Nick
autore:
Bloodingeyes
Titolo storia: Figlio
del
demonio
Genere: Soprannaturale
Avvertimenti: slash (accennato)
Breve introduzione: Durante l'epoca della caccia alle
streghe un ragazzo si
ritrova ad avere dei poteri soprannaturali ma gli inquisitori sono in
città...
Eventuali note: Si ricollega a Black cat per il
periodo e per i
personaggi ma il protagonista è cambiato.
Figlio
del demonio
Me
l’avevano ripetuto così tante volete che dopo un
po’ era iniziato a sembrarmi
quasi normale.
Impuro
Mia
madre non aveva voluto rivelare di chi ero figlio, aveva paura.
Sporco
Quando
le ingiurie, gli insulti e le domande erano diventate troppo assillati
lei
aveva confessato: io ero nato dalla relazione con suo padre, mio nonno.
Maledetto
Poi
ero cresciuto e qualcosa in me si era risvegliato.
Abominio
Un
potere che non aveva niente di umano e tutto di sovrannaturale,
qualcosa che
nessuno, neppure io, riusciva a comprendere.
Demonio
Peccato
per me che quello fosse il periodo peggiore per farsi venire dei
poteri, era il
tempo dell’inquisizione.
Strega
Nel
corso della mia vita, per quanto corta, avevo imparato molti
incantesimi. Quasi
tutti da solo, a tentativi. Poi era arrivata Neve, una randagia che
come me
nascondeva un segreto. Un gatto con il dono della magia e della parola.
Soprattutto della parola. Adorava parlare di qualsiasi cosa, darmi
lezioni,
dirmi quello che dovevo o non dovevo fare. Sotto la sua guida
però, dovevo
dargliene atto, avevo imparato tantissimo. Nessuno sapeva di me, di
Neve e dei
nostri poteri. Agli occhi di tutti ero soltanto un orfano. Ero lo
sguattero del
macellaio e la mia casa era costruita sotto un ponte come quella dei
troll di
cui raccontavo le storie ai bambini del villaggio. Ero quello bravo a
dire
bugie che sembravano verità e storie fantastiche che
facevano illuminare gli
occhi dei bambini e li facevano sognare avventure meravigliose. Ero il
ragazzo
sempre sporco e puzzolente, quello che solo ad avvicinarti potevi
vomitare. Uno
dei tanti straccioni della città. Ero quello a cui nessuno
importava.
E
poi arrivarono gli inquisitori.
Nessuno
li aveva chiamati, nessuno sapeva perché si trovassero nel
nostro villaggio ma
c’erano e questa non era affetto una buona cosa. Neve era
terrorizzata e non
voleva più uscire dalla nostra casa. La prima cosa che gli
inquisitori fecero
fu annegare tutti i gatti neri e Neve vide molti dei suoi amici, felini
comuni,
senza un briciolo di magia, morire fra miagolii strazianti. Neve
cambiò colore
del pelo da nero a tigrato ma continuava ad avere paura e la notte si
raggomitolava accanto a me e nei sogni piangeva.
Io,
che non ero mai andato in chiesa come la maggior parte della gente del
villaggio, divenni un accanito frequentatore della Casa del Signore,
portavo un
rosario al collo e cercavo di essere il più invisibile
possibile. Smisi di fare
qualsiasi tipo di incantesimo per paura di poter essere scoperto.
Vedevo donne
messe al rogo, persone comuni il cui unico peccato era non essersi
sposate,
essere malate o semplicemente abitare un po’ fuori dal
villaggio. Venivano
prese con le loro famiglie e portate al cospetto degli inquisitori che
le
torturavano, mentalmente e fisicamente, anche per giorni interi. Le
loro urla
strazianti dovevano essere un monito alle altre streghe: nessun essere
demoniaco poteva prendersi gioco di Dio. In realtà sembrava
che sul nostro
villaggio fosse arrivato il Demonio per giocare.
Una
mattina, mentre stavo andando al lavoro, fui fermato dagli inquisitori.
Avevo
paura ma loro cercavano di dimostrarsi cordiali e di tranquillizzarmi.
Mi
accorsi troppo tardi che era una trappola: uno di loro
arrivò da dietro e mi
fece inalare un sonnifero.
Quando
mi risvegliai pensai di essere finito all’inferno.
