lì a parlare da solo.

Sedette accanto a lui sul materasso di cuscini.

“Altro che devo aggiungere alla lista? Stai diventando un po’ troppo pretenzioso, per uno che pensava che la mia fosse un’idea stupida,” disse sorridendo.

“La tua è un’idea stupida, Arthur,” chissà come, quando lo insultava Merlin sembrava totalmente sobrio, “Ma se proprio vuoi essere un asino e portarla avanti, faccio meglio a limitare i danni.”

Non riusciva a vedere bene la sua espressione, dato che aveva ancora la faccia coperta per metà dal braccio, quindi capire fino a che punto Merlin stesse scherzando e fino a che punto l’alcol gli avesse disinibito la lingua gli era difficile. Di certo in quel momento gli sembrava così vulnerabile da togliergli il fiato.

“Perché sono un fallimento così totale, Arthur?” chiese improvvisamente Merlin, virando bruscamente dall’atteggiamento quasi scherzoso a quello distrutto.

Arthur spalancò gli occhi, cercando disperatamente una battuta che potesse alleviare la tensione generata da quella domanda, che non sapeva come interpretare. Ma evidentemente la domanda stessa era retorica, perché Merlin non attese una risposta.

“Tutti riuscite a raggiungere i vostri traguardi e io invece sono sempre qui, non riesco nemmeno a tenermi stretto un ragazzo,” esitò muovendo una mano per aria come se indeciso sul continuare, ma evidentemente era l’alcol a parlare, “Mentre tu esci conGwen.”

Quello era un colpo basso e forse Merlin nemmeno se ne rendeva conto. Non credeva che Merlin fosse invidioso di lui, non lo credeva capace, ma quell’ultima affermazione, che suonava tanto come un’accusa, fece riemergere i sensi di colpa che aveva provato al locale poche ore prima. Quanto esattamente la sua infantile ed immotivata voglia di vantarsi davanti a Merlin per il suo appuntamento con Gwen e la sua stupida trovata di cercargli un accompagnatore gli avevano fatto male? Possibile che il suo desiderio di esibizionismo fosse arrivato fino a tanto? Fino a ferire, tra tutti, proprio Merlin, che gli era sempre stato leale? Possibile che fosse stato così cieco da non rendersene conto finché Merlin non glielo aveva rivelato tra le righe in un momento di sbornia triste?

Arthur si lasciò cadere sui cuscini accanto a Merlin. Sussurrò il suo nome, e Merlin finalmente si voltò verso di lui, togliendosi il braccio dal viso e permettendogli di guardarlo negli occhi. Aveva i capelli scompigliati e gli zigomi, rossi, sembravano ancora più in evidenza del solito. Così come lo sguardo incredibilmente blu negli occhi leggermente lucidi e malinconici. Vide la sua mano sulla guancia di Merlin prima di rendersi conto di essersi mosso. L’altro chiuse gli occhi per un istante, abbandonandosi al tocco.

“Vorrei qualcuno che si prendesse cura di me, Arthur, mentre io mi prendo cura di lui; e che mi seguisse nei miei passatempi da nerd e topo da biblioteca,” si stropicciò il viso tirando su col naso, “Sono ridicolo, mi prenderai in giro per tutta la vita,” concluse con un lieve movimento della bocca che forse voleva essere un sorriso.

Sospirò e mosse leggermente il pollice sullo zigomo dell’altro, “Potrei stupirti ed essere incredibilmente eroico, invece,” sussurrò, “E trovare davvero l’uomo perfetto per te.

Merlin scosse la testa, senza allontanare la sua mano, che nel frattempo gli era scivolata sul collo. Un attimo dopo dormiva ed Arthur si sentì appena sollevato, perché, ammise, aveva paura di quello che poteva sentirsi dire. Senza pensarci due volte, si avvicino di più al corpo raggomitolato in posizione fetale di Merlin, abbassò il braccio fino alla sua vita, lo strinse a sé e si addormentò, ancora nei suoi scomodi abiti da lavoro.

* * *

 

Lunedì mattina Merlin era in un ritardo clamoroso. Non che non gli capitasse di esserlo, ma dato che Arthur spesso lo costringeva a lavorare extra non si sentiva nemmeno troppo in colpa per quello. Nonostante tutto, stavolta temette di avere battuto tutti i record di ritardo aziendale. Lo sguardo che gli aveva lanciato la receptionist all’ingresso non lo aveva per niente incoraggiato, pensò mentre dentro l’ascensore guardava i bottoni che, spavaldi, si illuminavano ad uno ad uno, facendo aprire le porte ad ogni. Singolo. Maledetto. Piano.

Mentre correva verso il suo ufficio ebbe l’impressione che tutti lo guardassero in maniera piuttosto compassionevole (qualcuno addirittura sadicamente compassionevole, come nel caso di Sophia) e cominciò a sudare freddo. Che stava succedendo?

Entrò trafelato dentro il suo ufficio e si accorse subito che c’era qualcosa che, decisamente, non doveva esserci. Nello specifico, la sua sedia girevole era voltata verso la finestra e dallo schienale comparivano delle spalle larghe in camicia perfettamente stirata, sormontate da una testa bionda.

“Cazzo,” sussurrò tra i denti. L’imprecazione fece voltare Arthur nella sua direzione, con le mani intrecciate davanti alla bocca e un’espressione sadica in viso. Fantastico, aveva chiesto a Babbo Natale Colin Firth in versione Mark Darcy e si era ritrovato Arthur Pendragon in versione Don Vito Corleone.

Qualcuno alla sua destra ridacchiò.

“Di sicuro in materia cinematografica abbiamo fatto un passo avanti, se hai iniziato a citare Marlon Brando.”

E, ops, lo aveva detto ad alta voce?

“Ehm. Scusa per il ritardo?” azzardò mordendosi un labbro. Che diavolo ci faceva Arthur di prima mattina nel suo ufficio? “È successo qualcosa nei dieci minuti di lavoro che mi sono perso?”

Arthur sorrise come il gatto che si accinge a mangiare il topo, “Sono le 9.50, Merlin, sono cinque volte dieci minuti,” Merlin roteò gli occhi, “E comunque ero venuto a prendere un portatile di riserva da usare nell’attesa che consegnino il mio. Ma siccome non c’eri, ho acceso il tuo computer…”

Ecco, quella era una cosa che non sarebbe mai mai dovuta succedere. Fino a che punto Arthur aveva rovistato tra le sue cose?

