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Autore: Dira_    25/12/2012    11 recensioni
Ogni Natale si declina in modo diverso, ma credete a Thomas, Sören e Scorpius ... mai al singolare.
(Che ti piaccia o meno.)
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Chestnuts Roasting on an Open Fire
(Al/Tom)
 
24 Dicembre 2024
Inghilterra, Londra, Diagon Alley.

 
Tom non è mai stato amante del Natale.
Ci sei abituato, naturalmente; il tuo ragazzo, l’amore della tua vita, non è tipo che possa gioire assieme alla massa, specialmente quando si accalca attorno a lui per felicitazioni e scambi di regali.
Quest’anno però è peggio del solito.
Mancano pochi giorni al cenone pantagruelico alla Tana e tu non vedi l’ora. Hai addobbato l’appartamento in cui vivete da pochi mesi, ogni sera attizzi il camino, indossi maglioni che sono un tripudio di renne e fiocchi di neve e intoni una vasta selezione di canzoni natalizie a beneficio di qualsiasi essere vivente e non.
È Natale, che altro si suppone tu debba fare?
È il primo Natale fuori da Hogwarts oltretutto, e la faccenda ti sbalestra ancora un po’, quindi trovi del tutto legittimo fare del tuo meglio per non aver nostalgia delle decorazioni della Sala Grande e della torma di persone con cui trascorrevi di solito questo periodo dell’anno.

Tom non è dello stesso avviso; non apre bocca da giorni e si trascina per la casa come se volesse farla saltare dalla fondamenta.
Qualcosa lo turba, intuisci, ma sai per esperienza che premere per farti spiegare il perché otterrebbe l’effetto opposto, ovvero quello di farlo chiudere ancora di più in se stesso.
Sì, è possibile.
Passi quindi molto tempo fuori casa, festeggi e fai compere natalizie con Rosie, ceni spesso alla Tana per aiutare nonna Molly a definire il menù e intraprendi un energico scambio di Gufi con Lily per riportarla a casa almeno la sera della Vigilia – dato ha deciso di passare tutte le sue vacanze natalizie in Spagna con personaggi non ben identificati.
Sai che non è colpa tua; lo sai perché ogni notte ti scivola a fianco, gelato come un dannato pupazzo di neve, e ti stringe in un abbraccio serrato, scomodo e un po’ disperato. È il suo modo per chiedere scusa per la giornata, per i suoi malumori e per il tarlo che gli arrovella il cervello e di cui no, non vuole ancora parlare. Ogni notte gli passi le dita trai capelli, gli baci le labbra fredde e fai l’amore con lui finché non torna di nuovo un essere umano con una temperatura corporea normale. Poi lo guardi dormire e pensi che lo ami anche se è un cretino disadattato.
Hai indagato naturalmente; paziente e comprensivo sì, idiota e sprovveduto mai. L’hai anche pedinato e alla fine hai avuto le tue risposte.
Non ti sono piaciute.  
Tom non va al lavoro dallo stesso lasso di tempo in cui ha cominciato ad incupirsi; e sai quanto ami il suo lavoro dato che consiste nel fare le cose che gli piacciono di più al mondo, ovvero sviscerare un argomento sconosciuto e ostico ai più, rintanarsi in un posto scuro e avere il minimo contatto umano possibile.
Tom sta studiando per diventare fabbricante di bacchette dall’unico artigiano ancora presente in Inghilterra, Rupert Stevens.
O starebbe studiando?

Non riesci a capire cosa possa essere accaduto per fargli abbandonare l’idea dato che Stevens, mesi fa, quando ha ricevuto la sua candidatura – o meglio, la sua brusca richiesta di apprendistato - si è dimostrato assolutamente deliziato all’idea di averlo con sé.  
Supponi un litigio, uno screzio, ma è assurdo; Tom per quanto sia insofferente all’autorità costituita non è ostile ad un cervello che considera pari o superiore al suo. La riprova è il fatto che per quanto sia stato spesso stato in contrasto con tuo padre alla fine gli abbia sempre dato retta – molto più di te o dei tuoi fratelli messi assieme.
(Specialmente Lily.)
Stima Stevens, di una stima che quasi sconfina nell’adorazione che si ha per un mentore; non che te l’abbia mai detto, ma l’hai intuito dalle conversazioni in cui li hai colti più volte. Fitte, criptiche e soddisfacenti a giudicare dall’espressione accesa di entusiasmo di Tom.
No, non possono aver litigato … Per litigare con Tom bisogna non capirlo, e credo che Rupert stranamente lo sappia fare.
 
Quindi, per farla breve, hai intuito chi è il motivo del suo malumore, ma non sai come porvi rimedio.
Potresti chiedere all’artigiano, certo. Ma qualcosa ti dice che se usassi vie traverse il tuo coinquilino lo scoprirebbe e non ne sarebbe entusiasta.
E poi sai che feste del cavolo che passerei.
 
Passano così settimane e giorni, ma poi arriva la mattina della Vigilia e quando vai in cucina per preparare la colazione lo trovi a fissare con espressione vuota la neve vorticare impazzita fuori dalla finestra. Il the che si è preparato giace freddo e imbevuto sul tavolo e Cagliostro miagola impazzito, cercando cibo contro le tue gambe.
Okay, adesso basta.
“Tom.” Dici con la pazienza che ormai assomiglia ad un filo teso. “Ne dobbiamo parlare.”
Distoglie lo sguardo dalla contemplazione del suo nulla personale – e il suo nulla non ha l’aspetto soffice della neve, ma è qualcosa di scuro, e che non ti è mai piaciuto -  e fa un sorrisetto. “Mi chiedevo quanto ci avresti messo.”
“Sono settimane che sembri un Infero.” Ribatti gettando il the freddo nel lavello e mettendo il bollitore per una nuova, doverosa dose. “Ed è Natale.”
“Domani è Natale.”
“Sai cosa intendo.”

Si morde un labbro e riporta lo sguardo alla finestra. “Non me lo merito.” Attesta con il tono di chi sta scegliendo quale liquore portare stasera in dono a nonna Molly.
“Non ti meriti cosa?”
“Tutto questo.” Il fatto che ne stiate finalmente parlando è positivo, ma le ombre che avviluppano i suoi lineamenti un po’ meno. Versi i croccantini nella ciotola di Cagliostro e ti avvicini a lui. Ti accovacci e  quando capisci che non uscirà altro dalla sua bocca gli premi le mani sulle ginocchia, stringendo le dita su quelle sporgenze tanto ossute da far tenerezza.
“Va bene che un esame di coscienza per Babbo Natale è doveroso, ma non credi di esagerare?” Ironizzi, ma quando lo senti irrigidirsi capisci di aver sbagliato tono. “Okay, se non me ne parli non posso capire. Non sono nella tua testa.”
“Meglio per te.” Sibila cercando di alzarsi. Lo mantieni fermo e pianti gli occhi nei suoi. Sai che non distoglierà lo sguardo. Per fortuna, non è ancora così grave. “Al…”
“Non ti alzi finché non mi dici cosa passa in quella tua zucca problematica.” E non è una sparata, è esattamente ciò che succederà e già pensi all’Incantesimo di Pastoia che puoi usare quando finalmente, parla.

“È colpa mia se Stevens non ha altro che le sue bacchette per Natale. Per tutte le feste in realtà … è colpa mia, se è solo e se ha bisogno del braccio di qualcuno per uscire fuori dal laboratorio.”  
Capisci. Di colpo capisci e senti come se qualcuno ti avesse appena tirato uno schiaffo violento in faccia; Tom non si riferisce ovviamente al se stesso che hai di fronte, quel complicato spilungone dal cuore buono e forte.  
Tom parla dell’altro.
“Non è cieco dalla nascita?” Dici molto lentamente, facendo scivolare le dita tra le sue, gelide come neve appena caduta. Jack Frost, ti viene da pensare, e vorresti solo stringerlo forte a te.
“No.” Si scioglie dalla tua presa e si alza, dato che ha assolto al suo compito di vuotare il sacco. “Ha perso la vista durante la guerra … e così la sua famiglia. Stevens è il cognome della madre, Ollivander quello del padre. Non era solo l’allievo di Garrick Ollivander … era suo figlio. Viveva con la famiglia dove adesso c’è il negozio di Brooke.” Non  ti dà tempo di ribattere mentre ti rovescia addosso quello che probabilmente ha ascoltato dall’artigiano. Non hai la minima idea di cosa possa aver provato in quei momenti, ma adesso capisci perché ha reagito scappando.
“Ollivander però è sopravvissuto alla guerra…” Tenti. “Voglio dire, papà mi ha raccontato…”
“Di un paio d’anni. Poi è morto.”

“Era anziano…”
“Non lo erano la moglie e il figlio.”
In questi momenti ti sembra di combattere contro una valanga e pensi che per quanto lo ami, non riuscirai mai a fermare il gelo che gli avvolge il cuore, perché il passato non è qualcosa che puoi cancellare, neppure con la più potente delle magie. Sta lì, e a volte sembra invadere Thomas con una brutta e orribile febbre.

