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Autore: ferao    08/01/2013    7 recensioni
Caro Jarne,
scrivo a te perché so che almeno tu leggi la posta da casa, a differenza di due cialtroni che conosciamo bene. Volevo avvertirvi che le cose stanno degenerando: mamma ha invitato i nonni Bunbury ed Evangeline al pranzo del 25, e sembra volerli in casa a tutti i costi. Non chiedermi perché, non ho avuto il coraggio di fare domande.
Ormai io mi sono rassegnato, non ho alcuna scusa valida per non passare il Natale a casa, ma almeno voi cercate di salvarvi come potete. Mi raccomando però, datemi vostre notizie (almeno per confermarmi di aver ricevuto il messaggio).
Spero vada tutto bene a scuola!
Rhett
PS: la cuginetta è cresciuta un sacco, papà dice che somiglia a te quando avevi la sua età. A volte strilla come una Banshee, ma smette subito quando la prendo in braccio. Vi manderò una foto la prossima volta.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve'
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Note iniziali:

questa storia doveva essere lo Speciale di Natale dedicato ai lettori di Una brezza lieve. Siccome però alcune cose non sono andate esattamente come dovevano, è diventato prima lo Speciale di Santo Stefano, poi di San Silvestro, poi dell’Epifania. Solo oggi però sono riuscita a finirlo, correggerlo (non benissimo temo, di sicuro mi è sfuggito qualcosa) e pubblicarlo, quindi direi che possiamo chiamarlo… lo Speciale Che Tutte Le Feste Porta Via.
Come da titolo, il tema è il Natale. I contenuti saranno perciò conditi di melensaggini e cliché vari. Io vi ho avvisati.
La storia è strettamente legata all’universo di Una brezza lieve. I personaggi sono di mia invenzione, eccezion fatta per quelli provenienti dalla saga. Se non conoscete UBL potreste non capire del tutto la storia, ma fate come volete.
Altre note in fondo: per ora, buona lettura!
(E occhio, che la storia è un po’ lunghetta!)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Natale di Audrey
 
 
 
 
 

14 dicembre 1977

 
 
Caro Jarne,
scrivo a te perché so che almeno tu leggi la posta da casa, a differenza di due cialtroni che conosciamo bene. Volevo avvertirvi che le cose stanno degenerando: mamma ha invitato i nonni Bunbury ed Evangeline al pranzo del 25, e sembra volerli in casa a tutti i costi. Non chiedermi perché, non ho avuto il coraggio di fare domande.
Ormai io mi sono rassegnato, non ho alcuna scusa valida per non passare il Natale a casa, ma almeno voi cercate di salvarvi come potete. Mi raccomando però, datemi vostre notizie (almeno per confermarmi di aver ricevuto il messaggio).
Spero vada tutto bene a scuola!
 
Rhett
 
PS: la cuginetta è cresciuta un sacco, papà dice che somiglia a te quando avevi la sua età. A volte strilla come una Banshee, ma smette subito quando la prendo in braccio. Vi manderò una foto la prossima volta.
 
 
 
Incredulo, Jarne rilesse la lettera una seconda volta, prima di lanciarla lontano e passarsi le mani sugli occhi.
– Oh, Merlino, no…
Altro che degenerare: le cose non sarebbero mai potute andare peggio di così!
Senza perdere altro tempo, si avvicinò a una finestra della Torre di Corvonero e guardò in basso verso il parco: individuò subito la chioma bionda di Oleg, circondato da ragazze Serpeverde che lo riempivano di moine. Per trovare Saul ci mise un po’ di più, ma alla fine lo vide nei pressi del lago, intento a illustrare un gioco Babbano ai suoi compagni (i quali sembravano non cogliere la bellezza del passarsi la Pluffa facendola rimbalzare su mani e braccia senza magia).
Jarne sospirò. Normalmente non avrebbe voluto interrompere le attività dei suoi fratelli, ma la lettera appena ricevuta gli imponeva come imperativo categorico di fare qualcosa: in assenza di Rhett era lui il maggiore, ergo doveva aiutare loro – e se stesso – ad ogni costo.
Strinse i denti e scese le scale, diretto al parco.
 
