What a
turn-out.
Me lo
ricordo bene. Sono sceso per strada quasi scavezzandomi il collo per le
scalinate del condominio dove abito. Sì sì, me lo
ricordo bene.
Era buio
pesto, buio pesto dico. Insolito per l’una e mezza di
pomeriggio.
Non tanto
insolito, però, se a creare una nube Acchiappasole era un
Genio del Male in
tuta borchiata.
“E’
morto, è morto!”
La
gente
strillava per strada indemoniata, mi guardavo intorno ed ebbi la
surreale
sensazione di trovarmi in una scena apocalittica di qualche film.
“E’
morto, è morto! Oddio!”
Anche
le
auto sembravano totalmente impazzite. Travolto dalla baraonda di gente
in fuga,
mi trovai nel bel mezzo della strada, braccio alzato nel tentativo di
fermare
un taxi che per poco non mi investì,
“taxi!”; ma nulla da fare, quel dannato
autista mi aveva abilmente evitato, ed ingranando la marcia aveva
mangiato
l’asfalto.
Lo guardai
scomparire ad un incrocio, al tempo stesso sbigottito e contrariato.
“Si
salvi chi può!”
Decisi
che
sarei dovuto andare a piedi.
Qualcuno
si chiederà perché io non fossi assieme a tutti
quegli altri imbecilli in
piazza quel giorno. Semplicemente non credevo ci sarebbe stato bisogno
di me, è
ovvio. Il museo non sarebbe stato veramente aperto al pubblico, si
trattava di
una mera cerimonia. L’intero palazzo sarebbe inoltre stato
zeppo di zoticoni
sputacchianti patatine dal lezzo di fast-food e
tivù-spazzatura, le loro menti
troppo occupate ad adorare il vitello d’oro della
città che a sfogliare qualche
pagina di Megamind Unmasked, la cui
pubblicazione ho modestamente curato io stesso.
D’altronde,
dedicata al Genio del Male era stata aperta solo una saletta
semispoglia
all’ultimo piano.
Sarà stato
questo a farlo incazzare, pensavo mentre mi aggiravo pensieroso per i
vicoli di
una città entrata nel panico più totale.
Giuro, non
avevo mai sentito tante sirene della polizia tutte insieme; confesso
che se,
svoltando l’angolo mentre cercavo di evitare persone che
scappavano da tutte le
parti e mi sgomitavano su tutte le parti del corpo manco fossi
invisibile, avessi
visto truzzi da discoteca ballare sotto un fascio di luci bianche,
rosse e blu
non me ne sarei stupito.
Auto
sfrecciavano da tutte le parti, quelle dei civili sbandavano colpendo a
caso
cassonetti e idranti e facendosi i marciapiedi, volanti della polizia
che
battevano ogni vicoletto della città senza un senso
apparente; malviventi
spuntati da chissà dove si sentivano liberi di poter
frantumare le vetrine dei
negozi e trafugarne il contenuto alla piena luce – luce? Non direi – del sole.
Quale
sole?!...
Come una
mosca bianca nella trappola di un astuto predatore, quella figurina
mantellata
schizzava da tutte le parti, schiantandosi inesorabilmente al suolo.
Nello
schermo affianco a quello che proiettava la sua fine,
un’altra ripresa mostrava
in contemporanea entrambe le inquadrature: quella
nell’osservatorio e quella
nel covo malvagio, il suo padrone col collo tirato in avanti a vedere
la fine
dell’acerrimo nemico.
La cosa mi
mandò su di giri, lo ammetto, e sbirciando quel poco che si
riusciva a vedere
del laboratorio già iniziai a buttare giù
mentalmente alcuni appunti per il mio
prossimo studio: Chi la dura la vince. Il
trionfo di Megamind. Avrei dedicato un intero capitolo alla
sua attrezzatura
e al Raggio della Morte… questo avrebbe significato
contattare qualche fisico,
magari anche un esperto di armi nucleari, bah, comunque, si
può fare, si può
fare, sì.
Sarebbe
stato davvero il lavoro che mi avrebbe consacrato ai posteri.
“You
mad
genius, your dark gift has finally paid off!”
Così
avrei
cominciato, sì, con una “gloriosa”
citazione che sicuramente sarebbe passata
alla storia.
Mamme
che
andavano in giro tenendosi stretti i bambini in rossi dal pianto,
sbandate come
randagi assordati dai botti del 4 luglio.