C’è cura?
“Per questo non vuoi andare più da lui?” Una smorfia di consapevolezza ti fa capire che sapeva che lo stavi pedinando. È sempre stato troppo paranoico e tu troppo maldestro. “Tom, quelle cose tu non le hai…”
Le ho fatte.” Ribatte tendendo il corpo come un arco pronto a scoccare. “In un’altra vita, è vero, ma le ho fatte. Le azioni di Voldemort hanno portato alla morte di tante persone. Quindi con che faccia posso presentarmi da lui? Con che faccia posso festeggiare con…” Si blocca e distoglie lo sguardo.

… con voi, che quelle persone le avete protette?
Non dev’essere la prima volta che Tom fa questo genere di pensieri, realizzi. Solo, probabilmente, la crudeltà di Voldemort non gli è mai stata sbattuta addosso così violentemente. In maniera così personale; Tom si è affezionato all’artigiano, e sapere che la guerra gli ha portato via la vista e gli affetti…
“Puoi farlo.” Dici lentamente, cercando di trovare le parole giuste, perché queste non puoi proprio sbagliarle.  “Puoi farlo con la faccia con cui non hai ceduto ai piani di John Doe, con la faccia con cui hai avuto la possibilità di fare del male e non l’hai fatto. Con la faccia con cui vivi tutti i giorni.” C’è la neve fuori, e indossi uno stupido maglione pieno di renne. C’è la pace fuori, e vuoi solo che Tom la senta anche dentro.

Sono un po’ impegnativo con le richieste natalizie quest’anno, eh?
Ma del resto non puoi far altro, quando la persona che si sveglia accanto a te ogni mattina ti chiede aiuto per tornare sé stesso.
“Io sono un egoista.” Sospiri. “Non ero ancora nato quando sono successe quelle cose, e i miei ricordi iniziano da quando ci sei tu. Non prima, non dopo. Non mi interessa se non te lo sei meritato … Te lo stai meritando adesso. Per me conta questo. Dovrebbe anche per te.”
Tom non dice niente, ma la linea delle labbra si fa meno pallida e anche gli occhi smettono di sembrare freddi come il dannato Oceano Atlantico. “Io …” Mormora così piano che sembra un bambino. “… io voglio continuare a lavorare con Stevens.”
“Nessuno te lo sta impedendo, mi sembra.” Gli fai notare, perché hai come la vaga idea che non ci arriverebbe da solo. “Tra l’altro, Rupert si starà chiedendo dove sei finito.”
“Ho dato le dimissioni.”

“Straccerà qualsiasi lettera tu gli abbia mandato se glielo chiedi. Scrivigli.” Gli intimi prendendolo per mano e portandolo alla scrivania ingombra di libri e pergamene del salotto. La usate in due, e ti diverte vedere come ogni volta Tom cominci a brontolare se vede un solo particolare fuori posto di un millimetro. “Scrivigli e digli che sei stato un idiota o qualcosa del genere.” Ti sovviene un pensiero. “E invitalo alla Tana.”
Ti scocca un’occhiata perplessa. “Al cenone?” Indovina. “Non credo sia…”
“Nessuno dovrebbe rimanere solo alla Vigilia.” Sorridi perché se uno di voi non lo fa, il Natale non riprenderà a scorrere come deve. “E una persona in più non scombinerà certo i piani della nonna, anzi. Sai che più gente c’è, più è contenta!”

“Purtroppo.” Borbotta come dovrebbe borbottare, e non come una persona che ha qualcosa da nascondere. Finalmente. Cerchi di non far sì che lacrime ti pizzichino gli occhi e fallisci da come vedi lo sguardo di Tom addolcirsi.
Sì, lo fa e sì, addolcire è il termine corretto.
“Ti amo.” Stacca le parole con cura, e le culla sulle labbra, quasi. Sai che è un immagine stucchevole, ma non c’è verso, è così che Tom te lo dice ogni volta. Come se fosse qualcosa di prezioso.
E lo è.
 
“Ricordati che mi ami.”
Glielo dici quando lo vedi perso nella vuota contemplazione del maglione che gli hai regalato e hai voluto che indossasse stasera. Il fatto che appena Lily lo abbia visto sia scoppiata in una risata maniacale non ha aiutato, né hanno alleggerito l’atmosfera gli sfottò a nastro continuo che James gli ha elargito durante la cena.  

“In questo momento no.” Sibila fissando lugubre la propria tazza colma di eggnog. “In questo momento provo tutto fuorché amore.”
“Esagerato!”  

Siete in sala da pranzo, perché hai preferito tenerlo lì che farlo transumare assieme agli altri appena finita la cena; dal rumore che si sente dal salotto capisci che stanno scoppiando crackers natalizi di zio George.
Meglio tenerlo qui ancora per un po’.
Gli accarezzi una gamba coperta dai jeans neri che ha detto di aver indossato per smorzare l’Orrore – anche se non capisci cosa ci sia di tanto orrendo in un rispettabilissimo maglione blu con dei pupazzi di neve – e ti sporgi per assicurargli una lunga lista di turpitudini con cui lo ricompenserai stanotte. Lo vedi sorridere da vero maniaco con la coda dell’occhio prima che tuo padre entri nella stanza. 
“Non venite in salotto?” Chiede aggiustandosi gli occhiali sul naso con l’aria più appagata del mondo nonostante il suo ingresso sia seguito da una cometa luminosa che va a schiantarsi contro la credenza. A volte ti chiedi quanto abbia capito di voi e quanto finga invece di non aver notato.
Tutto, pensi. Tuo padre è un auror, ma soprattutto, ama vivere con serenità tutto ciò che esula dal suo desiderio d’azione. Ricordi ancora la tranquillità con cui ha accolto la notizia della vostra convivenza e di come abbia finto di ignorare il ghigno saputo di tua madre.
Ha capito, realizzi ogni volta che vi sorprende vicini: ha capito completamente il rapporto che c’è tra di voi e anche se non si spinge ad indagare tutte le sue declinazioni, sa che non potrete mai essere separati da nessuno. Neanche e soprattutto da una ragazza.
“Il Signor Misantropia sta cercando di smaltire il sovraccarico di socialità qui.” Scherzi. “Possiamo andare?” Gli chiedi e lo vedi annuire con una riluttanza che vi fa ridere.
Arrivati alla porta del salotto Tom guarda le persone che vi sono stipate. Il vostro clan adesso comprende una famiglia Babbana che ha odiato per anni la magia, un folletto tedesco e la sua burbera nonna e per finire un fabbricante di bacchette che sorride come se lo spirito del Natale gli si fosse seduto accanto.
“Siamo sicuri che la casa non crolli?” Borbotta insofferente il tuo asociale preferito. “Dall’odore sembra che qualcosa stia andando a fuoco. C’è troppa gente.”
Tuo padre lo guarda e poi gli stringe la spalla con una strana forza affettuosa. Ti chiedi allora se Tom non gli abbia accennato qualcosa di quel che è successo ieri.
“E chi pensi che abbia riunito qui tutte queste persone Tom?” Gli dice e sì, decisamente ci ha parlato.

 “La tua famiglia, Cordula, Meike e il Signor Stevens…” Snocciola quei nomi e sembrano tante piccole solitudini che non sono più tali. “Sono tutti tuoi invitati.” Gli arruffa i capelli e dev’essere davvero sbalordito se non reagisce neanche.  “Sei stato tu.”
L’espressione del tuo ragazzo meriterebbe di essere incorniciata ad eterno monito che il Natale non serve soltanto a strafogarsi di dolci e cantare carole. Fa un sospiro, seguendo la schiena di tuo padre, ma prima si volta per prenderti brevemente la mano e stringertela. Ricambi la stretta.
“Comunque questo maglione fa schifo.” Dice, e non puoi fare a meno di metterti a ridere.

 
*
 
Stille Nacht
(Milo, Sören)
 
24 Dicembre 2025
America, Boston, North End

Milo non era nato Milo. Ad esser onesti era nato due volte.

Quando si aveva una consapevolezza simile, l’esistenza prendeva tutta una prospettiva diversa.
Prima di tutto, se eri nato due volte, voleva dire che la prima non era andata tanto bene.
A detta sua, se gli veniva chiesto, commentava che era andata una gran merda, ma si stava ingegnando per far andar meglio la seconda.
Stava andando bene; aveva cambiato aria, trovato un lavoro semplice, un superbo tetto sopra la testa e non molti grattacapi.
In realtà ne aveva uno solo: Sören Von Hohenheim, o Prince, come diavolo si faceva chiamare adesso.
Il suo attuale datore di lavoro era il tipo più improbabile del mondo; nipote d’arte di uno degli stregoni più psicopatici del pianeta dopo il britannico Lord Voldemort, era stato scagionato da accuse che metà si meritava e metà no, passando da una buia prigione nel profondo nord dell’Europa alla piovosa città di Boston, sotto la protezione del Ministero americano, interessato a studiarlo come esperimento sociale o roba del genere.
Se l’America voleva farne un caso riuscito di riscatto-di-mago-senza-speranza, chi era lui per giudicare?
(Un Magonò. Ergo, nessuno.)