– Stai scherzando.
– Magari.
– Oh no, tu stai scherzando.
– Ve lo giuro, vorrei fosse così.
– Perché diavolo hanno invitato anche i nonni? Perché?!
Alla domanda di Saul, Jarne scosse il capo. – Non ne ho idea. Pare che la mamma voglia fare le cose in grande, quest’anno.
– Beh, le farà senza di me. – Appoggiato a una balaustra poco distante, Oleg aveva già espresso parecchio disappunto, ma sembrava possedere una riserva piuttosto vasta di questo sentimento. – Se vedo di nuovo Bunbury, – aggiunse, – gli faccio passare la voglia di chiamarci “piccoli mostri indemoniati”.
– Oleg, devi capirlo: i nonni sono Babbani – spiegò Jarne per l’ennesima volta.
– Non significa niente, tanti Babbani non hanno problemi con la magia!
– Ma loro sì. Oltre a questo, nonno Bunbury e nonna Evangeline sono naturalmente portati per lo svilimento e la disapprovazione di tutto ciò che è “diverso da loro”; probabilmente ci chiamerebbero “mostri indemoniati” anche se non fossimo maghi.
– Frega nulla, io il Natale con loro non lo passo!
Accanto a Jarne, il dodicenne Saul annuì. – Sono d’accordo, – disse. – Neanche io ho tanta voglia di rivederli. L’ultima volta che ci ho parlato, ho spiegato alla nonna quali sono le doti di un Tassorosso, e lei ha passato mezz’ora a dire che avevo scelto la classe peggiore della mia scuola di idioti. – Sospirò mesto. – La odio.
– Bene! – esclamò allora il maggiore dei fratelli, riprendendo in mano la situazione. – Quindi siamo tutti d’accordo sul fatto di non voler andare a casa per le feste, vero?
Oleg e Saul si scambiarono un’occhiata e annuirono rapidamente. – Assolutamente, – borbottò il primo, velenoso.
– Perfetto. – Jarne si strinse nella sciarpa e alitò una nuvoletta di fumo. – Allora, adesso mi aiuterete a trovare una buona scusa da propinare alla mamma, perché temo che stavolta non la passeremo liscia.
Il sordo rumore di deglutizione che provenne dagli altri due gli fece capire che , anche loro la pensavano allo stesso modo: la tradizionalista Magda Bennet non sarebbe stata contenta di sapere che i suoi figli intendevano restare a Hogwarts per Natale.
Non sarebbe stata contenta per niente.
 
 
 
 

18 dicembre 1977

 
 
– Ti vedo particolarmente contenta oggi, Maddie.
Magda sorrise a sua cognata. – È quasi Natale, Lucy, non riesco a non essere contenta in questo periodo! E poi dimmi: come faccio a essere triste vedendo questa meraviglia qui?
Sentendosi chiamata in causa, la piccola Audrey fece un grosso sorriso alla zia ed emise qualche gridolino festoso. Aveva solo sei mesi, ma già mostrava una certa predilezione per Magda e suo marito Roman, oltre che per Rhett, il loro figlio più grande.
– Il suo primo Natale – gorgogliò la zia, sollevando la bambina in alto sopra la testa. – Peccato che da grande non lo ricorderà.
“Se ci saranno anche i miei suoceri, meno male che non lo ricorderà” pensò Lucy, adombrandosi in volto per un secondo. Evangeline e Bunbury Bennet non erano famosi per la cordialità né per lo spirito natalizio, e, per dirla tutta, non avevano mai mostrato di amare molto nessuno dei loro parenti acquisiti (nuore in primis). Non fossero stati i genitori adottivi di suo marito, Lucy si sarebbe volentieri dimenticata della loro esistenza.
Riprese la bambina dalle braccia di Magda e la strinse a sé, domandandosi al contempo se quell’attaccamento così forte che provava per lei sarebbe mai scemato. Va bene che era la sua prima figlia e che lei era piuttosto giovane, ma le sembrava strano desiderare di coccolarla e vezzeggiarla tutto il giorno, anche dopo aver passato parecchie notti insonni per colpa sua; forse però era normale.
Di sicuro, Klaus non se ne lamentava affatto.
– Sai per caso dove sono i nostri mariti? – chiese, improvvisamente curiosa.
– Temo siano nella rimessa a fumare. – Magda scosse il capo in segno di disapprovazione. – Sono mesi che dico a Roman di piantarla, ma non sente ragioni. E poi tocca a me far sparire quell’orribile puzza dalla casa!
Lucy ridacchiò. Lei non fumava, ma le piaceva l’odore del tabacco che usava Klaus: sapeva di caldo, terra e corteccia; le ricordava il loro primo appuntamento, le prime volte che si erano abbracciati, il pomeriggio autunnale in cui avevano dato vita a Audrey. Tutto questo, però, non poteva certo dirlo a sua cognata.
– Meno male che sono andati in rimessa, allora.
– Solo perché ci siete tu e la piccola, altrimenti non avrebbero avuto nessun ritegno a rovinare l’aria di casa. Oh, Rhett! – Magda sorrise al suo primogenito, appena comparso fuori da camera sua. – Posta da Hogwarts?
– Non ancora. Ciao, zia Lucy.
Il ragazzo si avvicinò al divano; mentre la baciava sulle guance per salutarla, Lucy non poté fare a meno di pensare che sembrava terribilmente preoccupato.
 