“Almeno io non tengo del porno sul mio computer di lavoro,” disse, ben consapevole che quella fosse solo una bugia per far arrabbiare Arthur e sputtanarlo un po’ davanti agli altri impiegati che lavoravano nel suo ufficio e che in quell’esatto momento stavano fingendo di essere estremamente impegnati davanti ai loro computer.

“Non sei in posizione per fare sarcasmo, Merlin,” continuò l’altro impassibile, con quel sorriso predatore ancora stampato in faccia.

Merlin roteò gli occhi e si tolse la giacca e la sciarpa dal collo, “E quindi cosa mi farai adesso, Arthur, ‘un’offerta che non potrò rifiutare’?”

L’altro si alzò dalla sua poltrona, guardandolo leggermente minaccioso, “Forse, Merlin, forse…” sussurrò dandogli un colpetto sulla spalla e facendo per andarsene lasciandolo lì come un imbecille. Be’, se non lo aveva licenziato in tronco, magari qualsiasi cosa avesse in mente non avrebbe distrutto la sua carriera.

Arthur si bloccò e un’espressione accigliata improvvisamente sostituì quella predatrice che aveva avuto fino ad un momento prima, “Perché non hai dei guanti ed un cappello, Merlin? Sei gelato e fuori nevica da ieri.”

Lui si passò una mano tra i capelli, perplesso, e scoprì che, nonostante il riscaldamento, aveva ancora dei fiocchi di neve in testa, i capelli rigidi dal freddo e le mani leggermente gonfie ed insensibili.

“Uhm.”

Prima di andarsene Arthur scosse la testa e gli intimò di bere qualcosa di caldo, perché un impiegato ritardatario era comunque più utile di uno in malattia. Poi lo lasciò da solo e la sua postazione adesso aveva l’odore della colonia di Arthur e dell’amido delle sue maledette camicie appena stirate.

 

* * *

 

Posta in arrivo (1).King Arthur, Merlin The IT Wizard                    Un’offerta che non potrai rifiutare.

 

Merlin sudò di nuovo freddo nel vedere la notifica. Il fatto che Arthur gli avesse scritto col suo indirizzo ufficioso, per qualche motivo, lo inquietava ancora di più dell’eventualità di un’email ufficiale.

 

Da: King Arthur

A: Merlin The IT Wizard.

Oggetto: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Mercoledì sera devi accompagnarmi in un posto alle 18, non accetto scuse.

A.

 

Merlin sollevò un sopracciglio dubbioso. E questo che voleva dire?

 

Da: Merlin The IT Wizard.

A: King Arthur.

Oggetto: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

E questa sarebbe un’offerta che non potrò rifiutare perché?

M.

 

Arthur roteò gli occhi. Troppe domande. Perché Merlin non poteva semplicemente tacere e fare come gli veniva detto, per una volta? Quella mattina il suo ritardo gli era sembrato una benedizione, avendogli dato l’opportunità di ficcare il naso tra la cronologia del browser di Merlin (e nient’altro, era stato bravo).

Lanciò uno sguardo al block-notes che adesso recitava Lista di probabili ragazzi per Merlin ed ignorò volutamente il fatto che in realtà era finito per trovare altro rispetto a quello che si era prefissato. Ma tutto gli sarebbe potuto servire, concluse digitando la sua risposta.

 

Da: King Arthur

A: Merlin The IT Wizard.

Oggetto: Re: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Perché sono il tuo capo e stamattina ti ho beccato con cinquanta minuti di ritardo. Nel frattempo, ho curiosato nel tuo computer e scoperto che perdi più tempo di quello che ti è consentito. Se non ti ho licenziato, è solo perché sono magnanimo e misericordioso.

Mercoledì, Merlin, pronto alle 18 a lasciare l’ufficio. Pensa, ti risparmio anche mezzora di lavoro.

A.

 

Merlin rilesse e sospirò. Aveva dei piani, lui, per mercoledì, ad Arthur non poteva passare per la testa?

 

Da: Merlin The IT Wizard.

A: King Arthur.

Oggetto: Re: Re: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Sì, Sire. C’è un qualche dress-code di cui (non) voglio essere messo a conoscenza?

M.

_________________

 

Da: King Arthur

A: Merlin The IT Wizard.

Oggetto: Re: Re: Re: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Il tuo solito abbigliamento da lavoro andrà bene.

A.

_________________

 

Da: Merlin The IT Wizard.

A: King Arthur.

Oggetto: Re: Re: Re: Re: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Hai sempre detto che il mio abbigliamento da lavoro non è per niente consono ad un luogo di lavoro.

M.

_________________

Da: King Arthur

A: Merlin The IT Wizard.

Oggetto: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Un’offerta che non potrai rifiutare.

Appunto, quindi andrà benissimo. Adesso prova a fare qualcosa di alternativo. Tipo andare a guadagnarti lo stipendio.

A.

 

La sanità mentale di Arthur era andata a farsi benedire, pensò Merlin con un sospiro. E, per quanto triste gli sembrasse la prospettiva di andarci da solo, lui mercoledì aveva progettato di andare al mercato delle pulci di Natale ad Albion, dannazione ai Pendragon.

 

* * *

 

Mercoledì, alle 18.00 in punto, Merlin si ritrovò davanti Arthur, con il cappotto già indosso, la valigetta da lavoro in mano ed una borsa informe nell’altra.

“Chissà perché, immaginavo che non saresti stato puntuale,” disse il suo superiore roteando gli occhi e porgendogli la borsa. Merlin la guardò sospettoso, prima di allungare una mano oltre la scrivania ed afferrarla. La aprì e ne osservò diffidente il contenuto. Vestiti.

“Mi avevi detto che non c’era nessun dress-code particolare.” Solo in quel momento, sbirciando sotto il cappotto di Arthur, notò che l’altro indossava dei jeans che quella mattina decisamente non aveva.

“Infatti,” odiava quando Arthur gli parlava come se fosse un ritardato, “Ma sono anche sicuro che non hai ascoltato il mio consiglio e non ti sei vestito in maniera adeguata. La temperatura è cambiata, se non te ne fossi accorto, Merlin.”

Merlin svuotò la borsa, trovandoci dentro una felpa pesante con cappuccio ed un paio di guanti. Fu grato che in quel momento nell’ufficio non ci fosse nessuno tranne lui e non riuscì a contenere un sorriso. Stupido, stupido Arthur.

Spense il computer ed indossò in silenzio la felpa, la sua giacca ed i guanti, senza riuscire a smettere di sorridere. E se era arrossito, di sicuro era per colpa dell’abbigliamento pesante e del riscaldamento.