Tra l’altro gli andava benissimo. Per via di quella faccenda di riscatto e redenzione, il principino si faceva vedere poco o niente, e le rare volte in cui era costretto a lasciare l’Accademia di Polizia Magica Americana si rinchiudeva nella sua stanza o al massimo usciva per lunghe passeggiate solitarie. Non era un tipo conviviale. Non che avesse investigato granché: i loro rapporti si limitavano al professionale.
Ovvero io gli faccio da balia e lui si comporta come un mago leggermente meno stronzo della media.
Comunque, per tornare al discorso, Prince sarebbe rimasto in caserma per tutte le feste e lui aveva un loft a sua completa disposizione.
Ah!
Così Milo ragionava, canticchiando vecchi successi natalizi e girando tra una folla di completi e sexy sconosciuti che ingurgitavano cocktail e gli ammiccavano ammiccanti; impersonare il ricco studentello europeo con troppi soldi da spendere e poco sale in zucca  era stata una buona pensata.
Bevete, ballate e fatevi scopare, grazie.
What a bright time, it's the right time to rock the night away…Canticchiava in perfetta armonia con il resto del mondo.
Poi il campanello trillò.
Milo rimase perplesso, considerando che la porta era aperta e in quel genere di feste Babbane il codice sociale era semplicemente spingere ed entrare.
Chi è tanto coglione da attendere fuori quand’è palese che non ce n’è bisogno?
 Un’orribile presentimento gli trafisse la nuca come uno stiletto. Passò quindi lo spinello al primo tipo che incontrò sulla sua strada ed andò a controllare.
Oh, merda.
Il presentimento era giusto; di fronte alla porta, armato di sacca militare e cipiglio stava il suo datore di lavoro, coinquilino e al momento piaga personale.
“Che sta succedendo?” Lo apostrofò con calma surreale considerando l’inferno vociante alle sue spalle.
Milo ripiegò su un atteggiamento remissivo. “Sta succedendo una festa. Sai, quell’evento sociale dove ci sono delle persone, da bere e musica…”
“Perché sta succedendo a casa mia?”

Giusta obiezione.
Milo si richiuse la porta alle spalle, attutendo il muggito della musica mischiata alle chiacchiere umane. “Okay, è vero, ho pisciato fuori dal vaso.” Ammise. “Ma tu non c’eri e mi avevi detto che non saresti tornato!” Fece una pausa, racimolando disperatamente scuse senza trovarne.  “Non mi hai mai detto che non potevo organizzare feste!” Chiuse un po’ pateticamente.
“Non pensavo ce ne fosse bisogno.”
Perché sei tornato?” Ritorse ignorando la frase precedente. “Non che non vada bene, è casa tua, ma cosa ti ha fatto cambiare piani?”
Quella serie di domande spiazzò l’altro dall’occhiata imbarazza che gli venne lanciata. “Il Capitano Gillespie.” Borbottò come un bambino recalcitrante, perché tale sembrava. Tra quello e il taglio da recluta sembrava più giovane di una consistente manciata d’anni.

“Che c’entra Nora?” Si appoggiò alla porta dell’appartamento sentendola vibrare dei bassi dell’impianto stereo ultimo modello che gli aveva fatto comprare non appena si erano trasferiti.
“Mi ha dato ad intendere che avrebbe preferito sapermi a casa per le vacanze di Natale.”
“Ma scusa, là non organizzavano niente?”
Gli venne scoccata un’occhiata perplessa. “Gli altri allievi sono tornati tutti dalle loro famiglie, ovviamente. È Natale.”

Milo batté le palpebre, mentre la consapevolezza gli strisciava dentro come un serpentello dispettoso.
“Mi vuoi dire che eri rimasto da solo?”
“Sì.”
Eccerto. E non lo fa per farsi compatire. Lo dice e basta. Sono solo.

Argh!
“Allora che ci facevi ancora lì?”
Lo guardò incolore, prima di passare la sacca da una spalla ad un’altra. “Sarei stato solo anche a casa.”
Milo si trovò nella scomodissima posizione di empatizzare. Dietro la facciata espressiva quanto un muro dell’altro lui poteva leggere. Vi leggeva talmente tanta solitudine che improvvisamente sentì che la gente alle loro spalle era ridicola ed inadatta, come era ridicola la musica e le tonnellate di alcool di cui si era circondato.

Siamo soli in due principino.
Non era una cosa che avrebbe mai ammesso però. Ammetterlo l’avrebbe reso vero. Piuttosto sbuffò. “Vuoi che li mandi via?” Dopotutto era pagato per obbedire, rifletté con un’incomprensibile punta di amarezza. Non poteva obbligare Prince a sopportare una mandria di ragazzi-arcobaleno assetata di cocktail e di pisello.
“No.” Lo fermò scuotendo la testa. “Sono stati invitati dopotutto. Continua pure la festa, io andrò in camera mia.”
“… Credo che qualcuno ci si stia dando da fare.” Fece una pausa oculata. “Non mi ammazzare. O licenziare.”  

L’altro gli rivolse un’occhiata di fuoco e per un momento Milo pensò che sarebbe davvero finito a volare fuori dalla finestra. Poi fece un profondissimo sospiro. “Sei un idiota.” Stabilì.
Beh.  
“Non mi licenzi quindi?”
La risposta fu lasciarlo senza risposta e marciare dentro impettito come il cavolo di soldatino che era.  

Anche se dallo sguardo mi sembra di aver intravisto un ‘vaffanculo’…
 
Si sentiva un po’ in colpa. Solo un poco naturalmente.
Milo buttò giù un whisky osservando con blando divertimento Sören cambiare l’ennesima sedia quando un ragazzo si portò troppo esplicitamente vicino a lui; il fatto che fosse snello, ma compatto e con un viso abbastanza regolare attirava, e l’aria torva che aveva approntato, era brutto a dirsi, ma faceva solo venir voglia di provarci con più insistenza.
Quelli come noi lo capisco lontano un chilometro quando uno mette su l’aria da duro ma sotto sotto è un tenerone. Povero principino.
Si chiese oziosamente perché non ci avesse mai provato, al di là dell’ovvio rapporto lavorativo che non voleva mandare a puttane e al fatto che l’altro sembrasse piuttosto etero.
Mah, che poi son tutti etero prima che tu gli metta le mani addosso.
Non era quello il punto, rifletté, accettando con un sorriso un tiro di spinello da un indiano dalle lunghe ciglia languide.
Non ci ho mai provato perché ha una specie di aria irraggiungibile da … da devoto. Come un cazzo di prete. No, come un crociato. Sì, come quei cavalieri che giuravano sulla croce!
Chissà a cosa o
a chi è devoto.

La realtà era che più che provarci, sentiva il desiderio di conoscerlo un po’ più seriamente, quel suo nuovo padrone; a svariati mesi dalla sua liberazione e dalla loro conseguente convivenza – Sören ha bisogno di qualcuno che si occupi di lui, Milo - voleva capire se avesse fatto bene a seguire l’istinto.
Finanziariamente di sicuro. Ma umanamente?
Quando dopo l’ennesimo approccio da un tizio seminudo lo vide fuggire in balcone, Milo Meinster capì che era ora di riprendere a fare il suo lavoro. Il suo vero lavoro.
La babysitter.
Lo raggiunse, richiudendosi prudentemente la porta alle spalle. Fuori c’era aria di neve, ma il mago sembrava non patirne a giudicare da come fumava tranquillamente appoggiato al corrimano pieno di ghiaccio.  “Non hai freddo?” Gli chiese.
Non si voltò neppure, limitandosi a scuotere la testa. “La mia temperatura corporea è più alta della media.”
“Per via del…”
“… del braccio, sì.” Confermò espirando fumo in una spessa condensa biancastra. “Non ho mai avuto freddo … quasi mai.” Aggiunse e anche senza vederlo in viso intuì che era teso.

Scommetto è sottointeso Nurmengard qui.
“Tra poco è mezzanotte, facciamo quattro passi.” Propose sentendosi estemporaneo ma neppure troppo. Era ovvio che l’altro non avesse voglia di stare nell’appartamento e non poteva biasimarlo data l’orgia che vi si stava consumando; decisamente non era natalizia e per chi era solo come un cane e non interessato agli uomini, doveva essere anche un bel po’ deprimente.  
Sören – era decisamente un nome perfetto per uno come lui, rifletté. Aspro e breve, ma con una punta inaspettatamente armonica che lo mitigava alla fine – lo fissò perplesso. “Quattro passi dove?”
Si strinse nelle spalle. “Non lo so… in centro? Sono ubriaco fradicio e vorrei sgranchirmi le gambe.”