– Meno male che sei qui, fratello. Sono giorni che Maddie non mi fa fumare, stavo impazzendo.
– Dovresti venire a casa mia, quando è così. La porta è sempre aperta.
Roman ammiccò e agitò un dito. – Non se ne parla. Tua figlia è troppo piccola per respirare questa roba, dovresti saperlo.
Klaus aspirò una boccata di fumo, poi rise. – Prima o poi però dovrà abituarsi. Intendo insegnarle a fumare appena avrà l’età legale per farlo.
– Sempre se tua moglie permette.
– Permetterà. E se non permetterà, sarà ancora meglio: sai come sono gli adolescenti, proibisci loro di fare qualcosa e sarà l’unica che vorranno fare.
– Ah beh, allora tu non hai mai smesso di essere adolescente.
– Certo che no!
Ridacchiarono. Il fumo si alzava dalle loro pipe in leggere volute, addensando l’aria nella piccola rimessa. Sedevano a poca distanza su due sedie che dovevano aver visto giorni migliori, adornate da cuscini logori. La luce che filtrava dalla piccola finestra andava a colpire direttamente Klaus, e Roman si ritrovò senza volere ad osservarlo: era vero, suo fratello pareva non essere invecchiato di un giorno da quando aveva finito la scuola. Per quanto cercasse di sembrare un uomo maturo lasciandosi crescere una barbetta incolta, i suoi occhi grandi e azzurri gli conferivano perennemente un’aria da bimbo sognatore che doveva aver fatto impazzire Lucy al primo sguardo – e non solo lei; anche il fisico magro e asciutto sembrava appartenere più a un ventenne irrequieto che ad un Auror di trentanove anni suonati. Unico segno tangibile dello scorrere degli anni sembravano essere i capelli bianchi che decoravano la sua chioma, altrimenti scurissima.
Non c’era da stupirsi che avesse sposato una ragazza di dodici anni più giovane, dato che poteva farlo senza sembrare un “vecchio ridicolo” (come lui lo aveva spesso soprannominato per prenderlo in giro, nei primi mesi del suo fidanzamento).
– Allora, – interloquì Roman dopo un bel po’, – qualche novità?
Klaus non sembrava aver fretta di rispondere a quella domanda. Diede le ultime boccate, sospirò, svuotò la pipa e si sistemò meglio sulla sedia. – Qualcuna. Ma niente di cui dovete preoccuparvi, qui a Deganwy siete praticamente al sicuro. È Londra il problema.
– Londra e i quartieri Babbani, suppongo.
Klaus annuì. – Di solito quei vigliacchi arrivano di notte, quando sono sicuri di non trovare resistenza – mormorò. – Ultimamente, però, abbiamo avuto notizie di attacchi diurni, sia a Babbani sia a comuni maghi: anziani bloccati in casa, madri con bambini… mai persone in strada, evidentemente non ci tengono a farsi notare troppo. Non che andarsene a zonzo sia molto più sicuro: due o tre maghi sono usciti e mai più rientrati, semplicemente volatilizzati.
Sospirò ancora e distese le gambe; per un momento parve dimostrare la sua vera età, tanto il suo viso si era corrucciato. – Ormai ci chiamano di continuo, noi e gli Obliviatori. La polizia Babbana sta impazzendo dietro a quelli che sembrano semplici casi di sparizione, e non possiamo certo spiegare che non c’è alcuna possibilità di ritrovare quelle persone vive.
– Terribile. Fortuna che hai potuto riposarti un po’, quando ti hanno dato qualche mese per la nascita della piccola.
Klaus fece una smorfia amara. – Sì, – replicò, – ma il personale era scarso e ho dovuto lavorare lo stesso. Malocchio non mi ha dato tregua, accidenti! Il diavolo se lo pigli! Con la storia del “sei uno dei nostri migliori Auror, non possiamo permetterci di rinunciare a te” mi ha fatto lavorare giorno e notte, lo stronzo.
Sbuffò e incrociò le braccia. Roman non disse niente, sapendo per esperienza che in quei casi era meglio lasciare in pace suo fratello; svuotò invece con calma la pipa e si accomodò meglio a sua volta.
