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Autore: bloodingeyes    06/01/2013    1 recensioni
Durante l'epoca della caccia alle streghe un ragazzo si ritrova ad avere dei poteri soprannaturali ma gli inquisitori sono in città...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore: Bloodingeyes
Titolo storia: Figlio del demonio
Genere:
Soprannaturale
Avvertimenti:
slash (accennato)
Breve introduzione:
Durante l'epoca della caccia alle streghe un ragazzo si ritrova ad avere dei poteri soprannaturali ma gli inquisitori sono in città...
Eventuali note: Si ricollega a Black cat per il periodo e per i personaggi ma il protagonista è cambiato.

Figlio del demonio

Me l’avevano ripetuto così tante volete che dopo un po’ era iniziato a sembrarmi quasi normale.

Impuro

Mia madre non aveva voluto rivelare di chi ero figlio, aveva paura.

Sporco

Quando le ingiurie, gli insulti e le domande erano diventate troppo assillati lei aveva confessato: io ero nato dalla relazione con suo padre, mio nonno.

Maledetto

Poi ero cresciuto e qualcosa in me si era risvegliato.

Abominio

Un potere che non aveva niente di umano e tutto di sovrannaturale, qualcosa che nessuno, neppure io, riusciva a comprendere.

Demonio

Peccato per me che quello fosse il periodo peggiore per farsi venire dei poteri, era il tempo dell’inquisizione.

Strega

 

Nel corso della mia vita, per quanto corta, avevo imparato molti incantesimi. Quasi tutti da solo, a tentativi. Poi era arrivata Neve, una randagia che come me nascondeva un segreto. Un gatto con il dono della magia e della parola. Soprattutto della parola. Adorava parlare di qualsiasi cosa, darmi lezioni, dirmi quello che dovevo o non dovevo fare. Sotto la sua guida però, dovevo dargliene atto, avevo imparato tantissimo. Nessuno sapeva di me, di Neve e dei nostri poteri. Agli occhi di tutti ero soltanto un orfano. Ero lo sguattero del macellaio e la mia casa era costruita sotto un ponte come quella dei troll di cui raccontavo le storie ai bambini del villaggio. Ero quello bravo a dire bugie che sembravano verità e storie fantastiche che facevano illuminare gli occhi dei bambini e li facevano sognare avventure meravigliose. Ero il ragazzo sempre sporco e puzzolente, quello che solo ad avvicinarti potevi vomitare. Uno dei tanti straccioni della città. Ero quello a cui nessuno importava.

E poi arrivarono gli inquisitori.

Nessuno li aveva chiamati, nessuno sapeva perché si trovassero nel nostro villaggio ma c’erano e questa non era affetto una buona cosa. Neve era terrorizzata e non voleva più uscire dalla nostra casa. La prima cosa che gli inquisitori fecero fu annegare tutti i gatti neri e Neve vide molti dei suoi amici, felini comuni, senza un briciolo di magia, morire fra miagolii strazianti. Neve cambiò colore del pelo da nero a tigrato ma continuava ad avere paura e la notte si raggomitolava accanto a me e nei sogni piangeva.

Io, che non ero mai andato in chiesa come la maggior parte della gente del villaggio, divenni un accanito frequentatore della Casa del Signore, portavo un rosario al collo e cercavo di essere il più invisibile possibile. Smisi di fare qualsiasi tipo di incantesimo per paura di poter essere scoperto. Vedevo donne messe al rogo, persone comuni il cui unico peccato era non essersi sposate, essere malate o semplicemente abitare un po’ fuori dal villaggio. Venivano prese con le loro famiglie e portate al cospetto degli inquisitori che le torturavano, mentalmente e fisicamente, anche per giorni interi. Le loro urla strazianti dovevano essere un monito alle altre streghe: nessun essere demoniaco poteva prendersi gioco di Dio. In realtà sembrava che sul nostro villaggio fosse arrivato il Demonio per giocare.

Una mattina, mentre stavo andando al lavoro, fui fermato dagli inquisitori. Avevo paura ma loro cercavano di dimostrarsi cordiali e di tranquillizzarmi. Mi accorsi troppo tardi che era una trappola: uno di loro arrivò da dietro e mi fece inalare un sonnifero.