“Okay, sono pronto,” disse facendo un gesto con la mano per mostrare ad Arthur di essere completamente vestito e ben coperto, “Posso sapere dove andiamo adesso?”

Nonostante gli avesse chiesto già da due giorni di tenersi pronto per quel pomeriggio, Arthur non gli aveva dato nessun dettaglio sul tipo di appuntamento che avevano e lui iniziava persino a dubitare che fosse un incontro di lavoro. Quando l’altro non rispose, afferrò anche lo zaino pesante che si era portato dietro quella mattina, sperando che, qualsiasi cosa fosse, Arthur lo liberasse in tempo perché potesse andare al mercatino dell’usato che aspettava da mesi.

Chiacchierarono del più e del meno fino ad arrivare al parcheggio e poi salirono sull’auto di Arthur.

Quando uscirono dall’edificio, restando per qualche minuto in silenzio, Merlin iniziò a mordicchiarsi nervoso il labbro inferiore. “Arthur-“ iniziò insicuro. Sospirò, glielo doveva, “Grazie.” Disse semplicemente, sperando che l’altro comprendesse.

“E non solo per la felpa e i guanti,” aggiunse poi ripensandoci, nonostante non gli fosse sfuggito che la felpa gli calzasse addosso troppo bene per poter essere qualcosa di appartenente ad Arthur, “Non ti ho ancora ringraziato per l’altra sera, non avrei dovuto bere tanto,” concluse in un sospiro.

“In effetti non sei mai stato un grande bevitore, ma capita a tutti, no?” disse Arthur con voce divertita, “Non devi ringraziarmi,” aggiunse poi, a voce così bassa che per un attimo Merlin temette di esserselo immaginato.

Mentre continuavano il tragitto, Merlin si accorse che si stavano avvicinando al luogo dove era previsto il mercato a cui voleva andare. Se non si fossero allontanati troppo, poteva chiedere ad Arthur di dargli uno strappo fino a lì dopo l’appuntamento. Magari non avrebbe davvero dovuto rinunciarci. Aveva fatto bene a portarsi dietro i suoi libri.

Una cosa che gli piaceva di quella fiera in particolare, infatti, era che nelle bancarelle dei libri si potevano non solo acquistare libri di seconda mano, ma anche barattare i propri.

Quando Arthur fermò la macchina, si guardò intorno spaesato. Sembravano essere relativamente in mezzo al nulla, o comunque in una zona di periferia abbastanza anonima e non particolarmente ben tenuta, niente che gli ricordasse gli ambienti d’affari con cui di solito la Camelot Corp. aveva a che fare.

Uno striscione sporco che recitava Albion: Mercato dell’Usato, gli fece sgranare gli occhi.

“Che aspetti, Merlin? Giù dalla macchina!” Arthur aveva aperto lo sportello e si era dileguato prima che potesse girarsi e fargli delle domande. La sua voce gli giunse oltre i finestrini chiusi, “Chiudono tra un paio d’ore, non abbiamo tutta la notte!”

 

Il sorriso che aveva illuminato il volto di Merlin Arthur non lo avrebbe dimenticato facilmente. Ed il fatto che l’altro sembrasse sul punto di sciogliersi in un mare di risolini come un bambino davanti ai regali di Natale lo avrebbe fatto ridere, se una sensazione di calore e orgoglio all’altezza del petto non lo avessero sopraffatto proprio in quel momento.

Merlin saltò fuori dalla macchina, aprì lo sportello posteriore e tirò fuori il suo zaino.

“A proposito, a che ti serve quello?” domandò incuriosito.

“È per la fiera, sono dei vecchi libri,” spiegò l’altro eccitato, “Posso barattarli con qualcosa che non ho mai letto, se mi va.”

Arthur gli si avvicinò e si avviarono verso l’ingresso, “Credevo ci tenessi ai tuoi libri,” disse confuso, “E poi qual è lo scopo di allestire una bancarella se non puoi vendere?”

“Non tutto gira intorno ai soldi, Arthur,” rispose l’altro ridendo, “È uno scambio, io do qualcosa che conosco già e di cui non ho più bisogno in cambio di qualcosa di nuovo che potrebbe piacermi anche di più.”

“E se non ti piace, invece?”

“Be’, avrò fatto un tentativo,” rispose semplicemente, “Ma non lo saprò mai finché non do a tutto una possibilità.”

Arthur annuì, aveva senso.

“E poi,” Merlin si voltò verso di lui, guardandolo in viso, “In genere quando ti trovi tra le mani un libro altrui non ricevi solamente il libro, ma anche una parte del suo vecchio proprietario,” mentre parlava gli brillavano gli occhi e delle nuvolette di vapore gli si condensavano davanti alla bocca. In effetti faceva molto freddo e tutto intorno era coperto di neve.

“Del tipo?” domandò Arthur interessato. Non che non potesse immaginare cosa intendesse Merlin, ma l’idea di continuare a sentirlo parlare con tanta passione gli dava alla testa e avrebbe continuato all’infinito ad ascoltarlo.

“Be’, tanto per cominciare l’odore della vecchia carta è evocativo; e poi in genere nei libri usati ci sono sempre dei dettagli, delle orecchie fatte alle pagine in cui il vecchio proprietario ha interrotto la lettura, oppure dove ha trovato dei passaggi interessanti… delle parole sottolineate, dei paragrafi, delle parole scritte a margine,” Merlin aveva iniziato a gesticolare, nel parlare, “A volte le rileggi e noti cose che da solo non avresti mai notato, dai una nuova interpretazione alle parole,” concluse con un sorriso.

“Non avevo mai pensato ad una cosa del genere,” sussurrò Arthur guardandolo ammirato. Merlin era davvero un sognatore.

“Be’, adesso puoi farlo,” rispose Merlin sorridendogli complice. “A volte mi piace anche immaginare che tipo di persona possa avere avuto quel libro prima di me; alcuni scrivono la data e il luogo in cui lo hanno comprato, mi è capitato di avere tra le mani libri acquistati in Giappone o in Sud America.”

“E se anziché il luogo dove sono stati acquistati fosse stato qualcos’altro? Tipo la data e il luogo in cui hanno iniziato a leggerli oppure semplicemente un momento da ricordare?” domandò incuriosito.

Merlin lo guardò appena stupito, prima di rispondere, “A questo io non avevo mai pensato. In genere è quello che faccio io, scrivere sulla prima pagina il luogo e la data in cui ho acquistato il libro, ma magari hai ragione anche tu,” considerò con espressione pensierosa. “Grazie.”

