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Autore: JackoSaint    26/12/2012    1 recensioni
"Il Corriere di Camelot, lo chiamerò. Tant’è vero che dame e cavalieri saranno ben lieti di veder scritto il loro nome. A mo’ di pomposo corteo seguiranno pettegolezzi, dicerie, delicate prese in giro. Perché ammettiamolo, qui il potere porta il colore del rosso dei mantelli, del grigio delle spade e delle accese tinte delle vesti delle nobili signore; e non è mai esistito un potere di cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria."
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Principe Artù, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La sinfonia dei Pendragon - parte 2




LA SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 2

 

“C’era una volta un giovine condottiero che in testa aveva spighe di grano non ancora mature e una dolina malfatta a sostituire il naso. Nonostante le sue nobilissime origini – e di certo non mi è permesso negarlo – nulla aveva di cavalleresco: il suo aspetto deformato, cortese solo ad una prima occhiata, atterriva persino il più malformato degli esseri viventi; che non avrebbe mai potuto desiderare d’essere al suo posto, aggiungo.

 

Peccava d’abominevole stupidità, davanti alla sua incompetenza morale e soprattutto fisica sbiancavano persino le candide stoffe della sua biancheria. E v’assicuro, non v’è posto peggiore in cui alloggiare sul suo corpo. Tessuti senza utilità, quelli, tant’è che non v’era nulla da nascondere o ricoprire. Nemmeno un barbaglio di mascolinità.

 

Ma nessuno sospettava. Nessuno sospettava chi avrebbe seduto sul trono già sufficientemente riscaldato dalle regali e flaccide membra del padre. Un figlio tanto coccolato, Artù, e viziato allo sfinimento a spese della nostra Camelot, ahimè, povera nelle fondamenta ma sfarzosa nel lusso dei pochi.

 

Torniamo dunque a narrare le discutibilissime gesta del nostro attuale re.

Fin da giovincello provò a destreggiarsi in passatempi tipici dell’essere maschile... troppo tipici, direi. Utensili inanimati come spade e balestre si prendevano solo gioco del piccolo Artù, che trovò conforto nella pratica della poesia, nel gozzovigliare senza misura e nel tormentare il vecchio e consumato padre nullafacente. Uno scansafatiche, lo chiameremmo noi semplici sudditi.

Quale madre vorrebbe avere un figlio del genere? Un figlio nato per essere condottiero ma dedito solo a distrazioni femminili! Eh, quanta melma si nasconde nelle fondamenta del palazzo reale!

 

Ma riallacciamoci al filo del racconto.

 

Uther, disperato, non riuscì mai a capire per quale ragione il suo seme diede alla luce un figlio così malandrino e poco propense ad impieghi cavallereschi. Diede sempre la colpa all’altro ramo – e da qui nacque la discordia tra lui e Agravaine de Bois – senza mai riconoscersi come unico colpevole della sventurata vicenda. Affidò perciò il figlio a una ristretta cerchia di uomini di fiducia, uomini che, a mio avviso, meriterebbero di salire al trono al posto di Artù.

Quando il principino fu abbastanza grande da incominciare a capire il mondo intorno a sé – e ce ne volle molto di tempo, ve l’assicuro – Uther lo affiancò al capitano delle guardie, il benvoluto Leon... il quale, naturalmente, piantò nella sua immatura coscienza il seme del dovere senza tanta pietà.

Dobbiamo a lui la maturazione, seppur ancora incompleta, del nostro re! Nulla Leon poté nell’aggiustare la sua estetica, ma grazie al suo indiscutibile fascino riuscì almeno a renderlo presentabile al popolo.

 

Da qui derivano le sue prime prodezze militari che possono essere considerate degne di un discreto cavaliere di Camelot. Perché la verità è un’altra, signori e signore! Chi mai ha guidato Artù al comando della nostra bandiera? L’esercito, naturalmente. Chi mai è riuscito a condurlo sulla buona strada? La sua stretta cerchia di soldati di fiducia, certo che sì.

 

Artù non ha alcun merito se non quello d’essersi lasciato guidare dagli uomini giusti.

 

Ricordiamo che il nostro re è piuttosto giovane. Agli occhi degli altri sovrani è solo un bambino spaventato, un comandante che deve ancora comprendere il vero motivo della sua esistenza, ammesso che ne abbia uno. E dobbiamo vivamente sperare che lo comprenda velocemente, se non vogliamo ritrovarci ad avere un altro tipico Pendragon al potere.