“Perché non chiedi ad uno dei tuoi invitati di accompagnarti?” Lo freddò, riprendendo a fumare e guardare il fiume gelato di fronte a loro.
Milo fece una smorfia, ma accettò la frecciatina. “Perché non ne conosco manco uno. È tutta gente che conosco …  per modo di dire. Biblicamente. Vorrei evitare di finire scopato in un vicolo, fa troppo freddo, ma non è che sia in grado di oppormi al momento.”  
Vide l’ombra di un sorriso ironico affacciarsi sulla piega del viso dell’altro. “Sei un immorale, Milo Meinster.”
Mi scordo sempre che sa essere ironico. Certo, non si capisce mica da quanto parla poco…
Ghignò in risposta. “Andiamo, sii misericordioso. Per una sera potremo scambiarci i ruoli, no?”
Parve rifletterci per un attimo, poi in completa ed esilarante serietà annuì. “Va bene.” Gli fece cenno in direzione della porta-finestra. “Vogliamo andare?”
 
Il principino stava facendo un lavoro di merda nel fargli da balia, ma del resto non doveva stupirsi dato che normalmente era a malapena capace di badare a sé stesso.
Dannati purosangue incapaci…  
Milo appoggiò la fronte alla superficie fredda di un muro, lasciando che la nausea si rintanasse in una porzione piccolissima dello stomaco.
E dannazione anche a me.
“Cos’hai?” Chiese la voce piena di perplessità di quest’ultimo.
“Sono sbronzo.” Mugugnò cercando suo malgrado di trattenere una risata. “Mai successo?”
“No.” Ci fu una pensosa pausa alle sue spalle. “Perdere il controllo di me in questo modo non mi è mai stato permesso.”
“Immaginavo. Soldatino del cazzo…”
“Prego?”
“Sono obnubilato dall’alcool.” Usò la sua stessa scelta di vocaboli pomposa. Non che non sapesse usarne, quando voleva. “Non  ho controllo di ciò che dico.” Ridacchiò quando lo sentì sospirare. “Dico sul serio, e inoltre sono strafatto.”
“Perché ti riduci così?”
“Perché mi piace.” Tagliò corto raddrizzandosi e cercando di non far oscillare il mondo nel contempo; l’aria fredda gli colpì il viso e le narici come uno schiaffo e gli schiarì un po’ la vista. Non stava ancora nevicando, ma qualche fiocco solitario vorticava nel cielo pieno di luminarie e insegne. 
Non era una brutta vista, il downtown di Boston. Diverso dall’atmosfera calda e antica di Lubecca, per certi versi più asettico e terribilmente Babbano, ma piacevole.

Però fa un freddo schifoso. Come a Lubecca. Ah, aria di casa.
“Dove siamo?”
“Boylston Street, all’altezza di Copley Square.” Gli venne comunicato con la precisione di una mappa. “Siamo in centro, come hai chiesto.”
“Grandioso.” Mugugnò cercando disperatamente una sigaretta nelle tasche della giacca. Era una bella giacca, di quelle americane con il collo di pelliccia e tutto il resto, ma a volte si trovava a rimpiangere il caldo mantello della sua infanzia.

A volte. Tipo adesso che mi sto congelando il culo.
Riuscì a trovarne una, schiacciate e con fili di tabacco che spuntavano un po’ ovunque.
Tho, mi somiglia.
La sbronza triste era un fenomeno che cercava sempre di evitare, ma lì, in mezzo alle luminarie di Natale e gente che festeggiava aspettando Mezzanotte, se la sentiva addosso come una specie di brutto presagio di morte.
Eccheccazzo.
“Dì qualcosa principino.” Lo spronò continuando nella disperata ricerca di un accendino. Se solo fosse stato un mago gli sarebbe bastato una frasetta e agitare un po’ la bacchetta. “Avanti, cerca di contribuire alla conversazione, che io al momento riesco solo a vomitarmi sulle scarpe.”
Se solo… se solo fossi stato come si supponeva fossi. Un maghetto del cazzo, con una famiglia di maghi del cazzo e con una bacchetta del cazzo.
Cazzo.
Vide la mano dell’altro chiudersi attorno alla sua sigaretta e poi una lieve luce soffusa. Poi arrivò il contraccolpo del tabacco in fondo alla gola.
Già, quel suo braccio …  
“Però!” Commentò dando un tiro e trovandola piuttosto ben accesa. “Utile.”
“Già.” Convenne guardandosi attorno titubante; a volte sembrava dovesse ancora realizzare che non sarebbe tornato a Nurmengard e che quella non era una parentesi destinata a finire.

“Come passavi il Natale di solito? Sei di Lubecca, mi sembra di ricordare.”
La domanda spiazzò Milo dato che non si aspettava che l’altro iniziasse davvero a conversare. “Sì, anche se ho vissuto un po’ ovunque.” Spiegò. “Lo passavo in qualche taverna comunque. A Natale non è una gran pensata dormire all’addiaccio e di solito dopo una serata passata a suonare canzoncine del cazzo riuscivo a guadagnarmi un posto vicino al fuoco.” Spiegò. Di fronte al mondo confortevole e scintillante degli yankee babbani tutto quello che aveva vissuto – e patito – in Europa sembrava appartenere ad un’altra vita.
Ad un altro secolo sicuramente.
Si sentiva un po’ più stabile e mosse quindi qualche passo sul marciapiede gelato. Prince gli fu subito accanto,  occhieggiando la sua postura. “Tranquillo, non ti vomito addosso.” Lo rassicurò.
“Non ti reggi in piedi.”
“Oh, non rompere!”
Era stata un’idea del cazzo portarselo dietro, pensò scornato; era evidente che il maghetto si sentisse a disagio in sua presenza, tolte le dinamiche lavorative in cui erano abituati a casa.

Ma che facevo, lo mollavo in mezzo ad un’orgia?
“La tua Vigilia invece?” Era Natale. Uno sforzo per non ignorare il prossimo poteva pure farlo. “Come la passavi?”
“Come l’anno scorso.” Un lampo indecifrabile gli attraversò lo sguardo e andò a morire sulle labbra tese. Milo trovò del tutto legittimo non commentarlo. “Io e mio zio cenavamo assieme e poi dopo gli auguri di mezzanotte ci ritiravamo ognuno nelle proprie stanze.”
“Un divertimento pazzo.” Non poi così sorprendente, rifletté; lo stregone psicopatico almeno in quello era stato un sangue-puro qualunque.

Festività ingessate. Come non mi mancano.
L’altro scosse la testa. “È così che si festeggia…”
“Lo so, festeggiavo così anch’io.” Si lasciò sfuggire, mordendosi la lingua subito dopo dato che gli venne lanciata un’occhiata meravigliata.
“Sei…”
Sono un Magonò. Qualsiasi altra cosa sia stato prima non ha più importanza.”

“Immagino di no.”
Stronzo.
Lo pensò oziosamente, senza vero livore sospirando una nuvola di condensa acquea a nicotina. Era troppo rintronato per fare considerazioni di qualche importanza sulla persona accanto a sé, quindi lasciò scivolare la lingua sulla prima cosa che gli venne in mente.

“Lo sai che la tua sciarpa ha dei buchi?” Disse occhieggiando l’unico punto bianco nei vestiti neri dell’altro. “Dovresti comprartene una decente.” Gli chiese e fu sorpreso quando l’altro lo fulminò con lo sguardo.
“No.” Serrò le dita attorno a quel grumo di lana un po’ informe con aria protettiva. “È un regalo.”
“Da parte di chi?”
C’è qualcuno che gli fa regali allora?
Lo vide con stupore arrossire. Era un fenomeno piuttosto divertente considerando che le guance pallidissime gli si accendevano violentemente e i lineamenti gli si stravolgevano nella più completa agitazione. “Non è di quest’anno.” Spiegò di malavoglia. “Il regalo è di due anni fa.”
“Una ragazza?” Ci arrivò subito ripercorrendo velocemente gli eventi che li avevano coinvolti quei famosi due anni prima. “Quella piccoletta coi capelli rossi che…”
“Non voglio parlarne.” Serrò la mascella con aria aggressiva e Milo trovò del tutto sensato lasciar perdere.
Calò di nuovo il silenzio. Milo fece un sospiro; il tentativo di stabilire un contatto era fallito miseramente ed era ora di tornare alla base. “Senti, credo sia ora di tornare…”
“Fa’ silenzio.” Gli intimò bruscamente, prima di scoccargli un breve sguardo di scuse, forse per il tono. “Non senti anche tu?”
“Sentire cosa?” Poi sentì.  Era musica sacra e proveniva infatti da una chiesa illuminata a festa dall’altro lato della strada. Dallo stile architettonico dovevano esser cristiani o roba del genere.

“Stanno cantando in tedesco.” Notò anche lui, stupito. Si avvicinarono, entrambi attirati dal suono chiaro e limpido della loro lingua cantato da quello che sembrava un coro di voci bianche.
Il mago sembrava  disorientato da quella coincidenza curiosa. “Cosa stanno cantando?”
 
