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Autore: IoNarrante    29/12/2012    14 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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CAPITOLO 14
betato da quella figaH di nes_sie
 
Rimasi a fissare il volto sorridente della mia migliore amica nella penombra del salotto. Da quando ero tornata, accompagnata da Simone vista l’ora tarda, non avevo minimamente pensato di accendere la luce.
Anche perché eri impegnata a fare qualcos’altro.
Persi un battito al ricordo di ciò che io e Simone avevamo fatto poco prima e di cosa sarei stata capace di fare, se Celeste e Leotordo non fossero intervenuti. Come quella volta con Mr. Sogno. Prima che iniziasse tutto, insomma.
«Allora?» domandò Celeste, un po’ irritata. «Ci fai rimanere sulla porta?» sorrise.
Lanciai uno sguardo di traverso al mio coinquilino visto che, fino a prova contraria, l’appartamento era il suo. TermoSifone aveva un’espressione ombrosa in volto e non la smetteva di fissare Leonardo con circospezione.
«Vuoi lasciare quel campione di tuo cugino a dormire sul marciapiede con questo tempo?» sorrise l’altro calciatore. A differenza di Simone, Leonardo non metteva malizia in queste prese in giro.
Il giovane Sogno si limitò a spostarsi da un lato e a lasciar passare il cugino con Celeste. I due entrarono al caldo dell’appartamento, con una grande valigia che racchiudeva lo stretto necessario per i giorni che sarebbero rimasti qui da noi.
«Allora, come mai questa visita?» chiesi, tentando di rimanere sul vago.
Nel frattempo aiutai Celeste a districarsi da sciarpe, guanti e cappello. Era imbacuccata sino alla punta dei capelli, così mi lasciai andare ad un piccolo sorriso e finalmente sentii quel calore e quella gioia nel riavere finalmente al fianco la mia migliore amica.
«Ti avevo accennato che venivamo per Natale,» bofonchiò, liberandosi dello sciarpone di lana. Leonardo si stava spogliando davanti allo sguardo attento di Simone. Lo fissava come un leone guarda un altro maschio che è entrato nel suo territorio.
Ricordai vagamente un messaggio lasciato in segreteria dalla mia migliore amica, ma con estrema sincerità mi ero quasi dimenticata.
«Giusto, così avete deciso di imbarcarvi sul primo volo?» domandai, sperando di non risultare troppo polemica. In fondo, sarebbe bastata un’altra telefonata prima di partire, giusto il tempo per organizzarci.
Leonardo si liberò di un enorme cappello di lana con le orecchie. «Appena il Mister ci ha dato il via libera, siamo saliti sul primo aereo. Cel non vedeva l’ora di riabbracciarti ed io sentivo la mancanza del resto del parentado,» sghignazzò, lanciando un’occhiata a Simone che se ne stava stranamente in silenzio.
Era strano che ancora non avessi visto all’opera quei due, che Simone non avesse una delle sue battute pronte. Molto sospetto, soprattutto dopo che il cugino gli era piombato in casa senza avvertirlo minimamente. Persino io provavo un certo fastidio, e la casa non era nemmeno mia.
«Sofia sarà felicissima di vederti,» mugugnò. Prima parola da quando erano arrivati.
«E quella peste di Susy?» domandò Leonardo. Notai come gli brillarono gli occhi quando iniziò a parlare della nipotina. Quei grandi occhi verdi, così diversi dal marrone scuro e ombroso di Simone.
Fece spallucce e si diresse verso le camere da letto. Anche se lo conoscevo da poco tempo, sapevo che era arrabbiato per qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa.
Se ti spremi, magari ci arrivi. Cosa stavate facendo?
Scossi violentemente la testa e mi forzai di non arrossire davanti alla mia migliore amica. C’ero cascata due volte, la prima alla serata a Cambridge, la seconda poco tempo fa. Se la prima volta era stato solamente un caso, per la seconda non potevo utilizzare la medesima spiegazione.
Mi stava succedendo qualcosa ed io dovevo darci un taglio prima che il tutto mi sfuggisse di mano. Un conto era la storia con James, in fondo era pur sempre un collega di lavoro e una volta concluso il caso non ci sarebbero stati ostacoli alla nostra frequentazione, ma Simone… fino a qualche ora prima lo avrei volentieri preso a badilate.
«Ma…» se ne uscì Leonardo, rivolgendosi alla sottoscritta. «Tu cosa ci fai a casa di Simo? Noi avevamo pensato di venire qui perché casa sua è completamente vuota. Non stavi in un buco di appartamento vicino Regent Street?»
A quel punto si sentì lo schiocco di un ceffone da parte di Celeste. «Possibile che hai lo stesso tatto di una pentola a pressione?» Poi si rivolse a me. «Scusalo, ma ha la stessa sfera emotiva di un sasso. Comunque, ti sei trasferita qui da Simone?» chiese, ammiccando.
Soltanto io che la conoscevo da anni potevo capire che anche se aveva sgridato Leonardo, in segreto anche lei moriva dalla voglia di sapere il motivo per cui mi avevano trovata a casa del piccolo Sogno.
Non sapevo se avrei dovuto parlar loro del caso giudiziario in cui era coinvolto Simone, visto e considerato che nemmeno Mr. Marco ne era a conoscenza, perciò tentai di risolvere la questione in modo diplomatico. «L’affitto era troppo alto, così Simone si è offerto di ospitarmi ed io mi sdebito facendogli qualche lavoretto per casa,» tagliai corto.
Celeste rimase notevolmente sorpresa da quella mia giustificazione, perché lei sapeva che il mio orgoglio non mi avrebbe mai permesso di abbassarmi a fare la massaia di un bamboccio come Simone, ma si sarebbe dovuta accontentare, almeno per ora. Non potevo mettere a rischio la causa nemmeno con la mia migliore amica.
Il giovane Sogno fece la sua comparsa proprio al momento giusto. «La camera da letto è occupata dalla nanetta, perciò è rimasto il divano del salotto,» lo indicò con il dito indice. «Oppure la sala hobby che ha un comodo tappeto persiano e il camino.»
Sorvolai sull’ennesimo soprannome e mi sentii in dovere di intervenire. «Non preoccupatevi, vi cederò la mia stanza ed io dormirò sul divano. Voi siete in due e di là c’è un comodo letto a due piazze, non voglio che dormiate rannicchiati,» dissi decisa.
«Ma cosa dici! Siamo noi che ci siamo presentati senza avvisare, è giusto che dormiamo sul divano,» intervenne Celeste.
Leonardo le diede dei colpetti sul fianco. «Ma sei scema? Così mi sveglio con la schiena incriccata. Visto che la tua amica è così gentile…» mi sorrise ammaliante.