“Figurati,” rispose Arthur, anche se non era sicuro di cosa avesse fatto per meritarsi un ringraziamento da parte di Merlin.

Girarono per il mercatino per un po’, camminando fianco a fianco, con le mani e le spalle che si sfioravano casualmente di tanto in tanto. Merlin insistette perché lasciassero le bancarelle dei libri per ultime. Vendevano di tutto, scoprì Arthur con piacere, da giocattoli rotti a batterie dei cellulari, ma anche vecchie monete e francobolli e vecchie spillette militari, alcune della guerra in Vietnam, altre della seconda guerra mondiale.

Quando rimase per più di qualche secondo a guardare una medaglia al valore che, il venditore assicurava, era appartenuta ad un generale della seconda guerra mondiale, Merlin, senza consultarlo, allungò al proprietario più del dovuto e gli disse che la prendevano.

Arthur si voltò immediatamente tentando di fermarlo ed insistendo che avrebbe potuto comprarla da sé.

“Lo so,” disse Merlin scuotendo semplicemente le spalle, “Ma volevo fare qualcosa per te.”

“Grazie,” sussurrò con un sorriso e si appuntò la spilla al cappotto, che raffigurava un paio d’ali azzurre sormontate dalla corona inglese con al centro una corona di alloro e la dicitura Merit.

Se Merlin aveva notato quante volte aveva lanciato un’occhiata piena di affetto a quel pezzo di metallo durante la serata, non lo aveva dato a vedere.

Quando finalmente arrivarono al tanto agognato angolo dei libri, rimase semplicemente in disparte ad ascoltare Merlin che parlava con i venditori di opere che lui non aveva mai sentito nominare, sorridendo ogni tanto alle espressioni che si dipingevano sul volto dell’altro e pensò che sarebbe potuto rimanere lì al freddo ad osservarlo così felice per molto, molto tempo.

Prima di scambiare la sua copia de I figli della mezzanotte, Merlin scrisse sulla prima pagina, con una matita dalla punta mal temperata, Albion, Londra - 19.12.2012, e glielo mostrò, un attimo prima di chiuderlo e consegnarlo nelle mani del suo nuovo proprietario.

 

 

“Bene, adesso spiegami,” esordì sedendosi sui ridicoli cuscini del salotto di Merlin, “A cosa ti serve l’opera completa in trenta volumi di Dostoevskij, in russo?” domandò divertito, mentre l’altro preparava il tè.

“È una raccolta del 1972, Arthur, vale un sacco e l’abbiamo spuntata con una spesa semplicemente ridicola,”spiegò Merlin come se la cosa avesse perfettamente senso. Aveva barattato tutti i libri che aveva portato (incluso lo zaino) ed Arthur, vedendo quanto ci teneva, aveva aggiunto i soldi che mancavano per comprarla.

“Parli russo, Merlin?”

“Non è quello il punto,” insistette l’altro e lui rise soltanto, perché, davvero, era proprio da Merlin.

“Comunque ho una cosa per te,” Arthur lo guardò incuriosito, mentre Merlin tirava fuori una busta da uno degli scatoli in cui avevano incastrato le fatiche di Dostoevskij e gliela porgeva. Sì alzò in piedi e lo raggiunse.

“Merlin, direi che la spilla bastava ed avanzava.”

“Consideralo un ringraziamento per, be’,” disse indicando gli scatoli.

“Non voglio che mi ringrazi per quelli,” rispose guardandolo con sincerità. Non voleva che Merlin pensasse di essere in debito nei suoi confronti per una cosa che aveva fatto con piacere.

“Io invece voglio ringraziarti, ma se non vuoi essere ringraziato per quello, consideralo come un regalo di Natale in anticipo. E poi è un’idiozia, davvero.”

Arthur tolse la busta da quello che evidentemente era un altro libro e rise, leggendo, Il Padrino – Mario Puzo.

Poi lo aprì e si ritrovò davanti la grafia irregolare di Merlin che recitava:

Il bene si compie con sforzo,

ma quando lo sforzo viene ripetuto diverse volte,

il bene stesso diventa un’abitudine.

L. N. Tolstoj

 

“Non chiedermi cosa significhi esattamente,” disse Merlin con un sorriso timido, più vicino di quanto si aspettasse, “Ma quando l’ho letto la prima volta mi sei venuto in mente.”

Arthur cercò il suo sguardo, con la paura di sapere cosa ci avrebbe letto. Quando vide che era solo Merlin, orecchie rosse, sguardo intenso, sorriso appena accennato, la cosa gli fece più paura di qualsiasi altra ipotesi. Come qualche sera prima, il desiderio di toccarlo lo colse d’improvviso e si era mosso verso di lui prima di rendersene conto, e cosa doveva farsene di una simile consapevolezza?

Solo che stavolta Merlin non era ubriaco, ed il suo tocco sulla guancia non passò inosservato, a giudicare dallo sguardo improvvisamente terrorizzato che gli stava lanciando. Poggiò il libro sulla prima superficie libera accanto a lui, senza staccare gli occhi di dosso a Merlin e poi anche l’altra mano raggiunse il suo volto.

Fissò gli occhi sulle labbra di Merlin e poi lo guardò di nuovo in viso. Ripercorse col pensiero la giornata trascorsa e anche i giorni precedenti e si accorse che, sì, c’erano delle domande che gli frullavano per la testa. Quello che non si aspettava, era di avere la risposta davanti.

Il primo tocco di labbra lo fece tremare. E, si accorse, anche Merlin tremava, e respirava così velocemente che non capì fino a che punto fosse terrorizzato e fino a che punto fosse qualcos’altro. Schiuse la bocca sulla sua, prima sul labbro inferiore, poi su quello superiore, poi all’angolo della bocca. L’odore di Merlin, la sensazione di calore che emanava, l’aroma della carta vecchia sulle mani, il suo sapore gli diedero alla testa. Si sentì come intontito, mentre l’unico pensiero coerente dentro la propria testa era che voleva di più.

Merlin sembrò improvvisamente riscuotersi e schiuse le labbra. Sentendo il suo fiato sulle sue, Arthur non poté fare a meno di attirarlo di più a sé, abbassando le braccia fino a circondargli la vita, ad accarezzargli la schiena, ed approfondire il bacio.