Stille Nacht, heilige Nacht,
Alles schläft; einsam wacht
Nu
r das traute hochheilige …

Stille Nacht.” La riconobbe al volo. “È una canzone babbana piuttosto famosa a Natale. È stata scritta secoli fa per glorificare la venuta di quel loro Gesù Bambino. Musica di Franz Gruber, parole di Mohr. Erano due austriaci.”

“Ne sai molto.”
“L’ho studiato da bambino.”  

Prince distese i lineamenti in un sorriso piuttosto sincero. Curioso, quando sorrideva smetteva di assomigliare ad un beccamorto. “È bella.” Almeno musicalmente non era un totale alieno. Non aveva un orecchio educato come il suo, ma aveva una certa sensibilità naturale, il che considerando la sua educazione, aveva dell’incredibile. “Mi manca.” Soggiunse.
“Cosa?”
“Sentire il tedesco. Non credevo mi sarebbe più capitato, tranne che parlando con te.”  

Milo intuì che non era una frase lasciata andare per riempire il silenzio.
Bisogna essere un sacco intuitivi per capire ‘sto qui.
Forse non era il solo a cercare di conoscere meglio l’altro, perché ehi, era l’unica cosa che gli fosse rimasta del suo passato europeo.
E poi era Natale.
Guarda tu…
La carola finì come era iniziata e Milo non trovò di meglio che allungare una pacca sulle spalle magre del suo improbabile datore di lavoro. Sarebbe quasi potuto diventare un nomignolo.
Improbabile-Datore-Di-Lavoro. Nah, meglio principino.
“Credo sia ora di scaldarci le budella al chiuso.” Vedendo il suo cipiglio sogghignò. “Malfidato! Ho visto uno Starbucks prima e stavo per proporti una banalissima cioccolata calda.” Fece una pausa. “Corretta magari.”
Milo.”
Milo rise, perché era pur vero che aveva mollato un’orgia per star dietro ad un becchino puntiglioso e con una sciarpa piena di buchi. Ma era Natale; sentiva che era meglio così.  

 
*
 
 
All I want for Christmas is You
(Scorpius Malfoy/Rose Weasley)


25 Dicembre 2024
Inghilterra, Wiltshire, Villa Malfoy. 


“Dimmi che non stai iperventilando.”
“Non sto iperventilando.”
“Stai iperventilando.”
“Merlino, sì!”
Scorpius sentiva le proprie unghie conficcarsi nella cute tenera delle tempie ma non aveva la forza morale di toglierle da lì. Sapeva che doveva darsi una calmata, ma non c’era una sola buona ragione perché dovesse farlo.

“Datti una calmata.” Concordò Violet, seduta sul suo letto con aria irritata; poteva capirla dato che  doveva offrire uno spettacolo ben poco esaltante; vestito a festa ma con i capelli sparati in tutte le direzioni – e non era un Potter, lui – verdastro in volto e con l’aria di voler rimettere da un momento all’altro.
Si guardò i piedi, chiedendosi brevemente se avrebbe finito per scavare un sentiero nel morbido e costoso tappeto di camera sua.
Certo che sì.
“E se qualcosa va storto?”
“Sì, potrebbe succedere.” Fu l’impietosa risposta. “Ma se vai fuori di testa tu per primo, la tua adorata ti seguirà di poche misure visto la sua indole nevrotica. E finirete per peggiorare le cose.” Fece una smorfietta. “Potrei scommetterci.”

Scorpius inspirò, racimolando tutta la forza d’animo che poteva; aveva concorso al Tremaghi, aveva affrontato persino stregoni oscuri…
… ma nulla era così spaventoso come il primo pranzo tra la sua famiglia e quella di Rose.
Era una gloriosa mattina piena di neve fuori dalla sua finestra, e ovunque posasse lo sguardo tutto era bianco e luminosissimo; si supponeva dovessero esser così le mattine di Natale.
Potrei essere fuori a rotolarmi virilmente nella neve, e invece…
“Non fare l’isterico.” Violet sapeva essere un’amica piena di verità ma assai povera di riguardo. Le era grato per esser rimasta a casa fino a quel momento, invece che andare a festeggiare con Dominique – anche se era quasi certo che l’altra non avesse poi così tanta voglia di infilarsi nel caos della Tana, soprattutto a Natale – tuttavia…
“Avrei bisogno di un po’ di incoraggiamento qui.” Borbottò aggiustandosi per l’ennesima volta il cravattino; detestava vestirsi formale, ma sua nonna da quel punto di vista era irremovibile come una roccia paleolitica.
E Merlino solo sa quanto abbia bisogno della sua benevolenza oggi.  
“Scorpius, rifletti … sono tutte persone adulte.” Violet si stava controllando la manicure con interesse profondo, ma riuscì comunque a scoccargli un’occhiata empatica. “Vorrei farti notare che non ti sei agitato per l’esame d’ammissione a quella tua accademia truculenta. Non può essere peggio!”
“Non hai mai visto mio padre e il Signor Weasley nella stessa stanza.” Fece una smorfia. “Sembra che gli dia fastidio anche solo respirare la stessa aria. Sai quell’annosa questione dell’odio intergenerazionale tra le nostre due famiglie?”

“Sì, me l’hai raccontato …” Non sembrò particolarmente turbata, ma del resto era cresciuta nel suo stesso ambiente, e secolari faide familiari dalle loro parti erano all’ordine del giorno. “Ma poi da che cosa è iniziato?”
“Non ne ho la minima idea.” Si strinse nelle spalle. “Da una questione di confini, di faide o da un tacchino rubato. Mai capito … e credo che neanche papà lo sappia.”
“I Romeo e Giulietta del Mondo Magico.” Lo canzonò alzandosi e scostandolo dallo specchio per controllare la pettinatura; Scorpius trovava un po’ tenero quanto era inutile che l’altra cercasse di farsi elegante e carina per la propria ragazza, la quale amava agghindarsi come se dovesse perennemente pernottare in un bosco.

Gli opposti si attraggono. Parole sagge.
Registrò poi il paragone che gli aveva appena sciorinato. “Ehi, non scherzare, quei due Babbani sono morti!”
“Erano degli sfigati.” Tagliò corto. “E poi ormai il danno è fatto, no? Siete fidanzati.”
Scorpius annuì, sentendo uno strano senso di ebbrezza scuoterlo nel profondo come sempre gli succedeva quando qualcuno menzionava la cosa; per quanto quel giorno temesse seriamente una battaglia a colpi di incantesimi mortali al posto di sereni auguri natalizi era vero, Rose era la sua fidanzata.

E questo fatto non lo possono cambiare.  
Ne avevano passate di tutti i colori: serpentoni giganti, sparizioni, rapimenti, tradimenti, tornei mortali e incomprensioni, ma ad un anno da quella bolgia convulsa, con alle spalle persino dell’onestissima e doverosa routine, potevano dire di averla scampata.
E tho, siamo ancora assieme.
Violet gli scoccò un’occhiata tra la sufficienza e l’affetto. Solo lei riusciva a mettere sentimenti tanto ossimorici nella stessa espressione. “Cerca di tenere a bada la tua logorrea e fa’ parlare tua madre e tua zia Andromeda … vedrai che andrà tutto bene.”
“Lo pensi davvero?”
“Assolutamente no.”

“… penso che piangerò un po’.”
“Fai l’uomo! Quanto potrà esser peggio che affrontare una Chimera?”
Tanto peggio.” Replicò con sicurezza. “Ti chiederei di restare, ma…”
“… ma io ti direi di no. Senza offesa, Scorpius, ma queste sono questioni di famiglia.”
“Tu fai parte della famiglia!”  

L’espressione di Violet si addolcì e riuscì persino a commuoverla al punto da farsi fare una carezza. “Non ci casco tesoro.” Aggiunse però. “Te la devi sbrigare da solo.”
“… Beh, ho tentato.” Mugugnò, poi qualcosa fuori dalla finestra attirò l’attenzione dell’altra. Era un’aquila e l’espressione beffarda che aveva in viso si trasfigurò in una di pura contentezza.
“Qualcuno è appena arrivato ai cancelli, mi sa.” Motteggiò rimediandosi uno schiaffo sulla spalla. “Vai alla Tana oggi?”
“Inevitabile come la morte.” Scrollò le spalle prendendo il mantello foderato di pelliccia e drappeggiandoselo addosso. “Nicky però ha comprato questa incredibile macchina volante … È comoda e riscaldata. E soprattutto, può andarsene velocemente da qualsiasi posto.”
“Tipo la Tana.”
Violet fece un sorrisetto furbo, e poi si sporse per baciargli la guancia mentre una ventata di costosa essenza francese lo investiva: le purosangue facevano sempre a gara per avere il profumo più elaborato. A lui piaceva quello di Rose invece, che sapeva di lavanda. Era semplice e onesto, come lei.