Simone si sentì subito in dovere di intervenire. «Oppure Celeste e Lil’Elf potrebbero dormire nel letto a due piazze e tu sul divano… oppure sullo zerbino di fronte alla porta, eh?» ghignò.
Era tornato quello di sempre.
Leonardo si accigliò dopo pochissimo. «Perché invece tu non cedi la tua stanza e da bravo padrone di casa non vai a farti fottere?»
Simone si limitò a sfoderare quel sorriso malandrino che rifilava anche alla sottoscritta i primi giorni lì a Londra. Oramai avevo capito che era soltanto uno schermo dietro cui si riparava.
«Ti piacerebbe,» rispose. «Prova a telefonare all’Hilton, magari hanno una camera libera per uno dei calciatori più famosi d’Italia,» ridacchiò.
«Il ventidue di Dicembre non c’è posto nemmeno alla Caritas,» gli feci osservare.
Simone spense quel sorriso amaro. «Perché lui non è nessuno, ecco perché.»
«Sentite!» intervenni io, prima che Leonardo potesse mettere mano all’enorme valigia, tirandola in testa a Simone che se lo sarebbe meritato appieno. «Voi due dormite nella mia stanza, io dormo sul divano. Per stanotte ci arrangiamo così, domani si vedrà,» dissi decisa.
Ero un avvocato e queste baruffe familiari erano pane per i miei denti. In fondo, gli ospiti andavano trattati con riguardo e non potevo permettere che la mia migliore amica dormisse scomoda e stretta con quel colosso di Leonardo che l’avrebbe schiacciata contro il divano.
«Sei sicura?» mi chiese Cel, preoccupata.
Le sorrisi e annuii. «In fondo, non è peggio che dormire nel mio vecchio monolocale! Fidati, ci sono abituata. Alle volte dormivo pure sui sedili della Tube.»
La mia migliore amica si sentì più sollevata, così li accompagnai entrambi verso la mia stanza, mostrando loro dove fossero le lenzuola pulite. Presi solamente le cose che mi servivano per la notte, una coperta, un cuscino e poi mi preparai per andare a dormire.
Mentre mi dirigevo in salotto, sbirciai verso la stanza di Simone, trovando la porta già sigillata. Era andato a dormire senza degnarsi di nessuno. Un’egoista, ecco cos’era.
Decisi che l’indomani avrei fatto di tutto per obbligarlo a dormire sul tappeto della sala hobby, visto che quello che si meritava era solo un intenso mal di schiena, ma la stanchezza di quella giornata di lavoro mi aveva talmente sfibrata che mi lanciai di peso sul divano, chiudendo gli occhi all’istante.
Non avevo minimamente considerato che senza il piumone del grande letto a due piazze, alle tre del mattino mi sarei svegliata scossa dai brividi.
Aprii gli occhi di colpo per il rumore dei miei stessi denti che battevano. Mi tirai su la coperta ma era comunque troppo leggera e mi sentivo davvero congelare. Guardai l’orologio e pensai di entrare nella mia vecchia stanza per prendermi almeno una felpa, poi realizzai che magari avrei svegliato Celeste, a causa del suo sonno leggero, e che lei si sarebbe ancor più sentita in colpa sapendo che mi aveva fatto passare una notte al gelo.
Avvicinai le mani e ci soffiai sopra un po’ di fiato caldo, sentendo di nuovo la sensibilità alle dita. Nonostante ci fosse il riscaldamento, la nevicata di quella notte aveva fatto abbassare la temperatura di almeno dieci gradi ed io adesso stavo letteralmente congelando.
Forza Ven, ricordati che ne hai passate di peggiori. Come al campeggio.
Ricordavo perfettamente quella famosa estate in cui i miei genitori mi avevano spedito ad una specie di campeggio estivo in non so quale paese sperduto tra i monti. Grazie alla mia fortuna sfacciata, beccai l’unica settimana di diluvio universale a Luglio. Non mi ero portata quasi nulla di pesante, tranne una felpa. Fu l’unica volta in tutta la mia vita che misi lo stesso indumento per sette giorni e notti consecutive a causa del freddo che faceva.
Un’esperienza irripetibile.
Decisi di rigirarmi più volte, in modo che un po’ di movimento mi avrebbe scaldata, ma servì a ben poco. Non appena mi fermavo, sentivo proprio la morsa del gelo che mi si attanagliava addosso. Di questo passo avrei passato la nottata in bianco e il giorno dopo, a lavoro, prima delle vacanze natalizie, sarei assomigliata ad uno zombie.
Ero sul punto di alzarmi e prepararmi qualcosa di caldo, come un the, quando avvertii la porta di una delle stanze aprirsi e un rumore di pantofole sul pavimento. Socchiusi gli occhi, fingendo di dormire, ma tra le ciglia tentai di sbirciare di chi si trattasse.
Non fu difficile capirlo. Il metro e novanta di Simone Sogno era inconfondibile anche al buio, così mi sentii libera di aprire gli occhi. Se si fosse sentito in colpa per la mia notte quasi insonne, tanto meglio.
Si avvicinò al bancone della cucina e ne tirò fuori una bottiglia d’acqua, stappandola e bevendo direttamente da essa. Il solito cafone, non c’era altro modo per descriverlo. Quattro persone in quell’appartamento e tre di esse dovevano bere la sua saliva.
«Non lo sai usare il bicchiere?» gli domandai, con la voce roca.
Sentivo un certo pizzicare alla gola e attribuii quel fastidio al freddo che avevo sentito dormendo senza quasi accorgermene.
Simone sussultò, poi si voltò verso di me. «Mi stavi spiando?» chiese.
A quel punto mi alzai a sedere, avvolgendomi la coperta tutta intorno al corpo come fosse un bozzolo caldo. «Ho di meglio da fare che passare il mio tempo a fissarti,» bofonchiai insonnolita.
Simone prese un altro sorso d’acqua direttamente dalla bottiglia. «Conti le pecore?»
Non persi nemmeno tempo ad elaborare una risposta, tanto sarebbe stato inutile. Inoltre, avevo troppo sonno ed ero infreddolita. Il mio Cervello era andato un attimino in pausa.
Rimanemmo a scrutarci nella notte, mentre si sentivano alcuni passi in strada che scricchiolavano sulla neve fresca. L’indomani mattina sarebbe stato quasi impossibile raggiungere lo studio con un mezzo, perciò mi ritenevo abbastanza fortunata a percorrere la strada a piedi.
«Non riesci a dormire?» mi chiese lui dopo poco, posando la bottiglia d’acqua.
Scossi la testa sbadigliando. «Fa troppo freddo stanotte,» dissi.
Simone parve sorpreso, anzi, direi quasi preoccupato. «Vado ad alzare il riscaldamento,» mormorò, sparendo dietro il corridoio.
