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Autore: Keiko    31/12/2012    5 recensioni
“Ti ho mai raccontato del Ragnarøkkr, Flare?”
“Decine di volte sorella.”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Sweet Revenge © 2012 (31 dicembre 2012)
Disclaimer. Tutti i personaggi di Saint Seiya appartengono a Masami Kurumada, Toei Animation e Sueisha, agli editori giapponesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.


Seduta ai piedi dell’imponente statua devota a Odino, Hilda di Polaris fissa la landa sconfinata di ghiacci e neve che si estende sino all’orizzonte per gettarsi a precipizio nel mare e poi oltre, sino all’Europa dal clima mite, dai campi ricoperti di fiori dai colori sgargianti e dal cielo terso.
Sono passati tre inverni, e di quella che loro potevano definire “primavera” non vi è stata traccia.
Hilda non ha mai visto il cielo di Asgardh privo di nubi, o del grigiore che ne preannuncia le violente nevicate. Il suo popolo da tre anni non assapora la carezza di un raggio di sole sul viso.
Il calore del suo cosmo è l’unica cosa che Asgardh conosce di primaverile, un manto delicato che avvolge le sue genti e le sue terre e che dona loro la luce necessaria alla sopravvivenza. Quando anche le stelle si sono spente, il cosmo di Hilda ha vacillato, tremando come la fiamma di una candela scossa da un vento inclemente. L’ultima, è stata la stessa Polaris, a morire più lentamente di tutte le altre.
Era mai esistito un momento della storia in cui il popolo di Asgardh non avesse sofferto per espiare colpe non proprie?
Hilda osserva la distesa dai riflessi azzurrognoli sfidare i confini di una terra di guerrieri e marinai, in cui l'eroismo di pochi avrebbe salvato l'umanità intera.
Non si è mai spinta oltre i confini di Asgardh, per quel motivo quando i guerrieri di Athena avevano oltrepassato i confini della sua terra si era stupita di quanto potessero essere differenti – nell’animo e nel cosmo – dai  propri cavalieri.
Caldi, morbidi, dal tepore mite del fuoco acceso nel camino nelle sere più fredde e cupe dell’anno: erano tutti come Hyoga?
Flare aveva condotto quel ragazzo dai capelli color dell’oro al suo cospetto, presentandolo come un amico, ma nonostante lo sguardo limpido, Hilda ne aveva immediatamente avvertito la forza di santo.
Si era chiesta – osservando i tratti del suo viso baciato dal Nord – se fosse giusto chiedergli di restare, di offrire i propri servigi e mettere le propria vestigia a disposizione di un altro dio. Sorride a sé stessa con amarezza, tornando a fissare le nubi addensarsi sopra il tempio di Odino: presto scenderà altra neve, piegando ulteriormente il suo popolo alla sofferenza dell’inverno più rigido degli ultimi 246 anni.
Un inverno che non avrà mai fine.
Perché i santi di Athena si erano spinti sino ad Asgardh?
Hyoga era un ragazzo mite e di poche parole, chiuso in sé stesso come solo uno sciocco mollusco potrebbe fare all’interno del proprio guscio, e aveva confidato a Flare di essere giunto ad Asgardh inseguendo le orme di un vecchio compagno, ripercorrendo i luoghi del loro addestramento, dalla Siberia sino a quei faraglioni taglienti di lame di ghiaccio.
Hilda non aveva avuto motivo di dubitare delle sue parole, ma la sofferenza del suo popolo richiedeva attenzione e maggior forza da parte della Somma Sacerdotessa.
Chiude il tomo delle leggi dinnanzi a sé, socchiudendo gli occhi e adagiando il capo contro lo schienale in pietra del proprio scranno liberandosi dai ricordi, il mantello bianco come neve ad avvolgerla nel proprio tepore di pelle di lupo.
Sono tutti cacciatori, ad Asgardh.
Anche i suoi santi erano spietati guerrieri, individui nel cui sangue scorreva la saggezza di Odino, l’astuzia melliflua di Loki, la furia del berserk di Fenrir e poi ancora l’onore del martello di Thor e la fiera bellezza di Freya.
La caccia al lupo è impietosa, nelle terre del ghiaccio e del fuoco, e a quel pensiero Hilda serra con più forza le palpebre tra loro, inspirando aria gelida.