“Coraggio.” Lo riscosse Violet. “Andrà bene.”
Scorpius sentì un sospiro gonfiarglisi nel petto; quelli erano gli ultimi momenti in cui poteva comportarsi come un decenne piagnucoloso. Poi sarebbe arrivata Rose e gli sarebbe servito tutto il suo buon’umore per sostenerla.

“Me ne servirà.”
“Non sei un Grifondoro? Dalle vostre parti non vuol dire avere coraggio da vendere?”
Scorpius scosse la testa, perché la triste verità era un’altra ed era giusto che una delle sue più care amiche la conoscesse nella sua interezza. “Non è coraggio. È follia.”

 
Scappare urlando nella direzione opposta in cui la stavano portando i suoi piedi forse non era un’idea brillante.
Però, l’istinto…
L’istinto, oltrepassando i cancelli altissimi e fatti di sola magia di Villa Malfoy era scappare. Punto.
“Wow, questo posto è gigantesco! Quanti ettari saranno?” Esclamò Hugo al suo fianco guardandosi attorno con gli occhi chiari pieni di quasi esaltazione. Quasi perché suo padre sbuffò qualcosa a mezza bocca e subito suo fratello abbassò lo sguardo come il peggiore dei colpevoli.
Oh, per favore…
“A cosa gli servirà poi, tutta questa terra…” Borbottò. “Non è come se fruttasse loro qualcosa. Sono tutti campi incolti!”
“Credo che invece, tolta la neve, qui sia tutto ben tenuto. È un parco, Ronald.” Gli fece eco sua madre, l’espressione meravigliosamente serena. Non era del tutto certa fosse quello il suo reale stato d’animo, ma a Rose non importava finché fingeva per il bene di quel pranzo.

“Ma dove sono i pavoni?” Incalzò Hugo. “Scorpius ha detto che ne hanno, tipo, una tonnellata!”
“Con questo freddo saranno al caldo.” Osservò ben felice che non ve ne fossero; a quanto blaterava il suo fidanzato, i pennuti in questione erano aggressivi come mastini, con una particolare predilezione per la carne umana.

Figuriamoci. Oddio, anche se …
“I pavoni albini di Lucius Malfoy.” Grugnì suo padre con un sorrisetto divertito. “Me la ricordo bene la storia. Se chiedete a me, un animaletto da strega, più che da ma…”
“Ronald.” Lo redarguì sua madre, ma con meno asprezza di quanto avrebbe fatto di solito. Anzi, sembrava quasi stesse incubando un sorrisetto.

Fantastico.
Aveva faticato mesi per convincere i suoi ad accettare quel pranzo. Se sua madre aveva mosso relativamente poche obiezioni – perlopiù dovute al fatto di lasciare i genitori da soli a Natale – suo padre aveva accaparrato scuse su scuse, arrivando persino a farsi assegnare una missione all’estero, nientemeno che in Nepal, per poter sfuggire all’infausto e insopportabile evento.
Alla fine aveva capitolato solo perché era stato Scorpius a metterlo alle strette.
È andato a trovarlo in ufficio, o meglio, ci si è fatto trovare dentro, e gli ha porto l’invito. A mano.
Papà non ha potuto dirgli di no in faccia.
Il suo ragazzo era capace di essere tenace come un Crup con il fondoschiena di un postino Babbano, e di questo gli era sinceramente grata.
Solo … speriamo vada tutto bene.
Voleva che quel pranzo fosse se non perfetto, perlomeno accettabile; lo voleva più di ogni altra cosa al mondo. Da quella manciata di ore si sarebbero decisi i futuri rapporti delle loro famiglie.   
… Roba da poco insomma.
Sentendo una mano guantata sulla spalla alzò lo sguardo e vide sua madre sorriderle, rassicurante e calma come quando doveva convincere qualcuno dei suoi assistiti che non sarebbe finito a Azkaban.
No, non sto esagerando.
Avrebbe voluto supplicarla di tenere a bada suo padre, di sedarlo se necessario, ma non lo disse; sapeva che dietro la facciata cortese Hermione Granger in Weasley provava tanta antipatia verso i Malfoy quanta ne provava il consorte.
Solo lo nasconde meglio … e non me lo fa pesare. È il massimo che posso pretendere, credo.
Alzò lo sguardo sull’enorme costruzione che era Villa Malfoy; i tetti solitamente neri erano completamente glassati di neve, e così le decorazioni e le guglie lungo la facciata, dandole un aspetto meno tetro, ma non per questo più accogliente.
Sembra un gigantesco palazzo di ghiaccio…
Era in momenti come quello che si rendeva conto di quanto Scorpius fosse diverso da lei; il suo fidanzato era cresciuto in un posto antico, che aveva una tradizione secolare e vantava stemmi e motti araldici. Quando tornava a casa, ovunque guardasse, era certo che quella fosse roba sua.
Un giorno tutto questo sarà tuo…
“Miseriaccia, mica avevo capito che Malfoy era ricco così!” Sembrò leggergli nel pensiero, intempestivamente, suo fratello. “Cacchio Rosie!”
“Già, e prima della guerra era pure peggio.” Gli diede manforte suo padre, guardandosi attorno come se vedesse sacchi di letame al posto di siepi curate e statue eteree. “Pensa, Hughie, che si sono ridimensionati. Adesso hanno soltanto metà Wiltshire.”
“Tu lo sapevi Rosie?”
“Sì che lo sapevo.” Borbottò stringendosi le spalle. “Non mi è mai importato.” Soggiunse, e lo pensava davvero; non si era certo innamorata di Scorpius perché era un piccolo Lord che non vedeva mai la fine dei propri possedimenti.

Mi sono innamorata di lui perché è bello come il sole. Fuori e dentro.
Un pensiero improvviso e spiacevole le attraversò la mente come un ago appuntito; e se Draco Malfoy avesse pensato che era proprio quello il motivo per cui si era messa con il suo preziosissimo rampollo?
Questo genere di ricconi pensa sempre questo genere di cose … - Mugugnò la voce di suo padre dentro la sua testa.
Lo avrebbe saputo presto, considerò con raccapriccio; era la prima volta che incontrava Lord Malfoy faccia a faccia rimanendo in sua presenza per più di qualche minuto.
Avrai l’intero pranzo per sapere cosa pensa di te.
Inspirò aria gelata ed espirò condensa, sentendosi il petto dolere. Ormai era troppo tardi per scappare, considerò salendo le scale di marmo dell’ingresso. Troppo tardi per fare qualsiasi cosa se non impallidire e trattenere un conato di vomito.
Le gigantesche porte in quercia si aprirono in silenzio– magia, di certo – e con suo sommo orrore fu un Elfo ad accoglierli. Vide immediatamente  le labbra di sua madre stringersi in una linea retta e gli occhi dardeggiare indignati.
“Porca putt…” Sussurrò Hugo accanto a lei e persino suo padre ebbe il buongusto di sembrare a disagio.
“Buongiorno Signori!” Squittì l’Elfo con un terrificante inchino servile. Gli occhi di sua madre presero a lanciare lampi. “Effy è qui per serv-“ Il povero Elfo fu improvvisamente placcato da un altro che indossava quello che aveva tutta l’aria di essere un calzino bitorzoluto in testa.
“In cucina hanno bisogno di Effy! Uno spaventoso bisogno!” Strillò la creaturina e prima che l’altra avesse tempo di dire una sola parola si smaterializzarono entrambe con un rumoroso schiocco.

… quest’elfo parla come Scorpius. Ed ha un calzino in testa. Non è che …
“Cosa…” Iniziò suo padre pieno di sbalordimento, ma non riuscì a terminare le sue considerazioni che Scorpius  fece la sua comparsa dale scale, scendendole due a due in tutta fretta.
“Buongiorno!” Esalò arrivato in fondo. “Benvenuti e Buon Natale!” Sciorinò mangiandosi metà delle parole prima di lanciarle un’occhiata di scuse.
Sì, quello era Calzino e sì, hai appena evitato in extremis l’accoglienza più inadeguata del mondo.
“Buon Natale Scorpius.” Sorrise sua madre, sempre con gli occhi in tempesta. “Non ho potuto fare a meno di notare che uno degli Elfi era vestito.”
“Ah, sì. Calzino! È il mio … è….” Balbettò forse rendendosi conto che tutto avrebbe potuto contribuire a peggiorare ulteriormente la situazione. “A proposito del calzino, sì…” Cambiò discorso. “È successo quando avevo sei anni, gliel’ho lancia…” Si bloccò con un’espressione di allarme. “… gliel’ho regalato assieme al suo nome. Non se n’è voluto andare. Gli piaceva il nome e il berretto, e …” Deglutì, passandosi una mano trai capelli ed esibendosi nel suo sorriso più affascinante. “Ho già detto benvenuti?”

