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Autore: Pu96    21/12/2012    3 recensioni
Cercò Louis fino a quando i muscoli delle gambe iniziarono ad intorpidirsi per il troppo sforzo. Allora lo chiamò, due, tre, cinque volte, sperando di sentire una flebile risposta: ma non accadde nulla. Più passava il tempo, più vedeva la vita di Louis sfuggirgli dalle mani. Si chiese se i loro battiti del cuore continuassero a suonare all’unisono o se il tuono del cannone il lontananza avesse appena dichiarato la morte del maggiore.
Scritta per la: Christmas Exchange @ #thegays
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è per Pia
Buon Natale e felice anno nuovo.
(Christmas Exchange @ #thegays)


 
Sono la persona adatta per dimenticare.

Un colpo di cannone: il secondo nelle ultime quattordici ore.
Harry strinse le palpebre e si coprì le orecchie con dita tremanti, cercando di ignorare il suono ingigantito di un ultimo respiro esalato. Doveva ammettere che quel rumore sordo e grave non era poi tanto diverso da quello prodotto dalle fabbriche del distretto otto. Aveva impiegato gli ultimi dieci anni a lavorare i tessuti di Capitol City, a maneggiare sete preziose e incollare decorazioni d’argento. Certe volte si stupiva della bellezza visibile di un tessuto, trovabile sotto una luce fioca in una sala umida e sudaticcia, ma d’altronde c’era talmente poca poesia in ciò da cui era circondato, che era quasi obbligato ad attaccarsi a quelle frivolezze.
Riaprì gli occhi almeno quindici secondi dopo, chiedendosi quale famiglia stesse piangendo la scomparsa del figlio.
Poi fu cullato da un ingenuo calore interno: ancora una volta nessun elicottero stava atterrando per estrarre il suo cadavere dalle fronde degli alberi, perché nonostante fosse ormai condannato, l’idea di morire continuava a impedirgli di dormire. 
Scese cautamente dall’albero nel quale si era riparato, strinse a sé lo zaino che era riuscito a rubare dalla cornucopia durante il “bagno di sangue” e si mise in cammino: aveva un assoluto e viscerale bisogno d’acqua.

L’arena, nel 72esimo anno degli Hunger Games, era decisamente la più desolante di tutti le edizioni precedenti. Era composta da un’immensa distesa di sabbia, i lati erano costellati da diverse montagne che periodicamente bruciavano per l’esagerata aridità, e solo al centro del deserto c’erano scarse fonti d’acqua. Tutto il divertimento degli strateghi stava nel poter traviare la mente dei concorrenti con numerosi miraggi, per non parlare delle bestie che uscivano dal terreno nell’esatto momento in cui poggiavi il piede a terra.
C’era anche un gradevolissimo abisso tra la temperatura notturna e quella giornaliera, per non parlare delle tempeste di vento che incidevano la gola dei tributi con manciate di sabbia arida e facevano sanguinare le orecchie per la mezz’ora successiva. Quando Hanna Walker, adorabile ragazza del distretto undici, era stata brutalmente pugnalata ad una spalla, ed aveva sanguinato per tutto il lato ovest, la sua scia aveva tracciato un confine che il terreno non aveva assorbito, e adesso perfino il paesaggio sembrava trasudare sangue. 

 
Harry aveva sempre evitato il contenuto delle vene della signorina Walker, ma fu rassicurato quando lo riconobbe dopo due ore di cammino, perché distava rigorosamente poco dalla prima sorgente d’acqua. Ormai si era abituato ai rivoli di sudore che gli scendevano dal collo alle spalle, perfino l’ustione che gli ricopriva parzialmente il viso e le mani non era più così fastidiosa, i granelli che gli impastavano i capelli e gli graffiavano la pelle sembrava solo un piccolo imprevisto, ma se c’era una cosa che sembrava completamente ingestibile era la sete.
Harry stava imparando a nutrirsi di afa e terrore, un connubio tanto inquietante quanto disgustoso, capace di seccare i tuoi istinti e ricominciare a farli scoppiettare come carne al fuoco. Ecco perché quando due figure entrarono nel suo campo visivo, le sue mani indugiarono prima di afferrare il coltello posto nell’elastico dei pantaloni. Notò con dispiacere che i polpastrelli ricoperti da lievi vescicole rendevano impossibile afferrare saldamente l’unica arma da difesa, e che i suoi riflessi erano troppo ovattati e stremati per poter sovrastare la forza di due individui. Si limitò a osservare il portamento autorevole e dignitoso dei due ragazzi davanti a lui, mentre il più grande gli puntava una freccia al cuore.
 