La furia del berserk era quello ciò che più temeva, un tempo: l’imposizione della follia sulla ragione, la condanna inclemente ad un futuro di morte e disperazione.
Anche lei ne sarebbe stata vittima?
Nel cielo in cui vanno ad addensarsi nubi nere come pece, Hilda scorge il bagliore di una stella cadente.
È un presagio?
Sospira, nel silenzio di morte che aleggia nell'ampia sala. Si dice che nel Vallhalla le valchirie accolgano gli eroi caduti in battaglia in attesa del Ragnarøkkr. Hilda è saggia e potente, la prima delle figlie di Odino. Si sfiora la collana su cui sono incastonate sette gemme dai colori del Bifrost – dal Bifrost nate e ad esso ritornate -, ed emette un altro sospiro, che diventa condensa contro l’aria gelida che spira all’interno del palazzo. Conosce le leggi e la storia, vede il futuro tra le pieghe delle profezie di Völuspá. Sól e Máni sono stati divorati da Skoll e Hati, quando Fimbulvetr, l’eterno inverno, si era già insediato nelle loro terre e i figli avevano già ucciso i padri. Hilda ha tenuto a bada la frenesia sino a quando ha potuto, ma conosce il proprio destino e lo sente cavalcare veloce verso di lei.
Il terzo anno di Fimbulvetr sta giungendo al termine.
È questione di pochi giorni, e prenderà vita il Ragnarøkkr. Delle sue genti, delle sue terre, delle anime di coloro che ha protetto, amato e salvato in vita non resterà altro che cenere.
Osserva il fuoco sacro crepitare nel braciere creando lingue di fuoco che producono volute di fumo destinate a morire nel freddo spettrale di quell'inverno, tra i più rigidi che ricorda dalla propria infanzia.
D’altra parte, sa che sarà anche l’ultimo, e forse è per quel motivo che Fimbulvetr precede il crepuscolo: sa di morte e di desolazione, rende la terra figlia di Hel prima ancora che questa l’avvolga con il proprio manto. Fimbulvetr non è clemente, né bello. Hilda ha sempre amato i ghiacci perenni, le nevi abbondanti che ricoprivano suoni e tracce. Era più divertente cacciare, sfidare i lupi e gli orsi e tornare a casa gravidi di premi con cui banchettare, fare festa sino all’alba e dare pelli con cui riscaldarsi al popolo. Ora persino su quei ricordi sembra essere caduta così tanta neve da averne perduto i profumi e le immagini.
Avverte la sua forza cedere giorno dopo giorno, come  se gli déi avessero smesso di accogliere le sue preghiere. Deve chiedere alle sue genti di morire? È quello che desidera il padre degli Æsir, come pegno per la loro devozione? O i servigi di un popolo in pace non valgono nulla, se paragonati alla furia delle tribù dell'Est, che battono i fiordi con navi da guerra, uccidendo e depredando qualsiasi villaggio capiti sotto il loro impudico sguardo? Creano gli einherjar, carne da macello e braccia forti con cui contrastare il Caos e, forse, salvarsi. Il fuoco lambisce il freddo, indomito. Anche lei si spegnerà a poco a poco, come il fuoco sacro? Quando l'olio si sarà consumato e non ci sarà più legna da ardere, anche l'ultimo altare degli Æsir cadrà, dando inizio al Ragnarøkkr.
“Sorella?”
Flare spunta dal colonnato sul lato destro, ancora avvolta nel suo mantello di pelliccia. Sembra preoccupata, e Hilda le fa cenno di avvicinarsi senza timore. La più giovane si arresta, ravvivando il fuoco nel braciere in un gesto rituale e scaramantico al contempo.
“Non dovresti lasciare che si spenga” la rimprovera Flare sorridendole. A vederle vicine, difficilmente si direbbe che sono discendenti del medesimo ceppo. Sembra che Yule e Beltane abbiano preso i loro corpi come simulacri viventi e ne abbiano fatto un simbolo divino tra gli uomini, come cantò una bardo vagabondo in un’osteria del villaggio in una notte alla vigilia di Imbolc.
“I tempi sono maturi, piccola mia.”