C’erano urla e pianti, un
gran caldo e tanto dolore. Ero stato legato e imprigionato dentro una
cella
minuscola, tanto che non potevo neppure mettermi in ginocchio, ed ero
stato
appeso al soffitto, a parecchi metri da terra, molto vicino ad un
calderone di
acqua bollente. Il caldo era asfissiante e il ferro della gabbia
bruciava la
pelle. Gli inquisitori erano al lavoro e si stavano dedicando ad una
vecchia,
la signora Becket. Mi aveva offerto del pane un paio di volte, quando
non avevo
nulla e stavo per morire di fame. Era una vecchietta dolce, gentile e
molto
malata. I suoi figli se ne lamentavano sempre, perché
portava loro via tempo e
danaro. Era vecchia e adunca ma aveva uno sguardo dolce, sempre e con
tutti.
Ora le sue urla risuonavano nella stanza mentre la sua gabbia veniva
avvicinata
sempre di più all’acqua bollente, piangeva e
chiedeva pietà ma loro, gli
inquisitori, continuavano a farle domande assurde. Le chiedevano se
avesse mai
dormito con il Demonio, se l’avesse mai adorato, se si fosse
data piacere da
sola dopo la morte del marito. Le dicevano che se avesse ammesso i suoi
peccati
le sarebbe stata salvata l’anima, che Dio l’avrebbe
perdonata. E lei ammise
ogni cosa, anche la più folle. A quel punto gli inquisitori
la benedirono e
dissero che la sua anima era salva. Dopodiché fecero cadere
la sua gabbia
nell’acqua e la signora Becket morì fra
interminabili urla.
Mi
dissero che sarei stato il prossimo ma che prima si sarebbero fermati a
mangiare,
perché salvare le anime dal demonio portava via loro molta
fatica. Provai in
ogni modo ad aprire la mia cella, con la magia, con la forza, con tutta
la mia
disperazione ma la cella era fatta per contenere anche delle vere
streghe, non
solo delle povere vecchiette indifese e a nulla valsero i miei sforzi.
Neve
entrò dalla finestra e cercò di capire come
salvarmi ma tutta quella macchina e
il calderone erano a prova di magia e il mio famiglio non
poté fare altro che
piangere. Era un gatto, infondo, aveva già fatto tutto
quello che gli era
possibile. Gli dissi di andarsene ma lei si nascose in un angolo della
sala,
sarebbe stata al mio fianco anche nei miei ultimi istanti di vita.
Quando
gli inquisitori tornarono dopo un ora buona capì che era
arrivata la mia ora,
che non c’erano più speranze. Ammisi ogni cosa,
sperando che la mia fine
arrivasse veloce. Gli inquisitori mi chiesero i nomi di altre streghe e
io gli
dissi quelli delle persone che avevano già ucciso.
Sembrarono soddisfatti dalle
miei risposte e dalla mia collaborazione così mi riservarono
un rito più lungo,
chiedendo al Signore di salvare la mia anima perché ero
redento e perché ero
ancora giovane. Il mio corpo sarebbe stato purificato
dall’acqua e così la
giustizia divina sarebbe stata fatta. Guardai Neve e gli dissi addio in
silenzio, la mia ora era giunta e il mio unico rimpianto era aver
lasciato il
mio famiglio solo.
Sobbalzai
quando un rumore forte, come un tuono, riempì la sala. Mi
accorsi di essere
ancora vivo e che il prete era entrato urlando e sbraitando contro gli
inquisitori
-Che
vi è saltato in mente di fare, si può sapere?-
urlava infuriato verso gli
uomini che sembravano averne un timore quasi reverenziale, io ero
stanco e non
capì tutto quello che stava dicendo, solo alcune frasi
–è il mio chierico… non
osate… vi ho chiamati … strega… - il
resto non lo capì, scivolai lentamente
nell’oblio.
Quando
mi risvegliai mi ritrovai in una casa piena di crocifissi e rosari. Non
c’erano
urla o dolore in quel posto, solo silenzio. C’era anche il
prete della nostra
città, padre Marshal, che stava lavorando ad una piccola
scrivania, di profilo
rispetto a dove stavo riposando. C’era però
qualcosa di strano nel prete, come
se qualcosa di lui mi risultasse sfocato, e non capivo cosa fosse
-Ben
svegliato- mi fece lui, senza smettere di lavorare –ti senti
meglio?-
-Si,
grazie- gli risposi con la voce roca
-Sul
comodino c’è dell’acqua- mi
informò. Mi versai due bicchieri colmi e poi mi
ristesi, continuando a fissare il prete. Eppure c’era
qualcosa che non mi
tornava: conoscevo quell’uomo da 5 anni, da quando si era
trasferito nella
nostra città, ed ero uno dei suoi chierici da 2, lo
conoscevo e lo consideravo
quasi un amico ma c’era qualcosa che non tornava. Era come se
i miei ricordi su
di lui fossero sfocati, imprecisi. Padre Marshal aggrottò le
sopracciglia e
imprecò a mezza voce il che mi riportò alla mente
una frase che aveva detto
agli inquisitori, quando era accorso a salvarmi: “vi ho
chiamati io in questa
città, non mettete in dubbio le mie parole!”.