“L’abbiamo trovato.” Era un esserino di quattordici anni a parlare, con lunghi capelli biondi, guance paffute e un fisico mozzafiato. Il numero del suo distretto, un dieci in color rosso avorio, brillava sotto la sua clavicola destra. Aveva la mano nella tasca posteriore dei pantaloni del ragazzo che la precedeva, quasi non volesse perderlo in quello scenario di distruzione. Spostava il peso del corpo da un piede all’altro, dando l’impressione di ballare una danza particolarmente lenta. La sua pelle, primamente pallida ma rovinata da recenti scottature, lasciava intravedere cicatrici su tutto il collo. Harry si chiese chi potesse aver profanato l’epidermide di una creatura tanto preziosa, ma venne distratto dalla punta di legno che gli stava scalfendo il petto.
“Potresti essere morto.” Il giovane manifestò la sua presenza con un semplice e schietto sussurro: il preannuncio dell’omicidio che avrebbe commesso se avesse osato scoccare quella freccia. Cosa lo trattenesse dal far scivolare pollice e indice sulla corda dell’arco, mormorare qualche battuta tagliente, e squarciare il corpo magro dell’avversario, era celato in un profondo silenzio. Le sue iridi azzurre scrutavano il profilo di Harry con particolare attenzione, quasi per imprimere piccoli particolari nella mente. Aveva i lineamenti duri e sporgenti, le sopracciglia sporche e disordinate, un sorriso tirato e vuoto, in alcune parti del suo corpo la tuta era tanto stretta da evidenziare esageratamente il suo fisico allenato. 
“Non osare sprecare le nostre frecce per un gattino.” Sussurrò la ragazzina bionda con una cadenza talmente rapida e un suono così gutturale da essere facilmente paragonabile a delle fusa. Non c’era nulla di seducente nel suo tono di voce, solo una grande infantilità coperta di presunzione, un carattere aspro creato per convenienza o dovere. Eppure i suoi occhi si muovevano saettando come quelli di un rapace, controllando il paesaggio intorno a lei almeno tre volte al minuto, difendendo saldamente la propria vita. In perfetta sottomissione alle sue parole, nonostante l’evidente differenza d’età, il ragazzo del suo distretto abbassò le armi e fece un passo indietro. Ma nonostante tutto il suo corpo si fosse mosso, i suoi occhi rimasero incollati al viso di Harry.
“Vai a cercare qualcosa da mangiare, tesoro? Non allontanarti più di cinque passi.” C’era qualcosa di profondamente possessivo nella voce del giovane, un legame che ad Harry sembrava decisamente morboso. Eppure la ragazzina arretrò sbuffando, lasciò a malincuore la tasca del suo compagno e si diresse verso i cespugli, conservando quell’aria guardinga e preoccupata caratteristica del suo discorso. 
 