Flare si inginocchia ai suoi piedi, facendo attenzione a stendere sotto di sé il morbido mantello, accovacciandosi come un cucciolo di lupo al riparo della propria madre. Per lei, Hilda è quanto di più vicino ad un genitore esista: l’ha cresciuta nel rispetto degli déi, insegnandole ciò che è bene e ciò che è male, offrendole la bellezza del loro popolo fatta di orgoglio guerriero e sudore di lavoratori. Ora le appare stanca, quasi tutta la santità di cui è stata portatrice sia stata portata via insieme all’ultima carezza di Sol.
“Ti ho mai raccontato del Ragnarøkkr?”
“Decine di volte sorella.”
Hilda si solleva in piedi, oltrepassandola. È irrequieta, muove i passi tra il fruscio delle vesti pesanti, i capelli candidi come latte che le arrivano sino alle caviglie. Per lei è bellissima, una dea tra gli uomini.
“Sta giungendo veloce, e scenderà all'improvviso. Gli Æsir non rispondono più alle preghiere, e il nostro popolo sta lentamente morendo di stenti. Stiamo attendendo mentre loro si stanno preparando all’ultima battaglia.”
“Continuiamo a pregare per il nostro popolo” le risponde Flare con una sicurezza disarmante, che rischia di schiacciarle il cuore nella morsa dei ricordi e dell’affetto.
“Il cibo scarseggia e le tribù dell'Est stanno scendendo verso le nostre terre. Ci saranno addosso prima di quanto possiamo immaginare, e a quel punto chi metteremo in campo? I bambini?”
“Non  ci siamo mai arresi, forse Athena...”
“La fine del mondo non coinvolge solo noi, Flare. Si trascina dietro il suo cumulo di credenze e si abbatte sugli uomini che gli appartengono. Non resterà nulla della nostra terra, di ciò che abbiamo considerato casa, né di nessun altro luogo.”
Flare trema, e si avvicina allo scranno come fosse un pezzo di ghiaccio che spunta dal Mare del Nord, unico baluardo di salvezza dal gelo delle acque impetuose, battute dalle tempeste.
“Allora di cosa stiamo parlando, sorella? Non credo di capirti.”
Hilda sa di non poter violare le leggi, ma vuole almeno morire senza il rimpianto di non aver provato a salvare il suo stesso sangue.
“Ti metterò al sicuro.”
“Ma il libro delle leggi… Völuspá afferma che nessuno sopravvivrà al Ragnarøkkr, e che solo così potrà rinascere un nuovo mondo.”
“C’è un tempo per credere alle profezie e uno per cambiarle, bambina.”
Flare inghiotte aria e lacrime salate a vuoto. Hilda non le concede un abbraccio, né una carezza. È il momento del loro addio, lo sanno entrambe. La più giovane delle due sorelle è costretta ad abbassare il capo, ancora una volta pronta ad obbedire agli ordini della maggiore. È sempre stato così, persino quando Hilda si trovava sotto l’influsso della maledizione dell’Anello dei Nibelunghi.
“Va’ al bosco di Hoddmímir e resta lì. Ti darà rifugio e protezione sino alla fine del Ragnarøkkr.”
“Surtr brucerà ogni cosa.”
“Hoddmímir si salverà, così è scritto.”
“Perché non vieni con me?”
“Il mio posto è in battaglia.”
Si passa nuovamente le dita sottile sulla collana di gemme preziose che crescono nelle loro cave e tra i boschi, che celano al loro interno il cuore dei loro guerrieri più valorosi, tesori gelosamente custoditi e protetti dai nani.
“Promettimi che tornerai a prendermi.”
Hilda non le risponde, e Flare si alza in piedi correndole incontro, cingendole la vita con le braccia nude scoppiando a piangere in singulti soffocati contro il suo corpo, come una bambina. È un addio amaro, che ha il sapore di un non ritorno. Nessuno sopravvivrà al Ragnarøkkr, e Hilda di Polaris ha deciso di giocare sporco con il Fato. Se questi sarà clemente, se qualcuno ha mai davvero ascoltato le sue preghiere, Flare poserà il suo sguardo su una nuova alba, un nuovo mondo. Se anche Hoddmímir verrà spazzato via, Hilda non lo saprà mai, perché prima della sua caduta i corvi avranno già divorato il suo corpo. Passa una carezza sulla nuca di Flare, posandole un bacio tra i capelli d’oro, che tanto i nani le hanno invidiato nel corso degli anni.
