Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: leo rugens    04/01/2013    18 recensioni
Nell’antichità, il Destino era figlio del Caos e della Notte e nessuno, dèi compresi, poteva ostacolarne il percorso. Si dice collaborasse a braccetto con il Caso, combinandone di tutti i colori, nascosto dietro a una nuvola di passaggio. Liz Hemingway abitava in un condominio benestante, sulla IV Avenue, ed era una delle missioni di un angelo, caduto da chissà dove. Vi chiederete cosa c’entri tutto questo con il Fato. Beh, quel palazzo era anche casa di un musicista sfigato, pazzo, con i capelli rossi. Voi chiamatelo Ed, se vi va.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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leo rugens' stories 2013 ©
Disclaimer: Questa storia è stata scritta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla.
Non si tenta in alcun modo di stravolgere il profilo dei caratteri noti.
Ed Sheeran non è di mia proprietà.
Se copiate, giuro che vi prendo a sprangate.



Salve a tutti! Eccomi a invandere il fandom del mio gingerhead preferito.
Ho preso ispirazione dal video di Give me Love ma la trama si svilupperà in modo totalmente diverso.
Niente, anche se per ora è relativamente poco e scritto alle quattro e mezzo del mattino mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. 

Sun.


Shoes laces.


 

***


Il nome Aria non è scelto a caso.
Quando avevo otto anni ed ero in spiaggia avevo la folle voglia di una granita.
Così presi i miei cinque euro di carta e corsi al chiosco. Dietro il bancone non c’era nessuno e, conoscendo bene i proprietari, mi affacciai curiosa sul retro. Una ragazza, che non aveva più di vent’anni, piangeva seduta fra le casse di frutta esotica che serviva per fare i cocktail.

"Perché piangi?"
"Non sto piangendo."
"Andiamo, a me puoi dirlo, mica sono come tutti quelli là fuori." 
Bisbigliai sorridendo un poco.
"Sono inciampata nei lacci delle scarpe."

Tutti i giorni la passavo a trovare, fermandomi a chiacchierare.
Avevo otto anni e nessuno giocava con me. E lei diventò la mia prima amica, dopo tanto tempo, là, in quella casa che credevo di non volere.
E anche se adesso sono anni che non la vedo o sento, ce l’ho ancora impressa nel cervello.
Quindi, ad Aria.
Per tutte le granite alla Coca Cola, le fragole allungate di nascosto, i nodi ai lacci delle Superga. Al sorriso che aveva quando le facevo leggere cosa scrivevo, ai suoi incoraggiamenti costanti.

"Se scriverai un libro un giorno, lo compro. Hai del talento!"
"Me lo prometti, Aria?"
"Te lo giuro piccolo sole, mano sul cuore." 


Per aver avuto il coraggio di confessarmi, l’anno dopo, che piangeva perché la vita l’aveva tirata sotto. Adesso spero che sia lei a trascinare la vita per la strada, mano nella mano.
E che abbia imparato a tenere legati gli stivaletti.


 

***

Prologo.

 

 

Avrebbe tanto voluto riassumere la sua vita in una sola, patetica frase: "Ciao, sono Aria e inciampo sempre nei lacci delle scarpe".
Chissà, se fosse stata così chiara, superficiale e vuota la gente l’avrebbe finalmente accettata. Lei era complicata, torbida, profonda. Sporca di pensieri, di piume, di dolcezza, di sussurri, di sogni e ne portava le ombre ovunque. Per strada, in fila al supermercato, sul tavolo di cucina illuminato da quella lampadina a cui ogni tanto prendeva il matto e iniziava a far andare e venire la luce.
Sbuffava, scuotendo i capelli, tagliandosi il dito con il coltello al posto di affettare le zucchine, alzando gli occhi al cielo visibilmente scocciata.
E  sospirava, posando stanca il taglierino, appoggiando il mento sul ripiano di lavoro, osservando dal basso le sue sculture che prendevano vita, soffiando via gli avanzi di legno, piano, come se avesse paura di fargli male. Solo due anni prima se qualcuno le avesse detto come sarebbe finita si sarebbe fatta una sana risata. Adesso invece la sua vita era un groviglio completo, come le matasse di lana che snodava sua nonna, di cui aveva solo qualche vago, sciupato ricordo.
Quella mattina lucidò il suo arco come al solito e contò le frecce: sarebbero bastate per un bel po’. Uscì di casa senza proferire parola, sbattendo forte la porta e sentendo le ali premere forte sulle scapole.



***

  
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