Oddio.
Rose avrebbe voluto sbattere la testa contro il primo spigolo disponibile, ma sua madre sembrò stranamente divertita dal balbettio incoerente dell’altro. “Sì, Scorpius, ma non importa. Ci vuoi far strada?”
L’espressione dell’altro si illuminò di puro sollievo. “Certamente!” Esclamò. “Prego, da questa parte, datemi i cappotti e le sciarpe che…” Si bloccò di nuovo, scoccandole un’altra occhiata di scuse.
… non sa come riporre sciarpe e cappotti. Qui fan tutto gli Elfi, certo. Dannazione.
Prima che la cosa fosse però palese, quasi fosse un deux ex machina, sulle scale apparve Astoria Malfoy; Rose ogni volta rimaneva incantata dal fatto sembrasse l’emblema stesso dell’eleganza senza però ostentarlo con gioielli o vestiti sfarzosi. Era il genere di strega che non sembrava mai fuoriposto, in qualsiasi contesto si trovasse. Doveva essere un talento non meno raro che avere sangue Veela.
“Buongiorno.” Sorrise come se li avesse a pranzo tutti i giorni che Merlino metteva in terra. “Scorpius, lascia che ci pensi io ad accompagnarli in sala, tu pensa ai cappotti.”
“Ti do una mano.” Aggiunse sapendo benissimo che avrebbe finito per lanciarli a caso da qualche parte e dimenticarsene poi l’ubicazione.
“Hugo, va’ con loro.” Si inserì suo padre con un tono che non ammetteva repliche.
Ecco, mi sembrava strano…
Per evitare di piantare grane ancor prima degli antipasti nessuno fiatò: si diressero dunque in tre lungo un corridoio foderato di arazzi e dipinti che li scrutavano arcigni o borbottanti come vecchie teiere sbeccate.
Ah, gli antenati…
“Scorpius Hyperion, chi stai facendo entrare in casa nostra!?” Tuonò una vecchia che sembrava sparire in una gorgiera dalle dimensioni di una ruota di bicicletta.
Il ragazzo si limitò a coprire la cornice con un gesto veloce della bacchetta. “Non incrociate lo sguardo con nessuno di loro.” Borbottò. “Hanno la tendenza ad urlare quando arrivano ospiti.”
Rose aveva voglia di chiedere se con tutti gli ospiti si comportavano nello stesso modo, ma non fiatò. L’aria avvilita di Scorpius rispondeva ampiamente al quesito.

Immagino abbiano un radar per i non-purosangue…
Finirono in quella che sembrava una stanza espressamente adibita allo scopo e con enorme tatto, Hugo si fermò alla porta.
“Io vado a vedere qualcosa … da qualche parte.” Mugugnò rivolgendo loro un sorriso di ispida empatia. “Grazie.” Sorrise Scorpius in maniera finalmente genuina, mollandogli una pacca sulla spalla. “Non allontanarti troppo però.”
“Che, hai paura che mi perdo?”
“No, è che a questo piano gira il fantasma del prozio Brutus … odia le persone con i capelli rossi.”
“Gli Weasley.” Intuì con un sospiro esasperato.
“Ehm.”

“Non m’allontano.” Convenne suo fratello prima di allontanarsi, una fiamma di colore in tutto quel legno scuro e tendaggi pesanti.
Rose a quel punto trovò del tutto legittimo squadrare il proprio ragazzo; era vestito in maniera perfetta, con tanto di cravattino e giacca coordinata. A volte si scordava che Scorpius aveva roba simile nel guardaroba, dato che si agghindava perennemente in jeans e maglioni costosi, ma poco impegnativi. Persino i capelli avevano qualcosa che sapeva molto di Malfoy e poco di lui.
Mi sa che è una captatio benevolentiae verso suo padre o sua nonna…
Era l’espressione però a preoccuparla; sembrava un cervo di fronte ai fari di un auto, totalmente sovra-eccitato e con un sorriso al ridosso del maniacale.
“Stai bene?” Indagò.
“Una meraviglia!” Le fu ovviamente risposto.

Sì, col cavolo.
C’erano momenti in cui le parole non servivano, aveva scoperto in quegli anni convulsi. Lo afferrò quindi per lo stupido cravattino e lo tirò giù per un bacio piuttosto sostanzioso. L’altro, dopo un demotivante momento da statua di granito, rispose entusiasticamente e Rose si trovò a ridosso di una parete di quercia foderata da una scena di caccia alle lepri.
Oh, beh.
Quando si separarono, i cappotti gettati scompostamente a terra, Scorpius sembrava meno fuori di testa e più disposto ad aprirsi. “Io … voglio che tutto vada alla grande.” Le spiegò dibattendosi tra le maglie del desiderio di mandare tutto al diavolo e restar lì a folleggiare.
Altro che Legimanzia… è la stessa cosa che penso io.
“Lo so.” Gli assicurò spostandogli una ciocca di capelli piena di una di quelle pomate purosangue per renderli simili all’elmo di un’armatura. “Vedrai che andrà tutto bene.”
“Stiamo parlando dei nostri genitori.” La guardò con dolore e Rose fu costretta ad annuire. “Rosie, mio padre ha intenzionalmente mandato Effy ad accogliervi, capisci? Prima che io e mamma potessimo fare qualcosa!”
Tuo padre è uno stronzo.

Non lo disse ad alta voce perché sapeva che l’altro adorava il genitore con tutto se stesso. “C’era da aspettarselo, no?” Sospirò accarezzandogli il risvolto della giacca come avrebbe fatto una compagna supportiva. Sua madre perlomeno faceva sempre così. “Il mio non fa che borbottare come un bollitore da stamattina. Cercheranno di rendere quest’esperienza spiacevole per tutti, ma non glielo permetteremo.”
“E ci riusciremo?” Scorpius si morse un labbro rivolgendogli di nuovo un’occhiata colpevole. “Scusa.” Sospirò. “Scusa rosellina, non mi sto comportando come un fidanzato virile e rassicurante.”
Rose percepì che quello sarebbe stato solo l’ennesimo motivo per amarlo sfrenatamente. “Non mi aspetto che tu lo faccia, scemo.” Sbuffò. “Siamo a casa tua, il pranzo lo hai organizzato tu, lo capisco che tu sia in ansia … Solo che non ce n’è motivo, hai fatto tutto quello che potevi fare. Di certo non sarò io a colpevolizzarti se quei due bambini troppo cresciuti manderanno tutto alle ortiche.”
“Sei una strega da sposare, Rose Weasley.”
“È un po’ il punto di tutta la faccenda, ho idea.” Replicò cercando di non gongolare senza freni. “Dai, sbrighiamoci … ho paura che Hugo possa imbattersi in qualche passaggio segreto e finisca in un altro Continente.”
“Oh sì, di quelli ce ne sono.” Convenne con un sorriso brillante. “Però portano solo in Francia, e credo siano ormai tutti non funzionanti. Non proverei però.”
“Malfoy, casa tua è inquietante.”
“E dovresti vedere le segrete!”

 
Il pranzo stava andando … bene.
Scorpius non era del tutto certo che stesse davvero accadendo, e da un momento all’altro si aspettava che il Signor Weasley e suo padre cominciassero a tirarsi piatti e a rinfacciarsi colpe decennali.

Invece niente.
Sua madre e la Signora Weasley-Granger erano i capisaldi della conversazione, irrobustita da qualche espressione pungente ma oculatamente innocua di zia Dromeda, la guest-star perenne della casa. Sua nonna, silenziosa quanto suo padre e i due fulvi maschi Weasley, si limitava invece ad elargire qualche sorriso cortese a chi le rivolgeva la parola anche solo per chiederle di passarle una salsa.
Ci sarebbero gli Elfi per questo, ma credo che mamma li abbia fatti rimanere nella cucine per oggi.
Grande mamma.
Si scambiò un’occhiata cautamente positiva con Rose, posizionata ovviamente il più lontano possibile da lui.
Potete metterci una tavola di mezzo, ma non potrete mai fermare la primavera.
O qualcosa del genere.
Non era ancora arrivato il momento di rilassarsi, forse, ma erano già alla portata di carne e nessuno era ancora stato maledetto.
Incoraggiante, no?
Doveva inoltre fare un monumento a sua zia Andromeda; sembrava l’unica, oltre a lui, ad aver percepito l’imbarazzo degli Weasley di fronte alla sterminata mole di argenteria. A sua differenza però aveva trovato una soluzione: si era infatti ingegnata per comportarsi nella maniera più informale possibile, rimediandosi così continui rabbuffi da sua nonna – che sembrava farne una questione di principio proprio in virtù della loro stretta parentela.
Ha fatto gli stessi errori del Signor Weasley … così ha avuto modo di correggerlo senza dirglielo apertamente.
Mi sa che è il sangue Black. Quello buono. Non quello psicopatico, pazzo e omicida.
Le rivolse un sorriso che condensava ciò che provava e si vide fare un occhiolino divertito di rimando.
Decisamente sangue Black. Papà prima di fare una roba del genere si farebbe venire una paresi.
Per buona misura lanciò un’occhiata anche a quest’ultimo, e lo vide taciturno e cupo; non sembrava però ostile, quanto piuttosto indisponente come un gatto a cui avevano appena invaso il territorio.
Il massimo che si può pretendere.
Arrivati al dolce si arrischiò quasi a sorridere. Fece appena in tempo a piegare gli angoli delle labbra che suo padre, per la prima volta da quando si erano seduti, aprì bocca.
“Credo sia il momento di parlare seriamente.” Esordì con un tono così piatto che non sarebbe sfigurato in un annuncio ministeriale.
“Già.” Gli fece incredibilmente eco il Signor Weasley. “In fondo siamo qui per questo, no?”
Eh?