Quando mi risvegliai pensai di essere finito all’inferno. C’erano urla e pianti, un gran caldo e tanto dolore. Ero stato legato e imprigionato dentro una cella minuscola, tanto che non potevo neppure mettermi in ginocchio, ed ero stato appeso al soffitto, a parecchi metri da terra, molto vicino ad un calderone di acqua bollente. Il caldo era asfissiante e il ferro della gabbia bruciava la pelle. Gli inquisitori erano al lavoro e si stavano dedicando ad una vecchia, la signora Becket. Mi aveva offerto del pane un paio di volte, quando non avevo nulla e stavo per morire di fame. Era una vecchietta dolce, gentile e molto malata. I suoi figli se ne lamentavano sempre, perché portava loro via tempo e danaro. Era vecchia e adunca ma aveva uno sguardo dolce, sempre e con tutti. Ora le sue urla risuonavano nella stanza mentre la sua gabbia veniva avvicinata sempre di più all’acqua bollente, piangeva e chiedeva pietà ma loro, gli inquisitori, continuavano a farle domande assurde. Le chiedevano se avesse mai dormito con il Demonio, se l’avesse mai adorato, se si fosse data piacere da sola dopo la morte del marito. Le dicevano che se avesse ammesso i suoi peccati le sarebbe stata salvata l’anima, che Dio l’avrebbe perdonata. E lei ammise ogni cosa, anche la più folle. A quel punto gli inquisitori la benedirono e dissero che la sua anima era salva. Dopodiché fecero cadere la sua gabbia nell’acqua e la signora Becket morì fra interminabili urla.

Mi dissero che sarei stato il prossimo ma che prima si sarebbero fermati a mangiare, perché salvare le anime dal demonio portava via loro molta fatica. Provai in ogni modo ad aprire la mia cella, con la magia, con la forza, con tutta la mia disperazione ma la cella era fatta per contenere anche delle vere streghe, non solo delle povere vecchiette indifese e a nulla valsero i miei sforzi.

Neve entrò dalla finestra e cercò di capire come salvarmi ma tutta quella macchina e il calderone erano a prova di magia e il mio famiglio non poté fare altro che piangere. Era un gatto, infondo, aveva già fatto tutto quello che gli era possibile. Gli dissi di andarsene ma lei si nascose in un angolo della sala, sarebbe stata al mio fianco anche nei miei ultimi istanti di vita.

Quando gli inquisitori tornarono dopo un ora buona capì che era arrivata la mia ora, che non c’erano più speranze. Ammisi ogni cosa, sperando che la mia fine arrivasse veloce. Gli inquisitori mi chiesero i nomi di altre streghe e io gli dissi quelli delle persone che avevano già ucciso. Sembrarono soddisfatti dalle miei risposte e dalla mia collaborazione così mi riservarono un rito più lungo, chiedendo al Signore di salvare la mia anima perché ero redento e perché ero ancora giovane. Il mio corpo sarebbe stato purificato dall’acqua e così la giustizia divina sarebbe stata fatta. Guardai Neve e gli dissi addio in silenzio, la mia ora era giunta e il mio unico rimpianto era aver lasciato il mio famiglio solo.

Sobbalzai quando un rumore forte, come un tuono, riempì la sala. Mi accorsi di essere ancora vivo e che il prete era entrato urlando e sbraitando contro gli inquisitori

-Che vi è saltato in mente di fare, si può sapere?- urlava infuriato verso gli uomini che sembravano averne un timore quasi reverenziale, io ero stanco e non capì tutto quello che stava dicendo, solo alcune frasi –è il mio chierico… non osate… vi ho chiamati … strega… - il resto non lo capì, scivolai lentamente nell’oblio.

 

Quando mi risvegliai mi ritrovai in una casa piena di crocifissi e rosari. Non c’erano urla o dolore in quel posto, solo silenzio. C’era anche il prete della nostra città, padre Marshal, che stava lavorando ad una piccola scrivania, di profilo rispetto a dove stavo riposando. C’era però qualcosa di strano nel prete, come se qualcosa di lui mi risultasse sfocato, e non capivo cosa fosse