“Sii forte. Vedrai un mondo che sarà degno della tua dolcezza. Insegna agli uomini ad amare, e fai comprendere loro il significato della compassione. Sii guerriera e madre, Flare, e racconta le gesta degli Æsir, delle valchirie e di tutti gli einherjar. Sii la nostra memoria, ma fa che dai nostri errori i prossimi uomini e i prossimi déi imparino a custodire gelosamente le proprie vite e il mondo stesso.”
Si scioglie dall’abbraccio della sorella, con dolcezza, e le fa cenno di andare e lasciarsi alle spalle il Vallhalla. Ogni animale sa esattamente quale sia il momento della sua morte, e Hilda non fa eccezione. Attende che la sorella si allontani, dopodiché in tono imperioso scioglie l’incantesimo che tiene gli einherjar prigionieri nel Vallhalla. Le gemme che porta al collo vanno in frantumi, e da quelle schegge che racchiudono i colori dell’iride rinascono i suoi guerrieri.
Quelli che lei ha ucciso, uno dopo l’altro, mandandoli contro ai santi di Athena, sono di nuovo con lei. Hanno combattuto ogni giorno morendo sul campo di battaglia prima del calar del sole. Vivono così, gli eroi che entrano a far parte delle schiere degli einherjar, tra le stanze del Valhollr.
A capo chino, inginocchiati ai suoi piedi, ci sono i suoi guerrieri fidati, i suoi uomini migliori.
Hilda solleva la mano destra dinnanzi a sé, posando su ognuno di loro la propria benedizione.
“Fenrir, figlio dei lupi, che le tue fauci siano argento e veleno per i figli di Hel.
Thor, prediletto figlio di Odino, porta la forza del fulmine là, ove Màni si è spenta, e rischiara la nostra notte più lunga. Che la sacra armatura ti dia la forza di annientare Miðgarðsormr , la bestia che viene dal mare.
Meem, maestro di dolci ma fatali melodie, che le note della tua lira sprigionino nell'aere quiete fatale, quiete eterna per i nostri nemici. 
Alberich, dotato dell'ammaliante scintillio dell'ametista, giunto dalla stella Delta. Che la durezza della tua corazza sia terrore per i tuoi nemici. Su di te invoco il potere di ricostruire Bifrost quando verrà abbattuto, così che il nostro esercito possa rendere onore ai suoi morti tra le mura di ciò che resterà del palazzo degli Æsir.
A te Mizar, oscura zona della sfavillante Alberich, chiedo la forza di combattere tra le ombre, confondendoti con esse e distruggendole dal loro interno, che i figli di Hel tremino al tuo passaggio!
Sigfrido, eroe tra gli eroi, su di te richiamo la protezione dei tuoi antenati. Che l’impresa dei Nibelunghi guidi la tua mano, così come Sigfrido uccise il drago Fáfnir e si bagnò con il suo sangue, così tu ucciderai per la seconda volta l’immonda bestia.
Padrone del caldo soffio del Meriggio, lode a te Hagen, cavaliere di Asgardh. Riporta la primavera su queste terre. Che ogni tuo colpo ricordi la speranza all’esercito di Odino!”
Hilda di Polaris batte la lunga lancia sul pavimento in marmo candido del Vallhalla.
Solo a quel punto i cavalieri riescono a sollevare lo sguardo umido, carico ancora una volta di devozione verso la donna che li ha protetti e trasformati in guerrieri.
Pronti a combattere al suo fianco e morire.
Per l’ultima volta.