Pensai che in fondo non era stato poi uno spiacevole incontro quello di quella notte, visto che Simone era sembrato più servizievole del solito.
Tornò dopo qualche minuto. «È al massimo,» disse mortificato. «Evidentemente siamo andati molto sotto lo zero stanotte,» constatò.
«Già,» bofonchiai delusa, preparandomi a dover fare esercizi tutta la notte pur di non congelarmi. Ero un tipo piuttosto freddoloso, dovevo ammetterlo.
«Ti porto un’altra coperta?» mi chiese, ed io lo fissai come se fosse appena sceso da un’astronave. Possibile che fosse lo stesso Simone di due minuti fa?
Sorrisi. «Alle tre del mattino sei stranamente gentile, lo sai?» gli dissi compiaciuta.
Lui si indispettì subito, tornando sulla difensiva. «Sei tu che mi prendi a parolacce e mi offendi dalla mattina alla sera. Io mi difendo soltanto.»
«Sì, certo,» ridacchiai.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, nel frattempo ricominciai a sentire freddo. Era l’immobilità che mi fregava, ma non potevo certo mettermi a fare gli addominali alle tre del mattino!
«Comunque…» se ne uscì Simone, staccandosi dal mobile della cucina su cui era appoggiato. «In camera mia c’è la trapunta con le piume d’oca.»
Rimasi a fissarlo nell’oscurità col cuore che mi batteva all’impazzata. Avrei dovuto tirargli immediatamente qualcosa addosso oppure urlargli contro male parole, ma non ci riuscii. Era come se dentro di me, nella parte più remota del mio essere, io mi aspettavo quella domanda. Dopo quello che Celeste e Leonardo avevano interrotto, era più che lecito che il passo successivo sarebbe stato quello.
Ricorda il motivo per cui sei andata via di casa.
L’indipendenza, il lavoro dei miei sogni, diventare una donna in carriera e non una casalinga come mia madre.
«Preferisco affittare il cartone di un barbone, grazie,» gli risposi piccata, ma lui se lo aspettava così si limitò a sorridermi e a portami una coperta in più. Non ci poteva essere alcuna storia d’amore tra noi due, anzi, i nomi Simone e Venera non potevano sostare più di cinque minuti nella stessa frase. Due persone in antitesi, due opposti. I nostri caratteri erano troppo forti per stare insieme, prima o poi saremmo esplosi.
Celeste e Leonardo invece si completavano. Lei era una donna di carattere, forte, intelligente, mentre lui era buono, comprensivo, un po’ egocentrico ma in fondo si trattava pur sempre di un calciatore.
Lo ringraziai e gli diedi la buonanotte, rimettendomi a dormire. Ovviamente ci riuscii ben poco. Prendevo sonno ma dopo due minuti mi risvegliavo, un po’ meno per il freddo ma più che altro per i pensieri che mi vorticavano in testa. Celeste era la mia migliore amica e per come la conoscevo, mai mi sarei immaginata che sarebbe finita con un ragazzo come Leonardo.
Eppure avevo fatto male i conti con entrambi.
Il loro rapporto, anche se iniziato sulla base di una grossa menzogna, e dopo aver attraversato degli alti e dei bassi dovuti anche al carattere intrattabile della mia migliore amica, ora sembrava andare per il meglio. A quanto mi raccontava, Celeste si era quasi abituata alla vita della ribalta. Certo, all’inizio era stato difficile fare i conti coi paparazzi, con i giornalisti che ti seguivano un po’ ovunque, ma io stessa le avevo spiegato che se un rapporto era nato per durare, avrebbe superato tutto, anche quelle piccole difficoltà.
E così era stato.
Rigirandomi da una parte all’altra del divano, cominciai a fare strani pensieri. Tra i brividi di freddo di quella notte, paragonai la mia vita a quella della mia migliore amica, riflettendo se io stessa sarei riuscita a vivere quel genere di vita.
Con Simone sarebbe lo stesso.
Rabbrividii quando il suo viso e quei suoi occhi scuri mi perforarono la veglia, facendomi spalancare gli occhi. Per quanto mi sforzassi di non pensarci, di non pensare a lui, era come un boomerang e lui tornava sempre indietro.
Con James non era mai successo, lui non era riuscito a penetrare tanto a fondo soltanto con un’occhiata. Magari era perché ormai eravamo conviventi, era più di un mese che stavamo a contatto ogni giorno e anche il più piccolo angolo di quell’appartamento mi ricordava Simone.
Non volevo ammetterlo, era più forte di me ma ancora non riuscivo a farlo. Sarebbe stato da ipocrita predicare bene e poi razzolare male, dire di lui peste e corna ma poi soccombere al suo fascino come una di quelle giraffone qualsiasi.
O forse lui ha davvero fascino. È riuscito perfino ad ammaliare una col cuore di ghiaccio come il tuo.
Scossi la testa e guardai il soffitto. Decisi di alzarmi, tanto non avrei chiuso occhio per il resto della notte continuando a fare quei pensieri.
Mi diressi in bagno, l’unico funzionante, e passai di fronte alla mia vecchia stanza. La porta era lievemente socchiusa, così la curiosità ebbe il sopravvento e nonostante la mia coscienza mi dicesse di proseguire e farmi gli affari miei, mi avvicinai all’infisso e lo spostai con delicatezza.
Lentamente la porta si aprì, senza cigolare, e sbirciai nella penombra della stanza. Riconobbi le sagome del cassettone dove avevo riposto i miei pochi vestiti, i comodini e il grande letto a baldacchino. Coperti dalla pesante trapunta che avevo rimpianto quella notte c’erano Leonardo e Celeste, l’uno abbracciato all’altra.
Dormivano profondamente e nel loro abbraccio era come se i due corpi si fondessero in uno solo, donandosi calore e sicurezza. Sorrisi a quella scena perché ricordai la prima volta che lei mi parlò del calciatore. All’inizio Celeste lo aveva disprezzato, quasi odiato, pur non sapendo quale professione esercitasse, come la sottoscritta.
L’unica differenza è che io sapevo bene chi fosse Simone Sogno.
All’improvviso un lungo brivido di freddo mi rotolò lungo la spina dorsale, facendomi correre la pelle d’oca. Sentivo il respiro farsi più pesante e un forte disagio proprio al centro del petto. Pensai subito che mi stesse venendo una specie di infarto, ma poi mi diedi immediatamente della sciocca.
Prima di partire avevo fatto tutte le analisi possibili immaginabili, nel giro di un solo mese non era cambiato nulla.
Richiusi la porta e andai in bagno, poi mi diressi di nuovo verso il mio freddo cantuccio. Mi bloccai però davanti alla stanza di Simone, quasi come se i miei piedi mi avessero condotto lì senza il mio volere.