Non sapeva da quanto tempo erano rimasti lì a baciarsi, incuranti del tempo che scorreva, del fatto che Arthur avesse un impegno con Gwen ed una pagina vuota in cui avrebbe dovuto scrivere una lista di potenziali fidanzati/accompagnatori/ragazzi per Merlin, di Mark Darcy, di Colin Firth, di Vito Corleone e di Marlon Brando e di una marea di scatole piene delle stupide opere di Dostoevskij in una lingua che nessuno di loro due capiva.

Improvvisamente Merlin fece pressione con le mani, che erano rimaste per tutto il tempo strette a pugno sul suo torace, e lo allontanò. Arthur lo guardò smarrito, prendendo nota delle sue labbra gonfie e lucide.

“Va’ via, Arthur, ti prego,” sussurrò Merlin allontanandosi e portandosi entrambe le mani sul viso.

“Merlin,” allungò di nuovo una mano verso di lui, disperato perché Merlin gli permettesse di toccarlo.

“No, Arthur, ti prego, stammi lontano,” si domandò cosa avesse fatto perché Merlin continuasse a guardarlo con un tale terrore. “Non… non promettermi qualcosa che non puoi mantenere,” disse in un bisbiglio, e gli diede le spalle, impedendogli di vedere le emozioni sul suo viso.

Nonostante avesse tentato di fare il più silenziosamente possibile, lo scatto della porta di Merlin che si chiudeva alle sue spalle gli sembrò riecheggiare per tutto il pianerottolo e, soprattutto, dentro la sua testa.

 

 

Quando entrò nella sua stanza in casa Pendragon, Arthur si lanciò sul letto senza nemmeno accendere la luce. Poi sentì qualcosa di rigido e spigoloso conficcarglisi in un fianco, si sollevò e, al bagliore della sveglia digitale sul comodino, vide che era un DVD.

Il diario di Bridget Jones – Renée Zellweger, Hugh Grant… Colin Firth.

Emise un lungo lamento, guardando la faccia da schiaffi di Colin Firth che spiava le pagine di un’agenda rossa da dietro le spalle della protagonista.

“Grazie, Morgana,” sussurrò alla stanza buia. Poi accese la tv ed il infilò il DVD nel lettore. Non si sarebbe comunque addormentato molto presto.

 

* * *

 

Per i due giorni successivi le cose tra lui ed Arthur si erano fatte impacciate a dir poco. Non si erano fondamentalmente parlati, non si erano scambiati nemmeno un’email e lui aveva supposto che ciò significasse che qualsiasi tentativo di Arthur di trascinarlo alla festa era da considerarsi abbandonato.

Quando, mentre leggeva un libro venerdì sera dopo il lavoro, il suo cellulare squillò e sul display vide il nome di Arthur, non sapeva cosa aspettarsi. Per un attimo pensò di non rispondere, ma non sarebbe stato giusto nei confronti dell’altro. In fondo, non si erano chiariti e non sarebbe stato corretto da parte sua ignorarlo e basta.

 “Ho trovato qualcuno per te, ti aspetto alle sette domenica sera.”

Merlin sospirò, “Arthur, ti prego-“

“No, Merlin,” la voce di Arthur gli giunse decisa, dall’altra parte del ricevitore, “Ti chiedo solo questo, poi ti prometto che farò come preferisci, ma ti prego, vieni alla festa domenica sera.”

Si passò una mano sul viso, alla ricerca disperata di qualcosa da dire che potesse convincere l’altro a desistere, ma non riuscì ad inventare nulla. E non gli succedeva spesso che Arthur lo pregasse di fare qualcosa, “D’accordo,” fece una pausa, “Chi è questa persona?”

“Lo… scoprirai quella sera stessa.”

“Arthur-“

“Fidati, Merlin, per favore,” lo pregò di nuovo.

“Va bene, come la riconoscerò?”

Arthur sembrò preso alla sprovvista dalla domanda, o forse era solamente confuso, visto che iniziò a farfugliare qualcosa di incomprensibile.

“Arthur, sei ubriaco?” chiese ad un certo punto, collegando le uscite del venerdì sera allo stato in cui sembrava trovarsi Arthur in quel momento.

“No, no… forse un po’… ti prego…”

“Ti ho già detto che va bene, dimmi solo come lo riconosco.”

“Lo riconoscerai, tranquillo,” fu l’ultima cosa che sentì prima che Arthur chiudesse la telefonata.

Magnifico. Sperare che Arthur lo lasciasse in pace, evidentemente, era stato vano e lui, come al solito, non sarebbe mai stato in grado di negargli niente. Chiuse il suo libro con un sospiro, consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a capirci nulla, dopo quella telefonata. Optò per accendere la TV e magari bruciarsi un po’ il cervello con un telefilm trash.

 

* * *

La sera del 23 dicembre l’aria era incredibilmente fredda e al centro del marciapiede la neve si era trasformata in una lastra di ghiaccio. Merlin tentò di correre, per quanto gli fosse possibile, senza scivolare e rompersi qualcosa, mentre si avviava alla Camelot Corp., in ritardo come sempre. Ogni tanto si faceva tentare dal pensiero che, se davvero fosse caduto e si fosse fatto male, avrebbe avuto una scusa per non presentarsi alla festa e non sarebbe successa l’imbarazzante catastrofe che si aspettava succedesse.

Era certo di non voler passare una serata a fingere di divertirsi ed era un po’ terrorizzato dalla prospettiva di trascorrere del tempo con una persona scelta dallo stesso Arthur che lo aveva baciato con trasporto qualche sera prima a casa sua e che lui aveva cacciato di casa in preda al panico. Aveva ripetuto quella scena nella sua testa migliaia di volte e, davvero, cos’altro avrebbe potuto fare? Arthur non aveva mai nascosto davanti a lui il suo interesse per Gwen, quella sera sarebbero stati insieme, belli e felici come si meritavano di essere. Il comportamento di Arthur, aveva stabilito, doveva essere stato dettato da una qualche atmosfera del momento e, di conseguenza, era stato solo un incidente.

Arrivò, trafelato, all’ingresso dell’edificio dei Pendragon e percorse il familiare ambiente d’ingresso fino all’ascensore. Attese impaziente di arrivare al piano dove era prevista la festa e mandò un sms ad Arthur per comunicargli che, finalmente, ce l’aveva fatta. Ammesso che l’altro non fosse troppo impegnato per guardare il cellulare.