 

Il Vallhalha è percorso da un tremito che lo scuote sino nelle sue fondamenta. Yggdrasill ha squassato i suoi rami stellari, ed ora la terra sussulta dinnanzi alla sua grandezza. Hilda non ha tempo per le lacrime, né per chiedere perdono di un errore commesso anni prima. I suoi einherjar si sollevano in piedi e si dispongono dinnanzi a lei, come a volerla difendere così come quando erano in vita. Sta a lei, però, guidarli, e con un gesto secco della mano destra alzata in aria, fende il gelo con un movimento deciso. Un sibilo assordante sovrasta il rumore delle case che crollano e del fiume in piena che, sotto di loro, investe campi e trascina con sé imbarcazioni cariche di genti in fuga. Hilda chiude gli occhi e spera che il suono della battaglia sovrasti quello delle grida del suo popolo che muore in una lenta agonia, senza colpe da espiare. L'armatura di Odino si sofferma a mezz'aria, come volesse ringraziare la propria custode, poi scompare in una pozza di luce d'oro e argento. Odino è pronto per combattere, e loro con lui. Si porta dinnanzi ai guerrieri, e quando avverte Hagen avvicinarsi lo arresta trattenendolo con il proprio braccio, senza sforzo, bloccandogli il passaggio.
“È il mio turno di proteggervi questo.”
“Hilda voi non potete...”
“Le valchirie cavalcheranno dinnanzi agli einherjar, aprendo loro la strada” recita la sacerdotessa con fare mnemonico, senza particolare inflessione nella voce. È così che ci si sente ad un passo dalla morte? Cosa c'è di glorioso in una guerra che non avrà né vincitori né vinti, ma solo un nulla che si porterà via ogni cosa esistente e persino quelle mai nate?
“Per Odino, per la gloriosa stirpe degli Æsir e per l’onore degli einherjar, vi ordino di scendere in battaglia. Le porte del Ragnarøkkr si sono finalmente aperte. Che il Crepuscolo degli Déi abbia dunque inizio!”

 

Le grida della battaglia intessono canti di guerra e di torture. La lira di Meem addormenta nel sonno i suoi nemici, lo schieramento di Hilda di Polaris avanza con la delicatezza della neve, silenzioso e rapido come un branco di lupi all'attacco tra le foreste del Nord. Scende e si posa sul nemico senza fare rumore, e nulla resta al loro passaggio. Sono un unico corpo, un unico cosmo gravido di compassione e di determinazione. Non resteranno in vita, nessuno di loro riuscirà a vedere l’alba che verrà dopo il crepuscolo, ma così è scritto, e così sarà. Le due stelle gemelle dell’Orsa combattono fianco a fianco, come mai è avvenuto prima. Non danno tregua ai loro nemici, non cedono ai colpi delle creature che Hel ha rigurgitato fuori dal proprio ventre.  Hilda storna lo sguardo su ciò che resta di Bifrost, mentre Heimdallr combatte contro i  Múspellsmegir che cavalcano impazziti cercando di prendere il Vallhalha. Persino a quella distanza, Hilda scorge le chiazze vermiglie sull'armatura candida del guardiano, e riporta lo sguardo su Odino, padre di tutti loro. Fenrir, il lupo, ha il giogo della propria catena al collo, come un cappio, e si appresta a divorare il Dio Guercio. Il suo cucciolo di lupo, però, gli si para dinnanzi, ribellandosi a chi gli ha donato nome e potere. Fenrir, cavaliere di Asgardh, viene squartato dalla belva sotto gli occhi di Hilda e di Odino.
Il turno del Padre, è quello successivo.
La sacerdotessa fissa il ventre di Fenrir dilaniato dalle zanne del lupo del Caos, le interiora scaraventate a terra come liane cadute dagli alberi delle foreste secolari, inermi. Gli occhi azzurri come ghiaccio gridano al cielo una preghiera muta, e Hilda si concede l'unico atto d'amore che può permettersi in mezzo a quella lotta che li vedrà cadere tutti, uno dopo l'altro. Quando sarà il suo turno? Se lo chiede mentre chiude le palpebre del giovane Fenrir, scagliando lontano da sé uno dei  Múspellsmegir  che si avventa su di lei brandendo un’ascia bipenne che gronda sangue e brandelli di carne. Stanno scendendo in picchiata sulla piana di Vígríðr, pronti a distruggere ciò che gli orrori sbarcati a terra da Naglfar hanno lasciato in piedi. Osserva l'ombra della nave stagliarsi in lontananza, sprigionando un bagliore sinistro dalla carena costruita con le unghie dei loro morti. Quando riporta lo sguardo sulla battaglia, riesce a scorgere Heimdallr inginocchiarsi a terra, prima che la sua testa venga staccata dal resto del corpo con un colpo di fendente della spada di Loki, che pochi istanti dopo crolla a terra, cadendo di sotto, nell'abisso che si è creato sotto le macerie di Bifrost.