Forse ero sonnambula ma il mio Cervello era fin troppo vigile per essere assopito.
Cosa diavolo stavo facendo?
Dovevo resistere, farmi forza, non cedere alla tentazione della carne come avevano fatto tutte le ragazze che quel cretino immaturo di Simone si era portato a letto. Io ero Venera Donati, quasi socio della Abbott&Abbott di Londra, avvocato in erba e giovane donna in cerca di un uomo maturo che le desse una certa stabilità emotiva.
Non un bamboccio a cui avrei dovuto cambiare il pannolino.
Ma tutti questi pensieri non bastarono a fermare la mia mano che si posò quasi automaticamente sulla maniglia della porta. Rimasi un po’ di tempo ferma a pensare, in attesa che succedesse qualcosa, che anche il più piccolo rumore potesse distrarmi e farmi rinsavire.
Poi feci un po’ di pressione e la porta si aprì lentamente.
La stanza era avvolta nel buio, tranne che per la luce flebile di un lampione in strada che filtrava attraverso le tende tirate male. Il disordine regnava sovrano in quella stanza, nonostante più volte lo avessi rimproverato di dare una sistemata, ma in quel momento stranamente non mi diede troppo fastidio. Il mio sguardo era totalmente rapito dalla figura assopita di Simone, rigirato su un fianco, che occupava metà del letto e dormiva profondamente.
Nel silenzio della stanza cominciai ad udire distintamente qualcosa tamburellarmi al centro del petto e solo quando mi resi conto che non stavo respirando, mi accorsi che si trattava del mio cuore. Mi strinsi le braccia al petto mentre un brivido di freddo mi colpiva a tradimento, così non indugiai troppo e mi avvicinai al grande letto a due piazze.
Non mi feci troppe domande e il mio Cervello era evidentemente fin troppo intorpidito dalla notte quasi insonne, così non ricevetti alcun ammonimento in ciò che stavo per fare. Avrei dovuto riflettere meglio sulle conseguenze, prevedere che quel gesto avrebbe mescolato per bene le carte in tavola. Finalmente avevo messo in chiaro le cose con James, di comune accordo avevamo deciso di smetterla di mentire agli altri, di fare le cose di nascosto per via di questo lavoro che era diventata la mia stessa vita, ed ora, dopo nemmeno una settimana, ecco che mi infilavo di nascosto nel letto della stessa persona che avrei dovuto difendere in tribunale.
Mi fermai davanti al letto e indugiai. Simone dormiva profondamente. Aveva le labbra dischiuse e il respiro pesante, con quei capelli perennemente spettinati e sparsi su tutto il cuscino. Dovetti ammettere a me stessa che per quanto fosse superficiale, immaturo e stronzo, nulla toglieva alla sua bellezza, soprattutto quando lo vedevo così innocente.
Finché la sua bocca non tirava fuori qualche offesa o stupido soprannome, avrebbe battuto James su tutti i fronti. Mi costò molto ammetterlo, anche perché fino a poco tempo fa mai avrei immaginato di poter dire certe cose, eppure eccomi lì, al bordo del suo letto, elemosinando un posto caldo e accogliente.
Scostai delicatamente la trapunta di piume d’oca, mi tolsi le pantofole col pelo e posai lentamente un ginocchio sul materasso, facendolo inclinare di poco. Avevo paura di svegliarlo, di trovarmi davanti agli occhi quelle iridi scure, quasi come quella stessa stanza che permetteva a mala pena di scorgere i contorni degli oggetti da arredo.
Posai lentamente la testa sul cuscino, tirandomi su la trapunta fin quasi a coprire le orecchie, poi mi rannicchiai guardando verso Simone. Si era limitato solo a chiudere le labbra mentre il suo tranquillo respirare riempiva il silenzio di quella strana notte. Finalmente la temperatura del mio corpo si stava stabilizzando così cominciai a chiudere lentamente le palpebre preparandomi ad una lunga notte di sonno.
«Ti stavo aspettando,» disse all’improvviso una voce ed io spalancai gli occhi quasi allarmata, trovandomi a guardare Simone dritto in faccia.
Tentai di non arrossire, ma fu quasi del tutto inutile. Col beneficio del buio però, sperai che il calciatore non se ne accorgesse.
Simone mi sorrise e dal suo sguardo stranamente vigile pensai che non si fosse addormentato per nulla dalla nostra chiacchierata in cucina di poco tempo prima. Aveva capito che sarei venuta da lui e mi stava aspettando sveglio.
Rabbrividii al pensiero di quanto fossi stata sciocca e prevedibile. Però non me ne dispiacque.
«Ce ne hai messo di tempo per decidere,» sussurrò, distendendo le lunghe gambe sul grande materasso.
Senza smettere di fissarlo dritto negli occhi, per quanto il suo sguardo mi stesse mettendo in soggezione, sbuffai infastidita. Ovviamente si trattava solo di una scenata, nulla di più.
Solo per non dargliela vinta.
«Ho creduto opportuno non ammalarmi ancora, visto che domani è il mio ultimo giorno di lavoro prima del ponte natalizio,» spiegai diplomatica.
Sbirciai la reazione di Simone da sotto le mie ciglia, abbassando un po’ lo sguardo e fingendo sonnolenza, ma lui non fece una piega, anzi, sorrise. Aveva forse capito che il mio era soltanto un bluff? Che alla fine, come tutte quelle giraffone che mi stavano tanto sul cavolo, anche io avevo ceduto al suo strano fascino?
«Sono felice che tu sia così responsabile.» Allungò una mano e scostandomi un ciuffo di capelli davanti al viso. «Buonanotte, avvocato.» Si voltò dall’altra parte del letto, dandomi le spalle.
Rimasi a fissare la sua schiena per i successivi dieci minuti, col cuore che batteva all’impazzata all’interno della gabbia toracica e una strana sensazione di calore in tutto il corpo. Non seppi se si era trattato della trapunta di piume d’oca o di qualcos’altro.
Magari la nuova sensazione di avere qualcuno accanto, di essere importante, di poter condividere qualcosa non solo per interesse.
Buonanotte, Simo.
Mi addormentai col pensiero che per quanto quel ragazzino fosse insopportabile, immaturo, incosciente e tutti gli annessi e connessi, ormai era difficile continuare a dire che non mi fossi inspiegabilmente legata a lui.
C’era qualcosa che mi aveva colpito, dalla sera della festa a Cambridge, ed era come se fossi finita in una specie di rete: più tentavo di districarmi, di dimenticarlo, di separarmi da lui, e più le maglie mi si stringevano addosso, intrappolandomi.
 
Se il buongiorno si vedeva dal mattino, quella volta non si trattò affatto di una buona giornata. Mi svegliai con un forte mal di testa, a causa della notte passata a vagare per tutta la casa, inoltre era come se mi sentissi oppressa da qualcosa.