Si tolse il cappotto e si stirò con le mani la camicia blu scuro che aveva deciso di indossare nel tentativo di essere appena più elegante del solito. Conosceva bene gli impiegati della Camelot Corp. e, a parte lui e i suoi colleghi del reparto IT, tutti vestivano sempre impeccabilmente a lavoro e, naturalmente, si presentavano agli eventi il più eleganti possibile. E Arthur sarebbe stato da togliere il fiato come sempre, pensò sospirando. Dopo gli ultimi eventi, non era sicuro di potergli stare accanto e fingere che tutto andasse bene e che la sua sola presenza non lo scombussolasse.

Entrò nella sala principale della mensa, che era stata impeccabilmente decorata. Sorrise riconoscendo il tocco di Morgana, che era sempre capace di organizzare decine di eventi di fila senza mai essere ripetitiva. Alle pareti regnavano sovrani il rosso e l’oro dei Pendragon, e in un angolo era stato allestito uno degli alberi di Natale più maestosi che avesse mai visto. Si appuntò mentalmente di complimentarsi con Morgana.

Iniziò a guardarsi intorno, sperando di scorgere Arthur, visto che gli sembrava alquanto improbabile che, come aveva detto l’altro, potesse riconoscere la povera vittima designata a fiuto. Ebbe la strana sensazione che tutti quanti gli lanciassero occhiate strane, mentre avanzava per la sala, e cominciò a sentirsi un po’ in imbarazzo. Possibile che tutti sapessero dell’accordo tra lui ed Arthur? Sarebbe stata la fine della sua vita sociale. E se Arthur lo avesse solo preso in giro e gli avesse combinato un appuntamento al buio con qualcuno di volutamente poco consono? Per un attimo temette di scorgere Morgause tra la folla e fu tentato di fuggire.

Poi finalmente individuò Arthur. Gli dava le spalle ed aveva un bicchiere di vino in mano ed era immerso in una conversazione con due ragazzi che non conosceva. Uno era molto alto e con dei bicipiti molto grandi e l’altro aveva dei capelli da pubblicità di prodotti per parrucchieri ed una barba incolta. Entrambi molto attraenti, notò Merlin, e per un attimo pensò che, se Arthur gli aveva combinato un appuntamento con uno dei due, forse avrebbe interamente rivalutato tutta la vicenda ed i gusti dell’altro. Poi vide il gigante mettere una mano attorno alla vita del promoter di shampoo e sorridergli in maniera complice e comprese che, no, non gli era andata così bene.

Alle loro spalle vide Morgana sollevare il suo bicchiere in direzione di Arthur, per attirare la sua attenzione, e poi fare un cenno nella sua direzione. Perché aveva l’impressione che tutti lo stessero aspettando?

Arthur si voltò seguendo l’indicazione di Morgana e, non appena lo vide, un sorriso caloroso gli illuminò il volto. Merlin ebbe l’impressione che il tempo si fosse fermato. Arthur si avvicinò e lui, sentendo improvvisamente tutto l’imbarazzo del caso, arrossì ed abbassò la testa…

… il che fece in modo che il suo sguardo si scontrasse con il maglione nero di Arthur, sul quale era ricamata una orribile renna stilizzata, con delle corna che gli arrivavano fin quasi alle spalle ed un enorme naso rosso. Esattamente come l’orribile maglione che indossava…

“Il Mark Darcy di Colin Firth,” sussurrò Arthur una volta avvicinatosi, “Come vedi ho fatto i compiti.”

Merlin rimase ad osservare l’infelice maglione, poi raccolse il coraggio per guardare negli occhi l’imbecille che lo indossava. Arthur lo stava scrutando con l’espressione intensa che aveva assunto un attimo prima di chinarsi a baciarlo qualche giorno prima e lui si sentì confuso come mai in vita sua.

“C’è qualcosa che mi devi dire, Arthur?”

L’altro aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò, si guardò intorno e disse: “Forse è meglio se ci spostiamo in un luogo più appartato.”

In effetti, notò Merlin, l’impressione che aveva avuto entrando non doveva essere stata poi così errata. Molti dei presenti sembravano particolarmente interessati dalla scena e lui non avrebbe retto molto a lungo una tale pressione. Arthur iniziò a trascinarlo verso l’uscita, dopo averlo presto per mano, facendo intrecciare le loro dita, e Merlin afferrò al volo un bicchiere di vino dal vassoio portato da un cameriere di passaggio, perché forse avrebbe avuto bisogno di un po’ d’alcol per sopravvivere a quella serata.

Entrarono nell’ascensore ed Arthur, senza mai lasciare la sua mano, schiacciò il pulsante per il suo piano. Una volta usciti, accese qualche luce, quel tanto che bastava per non farli inavvertitamente inciampare contro qualcosa. Poi fece scattare la serratura della porta la cui targhetta recitava Arthur Pendragon. Lo invitò ad entrare, sciogliendo per un attimo la morsa della sua mano e poggiandogli il palmo sulla schiena per incoraggiarlo.

Erano faccia a faccia, adesso, e lui era così nervoso da non riuscire a fidarsi della sua voce per chiedere una spiegazione.

“Grazie per essere venuto,” disse Arthur dopo lunghi attimi di silenzio.

Quello sembrò riscuoterlo e si fece scappare una risata nervosa, “Ti sembra il momento di fare convenevoli?”

Arthur rimase interdetto e lui ebbe l’impressione che nemmeno lui sapesse cosa dire.

“Perché non sei giù con Gwen?” domandò a quel punto, iniziando dai dettagli che gli sembravano più importanti. E quello, decisamente, lo era.

“Perché avevo un altro appuntamento,” rispose semplicemente Arthur come se la sua affermazione spiegasse tutto. “Ascolta, Merlin,” prese fiato, “Non so in che modo spiegarti tutto senza sentirmi ridicolo o mettermi in imbarazzo o mettere in imbarazzo te, quindi inizierò dall’inizio e… e tenterò di non pensarci.”

Merlin annuì, passandosi la lingua sulle labbra secche. Vide Arthur seguire quel movimento e chiudere gli occhi come per riprendere il filo dei propri pensieri, prima di ricominciare a parlare.