“Aiutateci!”
Non mi
curai della barbarie di cui erano capaci quei poveri villani nutriti a
pane e
miti, e tirai dritto per una via principale cercando di evitare oggetti
lanciati in mia o in altra direzione e passanti controsenso che mi
strattonavano a momenti la giacca, quasi a volermi convincere a tornare
sui
miei passi.
Ma non
importa quanti ostacoli poteva oppormi quella gente, io dovevo
esserci.
Perfino io
rimasti stupefatto dalla scena che trovai al mio arrivo, e
automaticamente mi
si calò la mascella.
La massa
umana era lì, la stessa che era giunta lì per
l’inaugurazione del museo, riempiva
la piazzola antistante al municipio spintonando e stringendosi in
un’onda
instabile intrisa di terrore. Furgoncini della stampa parcheggiati
malamente da
tutte le parti, quegli sciacalli con
tanto di badge andavano intervistando ogni cosa che
respirasse e piangesse
urlando… che attori, questi metrocitiani!
Mi
avvicinai alla marmaglia, e imbastii una lotta con essa per giungere
quanto più
vicino a dove gli schermi giganti stavano venendo smontati da tecnici,
sorvegliati da alcune pattuglie.
Una
signora grassa e sudata alzò le mani al cielo e
tentò di scaraventarmi - o
forse di ingoiarmi nel suo panico lardoso - , ma per fortuna mi salvai
insinuandomi
nei vuoti della gente in direzione del sindaco, del commissario e delle
altre
autorità che erano nel disorientamento completo.
Sbracciando
e ansimando, mi riposai un attimo per riprendere fiato ma
quell’istante fu
fatale perché un gomito mi colpì dritto lo zigomo
sinistro e la testa roteò,
gli occhiali penzolarono a un lato. Mi riebbi dalla botta e mi
riaggiustai la
montatura spaccata giusto in tempo per vedere la testa di
quell’oca della
reporter farsi largo a bracciate con una foga fuori dalla sua portata,
e alla
fine veniva tirata fuori dalla calca da qualcuno della sua banda.
Quella papera
tutta sconvolta, ora che il tuo salvatore non c’è
più chi ti salverà?
Mi trovai
a sogghignare da solo, ma tanto sono esternamente amorfo, nessuno se ne
sarà
accorto.
Nel
frattempo quei cani dei suoi colleghi l’avevano
già accerchiata e sfiancata di
domande, intervista
all’intervistatrice,
che buffo, ma era stata sottratta da terzi
all’interrogatorio, poi la persi di
vista – ma tanto, chissenefrega.
Prima che
arrivassi io, Megamind aveva annunciato sugli schermi che nel tardi
avrebbe
fatto la sua entrata in scena per prendere possesso della
città, ed era quello
che importava per me e per tutti.
“Saluti,
cittadini! Ora che il
vostro eroe è stato finalmente schiacciato dalla evidente
superiorità del
sottoscritto nuovo Affascinante Signore di Metrocity, un Meraviglioso e
Innominabile Male è stato sguinzagliato per le vie di questa
ridente città!
Ahuahaahahahaha!...
Temete per le vostre vite, perché
d’ora in poi niente sarà come prima!
Il mio debutto inizia alle ore
20:00 presso il Monocipio, l’ingresso è gratuito,
e mi raccomando venite
numerosi!...”
Io ero ormai
sotto i gradini del municipio a distanza dai giornalisti di testate
locali e
nazionali con tanto di telecamere e microfoni intenti a fregarsi le
mani dalla
contentezza: per loro quell’evento significava scoop.
Anche io
mi fregavo le mani nell’attesa della sua comparsa.
La gente
intanto veniva definitivamente sgombrata a manganellate dai poliziotti
che intimavano
un secco “Circolare!”, però in quelle
note era chiarissima la frequenza
tremolante della paura.
“O
mio Dio! Si salvi chi può!”
Si salvi di può strillano
come donnette, ma sono
comunque venuti con le loro gambe fin qui, potreste benissimo
tornarvene a casa
se non gradite lo spettacolo, pensavo con cinismo e con la
consapevolezza di
essere uno dei pochi eletti che lì c’era
perché ci voleva stare, autentico fan
di quell’autentico cattivo del cui trionfo non mi sarei
perduto un singolo
istante.