Il corpo possente di Heimdallr resta a guardia del Vallhalla anche quando l’anima del suo guerriero già se n’è andata, ricordando loro che nessuno oltrepasserà quella linea senza il suo consenso.
A poca distanza da lei, i corpi di Odino e Fenrir giacciono l'uno accanto all'altro, privi di vita. Miðgarðsormr con le proprie spire, si erge possente su Thor, sul fronte occidentale della piana, là dove degrada sino ad arrivare a baciare il mare. A dare manforte al figlio di Odino, c'è Meem. Suona la sua lira con insistenza, gli occhi chiusi per non vedere l'orrore e intonare canti di morte che lo renderebbero folle. Si scontrano con la bestia del mare, il corpo di serpente che termina in un'orrida pinna di pesce. Soffia veleno sul campo di battaglia, e cadono tutt'attorno corpi di entrambi gli schieramenti per colpa del suo tocco, le fauci spalancate dai denti appuntiti come lame e dal colore dello zolfo. Thor si scaglia contro il serpente nel momento in cui sembra cedere al sonno della lira di Meem. Un istante solo, e con un colpo deciso gli recide la testa di netto. Avanza incerto, Thor, su gambe che sembrano scollegate dal corpo, e cade a terra pochi passi più avanti, privo di vita. Meem intona l'ultimo canto, un addio che strazia i pochi superstiti che ancora solcano la terra, prima di cadere a poca distanza dall'amico, entrambi a causa del veleno di Miðgarðsormr, che non è riuscito a spezzare i legami più forti: quelli del sangue e dell'onore. Hilda cammina tra i cadaveri e colpisce con fendenti e stoccate i propri nemici. La sua veste candida è intrisa di sangue, difficile sarebbe dire a chi appartenga. Mizar e Alberich giacciono l'uno accanto all'altro, privi di vita, ai piedi di Bifrost. È  giunta sino lì, e ancora mancano all'appello Hagen e Sigfrido. Alberich ha protetto il ponte, e ora Hilda ne osserva ciò che resta, schegge di colore che piovono dal cielo in un caleidoscopio nostalgico. Solleva le mani in aria, i palmi rivolti verso il cielo, cercando di afferrarne una soltanto. Vuole morire con un pezzo di Bifrost sul cuore, la valchiria, per ricordarsi di essere a metà tra la stirpe degli uomini e quella degli Æsir.
Un tramite, un dono divino agli uomini e un dono umano per gli déi, ed ora combatte per entrambi, senza sosta.
È Hel il suo avversario.
Vede il fumo nero liquefarsi, scomporsi e poi ricomporsi in vari punti della piana, in cerca di prede. Hilda inspira, e stringe di nuovo il proprio scettro nella mano destra. Non ha bisogno di spade, per uccidere un dio. Un dio, lo distruggi disintegrando il tuo cosmo, generando una nova tanto potente da inghiottire la notte stessa.
Quando si para dinnanzi alla madre di tutte le creature, Hilda ne vede il volto ceruleo, un teschio ghignante su un corpo scheletrico. Sa che è il suo momento di cadere, ma non ha paura. Lo legge nello sguardo liquido e ceruleo di Hel che non attende altro che cibarsi del suo terrore per trionfare, che sarà la sua ultima battaglia. La sacerdotessa batte a terra lo scettro, e da esso si sprigiona una luce intensa, che va via via facendosi più forte. Una luce così abbagliante da allungarsi su tutta la piana e sfiorare Bifrost, in una cupola che sembra dover inglobare ogni cosa, in un tentativo disperato e stupido di riabbracciare i suoi guerrieri. Avverte una mano calda posarsi sulla propria, e un'altra stringerle quella in cui tiene il frammento di Bifrost, rossa di sangue, che ha lasciato scivolare al proprio fianco. Avverte il cosmo di Sigrifido, seppur debole, e quello di Hagen, cercare di fondersi con il suo. Non ci saranno superstiti, e loro vogliono morire da eroi, non attendere che Surtr bruci ogni cosa. Hilda socchiude gli occhi, mentre Hel si ripara gli occhi da quella luce abbagliante, sempre più forte e calda.