“Non ho avuto in mente tutto questo sin dall’inizio. L’idea di trovarti un accompagnatore per la festa mi è venuta sul momento, mentre prendevamo il caffè nel mio ufficio e tu mi hai detto che non saresti venuto. Ed ammetto di averlo fatto perché volevo che tu fossi lì. Per un attimo ho pensato di voler solo fare sfoggio del mio andarci con Gwen e se non ci fossi stato tu lì a guardare non sarebbe stato lo stesso, invece poi ho capito che volevo semplicemente che tu fossi qui. È iniziato tutto quella sera al pub, quando gli altri ridevano della questione Mark Darcy di Colin Firth e tu mi hai detto che eri abituato a sopportare di peggio, in genere da parte mia. Mi sono sentito incredibilmente in colpa,” una smorfia gli deformò il viso, “E poi quando ti ho portato a casa e mi hai detto di volere solo qualcuno che si prendesse cura di te mentre tu ti prendevi cura di lui-“

“Mio Dio, ho detto una cosa simile?” chiese Merlin arrossendo, se possibile, più di quanto non lo fosse già. Nel vederlo, Arthur avrebbe voluto smettere di parlare, attirarlo a sé e baciarlo fino a renderlo incoerente.

“Sì, lo hai detto.” Scosse la testa, tentando di stamparsi in viso il sorriso sarcastico che in genere gli veniva incredibilmente bene. “Ed hai anche aggiunto che volevi qualcuno che amasse i tuoi stupidi cuscini da pavimento e ti seguisse nei tuoi passatempi da nerd e da topo di biblioteca,” sospirò, “Ed io ho deciso che quel qualcuno volevo essere io.”

Merlin era ancora incredibilmente confuso, ma qualcosa lo spinse a fare un passo verso Arthur e stringere tra i pugni il suo assurdo maglione all’altezza del torace.

“Poi, quella mattina in cui eri in ritardo e io ho ficcanasato nel tuo computer-“

“Ecco, lo sapevo che c’era qualcosa che non andava quella mattina.”

Arthur sorrise e gli mise una mano su un fianco, incoraggiato dal fatto che Merlin sembrava essersi un po’ sciolto, “No, no, ero venuto davvero per prendere in prestito un portatile, ma poi tu non c’eri e quindi ho acceso il tuo computer ed appena ho avviato il browser mi sono comparse le pagine che avevi lasciato aperte prima di spegnerlo; speravo ancora di trovare qualche indizio per scegliere qualcuno che ti accompagnasse alla festa, ma invece ho trovato la pagina che parlava del mercatino di Albion e con i mezzi non ci saresti mai arrivato, a meno di non prenderti tutto il pomeriggio libero e invece non mi avevi chiesto niente, quindi ho pensato che ti ci avrei portato io.”

Ridendo, un po’ divertito un po’ senza fiato, Merlin percorse il suo torace con le mani e gliele portò attorno al collo, “Sei un idiota.”

“E poi tutti insistevano così tanto a dire quanto io fossi simile a questo Mark Darcy di Colin Firth, e Morgana mi ha fatto trovare il DVD del fottuto Diario di Bridget Jones sul letto quando sono tornato, disperato, da casa tua dopo Albion, e… insomma, eccoci qui,” concluse indicando il ridicolo maglione.

Arthur aveva pronunciato tutto quel discorso così in fretta ed in maniera così incoerente che, per la prima volta, Merlin realizzò quanto anche l’altro fosse nervoso.

Stavolta, Arthur, il bacio non se lo era aspettato. Merlin sembrava essersi fiondato sulle sue labbra più per istinto che per volontà propria. Si aggrappò a lui in maniera quasi disperata, memore della reazione che aveva avuto quando era stato lui a baciarlo.

“Aspetta,” chiese all’improvviso Merlin allontanandosi, “Che ne è stato di Gwen?”

Arthur roteò gli occhi in maniera esagerata, “Inizierò a credere che tu ci tenga più a lei che a me, se continui a chiedermi di Gwen.”

“Uhm. Be’,” Merlin sorrise sornione, “Come ci si sente?”

“Idiota,” sussurrò Arthur prima di stampargli un bacio veloce sulle labbra, “Le ho detto la verità e lei mi è sembrata molto risollevata. A quanto pare avrebbe preferito venire alla festa con Lancelot, ma lui non si era fatto avanti e lei aveva accettato la mia proposta. Non è stato molto piacevole saperlo, ma ormai non mi importava. E poi pare che lo sapessero tutti quanti tranne io, Morgana mi ha persino abbracciato quando gliel’ho detto. Diceva che era preoccupata per me.”

“Lo ero un po’ anche io,” ammise l’altro.

“Lo sapevi?” chiese Arthur irrigidendosi.

“No, ma avevo avuto una strana sensazione, poi Gwen sembrava lanciarti queste occhiate languide e…” scosse semplicemente le spalle, lasciando cadere la frase.

“Hai altre domande o possiamo tornare a baciarci?”

E se non aveva lui una faccia da sberle!

“Non so, hai altre cose da dirmi?”

“Vuoi dirmi che non mi sono sputtanato abbastanza?”

Merlin mosse appena le dita sulla sua nuca, “Un po’, ma visto che sei sempre lì tutto perfetto, è interessante starti ad ascoltare quando ti sputtani.”

Arthur recuperò il suo ghigno sarcastico, “Perfetto, Merlin?” Fu il turno di Merlin di roteare gli occhi. “Se proprio vuoi saperlo, ho tentato di stilare una lista di gente da poterti presentare, ma è rimasta vuota e gli unici due nomi suggeriti da Morgana e Mithian in questo momento sono giù probabilmente ad esplorarsi le tonsille sotto il vischio; stavo parlando proprio con loro, quando sei arrivato.”

“Ah, il gigante ed il promoter di shampoo,” Merlin sorrise, ricordandosi di aver pensato che magari uno dei due fosse per lui.

“Sì, o meglio Percy e Gwaine,” disse Arthur ridendo, poi poggiò la sua fronte contro quella di Merlin e gli accarezzò la schiena. Rimasero per lunghi secondi a respirare l’uno contro l’altro, dandosi a vicenda la possibilità di riflettere sulle rivelazioni di quei giorni.

“Quindi mi stai dicendo che vuoi essere il mio Mark Darcy?” domandò alla fine Merlin.

“Be’, non ti chiederò se tu vuoi essere la mia Bridget,” rispose l’altro, “Però sì, vorrei, se anche tu lo vuoi.”

Senza rispondere, Merlin riprese a baciarlo, gli affondò le mani tra i capelli e tirò forte, facendolo gemere. Sentì improvvisamente il bisogno di raggiungere quanto più possibile, di sentire la pelle di Arthur, di avere tutte le conferme possibili che stesse accadendo davvero, che non fosse soltanto la sua ennesima, vana speranza. Gli lasciò una scia umida sulla mascella, percorrendola con le labbra, fino a baciargli il collo. Erano così vicini che il brivido che percorse Arthur quando affondò i denti nella pelle della sua gola se lo sentì addosso, come se fosse stato lui a provarlo. O forse erano rabbrividiti entrambi.