Rose sembrava sbigottita quanto lui, ma molto meno incline a chieder delucidazioni. A posteriori non poté che plaudire al suo buonsenso. “Cioè?” Chiese per entrambi. “Voglio dire … siamo qui per festeggiare assieme il Natale, no?”
“Scorpius, non abusare della nostra pazienza.” Lo redarguì suo padre. Non pareva però innervosito dalla sua uscita. Anzi, analizzando a fondo la sua espressione, vi si poteva leggere una sorta di … compiaciuta soddisfazione?

Ripeto. Eh?
“Siete ormai fidanzati da quasi un anno. Gennaio, no?” Esordì la madre di Rose con un sorriso che aveva molto dello squalo da Wizengamot. Immaginava fosse lo stesso che rivolgeva agli incauti Inquisitori che tentavano di farla fessa. “Almeno a quanto dice l’anello al dito di mia figlia.”
“Eh … sì. Certo.” Convenne sentendosi vagamente tardo. “Ma…”

“Fidanzarsi è una cosa seria, ragazzo.” Disse il Signor Weasley con tono grave. “Ci sono degli impegni. Delle scadenze … delle riflessioni da fare.”
“Ad esempio, pensate di andare a convivere nel prossimo futuro?”  

Eh?
I loro genitori, per la prima volta da che li conosceva, sembravano d’accordo su qualcosa.
Ovvero nel farli neri.
 
Il giardino era imbiancato e immerso in un atmosfera da palla di vetro. Il grande salice piangente era una scultura di ghiaccio e i roseti, debitamente protetti da Incantesimi Riscaldanti, dormivano in una marea di smeraldo.
Il giardino delle rose era il suo preferito e vi aveva sempre tratto conforto nei momenti peggiori.
Per questo ci aveva trascinato Rose finito il pranzo.
“Non posso crederci…” Borbottò questa, lasciandosi andare su una delle panchine che ornavano il vialetto principale. “Ci hanno teso un’imboscata!”
“Non si può dir diversamente.” Convenne di rimando, sedendosi accanto a lei e allungando le gambe per sgranchirle; era rimasto bloccato come una statua di sale molto ordinata per la maggior parte del pasto e adesso aveva bisogno di spazio.
“Siete un po’ ingenui, eh.” Fece loro eco Hugo, annusando un cespuglio alla ricerca di profumi che si sarebbero presentati solo mesi dopo. “Cioè, non sono così fessi come sembrano, ecco.”
Scorpius gli rivolse un’occhiata depressa; il fratellino di Rose era una delle clausole del lungo e articolato accordo verbale che i loro genitori avevano preso in merito al loro fidanzamento.

Quando siamo soli in occasioni come pranzi, cene o roba del genere … se c’è anche Hugo, Hugo viene con voi.  A sorvegliare.
Ce l’hanno sciorinato senza neanche chiederci un parere. O così, o col cazzo!
Così direbbe Potty. Così dico io.
Rose in compenso affilò lo sguardo. “Tu lo sapevi?”
Il sedicenne ebbe il buongusto di deglutire un po’ a disagio, ma poi non poté fare a meno di esibire un sorrisetto divertito. “Un po’ … cioè, non avevo idea che si fossero messi d’accordo così tanto. Ma ho visto un bel po’ di Gufi dall’aria importante atterrare ultimamente nel nostro giardino e ho fatto due più due.”
“L’hai detto a Lily, vero?”
“Sì, e lei ha detto che dovevi accorgertene da sola.”
“Quella stronzetta!”
L’altro si strinse nelle spalle, chinandosi per afferrare una manciata di neve e pressarla tra le mani. “Se non hai occhio non è mica colpa nostra.”

La sua ragazza seppellì il viso nella morbida lana dei guanti. “È un incubo.” Pigolò. “Ed io che pensavo che il problema sarebbe stato convincerli a parlare senza insultarsi!”
“Evidentemente abbiamo sottovalutato le loro capacità diplomatiche.” Sospirò calciando con la punta delle scarpe un mucchietto di neve. Non sapeva se disperarsi del fatto che i loro genitori avessero incasellato in una specie di contratto pre-matrimoniale la loro futura vita di fidanzati o gioire perché avevano finalmente accettato la loro unione.
“Almeno li abbiamo convinti che stiamo facendo sul serio.” Si risolse a dire; da che aveva messo piede in quel pazzo mondo era dell’assoluta idea che bisognava guardare le cose dal punto di vista più luminoso.
Perché quello peggiore a volte è davvero di cacca.
Rose alzò gli occhi al cielo. “Ho uno stramaledetto anello al dito, Scorpius! Cos’altro dovevamo fare? Aspettare un figlio?”
“Beh, quello avrebbe tolto ogni dubbio.” Convenne scoccandole un’occhiata di sottecchi. Rose non sorrise di rimando, sembrando più che altro positivamente vicina al crollo psicotico.

Okay. Momento di fare il fidanzato virile e supportivo.
Le prese la mano guantata, stringendola e sentendola gelata esattamente come la sua. “Dai!” Le sorrise. “È vero che hanno deciso anche quante volte possiamo vederci alla settimana, ma non è come se ci avessero fatto firmare qualcosa.”
“Ci mancherebbe!”
Verba volant, scripta manent.” Citò per poi tradurre. “Le parole volano, la parole scritte rimangono. Possiamo contrattare … e possiamo eludere. In un certo senso, è come se ci avessero dato la loro benedizione.” Vedendo l’espressione incredula dell’altra, corresse il tiro. “Okay, te lo concedo, sono stati un po’ contorti … ma pensaci rosellina. Ci hanno riconosciuto come coppia!”

Rose aggrottò le sopracciglia, in quella buffa posa corrucciata che preludeva ad un gran lavorio di neuroni. La lasciò in pace, lanciandosi un’occhiata con Hugo. L’altro, dietro l’aria sempre arruffata e un po’ cialtrona aveva un cervello svelto come una lepre, perché sbuffò capendo al volo il sottotesto.
“Io vado a cercare i pavoni. Cioè, tipo, qua in giro …” Si grattò la fronte, scosse la testa e trotterellò via.
Scorpius le prese di nuovo la mano e trovò del tutto legittimo inginocchiarsi nella neve che era gelida, ma diamine, faceva atmosfera. “Rose Weasley, io ti amo.” Disse guardandola in quegli occhi che gli ricordavano la cioccolata, le castagne e un sacco di cose buone, calde ed accoglienti. “Affronterei un miliardo di accordi castranti e strampalati per poter stare con te. Diavolo, ho affrontato persino tuo padre!”
Lo sguardo dell’altra si inumidì di colpo. “Idiota…” Che era un po’ come dirgli ‘sì, ti amo anch’io’ nel linguaggio roselliniano. “Ci renderanno la vita un discreto inferno e pur di non farci avere una routine spunteranno anche dal sifone della doccia, te ne rendi conto?”
“Oh, lo so.” Convenne. “Ma se siamo stati capaci di rotolarci tra le lenzuola quando ancora pensavano che ci detestassimo con tutta l’anima … Pensi che non possiamo affrontare anche questo?”

Rose ridacchiò, stringendogli la mano nelle sue, ora di nuovo calde. “Penso di sì, Malfoy.”
Scorpius si alzò, pensando che le ginocchia gelate gli valevano perlomeno un bacio coreografico da cardiopalma e magari una fugace toccatina in posti solitamente preclusi in luoghi aperti quando un gridò lacerante spezzò la quiete del giardino.
Rose si allontanò con un profondo sospiro. “Credo che Hughie abbia appena trovato i pavoni.”
Scorpius, nonostante quello fosse l’inizio di un’era di momenti rovinati da ingerenze e ingombranze familiari, non poté fare a meno di ridere.
Del resto, non gli erano mai piaciute le cose semplici.
 
*
 
 
Note:
Ed ho finito! È stato un parto, credetemi, ma per Natale, in attesa del nuovo capitolo, non potevo davvero far altro. Diciamo che anche Opera al Nero se n’è andata in vacanza e tornerà con l’anno nuovo! ;)
(O anche prima, vediamo)

Le canzoni che mi hanno ispirato sono ascoltabili cliccando proprio sul titolo. Interattività!
Per il resto, buone feste gente!

  
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