Harry rimase in silenzio. Gli sembrò quasi spontaneo allungare la mano, afferrare le dita dello sconosciuto, e presentarsi. Mormorare il suo nome, piegare le labbra in un sorriso sincero, fingere di essere al sicuro nei boschi del distretto otto: gesti che avevano perso qualsiasi importanza, riacquistarono prontamente un senso. E lentamente, con estrema naturalezza, come una manciata di neve che si squaglia pigramente sotto il tepore estivo, “Louis.” disse l’altro. “Il mio nome è Louis.” Sfiorò le mani ustionate di Harry con attenzione, perse quella strana tensione all’altezza delle spalle, e riprese a respirare, cullato da una nuova ragione di vita.
Si studiarono in silenzio, calibrando ogni loro gesto tra un’istintiva paura e un barlume di fiducia. Sospesa tra i loro sguardi, c’era anche buona parte della popolazione di Panem. I giochi venivano trasmessi ovunque, anche nella casa più povera del distretto più povero, d’altronde Capitol city doveva assicurarsi che la trasmissione avesse una buona audience. Ma al gesto successivo di Louis, tutte le telecamere sfumarono sull’immagine della ragazzina del distretto quattro inseguita da un gruppo di serpenti geneticamente modificati, e nessuno vide la tacita alleanza che si stava formando tra distretti opposti.
Louis si scrollò lo zaino dalle spalle, lo lasciò cadere pesantemente a terra, e si chinò sopra di esso. Estrasse una borraccia, una pomata, qualche provvista, perfino un sacco a pelo, e fece rotolare quel piccolo fagottino a piedi di Harry, senza proferire parola. 
“Non funziona così il gioc…” Louis interruppe Harry bruscamente. Gli posò un dito sulle labbra, e trovandole particolarmente screpolate e maltrattate, restò ad accarezzarle per un paio di secondi, quasi per risanargli le ferite. Si avvicinò al suo viso e si spinse sulla punta dei piedi per potergli raggiungere facilmente l’orecchio destro. Il respiro caldo del ragazzo sembrava terribilmente rinfrescante confrontato all’afa del paesaggio, e racchiudeva un odore meno desolate: un odore più umano.
“Funziona così per me e lei. Ci imbottiscono di provviste per farci morire in modo più diverten…” Ma questa volta fu la ragazzina ad interrompere entrambi, quasi avesse captato mentalmente la sua menzione in quella confessione. Con un secco colpo di tosse impose ai due giovani di separarsi, poi sventolò sotto in naso di Louis una quindicina di erbacce diverse, raccattate all’ombra di qualche sasso, e illuminò la scena con un sorriso soddisfatto. Louis infilò le poche bacche silenziosamente nello zaino, lo riposizionò sulle spalle, e tornò a nascondersi tra le dune con la signorina bionda. 
 
Harry si limitò ad afferrare il generoso dono del ragazzo e stringerlo tra le braccia. Svitò la borraccia e ne tracannò il contenuto senza fermarsi a respirare. Poi, quasi purificato da quella cascata nella sua gola, rimase a metabolizzare tutti gli eventi appena accaduti. Quando si rese conto che delle goccioline d’acqua gli stavano scivolando sul mento, rimpianse che le dita di Louis non fossero lì a raccoglierle.
 
 
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Harry avrebbe voluto ricordare con precisione quante volte in diverse giornate aveva incontrato Louis, ma ultimamente gli strateghi avevano deciso di imporre un sole caldo ventiquattro ore su ventiquattro, o almeno, questo era ciò che i concorrenti avevano assimilato. Qualsiasi fosse la percentuale di tempo passato insieme, Harry era sicuro che si incontrassero più del dovuto. Ogni tanto gli pioveva accanto (ma a debita distanza) una freccia, che racchiudeva in sé avvertimenti e desideri del maggiore, ma che interrogata dal prescelto, restava tristemente inanimata. 
Per qualche strana e buffa ragione, Louis sembrava possedere piena coscienza della posizione di Harry, ma questo al contrario, non riusciva mai a trovarlo. 
Era nata, nel minore, la soave consapevolezza di avere qualcuno che vegliava distrattamente su di lui. Non erano gesti particolarmente invasivi, e nemmeno salvataggi estremi, ma quelle piccole perle d’attenzione che rendevano situazioni critiche più vivibili.
Quando poteva concedersi un secondo di riflessione, Harry amava far divagare la propria mente sull’immagine di Louis. Nella sua testa acquistava fattezze sempre più perfette, occhi sempre più lucidi, e sentimenti sempre più profondi. La sua proiezione divina era piuttosto scostante dal personaggio che Harry aveva sorpreso ricoperto del sangue del tributo del distretto nove, ma era un risvolto buio e oscuro che presto sarebbe sparito. 
Tutto sarebbe sparito presto, ed in questa triste consapevolezza, entrambi sembravano combattere per un istante da spendere assieme. 
Louis, invece, immaginava la sua vita fuori dall‘arena. Non pensava di vincere,ma semplicemente di svegliarsi un giorno in un mondo parallelo. Riuscire ad uscire vivo dal gioco implicava uccidere Harry, o uccidere la ragazzina bionda che ogni giorno si addormentava tra le sue braccia. Sarebbe semplicemente arrivato qualcuno a salvarli tutti, e nel peggiore dei casi avrebbe protetto la vita delle persone che amava mettendo fine alla propria.
Alla fine di ogni estenuante giornata, l’inno incominciava a suonare, nel cielo venivano proiettate le immagini dei tributi morti, ed Harry e Louis cantavano sopra quella melodia. Una forza attizzava il fuoco nelle loro menti, un vento dissipava le loro paure, un legame li stringeva nello stesso triste destino. Ognuno accucciato nel proprio dolore restava con gli occhi verso le stelle, a intonare una lieve preghiera per tutte le giovani vite spezzate.
Il quarto giorno, però, non venne suonata alcuna melodia.
La voce plastica e nasale di Simon Cowell, il presentatore degli Hunger Games, iniziò a diffondersi per tutta l’arena, scaricando una pesante dose di adrenalina nel corpo di ogni concorrente rimasto in vita.
“Muore la figlia della rivolta del distretto otto: Charlotte Tomlinson. Visto le grandiose imprese che aveva condotto con la sua famiglia, il suo cadavere rimarrà nella cornucopia fino alla fine dei giochi. Tributi, avete tutto il diritto di rubarle l’equipaggiamento.”
Harry riconobbe il viso ritratto in foto. Riconobbe le guance pronunciate, i grandi occhi azzurri, i capelli biondi raccolti in due trecce, le cicatrici sul collo ed uno strano sorriso strafottente ed altezzoso sul volto. 
Il nome gli risuonò nella testa diverse volte, prima di poter essere collocato in un preciso avvenimento passato.
 