Spalancai le palpebre e mi stropicciai gli occhi, non riconoscendo affatto i contorni della mia stanza da letto. Magliette lanciate sopra le sedie, calzini sparsi a terra, riviste che penzolavano dagli scaffali. Quella specie di tugurio poteva appartenere ad una sola persona: Simone.
Non appena realizzai cosa fosse successo la notte prima, sentii una forte scarica di adrenalina in tutto il corpo e mi accorsi finalmente di avere un altro essere umano avvinghiato addosso. Con la coda dell’occhio scorsi un ciuffo di capelli di Simone che mi solleticavano la nuca e infatti quel demente mi si era appiccicato durante il sonno come un cucciolo di koala.
Ci sarebbe voluta soltanto tutta la mia forza di volontà per non rovesciargli addosso tutto il letto, facendo svegliare Celeste di soprassalto.
Perché dovevano capitare tutte a me? Non era bastato l’imbarazzo della sera prima? Evidentemente il karma si era accanito contro di me per qualche assurdo motivo.
Con un enorme sforzo, tentai di girarmi in modo da non dargli le spalle e di divincolarmi da quell’abbraccio da piovra. Ci riuscii al terzo tentativo, facendo traballare un po’ il materasso ma Simone sembrò non accorgersene.
Dormiva come un ghiro.
Purtroppo non avevo fatto i conti con l’effetto del suo viso con la prima luce del mattino. Quando dormiva, dimostrava ancora meno anni. Sembrava che il tempo non fosse mai passato per lui, che l’avesse congelato all’età di diciassette anni e lì si fosse fermato, dandogli per sempre l’aspetto di un adolescente.
Le labbra semi dischiuse a lasciare intravedere il bianco degli incisivi, un ciuffo di capelli castani che gli ricadeva sul viso addormentato e quelle grandi mani avvolte sui miei fianchi. Potevo sentirne il calore attraverso la stoffa del pigiama, quasi a bruciarmi la pelle e a marchiarla.
D’improvviso persi un battito perché lo sentii muoversi leggermente, ma subito dopo sembrò di nuovo addormentato. Evidentemente era stato un movimento involontario durante il sonno.
Con la gola secca, mi trovai ad osservarlo ancora, sempre più vicino.
Mi sentivo in colpa per quello che stavo facendo, per l’ingordigia con cui il mio sguardo sondava ogni suo particolare. Dalle spalle larghe alle braccia lunghe e affusolate, con le vene sporgenti che sparivano al di sotto della trapunta, a stretto contatto col mio corpo.
Con James non avevo mai raggiunto questo tipo d’intimità, perché non ce n’era stata occasione. O meglio, una volta mi aveva invitato a casa sua ma Simone mi aveva fatto cambiare idea senza chiedermi nulla. Soltanto il suo sguardo afflitto mi era bastato a rinunciare a quell’invito.
Era come se il calciatore avesse uno strano potere sulla sottoscritta, nonostante avessi sempre creduto di poterlo rigirare a mio piacimento. Avevo dato per scontato che la sua professione lo rendesse un po’ a corto di acume, invece lui avrebbe anche potuto frequentare Cambridge, come la sottoscritta, ma la passione per quello sport lo aveva condotto da un’altra parte.
Liberai una mano da sotto le coperte e la passai impercettibilmente sul suo viso, studiandone i contorni ancora una volta, quasi come se fosse impossibile resistere a toccare quella pelle così liscia e bianca, quasi di porcellana.
Gli scostai quella ciocca ribelle di capelli dal viso e avvertii distintamente il suo profumo sparso sul cuscino. Non si trattava di qualche fragranza famosa, come Calvin Klein o roba simile, ma proprio l’odore che emanava la sua pelle, quel tipo di sostanza che inizialmente contraddistingue la persona, ma poi diventa un’abitudine sentirla attorno a sé.
A cosa stai pensando, Ven? Ti piacerebbe non sentire più quel profumo?
Quel pensiero pungente mi fece ritrarre immediatamente la mano dal viso di Simone, perché altrimenti mi sarei potuta bruciare con le mie stesse mani. Mi faceva male tutto quello, tutta la situazione che si stava instaurando tra me e Simone. Stavo mettendo tremendamente a rischio tutto il mio lavoro, tutto ciò per cui avevo fatto degli enormi sacrifici e avevo lasciato la mia stessa casa.
Per cosa, poi? Avrei mandato la mia carriera a rotoli per qualcuno che non sapeva nemmeno prendersi le proprie responsabilità, che in ballo aveva una causa di dubbia paternità?
Io avevo bisogno di stabilità, di qualcuno capace di darmi una certa sicurezza. Ormai ero troppo grande per vivere ancora sul filo del rasoio, di una relazione altalenante.
Decisi di alzarmi, di allontanarmi di lì il più presto possibile prima che potessi impantanarmi ancora di più con le mie stesse mani. Quella situazione mi stava sfuggendo di mano, con Simone non riuscivo ad essere me stessa, a tirare fuori quel muro che mi permetteva di essere così fredda e distaccata.
Era come se lui riuscisse a scavalcarlo, a passarvi oltre senza alcuna difficoltà.
Proprio quando mi voltai per scendere dal letto, sentii le sue braccia stringere con forza trattenendomi al mio posto. Divenni letteralmente una statua, completamente immobile, soprattutto quando Simone si avvicinò con tutto il suo corpo, facendolo aderire al mio.
«Buongiorno,» mi soffiò nell’orecchio, facendomi venire la pelle d’oca. «Dove pensavi di scappare?» ridacchiò.
Tentai di sfuggire al suo sguardo ma non ci riuscii. Lo cercai poco dopo qualche secondo, troppo affamata da quegli occhi incredibilmente scuri ed espressivi. Stava diventando un’ossessione, una droga a cui non riuscivo a resistere.
«Devo andare al bagno,» mentii, pur di andarmene da lì.
Sapevo che se fossi rimasta almeno qualche altro minuto gli avrei dato la possibilità di scorgere un lato di Venera che non avevo mai fatto vedere a nessuno. Ero troppo debole, avrei dovuto riprendermi e riacquistare un po’ della mia consueta acidità.
«Bugia,» disse lui, ridendo e fissandomi con quei maledetti occhi.
Lo odiavo. In quel momento avrei voluto urlargli contro di lasciarmi stare, di togliere quelle mani calde e accoglienti dal mio corpo. Lo avrei voluto maledire di essersi rivolto al mio stesso studio. Per colpa sua mi stavo lentamente disintegrando.
Mi guardò ancora una volta, ma serio. Era così bello, perfino la mattina appena sveglio e con lo sguardo assonnato.