“Grazie.”
Sulla guancia della valchiria scivola una lacrima solitaria, quando il suo cosmo tocca il picco massimo. Lo sente spaccarsi contro l'universo intero in un'esplosione senza suono, e avverte il proprio corpo scivolare a terra, inerme.
Una mano, quella di Sigfrido, non ha allentato la presa, ma l'ha resa  ancora più salda. Hilda riesce a scorgere il Vallhalla ergersi maestoso dietro Bifrost, e le sembra di scorgere il ponte brillare in tutto il suo splendore, da un capo all'altro, collegando Asgardh alla terra. Sente le palpebre farsi pesanti, e la vista annebbiarsi dietro di esse.
Dentro è buio, ma fuori, l'ultima cosa che ha scorto, brillava persino più dell'oro dei nani.

 

Note dell’autrice.
Ho cercato di attenermi il più possibile alle fonti originarie per la narrazione del Ragnarøkkr, cercando di far collimare le due vicende tra loro.
Il Saint di Thor è, in questa storia, lo stesso dio del tuono.
Hilda, così come vogliono le fonti della saga, è ispirata al personaggio della valchiria Brunhilde, di cui ho ripreso – appunto – il ruolo durante la battaglia.

Glossario:

Asgardh, dimora degli déi. Qui, è ideata a metà tra il Cielo e la Terra, in una struttura che ricorda quella del Grande Tempio in Grecia, dove – al di sotto delle Dodici Case – si estende il villagio di Atene. Il tempio in cui dimora Hilda è il Vallhala.
Ragnarøkkr, letteralmente “Crepuscolo degli déi”. È la fine del mondo secondo la mitologia norrena.
Berserk,si tratta di un potere particolare secondo cui i guerrieri, entrando in battaglia, perdevano qualsiasi umanità venendo investiti di una furia omicida cieca.
Fimbulvetr, il lungo inverno. Dura tre anni ininterrotti, ed è il primo segnale dell’avvento del Ragnarøkkr.
Völuspá, raccolta di profezie legate al Ragnarøkkr.
Sól e Máni, sono rispettivamente il Sole e la Luna.
Skoll e Hati, i due lupi che inseguono il Sole e la Luna per condurli nel loro ciclo. All’arrivo del Ragnarøkkr, divorano i due astri.
Æsir,la stirpe degli déi.
Yule, solstizio d’inverno.
Beltane, giorno a metà tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate. Per gli irlandesi è il primo giorno di primavera.
Imbolc, 01 febbraio, identificato nella New Age con la festa della Candelora.
Bosco di Hoddmímir, secondo Völuspá l’unico luogo che si salverà sulla terra. Da qui la stirpe umana verrà rigenerata da una nuova coppia originaria, Líf e Lífþrasir, sopravvissuti nascondendosi nel bosco di Hoddmímir (o nel frassino Yggdrasill a seconda dei culti. Flare, dunque, potrebbe essere una dei superstiti al Ragnarøkkr.
Einherjar, gli eroi caduti in battaglia che vengono portati nel Vallhala.
Bifrost, il ponte che unisce cielo e terra. È l’Arcobaleno.
Hel, regina degli Inferi. È uno dei suoi nomi.
Surtr, gigante di fuoco, che – secondo la leggenda – brucerà l’intero pianeta al termina del Ragnarøkkr.
Miðgarðsormr, la bestia che viene dal mare. Si dice che soccomberà sotto i colpi di Thor. È figlio di Loki e la gigantessa Angrboða, assieme ai suoi due fratelli, il grande lupo Fenrir e la regina dei morti Hela.
Yggdrasill, l’albero della sapienza. Si dice che tenga unite le trame del Creato. Durante il Ragnarøkkr scuoterà i suoi rami dando origine a grandi cataclismi.
Heimdallr, il guardino di Bifrost, darà via al Ragnarøkkr suonando il suo corno.
Múspellsmegir, la razza dei giganti di fuoco.
Naglfar, la nave dei morti, governata da Loki da cui sbarcano le creature del Caos per attaccare gli déi e gli Einherjar durante l’ultima battaglia.

 

   
 
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