Finalmente,
dopo un’attesa che parve interminabile e il buio che era
calato sul serio, tra
i pochi rimasti riverberò un tremito di agitazione.
“E’
lui! E’ qui! Arriva!”
Un
tremito
di agitazione mi percorse a quegli ultimi spasmi da pollaio messo in
fuga dai vigilanti
e dalla paura. Io non mi persi d’animo e cercai di lottare
controcorrente,
finché non fui pescato per un gomito dal mio capo.
“Accidenti, Bernard!”
bofonchiò quel venduto dall’aria vagamente texana,
permettendomi di restare presso
i gradini del municipio a godermi la scena da uno dei posti migliori.
Peccato
che la tribuna spettasse ai poliziotti armati.
La pelle
mi si accapponò quando le note di Highway
to Hell provenienti dal fondo della Main St. risuonarono
pizzicandomi i
padiglioni delle orecchie.
Un fascio
di meravigliosi fari blu elettrico avanzò verso di noi come
uno stormo di
lucciole addomesticate: oh sì, lo vedevo farsi man mano
sempre più grande e
maestoso, finché i Brainbots non ebbero infine circondato il
loro Signore come
avvolgendolo tra le stelle. Un elicottero – forse la polizia
o il giornale –
sorvolò l’esercito vincente lanciando un faro
degno dei migliori concerti.
Nel vuoto
della piazza un lacrimogeno scoppiò a sorpresa sotto la
statua del deceduto
pallone gonfiato, ingoiandola nell’oblio. Le luci della
polizia e dei laser del
grande Genio si riflettevano sulle mie lenti da miope, scomponendosi e
moltiplicandosi in un fascio di colori di giubilo.
Se quella
era la fine del mondo, perdio, mi piaceva. Mi piaceva eccome.
“Siamo
fottuti” mi borbottò subito dopo il mio capo sopra
la spalla, ma io, oltre la
mia faccia di cera, non provavo che commiserazione per lui. Lui era fottuto, lui
era quello dalla parte del pallone gonfiato in calzamaglia
stralavata, quello che il Genio chiamava non a caso Mr.
Goody Two-shoes. Ma per me, quella era finalmente
l’occasione
di salire alla ribalta.
Almeno
così pensavo.
Niente.
Da domani
sarà tutto diverso, avevo pensato, da domani non ci
sarà un museo dedicato a
questo prodotto di un buonismo intriso di falsità con un
piccolo reparto
dedicato al suo arcinemico, bensì un museo dedicato al suo
arcinemico con un
piccolo reparto dedicato a questo sconfitto buonismo buono veramente
per
nessuno; da domani, sarò io il capo e il curatore e questo
buffone vicino a me
dovrà farmi da lustrascarpe.
E così, ad
ogni convegno ero io la pecora nera, io, l’apatico nerd
fissato per Megamind
incapace di parlare di altro che della foggia del suo costume e della
dinamica
delle sue armi, rinchiuso lavoro dopo lavoro in librerie di
second’ordine e
fumetterie, talvolta circondato da grassoni intenti a stupidi giochi di
ruolo e
vittima degli scherzi di marmocchi che mi chiamavano solo per farsi
prendere la
riproduzione dell’ultimo mantello bianco dallo scaffale
più in alto. Avevo
ingoiato l’odore nauseabondo delle fumetterie per troppo
tempo, e l’offerta al
museo era un’occasione per salire di un gradino la scala
delle considerazioni.
“Credo…
che a tutti piacerebbe sapere…
che progetti hai per noi… e questa
città”.
Domanda
tuttavia più che lecita. Io fissai speranzoso il vincitore,
pendevo dalle sue
labbra.
“Progetti”.
La parola mi aveva forato il cervello in tanti punti lasciando dei
vuoti che
andavano colmati, con l’immaginazione prima e coi fatti poi.
“Immaginate
le cose più orribili,
spaventose, e cattive che possiate pensare, e moltiplicatele per
sei!”
Goduria
allo stato puro!
Sono
ancora l’insulso bibliotecario, l’ultima ruota del
carro, compatito da adulti e
preso in giro dai bambini, anche se per fortuna se ne vedono pochi
perché la
paura di ritorsioni da parte di Megamind permane nonostante la calma
apparente
in cui è sprofondata la città.
“Nel
frattempo, vorrei continuaste
con le solite, normalissime cose che fate voi gente normale”.