Senza aggiungere nient’altro si avvicinò lentamente e premette le sue labbra sulle mie, senza forzarmi. Lo fece di proposito, perché aspettava una mia reazione negativa che ovviamente non arrivò. Era impossibile che arrivasse.
Da quando eravamo stati interrotti dall’arrivo improvviso di Leonardo e Celeste, era come se mi fosse mancato qualcosa.
Allungai una mano e intrecciai le dita con i suoi capelli, così morbidi e setosi, mentre arrendevole schiudevo le labbra e gli permettevo di infilare la lingua che andò subito a lambire la mia. Nessuna parte di me si ribellò a quell’intrusione, non ve n’era motivo, non dopo che segretamente avevo serbato quel desiderio da tempo.
Il suo profumo mi penetrò con forza nelle narici, ottenebrandomi i pensieri, mentre le nostre bocche si rincorrevano tra i baci. Simone si fece più intraprendente e mi schiacciò sotto di sé, non facendo tanta pressione.
Si scostò da me per prendere fiato e per guardarmi negli occhi, quasi sicuramente annebbiati dalla passione.
«Devo prendere nota che la mattina presto sei decisamente più arrendevole,» ironizzò malizioso, sfoderando un sorriso birichino.
Sorrisi anche io, visto che ormai non potevo più nascondere l’attrazione che provavo nei suoi confronti. «Sarà che il sonno m’intontisce. Ti consiglio di approfittarne.»
Cosa hai fatto alla vecchia Ven, quella responsabile e matura? Chi è quest’essere malizioso e arrendevole?
Ignorai il mio Cervello e accolsi di nuovo le labbra di Simone sulle mie, la sua lingua calda che si muoveva tra le mie labbra affamate. Sentivo tutto il peso del suo corpo sul mio e non mi dispiacque, anzi. Era davvero troppo tempo che non mi buttavo in una qualsiasi relazione e per quanto fossi stata impegnata col lavoro, adesso ne avrei pagato le conseguenze.
Il mio corpo bramava quel peso e quel calore più di ogni altra cosa, quasi si protendesse verso di lui a cercarlo quando mancava.
Ma in quel momento, mi domandai, perché tutto quello non era successo prima con James? Per quale motivo non avevo avvertito lo stesso bisogno, quasi animale, di lanciarmi tra le sue braccia. Forse perché Simone era qualcosa di instabile, di proibito, qualcosa da cui mi ero sempre ben vista?
Tra un bacio e l’altro avvertii le mani di Simone che si facevano spazio tra le pieghe del mio pigiama, sollevandone il bordo e cercando avide il contatto con la mia pelle.
Erano bollenti e tutto il mio corpo reagì con un lungo e profondo brivido.
Simone spostò le labbra e andò a torturare un lembo della mia pelle direttamente sotto l’orecchio. Incapace perfino di pensare, mi limitai a fissare il soffitto in balia delle sue mani morbide, ricordandomi solo di respirare.
Ero in affanno e sentivo che prima o poi il cuore mi sarebbe scoppiato nel petto.
«D-Dovremmo fer-fermarci…» annaspai, in un momento di lucidità che svanì quasi subito.
«No,» rispose lui secco, dicendomelo direttamente nell’orecchio come a volermi far intendere quella parola alla perfezione.
Avrei dovuto insistere, anche perché ero l’unica che rischiava grosso da tutta quella storia.
«L-La causa,» riuscii ad aggiungere, cercando di fargli ritrovare un po’ di sale in zucca.
Simone si avventò con forza e decisione sulle mie labbra, facendomi tacere a suon di baci caldi e umidi. Non mi sarei aspettata che si mettesse da parte, che, come James, razionalizzasse sul problema e trovasse una decisione diplomatica.
Lui era puro istinto e nient’altro.
«Ti voglio,» disse imperativo, arrivando a slacciarmi perfino il reggiseno. «Ora.» Gli permisi di alzarmi la maglietta, di cominciare a lasciare una scia di baci umidi che partiva dal mio ombelico e risaliva fino a lambirne il seno.
Lanciai un urlo muto verso il cielo quando le sue labbra toccarono quel bottoncino di carne delicato e inarcai la schiena, cercando con le mani i suoi capelli e affondandovi le dita con forza. Stavo rischiando troppo, gli stavo concedendo una libertà che difficilmente avevo dato ad un ragazzo.
Ma lui non è uno qualsiasi.
Era piombato nella mia vita come un uragano, e con la stessa intensità aveva spazzato via ogni mia fermezza. Aveva scavalcato il muro ed era riuscito ad arrivare a me.
«S-Simo…» gemetti affannata, senza sapere cosa dire né cosa fare. Era come tornare alla mia prima volta, tra l’imbarazzo di non saper dove mettere le mani.
Invece lui era così esperto, così sicuro di sé nei movimenti e nelle reazioni che il mio corpo avrebbe avuto. Perché Simone ci era abituato, con tutte quelle che si portava a letto quasi ogni sera.
Sentii il mio cuore fare un tuffo verso il basso, realizzando che sarei potuta essere semplicemente uno dei suoi passatempi. Una valvola di sfogo per quella specie di castità che suo fratello e James gli avevano imposto.
Senza che me ne accorgessi, una lacrima rotolò giù dal mio occhio sinistro, infrangendosi sul dorso della mano di Simone che subito si fermò e cercò i miei occhi.
Si avvicinò e mi posò un bacio sul mento, poi sul naso e infine in fronte.
«Che hai?» mi chiese preoccupato ed io rimasi quasi totalmente imbambolata da quel suo strano comportamento.
«Niente,» mentii, asciugandomi velocemente l’angolo dell’occhio. Non avrei certo potuto ammettere che avevo paura di essere una delle sue tante giraffone, anche se non ero né una modella, né tanto meno una bellezza da copertina.
Simone si accigliò, così si accomodò meglio sul mio corpo, posando la testa sul mio seno scoperto.
«Stai mentendo, ormai lo capisco quando mi racconti bugie,» disse sicuro, neanche fossimo sposati da dieci anni.
Come pretendeva di conoscermi dopo nemmeno un mese di convivenza? Cosa ne poteva sapere di me?
«Ti ho detto che non è niente, poi non devo certo spiegarlo a uno come te,» sibilai, senza pensare. Non sapevo nemmeno cosa volesse da me, se il suo scopo era solamente quello di portarmi a letto e nient’altro, se ero solo un’altra tacca sul suo bastone delle scopate. E lui pretendeva di conoscermi?
Simone s’indispettì, sollevandosi dal mio corpo e guardandomi. «Uno come me?» mormorò offeso. «Vorresti dire che non sono alla tua altezza?»