Da Pendragon deriva altro Pendragon. Non v’è una realtà più triste di questa, sappiate.

 

La mia è solo una timida preghiera, una debole speranza: non abbiamo certo un re intelligente, saggio e coscienzioso come ogni altro popolo, ma almeno ci riconosciamo sotto una stessa bandiera.”

 

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La fiammella tremò al suo ennesimo sospiro. Aveva raggiunto la stanzetta adibita ai suoi incontri privati con Gaius e con grande sorpresa trovo che il medico di corte era già lì.

Si sedette. «Gaius.»

«Mio signore.»

«Hai completato la lista degli indiziati? Tutti?»

«Sì, sire.»

«Allora?»

Gaius aveva l’aria più stanca del solito. Profonde occhiaie erano scavate nelle rughe e nulla in lui faceva presagire ad un buon responso. «Molte anime sono tormentate, non vi sono parole per descrivere quanta tristezza arieggi questo palazzo.»

Artù si ritrasse un poco. «Come, scusa?»

«Vi sono troppi indiziati, mio signore.»

«Ti ho dato una lista di dieci persone, dieci, e non sei riuscito a cavarne fuori nulla?»

«La mia psicoanalisi...»

«È passata una settimana!»

«...si è rivelata uno strumento troppo potente per suggerire qualche indizio in questa faccenda.»

«La tua psico-che?» Le narici di Artù si dilatarono mostruosamente per accogliere nei polmoni un sospiro terrificante. «Gaius, io devo sapere chi scrive il Corriere! Devo saperlo, così da poterlo fare a pezzettini!»

«Vi dirò, l’ideatore deve essere un uomo molto vicino a voi, Artù...»

«Bell’indizio, certo! Potresti essere anche tu, Gaius!»

«Un uomo disturbato, deluso dal vostro operato. Come da vostra richiesta ho interrogato le colonne portanti della vostra vita.» Il medico estrasse un piccolo quaderno e, con la punta della lingua a penzolargli tra le labbra, ricominciò a parlare: «Merlino non credo possa essere il colpevole. Che resti tra noi... è troppo stupido.»

«Confermo. Poi?»

«Sir Percival invece non ha nessun disturbo, credo sia troppo tenero di cuore.»

«E non credo sappia scrivere un qualcosa di simile. Giusto, Gaius.»

«Sir Galvano ha una mente troppo squilibrata. Povero ragazzo, avrà vissuto molte esperienze negative da giovincello. Non può essere lui, assolutamente no.»

«Nonostante la faccenda lo diverta molto» commentò un apatico Artù, e con un cenno sbrigativo della mano invitò Gaius a proseguire.

«Leon ha una mente molto equilibrata, è davvero un esempio eccellente di rettitudine. Ha un animo onesto.»

«Non avevo dubbi.» Il re stirò un sorrisetto dal retrogusto amaro. «E gli altri interrogati?»

«Tutto nella norma. Se accettate un consiglio, sire» si affrettò il medico richiudendo il piccolo quaderno, «non ci resta che aspettare una mossa falsa da parte dell’ideatore del Corriere. Scrive per farsi notare, è logico che a furia di esporsi troppo cadrà in qualche nostra trappola.»

Artù annuì. Non v’era nulla di sbagliato nell’attendere, in effetti. Quell’uomo si stava scavando la tomba da solo, ancora un altro passo e ci sarebbe inciampato dentro.

 

 

Il redattore del corriere intinse ancora la penna nel calamaio prima di calarla su un altro foglio. Avrebbe fatto centinai di copie, un’intera notte in bianco per preparare il grande evento.

 

“Diamo dunque avvio ad una grande occorrenza, signori!

Non distribuirò il poemetto di Artù a tutti voi, no, almeno  non subito.

Una grande caccia al tesoro incomincerà al tramonto di domani.

I partecipanti verranno decisi da me medesimo.

Lunga vita ai Pendragon! (si fa per dire, naturalmente)”


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Ed eccomi, anche se con molto ritardo!! Impegni, sempre impegni... dovete scusarmi xD
Pronti per la caccia al tesoro? :'3
Un grazie ancora a tutti voi, e buon Nataleeeee!! (anche se un poco in ritardo xD)



   
 
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