-Ben svegliato- mi fece lui, senza smettere di lavorare –ti senti meglio?-

-Si, grazie- gli risposi con la voce roca

-Sul comodino c’è dell’acqua- mi informò. Mi versai due bicchieri colmi e poi mi ristesi, continuando a fissare il prete. Eppure c’era qualcosa che non mi tornava: conoscevo quell’uomo da 5 anni, da quando si era trasferito nella nostra città, ed ero uno dei suoi chierici da 2, lo conoscevo e lo consideravo quasi un amico ma c’era qualcosa che non tornava. Era come se i miei ricordi su di lui fossero sfocati, imprecisi. Padre Marshal aggrottò le sopracciglia e imprecò a mezza voce il che mi riportò alla mente una frase che aveva detto agli inquisitori, quando era accorso a salvarmi: “vi ho chiamati io in questa città, non mettete in dubbio le mie parole!”. Aveva detto quella frase con tale convinzione e sicurezza che anche gli inquisitori non avevano avuto dubbi, eppure in un angolo della mia mente c’era un pensiero che mi tormentava. Gli inquisitori non li aveva chiamati nessuno, lo ricordavo, mi sembrava di ricordarlo… tutto era così nebuloso. E poi ebbi un illuminazione

-Sei una strega!- urlai al prete, che non era il nostro prete ma un perfetto sconosciuto, arrivato dal nulla e che non avevo mai visto prima di quel giorno. Saltai a sedermi sul letto così velocemente che la testa mi girò come una trottola ma continuai a sorridere e saltellare felice ed eccitato. Era la prima volta che incontravo un altra strega come me ed ero tremendamente eccitato

-Non dovresti dire questo genere di cose ad alta voce- vi redarguì lui per poi sorridere e sedersi al mio fianco sul letto –hai un buon potenziale se sei riuscito ad accorgerti del mio incantesimo così in fretta- mi disse facendomi arrossire

-Voi chi siete? Cosa ci fate qui? Venite da molto lontano? E come… ?-

-Ma quanto parla!- sentì miagolare da un angolo della camera. Un grosso gattone nero zampettò fino al letto e saltò sulle gambe del finto prete. Era grosso il doppio di Neve e aveva un aria molto meno amichevole del mio gatto

-Non fare caso a Shadow, è bisbetico tutto il tempo dell’anno ma non è cattivo, vero?- gli chiese facendogli fare le fusa per poi continuare e rispondere ad alcune delle mie domande –Io mi chiamo Jack Marshal, vengo dalla contea di Essex, non molto lontano da qui… Lui invece è Shadow, il mio famiglio brontolone, ha sentito lui che eri in pericolo e mi ha portato da te appena in tempo-

-Oh, si… grazie per avermi salvato, vi sono molto riconoscente- il signor Marshal rise e si alzò, tenendo in braccio il suo gatto

-Manterrò l’incantesimo finché non ti sarai ripreso, poi però dovrò tornare dalla mia famiglia… la mia scusa vale per un mese al massimo poi potrebbero insospettirsi… -

-Ve ne andate?- chiesi spaventato dall’idea di allontanarmi dall’unico altro che, come me, possedesse il dono della magia

-Si, ma avrai tutto il tempo per riprenderti… so che gli inquisitori non ci vanno leggeri con le torture… - mentre diceva questo il suo gatto gli leccò il viso e si strusciò su di lui, guardandolo come per scusarsi, il signor Marshal però gli sorrise e continuò a fargli i grattini dietro le orecchie

-Ve ne prego, non mi lasciate! Non ho mai conosciuto nessun’altro come me, come voi, e qui ho paura: quando ve ne andrete che ne sarà di me? Potrebbero prendermi ancora e… -

-Allora puoi venire con me- mi disse molto semplicemente lui –ti presenterò alla mia famiglia come un apprendista… non avranno problemi-

-Davvero?- chiesi eccitato

-Certo- mi rispose lui e il suo gatto aggiunse

-E magari ne viene fuori una cosa a quattro con anche quella tua bella gattina… - il signor Marshal gli diede un buffetto sulla testa per farlo smettere

-Non fare il maial-gatto- gli disse in tono di rimprovero

-Sapete dov’è Neve?- chiesi io, preferendo far finta di non capire i loro discorsi

-Sta mangiando- mi disse il signor Marshal –tra poco arriva, io devo preparare alcune cose per la nostra partenza, tu riposati… devi rimetterti-

 

Alcune settimane dopo abbandonai il mio villaggio natale senza voltarmi neppure una volta indietro. Gli inquisitori stavano ancora torturando gli abitanti e ne avrebbero avuto per molto tempo ma io ero scappato da quel villaggio, da quella mi vita di stenti. Ora ero diretto verso un’esistenza migliore e avevo un maestro straordinario che mi avrebbe potuto insegnare e proteggere.

Ero felicissimo.

   
 
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