Arthur aveva detto delle cose a cui ancora stentava a credere, ed in quel momento era tra le sue braccia e sembrava avere tutte le intenzioni di rimanerci. Lui ed il suo stupido maglione con la renna.

“È tanto grave il fatto che vorrei scoparti anche se hai quell’orribile maglioncino addosso?” Anche la risata di Arthur sembrò attraversarlo dalla testa ai piedi.

“Mi sembra il minimo, dato che mi sono reso ridicolo davanti a tutti i miei impiegati solo perché qualcuno non avrebbe acconsentito ad uscire con nessuno, se non con il Mark Darcy di Colin Firth.” Merlin gli baciò di nuovo le labbra ed Arthur scoprì che la sua intraprendenza lo eccitava parecchio, ed era del tutto inaspettata.

“Solo,” disse con voce strozzata, mentre Merlin lo faceva poggiare alla scrivania e scivolava con le mani pericolosamente in basso, “Non adesso,” sussurrò afferrando il viso dell’altro tra le mani e baciandolo a sua volta, “Più tardi, te lo prometto.”

“Che fregatura.” Merlin sbuffò, e con la lingua gli sfiorò il segno violaceo che si intravedeva dove aveva affondato prima i denti.

“Ti prometto che più tardi potrai farmi quello che vuoi, ma adesso dobbiamo tornare giù prima che qualcuno venga a cercarci,” ripeté Arthur, nonostante nemmeno lui fosse tanto entusiasta all’idea di tornare in una sala piena di gente. Con un segno sul collo, i capelli scompigliati e le labbra gonfie. Ed un Merlin nelle stesse condizioni accanto. Fortuna che era il capo e aveva il potere di licenziarli tutti, perché i suoi impiegati avrebbero avuto di che sparlare.

“Tutto quello che voglio?” domandò Merlin con una luce negli occhi che non gli aveva mai visto, “Ti ho già detto di non fare promesse che non puoi mantenere?”

“Sì, ed è stato un momento che non dimenticherò mai nella mia vita, te lo assicuro,” poi aggiunse, “E, credimi, desidero più io che tu mi faccia quello che vuoi di quanto non lo desideri tu. Per di più,” sussurrò afferrando Merlin per la nuca ed avvicinandolo alla sua bocca, “Puoi spuntare un’altra voce alla tua lista di desideri, perché ho dei grandi progetti per quei tuoi cuscini da pavimento.”

Merlin gli diede un colpo sul braccio, sussurrando, tra una risata e le labbra di Arthur, un “Lo sapevo!” A cui si sentì rispondere solo, “Perfetto per te, Merlin, te lo avevo detto!”

E, davvero, che altro c’era da dire?

 

Fin.

 

Note finali *___*

1.Il titolo della storia non è che il titolo di una delle canzoni che compongono la colonna sonora de Il Diario di Bridget Jones, ovvero Someone Like You di Van Morrison.

2. Sophia che ci prova con Merlin è un’idea di chibimayu XD

3. La spilla che Merlin regala ad Arthur è più o meno questa.

4. L’idea del mercato in cui si scambiano i libri è ripresa da un mercatino che c’è stato qui a San Pietroburgo qualche mese fa.

5. Le varie citazioni da Il Diario di Bridget Jones vengono dalla versione italiana del film. E quando ho nominato I figli della mezzanotte, non volevo fare l’ennesimo riferimento al film, in cui compare l’autore, Salman Rushie, me ne sono resa conto solo dopo.

6. La traduzione della frase di Tolstoj è un po’ libera, in realtà. Per essere precisi al posto di “il bene” dovrebbe esserci “una buona azione”, ma essendo decontestualizzata (non ho proprio trovato l’opera originale) ho pensato che potevo permettermi un po’ di libertà. La frase in sé, in russo, l’ho letta su un segnalibro in un negozio di libri, sempre qui a San Pietroburgo, e mi ha colpita.

7. Il Padrino, lo ammetto, c’entra poco, ma l’ho visto per la prima volta un paio di mesi fa qui a San Pietroburgo perché quando in un’aula con un professore russo e studenti russi, italiani, tailandesi, austriaci ed americani l’unica cretina che non ha mai visto Il Padrino è la siciliana, ti poni delle domande. Perciò, finalmente, dopo 24 anni, ho deciso di vederlo e mi è anche molto piaciuto.

8. L’opera di Dostoevskij in 30 volumi che Arthur e Merlin comprano in realtà la vorrei IO, ma costa davvero una cifra impossibile (sui 1200 euro) ed è davvero un’edizione molto famosa, ovvero questa. So di gente che l’ha davvero comprata a una cifra molto più bassa ad un mercatino dell’usato, quindi ho pensato che Merlin potesse avere molta più fortuna di me, anche se non parla russo e quindi non gli serve. Ma è Merlin, no?

9. E infine la mia nuova ossessioneeee! I cuscini da pavimento, che sono così, o così, o così. La terza versione è quella che preferisco, perché ci sono le cerniere, che permettono di fare il materasso senza che i cuscini si dividano e ti facciano finire sul pavimento. Quelli a casa di Merlin io li immagino di diversi colori, come nel primo e secondo esempio, spessi come nel primo e con la cerniera come nel terzo. E IO LI VOGLIO >___< e sono così fissata che voglio una scena p0rn con quei cuscini. Magari la scrivo io, ma se io non la scrivo e qualcuno si sente ispirato, prego *___*

 

E insomma, lo so che quest’anno c’è un po’ di amarezza e che proprio la vigilia di questo Natale ci porterà via un telefilm che, con i suoi alti e bassi, ci ha tenuto compagnia e ci ha divertite e ispirate, ma il fandom è l’ultimo a morire, come la speranza, quindi spero che ci rivedremo ancora spesso. Di me non vi libererete di sicuro per mooolto tempo. Per adesso…

 

 

 



 

Buon Natale, Merlin fandom!

 

(Sì, ci tenevo un sacchissimo a sputtanarmi con questo montaggio e ne vado un sacco fiera!)

 

P.S.: “È tanto grave il fatto che vorrei scoparti anche se hai quell’orribile maglioncino addosso?” – Qui i credits vanno a Thalia, per avermi fatto questa domanda in relazione ad Arthur nel vedere il montaggio XD

 

 

   
 
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