Ricordava di essere seduto sulla sedia sotto la finestra della cucina mentre Anne, sua madre, gli stava cucinando una zuppa abbondante di erbe aromatiche per compensare la mancanza di carne. Avevano comprato una radio con i risparmi di cinque anni, le trasmissioni erano tutte controllate da Capitol city, ma le pubblicità delle parrucche fluorescenti riuscivano sempre a strappare qualche risata nei pomeriggi più bui. Gemma, la sorella maggiore, aveva appena attizzato il fuoco nel buco del muro chiamato per grande gentilezza “camino” e stava ripulendo parte dei suoi abiti con un sapone naturale comprato a basso prezzo. Tra i rumori della casa, la radio aveva trasmesso un annuncio preceduto da una sequenza di musiche drammatiche: una scintilla di rivolta. 
Il padre della famiglia Tomlinson era stato arrestato e ucciso per il possesso non autorizzato di armi in casa e discorsi assai esuberanti per un uomo sottomesso. Il servizio terminava con una frase d’effetto sul distretto 13, sul bisogno di sottostare alle regole, e l’immancabile potenza di Capitol city. Nessuno aveva parlato della moglie o dei figli, ma il loro destino era chiaro a tutti. 
Anne aveva coperto le orecchie di Harry, mentre il ragazzo riusciva a percepire l’odore di Timo scorrergli sulla pelle, gli aveva sussurrato “Spegni quella porcheria e vieni a mangiare.” 
Ed Harry aveva spento la radio ed aveva mangiato, mentre Louis e Charlotte, a due distretti di distanza, erano distesi sul pavimento di una cella, con delle corde attorno ai polsi, e delle cinghie che percuotevano ripetutamente le loro schiene nude.
 
La consapevolezza crebbe in Harry talmente velocemente che prima di accorgersene stava già correndo. Ogni fibra del suo corpo sentiva il bisogno di trovare Louis e dirgli “sono qui”. 
Poteva sembrare un pensiero piuttosto egocentrico, e forse sciocco, ma il semplice fatto di avere qualcuno da salvare avrebbe dissipato la nausea causata dall’idea del corpo di Lottie in decomposizione davanti agli occhi di tutti. 
Cercò Louis fino a quando i muscoli delle gambe iniziarono ad intorpidirsi per il troppo sforzo. Allora lo chiamò, due, tre, cinque volte, sperando di sentire una flebile risposta: ma non accadde nulla. Più passava il tempo, più vedeva la vita di Louis sfuggirgli dalle mani. Si chiese se i loro battiti del cuore continuassero a suonare all’unisono o se il tuono del cannone il lontananza avesse appena dichiarato la morte del maggiore. 
Si allontanò dalla cornucopia il più possibile, percorrendo i colli ricoperti da lieve vegetazione e almeno cinque centimetri di fuliggine. Il silenzio era talmente profondo da sembrare quasi surreale, tutti i concorrenti dovevano stare lottando per le provviste nello zainetto di Lottie, e nessuno era talmente disperato da nascondersi sulle montagne.
Finché un urlo non tagliò l’aria, ed Harry seguì quel suono con la maggiore attenzione possibile.
La cosa bizzarra è che a quell’urlo ne seguì un altro, perfettamente identico. Dopo il secondo ce ne fu un terzo, con la stessa increspatura nella nota più alta. Al quarto Harry riusciva ad anticipare l’inspirazione prodotta dalla voce prima dello strillo.
Localizzò quel suono e vide Louis, seduto per terra, che fissava il vuoto.  