Non
avevo
colto il senso di quelle parole allora.
Unico monito
alla sua oscena presenza: la splendida vista della cupola blu del
municipio
antistante, confusa col cielo primaverile, che si poteva ammirare
meravigliosamente
– dico, meravigliosamente! – dall’alto
del settore dedicato a Megamind
all’ultimo piano dell’edificio.
Sono
ancora il bibliotecario, l’ultima ruota del carro, compatito
da adulti e preso
in giro dai bambini, il nerd fanatico che deve persino subire le
pagliacciate
di questo ennesimo cliente strampalato vestito alla meno peggio, con
addosso
nientemeno che un pigiama – ma guarda, un pigiama! Da non
credere - e una brutta
copia di plastica della pistola de-idratante in mano.
|
|
|
|
|
|
|
|
Nota
dell’autrice:
Dopo
un
anno di silenzio, rieccomi qua!
Chiedo perdono
per questo silenzio prolungato, ma come (forse) alcuni di voi sapranno,
il mio
soggiorno all’estero è stato abbastanza
impegnativo e non ho avuto il tempo né
la predisposizione mentale per riprendere a scrivere.
Vorrei
però ringraziare tutti gli utenti che mi hanno recensita in
questi mesi e che
hanno apprezzato la mia storia, spingendomi a riprendere in mano le
redini di
quello che avevo lasciato: Grazie! Questo capitolo lo dedico a voi :)
Quella
che
inizialmente era una one-shot sta finendo per diventare una mini-serie
in
capitoli, a quanto pare. Se nel primo episodio abbiamo visto Roxanne
Ritchi
alle prese con i suoi sentimenti contrastati e alle sue sicurezze
interdette,
questa volta abbiamo un Bernard tutto nuovo. Non il solito topo di
biblioteca
senza carattere come può emergere in superficie, ma un vero
e proprio nerd la
cui unica aspirazione nel mondo è dimostrare di sapere
proprio tutto sul
proprio argomento… sindacando sul minimo particolare e
credendosi migliore
della maggioranza degli uomini. La tipica presunzione alla Uomo Fumetto
dei
Simpson, in poche parole.
Tuttavia,
la verità è che lui è invisibile alla
gente, e scorre nella vita normale come
il più insipido degli uomini. Nessuno lo nota, e il fatto di
continuare a non
essere notato anche dopo un capovolgimento di forze non fa che
aumentare le
proprie frustrazioni.
L’idea mi
è venuta dalle uniche battute pronunciate dal personaggio
nel corso del film
(peraltro, interpretato da Ben Stiller), quando si permette di
giudicare il
vero Megamind come non originale, avendo un’idea distorta e
forse più alta del
super-cattivo. La domanda che ci si pone, quindi, è:
se questo
Bernard, apparentemente così scialbo, è un
bibliotecario saccente in merito a
Megamind e al mondo che lo circonda (non dimentichiamoci che ha parlato
della
pistola di Megamind come “cheap replica of his de-hydration
gun”), cosa faceva,
dov’era, quale impatto ha avuto su di lui la presa al potere
del Bellissimo
Signore del Male?
Ecco come
io l’ho vista, e che dire… spero vi sia piaciuta.
Ps.
Ho
lasciato in inglese “First of all: what a turn
out!” perché significa, come ho
già specificato nel capitolo precedente,
“Innanzitutto: Che capovolgimento!”
Ovvero,
“chi se lo aspettava che le cose sarebbero finite
così”.
In
italiano è stato tradotto con “Ragazzi, che
folla!”, e se avessi riportato la
versione italiana non avrebbe avuto senso nel contesto.
“What a
turn-out” è una battuta a mio avviso cruciale,
perché è l’emblema del
cambiamento nelle vite di tutti, ed è il filo conduttore
della mini-serie.
La frase
che pronuncia Megamind sull’innominabile Male sguinzagliato
è un riferimento
alla battuta in “Megamind – the Button of
Doom” in cui il suo ologramma recita:
“you’ve just unleashed an unspeakable Evil upon
Metrocity”. (“avete appena
sguinzagliato un Male innominabile su Metrocity!”).
Il
volume
“Megamind unmasked” esiste davvero, è il
testo che Mergamind/Bernanrd tiene in
consultazione durante uno degli incontri con Roxanne. Gli altri testi
sono di
fantasia.
Lucenera
V.,
28
dicembre 2012.