C’era aria di litigio quella mattina, così mi alzai a sedere anche io, abbassandomi la maglietta del pigiama e riallacciandomi il reggiseno. Simone non aveva capito che il problema era proprio l’inverso, che io stessa avevo il terrore che mi stesse usando.
«Sei abituato ad un certo tipo di donne, o sbaglio?» gli rinfacciai piccata.
Simone s’adombrò, fissandomi da sotto quelle lunghe ciglia scure. Aveva ancora i capelli spettinati dalla furia con cui mi ci ero aggrappata e il respiro affannato.
«Anche tu sei abituata ad un certo tipo di uomini…» lasciò la frase in sospeso di proposito, riferendosi a James.
Dio, quanto lo odiavo, quando faceva lo stupido in questo modo! Possibile che non ci arrivasse? Che pensasse davvero di non essere alla mia altezza?
«Senti, finiamola qui sennò svegliamo anche tuo cugino e Celeste,» dissi io, diplomatica, scendendo dal letto.
«Sai che mi importa,» mormorò incazzato.
«Sei proprio un bamboccio capriccioso,» gli dissi, per l’ennesima volta.
Lui mi fulminò con lo sguardo. «E tu sei una vecchia acida che entrerà in menopausa a trent’anni. Sbrigati a fare figli, altrimenti le tue ovaie andranno in sciopero preventivo.»
Soltanto noi potevamo svegliarci tra i baci e finire a fare colazione lanciandoci parolacce e maledizioni.
«Quanto sei cretino.»
«Acida.»
«Vedi di crescere.»
«E tu tieni a bada Pisellino se non vuoi ritrovarti ragazzo padre.»
Simone sorrise malizioso, inchiodandomi sulla soglia della porta semiaperta. Si abbassò quel tanto da immobilizzarmi con quel suo sguardo brevettato.
«Fino a poco tempo fa non ti dispiaceva,» sussurrò malizioso.
Gli posai una mano sul petto per allontanarlo, anche se in verità non riuscivo a smuoverlo di un millimetro.
«Nemmeno a te dispiaceva,» risposi sprezzante. «“Ti voglio. Ora”» gli scimmiottai dietro, prendendolo in giro.
Lui mi guardò di traverso, cercando il modo di rispondermi per le rime, quando aprii del tutto la porta e ci ritrovammo davanti gli occhi azzurri e vispi di un’anziana signora dai candidi capelli bianchi.
Aveva un volto familiare ma non mi era mai capitato di incontrarla. Continuava a guardarci con un sorriso smagliante che andava da orecchio ad orecchio.
Simone era bianco come un lenzuolo. «Nonna,» disse solamente, quasi come un lamento ed io rimasi immobile.
Nonna? Ma quella casa era una specie di via vai di parenti?
Gli occhi azzurri dell’anziana donna si spalancarono colmi di felicità. «Pisellino della nonna! Ho preso il primo aereo e sono subito passata a trovare il mio bel nipote!» trillò estasiata, aprendo le braccia e avvinghiandosi al metro e novanta di Simone.
Lui mi guardò terrorizzato, sperando corressi in suo aiuto ma non sapevo davvero cosa fare. Celeste mi aveva parlato della famosa nonna Annunziata, la proprietaria del negozio di fiori in cui Leonardo aveva detto di lavorare all’inizio della loro storia, ma non mi sarei mai immaginata di trovarmela davanti agli occhi, per giunta con la piacevole sveglia di quella mattina.
«Nonna, per favore…» si lagnò Simone, tentando di divincolarsi dalla stretta della donna, ma il poveretto sembrava rinchiuso in una morsa d’acciaio.
«Oh, lascia ad un’anziana signora i suoi diletti. Non ti vedo da quest’estate!» si lamentò, allentando la stretta.
Simone si massaggiò le braccia indolenzite. Sapevo bene come potevano essere spossanti gli abbracci di una nonna, anche io a Tivoli ne avevo lasciate due ben intenzionate e rivedermi almeno due volte l’anno.
«Nonna lo sai che la squadra mi tiene impegnato,» si giustificò lui.
Nonna Annunziata scosse la testa convinta. «No, no. Ormai non me la bevo più la scusa del lavoro, bello mio.» Spostò quei profondi occhi azzurri su di me e sorrise. Quel gesto mi ricordò molto quello di Sofia. «Ora capisco il perché non hai mai tempo per la tua nonnina,» sorrise. «Mi vuoi presentare questa bella signorina?»
Sorrisi per la scenetta comica, soprattutto quando notai che Simone era all’apice dell’imbarazzo. Non lo avevo mai visto così e mi fece molta tenerezza.
Era proprio un bambinone.
Sentimmo lo scatto metallico della porta in fondo al corridoio e ben presto Celeste e Leonardo fecero la loro comparsa.
«Nonna!» gridò la mia migliore amica, appena vide l’anziana donna. Le corse in contro euforica, gettandole le braccia al collo e dicendole che non si sarebbe mai aspettata di trovarla lì.
«Chicco e la mia piccola Celeste!» mormorò la nonna estasiata. «Finalmente passeremo delle vacanze natalizie tutte in famiglia.»
Ci spostammo poco dopo a fare colazione, mentre nonna Annunziata, per nulla stanca del viaggio, si mise ai fornelli e cominciò a preparare le sue famose frittelle. Celeste era al settimo cielo e non la finiva di raccontare all’anziana donna la tesi che aveva dato da qualche mese.
Leonardo si infilava tre frittelle in bocca contemporaneamente, spruzzandosi la cioccolata direttamente dal tubetto. Evidentemente il fatto di essere fighi nella famiglia Sogno era direttamente proporzionale alla quantità di cibo che si ingeriva.
L’unico che aveva un’aria da funerale era Simone. Se ne stava ad un angolo del tavolo e continuava a giocherellare col cibo, senza mangiarne nemmeno un pezzetto.
Era troppo strano.
«Insomma, tesoro,» disse Annunziata rivolgendosi a me, «da quant’è che tu e il mio piccolo maschietto state insieme?» mi chiese ed io per poco non mi strozzai con la colazione.
Tossii un paio di volte, anzi, anche tre, poi mi avventai sulla tazza di latte per cercare di mandar giù il boccone senza vomitare.
Simone non riuscì a trattenere una risatina. Evidentemente aspettava solo una mia figura di merda per ritrovare il buonumore. Maledetto.
Celeste, invece, parve sorpresa. «Perché dici così, nonna?» le domandò incuriosita.
La donna girò le tre frittelle che aveva sul fuoco, facendole roteare per aria come una cuoca provetta, poi tornò a sbattere le uova. «Beh, stamattina li ho incontrati che uscivano dalla stanza di Pisellino, ho pensato che convivessero visto che avevano dormito insieme,» rispose semplicemente.
«Nonna, non mi chiamare così!» disse Simone, infastidito.