Le lacrime non gli stavano semplicemente solcando le guance, gli avevano impregnato tutto il colletto della tuta, senza considerare le evidenti macchie di sangue che gli impiastricciavano il viso. 
Quando il quinto urlo risuonò nello sprazzo di terra bruciata, mentre Harry cercava disperatamente l’origine di quel rumore, Louis allungò una mano in avanti, accarezzò l’aria con particolare premura e sillabò delle scuse.
Nonostante Harry non vedesse niente, fu facilmente intuibile cosa si stesse proiettando davanti agli occhi di Louis. L’omicidio di sua sorella riprodotto sotto forma di allucinazione, con tanto di effetti sonori inclusi, da qualsiasi prospettiva possibile.
Louis si accasciò per terra con la stessa leggiadria di un uccellino che cade dal nido. Il suo corpo era violentato da rapidi spasmi di dolore, che gli facevano incurvare la schiena e trattenere il fiato. Poteva uccidere il dolore psicologico? Poteva trasformare una splendida creatura dai lineamenti altezzosi, in un involucro senza contenuto? Quante possibilità c’erano che le tiepide manine di Harry avrebbero potuto calmare quel pianto lacerante, semplicemente sfiorando le tempie di Louis? 
Nonostante le percentuali non fossero a suo favore, Harry si inginocchiò accanto al corpo del ragazzo che aveva sognato negli ultimi quattro giorni. 
Sesto urlo. Louis aveva iniziato a massacrarsi gli occhi cercando di scarnificare quelle visioni dalla sua testa. Il più piccolo si limitò a accarezzare lentamente il profilo delle vertebre che si intravedevano da sotto la maglia. Sussultarono entrambi. 
Gli urli finirono e Harry si ritrovò a rivestire Louis della propria presenza, scoprendo quasi inavvertitamente la facilità con cui la sua figura cedeva se gli baciavi i polsi. Rimase a sfiorarlo fino allo schiarire del cielo, quando le sue palpebre per il troppo piangere avevano acquistato delle sfumature azzurrignole. I loro corpi avevano raggiunto una complementarità perfetta, la fronte di Harry incastonata sull’incavo della spalla di Louis, il braccio attorno ai fianchi, i riccioli disposti disordinatamente sulle guance. Non sciolsero quell’intreccio nemmeno quando sentirono dei passi poco distanti, convinti che il destino così incredibilmente crudele nei loro confronti li avrebbe protetti.
Quando Louis, esausto, inserì le mani tremanti nelle maniche della maglia di Harry, aggrappandosi non solo psicologicamente ma anche fisicamente a quello sconosciuto e schiuse le sue labbra, addormentandosi contro il caldo terreno arido, il minore lo baciò per tutta l’alba. 
Si concessero quell’ultimo sonno disperato. Si concessero l’ideale di poter vivere uno tra le braccia dell’altro per sempre, ignorando gli archi e i pugnali che gravavano sulle spalle di entrambi.





Il @thegays mi fa tornare su efp. 
Probabilmente ciò fa parte della fine del mondo.

Non mi spreco in grandi commenti: è il mio primissimo cross-over e si vede.
Non scrivo da mesi interi e si vede.
Mi lancio sempre più sull'angst e si vede.

Ma detto questo, mi sono divertita tantissimo a scrivere una larry/hunger games, quindi ringrazio Pia per l'ispirazione favolosa che mi ha dato.
(Nonostante abbia seguito il prompt solo parzialmente. I'm sorry, i'm really sorry).

Buon Natale e ciao.
Non ho più voglia di scrivere.
  
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