Aveva detto quella frase con tale
convinzione e sicurezza che anche gli inquisitori non avevano avuto
dubbi,
eppure in un angolo della mia mente c’era un pensiero che mi
tormentava. Gli
inquisitori non li aveva chiamati nessuno, lo ricordavo, mi sembrava di
ricordarlo… tutto era così nebuloso. E poi ebbi
un illuminazione
-Sei
una strega!- urlai al prete, che non era il nostro prete ma un perfetto
sconosciuto, arrivato dal nulla e che non avevo mai visto prima di quel
giorno.
Saltai a sedermi sul letto così velocemente che la testa mi
girò come una
trottola ma continuai a sorridere e saltellare felice ed eccitato. Era
la prima
volta che incontravo un altra strega come me ed ero tremendamente
eccitato
-Non
dovresti dire questo genere di cose ad alta voce- vi
redarguì lui per poi
sorridere e sedersi al mio fianco sul letto –hai un buon
potenziale se sei
riuscito ad accorgerti del mio incantesimo così in fretta-
mi disse facendomi
arrossire
-Voi
chi siete? Cosa ci fate qui? Venite da molto lontano? E
come… ?-
-Ma
quanto parla!- sentì miagolare da un angolo della camera. Un
grosso gattone
nero zampettò fino al letto e saltò sulle gambe
del finto prete. Era grosso il
doppio di Neve e aveva un aria molto meno amichevole del mio gatto
-Non
fare caso a Shadow, è bisbetico tutto il tempo
dell’anno ma non è cattivo,
vero?- gli chiese facendogli fare le fusa per poi continuare e
rispondere ad
alcune delle mie domande –Io mi chiamo Jack Marshal, vengo
dalla contea di Essex,
non molto lontano da qui… Lui invece è Shadow, il
mio famiglio brontolone, ha
sentito lui che eri in pericolo e mi ha portato da te appena in tempo-
-Oh,
si… grazie per avermi salvato, vi sono molto riconoscente-
il signor Marshal rise
e si alzò, tenendo in braccio il suo gatto
-Manterrò
l’incantesimo finché non ti sarai ripreso, poi
però dovrò tornare dalla mia
famiglia… la mia scusa vale per un mese al massimo poi
potrebbero
insospettirsi… -
-Ve
ne andate?- chiesi spaventato dall’idea di allontanarmi
dall’unico altro che,
come me, possedesse il dono della magia
-Si,
ma avrai tutto il tempo per riprenderti… so che gli
inquisitori non ci vanno
leggeri con le torture… - mentre diceva questo il suo gatto
gli leccò il viso e
si strusciò su di lui, guardandolo come per scusarsi, il
signor Marshal però gli
sorrise e continuò a fargli i grattini dietro le orecchie
-Ve
ne prego, non mi lasciate! Non ho mai conosciuto nessun’altro
come me, come
voi, e qui ho paura: quando ve ne andrete che ne sarà di me?
Potrebbero
prendermi ancora e… -
-Allora
puoi venire con me- mi disse molto semplicemente lui –ti
presenterò alla mia
famiglia come un apprendista… non avranno problemi-
-Davvero?-
chiesi eccitato
-Certo-
mi rispose lui e il suo gatto aggiunse
-E
magari ne viene fuori una cosa a quattro con anche quella tua bella
gattina… -
il signor Marshal gli diede un buffetto sulla testa per farlo smettere
-Non
fare il maial-gatto- gli disse in tono di rimprovero
-Sapete
dov’è Neve?- chiesi io, preferendo far finta di
non capire i loro discorsi
-Sta
mangiando- mi disse il signor Marshal –tra poco arriva, io
devo preparare
alcune cose per la nostra partenza, tu riposati… devi
rimetterti-
Alcune
settimane dopo abbandonai il mio villaggio natale senza voltarmi
neppure una
volta indietro. Gli inquisitori stavano ancora torturando gli abitanti
e ne
avrebbero avuto per molto tempo ma io ero scappato da quel villaggio,
da quella
mi vita di stenti. Ora ero diretto verso un’esistenza
migliore e avevo un
maestro straordinario che mi avrebbe potuto insegnare e proteggere.
Ero
felicissimo.