Leonardo cominciò a ridere a crepapelle, poi rischiò di strozzarsi con una frittella.
La mia migliore amica mi fissò con quei grandi occhi azzurri completamente sgranati. «Dice davvero?»
«Te la fai con le secchione, cuginetto?» ridacchiò Leonardo, rivolgendosi a Simone che gli lanciò uno sguardo glaciale.
Né io né lui avevamo modo di rispondere a quella domanda. Ci guardammo per un attimo e per quanto fosse difficile, rimasi a corto di parole. Cosa avrei potuto dire a Celeste? Che nonna Annunziata si stava inventando tutto? Ci aveva sorpresi ad uscire dalla stanza di Simone, dopo che avevamo dormito insieme – e non solo –, ma se le avessi detto la verità avrei anche dovuto ammettere che provavo una qualche specie di attrazione per il calciatore.
Che razza di persona ero diventata?
«Ven era venuta a svegliarmi, tutto qui. Ha dormito sul divano stanotte,» concluse Simone, molto più rapido e più sveglio di me ad inventare una scusa.
Nonna Annunziata sembrò quasi delusa da quella notizia, ma lo nascose quasi subito. «Quindi non state insieme?» s’informò la mia migliore amica.
Simone sfoderò quel solito sorriso sbieco. «Ti pare che Simone Sogno possa abbassarsi a frequentare una nerd che passa la maggior parte del tempo a sgobbare sui libri o ad ammazzarsi di lavoro? Tutta movida qui, sorella.»
Celeste rimase di sasso per la superficialità di Simone. Le avrei voluto tanto dire che alla fine ci si sarebbe abituata, era fatto così e non poteva cambiare.
«Sorella?» ripeté sbigottita.
«Lascialo perdere,» le dissi io, tornando a mangiare.
Mi ritrovai ben presto a fissare lo sguardo azzurrissimo di nonna Annunziata, che mi scrutava attentamente senza aggiungere una parola. Era come se al posto delle iridi avesse due raggi X con cui riusciva a leggermi dentro con una facilità disarmante.
Lo sa. Non si è bevuta la scusa di Simone, lei sa che tra voi due c’è dell’altro.
Ora ne avevo la conferma.
Il suono del citofono interruppe i miei pensieri, così andai ad aprire e la voce squillante di Sofia per poco non mi fece perdere l’udito. Poco dopo suonò il campanello e non appena il portone si aprì, la piccola furia bionda si precipitò a salutare Celeste e Leonardo.
Dietro di lei apparve un Ruben abbastanza imbarazzato. La dolcezza di quel ragazzo era merce rara e anche se ancora mi era difficile credere che una ragazza come Sofia potesse stare insieme a quella specie di talpa, i due sembravano perfetti.
«Sofi!» gridò la mia migliore amica, abbracciando la cugina del suo ragazzo.
«Cel, cuginetto!» trillò lei, saltando addosso ad entrambi.
«Sofia!»
Dopo una serie di convenevoli, tra cui una scena di commozione durante l’incontro tra Ruben e Leonardo che era da un po’ che non si rivedevano, tornammo a fare colazione.
«Posso fare due osservazioni?» se ne uscì Simone.
«Che vicino a te siede un bel ragazzo, nonché calciatore in lizza per il Pallone d’Oro?»
Il cugino più piccolo lo linciò con un’occhiata. «Ti piacerebbe.» rispose piccato. «Mi è sorto un dubbio. Sbaglio o questa casa è diventata una sorta di albergo? Prima che l’elfo venisse ad abitare qui, me ne stavo tranquillo e beato nella mia solitudine. Ora, un giorno sì e l’altro pure mi ritrovo la casa stracolma di gente!» protestò.
«Simone William Marco Aurelio Sogno!» gridò la nonna sconvolta. «È così che tratti la tua famiglia? Dovresti essere contento e ringraziare questa bella signorina che ti ha permesso di riavvicinarti a tutto il tuo parentado!»
«Giusto!» sorrisi io.
«In effetti, prima dell’arrivo di Ven venivo soltanto io a trovarti. Molto spesso trovavo l’appartamento vuoto e me ne ritornavo indietro senza nemmeno averti visto,» aggiunse Sofia.
«Davvero sei così orso, Simone?» domandò Celeste curiosa.
Lui si sentì attaccato, così comincio ad issare su, mattone dopo mattone, quel grande muro che ormai era il mio e il suo marchio di fabbrica.
«Non sono un orso. È questa famiglia che mi opprime. Leonardo non fa testo, lui è figlio unico quindi non puoi capire,» rispose sincero.
«Vuoi dire che ti opprimiamo?» chiese Sofia, offesa.
Simone sbuffò stufo. Cominciava a intravedersi un lato di lui che raramente permetteva di trapelare.
«Lasciamo perdere,» tagliò corto, alzandosi dalla sedia e tornandosene in camera.
«Ehi, cugino!» intervenne Leonardo, fermandolo a metà strada.
«Che vuoi?»
«Qual era la seconda cosa?» gli chiese. «Hai detto di dover fare due osservazioni.»
Simone parve ricordarsi soltanto in quel momento di averlo detto. Sfoderò un sorriso malandrino e mi fissò. «L’altra osservazione è che sono le nove meno un quarto, Lil’Elf.»
Sconvolta mi voltai verso il grande orologio a muro e divenni bianca come un fantasma.
«Porca miseria!»
Mi fiondai verso il bagno per prepararmi prima che Mr. Abbott trovasse una scusa valida per licenziarmi.


Allur, mi nascondo immediatamente perché vi PROMISI (?) il capitolo tipo 516516516146 mesi fa (mercoledì)
e invece sto qui a postarvelo Sabbbbbbato   VEGGOGNA!
Cmq
, direi che la situazione in casa Sogno è più movimentata del solito e la povera Vennie si ritrova in mezzo a "due fuochi"
che sarebbero Leonardo e Simone (però io li adoro XD)
Ma quanto è cucciolo quando la chiama Lil'Elf?? ç_ç vorrei tanto che Simo fosse vero e non solo di carta e inchiostro!
Babbé, smettiamola di compiangerci...
Dopo mi metto d'impegno e rispondo alle recensioni e PRIMA O POI riuscirò a scrivere l'ultimo capitolo di CIUS
anche se comprendo che è stato abbandonato, vabbé.
Gli voglio cmq dare una degna conclusione :3

Se di tanto in tanto vedere che pubblico spornazzate, non preoccupatevi! C'è il p0rn!fest *sia benedetto* indetto da fanficitalia
e alcuni prompt sono talmente awwwwwwwwwwwwww che devo scriverci ù_ù
Bene, alla proxxxxima! E BUON ANNO A TUTTE! (in anticipo)
-Marty

 
 
   
 
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