– A Lucy piace Dartford? – chiese dopo qualche secondo.
Klaus si riscosse, grato di quel cambio di argomento. – Non come Londra, ma ci si abituerà. Meno siamo vicini al Ministero, più mi sento tranquillo.
– Potreste sempre venire a stare qui, se credi che i dintorni di Londra non siano sicuri. Ho sentito dire che vendono la villetta in fondo alla strada…
– Per carità! – Rise. – Preferirei fare la guardia a casa mia giorno e notte, piuttosto che sentire i miei figli parlare con l’accento del Galles!
– Esagerato! – Anche Roman rise. – Non è poi così male, una volta che ci fai l’orecchio…
– Sì, beh, lascio a te questo piacere. Per ora, a Dartford stiamo benissimo.
Un leggero bussare alla porta annunciò loro che il tè era pronto. Ancora scherzando tra loro, si alzarono in piedi e fecero sparire il fumo dalla stanza.
– Ah, quasi dimenticavo. – Klaus cavò di tasca un pacchetto delle dimensioni di una noce e lo lanciò al fratello. – Un regalo di Natale in anticipo.
Roman aggrottò le sopracciglia e guardò l’involto, il quale, a un tocco della bacchetta di Klaus, si ingrandì all’improvviso. – Che diamine…?
– Me l’ha prestato un amico. Beh, più che “prestato”, diciamo che mi ha implorato di nasconderlo in un posto sicuro.
– Tu hai… oh Morgana, è…
Klaus sogghignò, mentre Roman rimirava l’oggetto tra le sue mani. – L’ho già visto in un libro, – disse ancora il secondo, – ma non pensavo che fosse… così.
– In effetti, di solito i Pensatoi sono più grandi e più decorati, ma anche questo fa la sua figura.
Roman deglutì, emozionato. Il Pensatoio era un oggetto estremamente raro e terribilmente costoso, che di solito le famiglie magiche custodivano con cura per secoli e secoli… che ci faceva nella sua rimessa?
Lo chiese a Klaus, il quale alzò le spalle. – Non è niente di speciale, davvero – rispose. – Bilius l’ha trovato in casa di uno di quei poveri vecchi che… che ti ho detto prima. Nessun erede si è fatto avanti a reclamarlo, quindi lui lo ha requisito per verificare che non contenesse magia oscura. Dopo, però, si è lasciato prendere un po’ la mano e ha iniziato, come dire, a manometterlo. – Alzò gli occhi al cielo con fare drammatico. – Ah, vecchio Bilius… prima o poi ci lascerà le penne, in questo lavoro.
Manometterlo? – rantolò invece Roman, improvvisamente sospettoso verso il Pensatoio. – Che cosa hai portato in casa mia, Klaus?!
L’uomo rise. – Nulla che possa metterti in pericolo, fidati.
– E allora perché il tuo amico vuole disfarsene?
– All’Ufficio Misteri non hanno apprezzato il suo, uhm, zelo nell’appropriarsi di un pezzo d’antiquariato. Tutto qui. Ma tranquillo, – aggiunse subito, – verrà a riprenderselo appena le acque si saranno calmate. Giuro.
– Figuriamoci. Giuramento da Auror. Almeno dimmi cosa ha di strano questo Pensatoio, per favore!
Klaus sorrise a trentatré denti, poi glielo spiegò.
 
 
 
 

21 dicembre 1977

 
 
– Non sono più così sicuro che sia una buona idea.
Oleg roteò gli occhi. – Ma se l’hai avuta tu!
– Sì, beh, però… – Jarne deglutì. – Chiunque può sbagliare.
– È l’unico piano che abbiamo, e ormai non c’è più tempo per nient’altro. Fallo, oppure ti affatturo.
– Non lo faresti mai! – esclamò il fratello, indignato. – Va bene, lo faresti – aggiunse, quando la punta della bacchetta di Oleg gli si piazzò in mezzo agli occhi. – Dammi un po’ di tempo, però.
Di nuovo, il più giovane alzò gli occhi al cielo. – Non abbiamo tempo! Avremmo dovuto farlo una settimana fa, invece è già il 21 e non hai concluso nulla!
– Via libera, Jar! È il momento! – fece Saul, giungendo trafelato dal corridoio vicino.
– D’accordo. D’accordo. D’accordo. Uff. – Jarne inspirò ed espirò più volte. Accidenti a lui e alle sue idee. Se fosse sopravvissuto a quel Natale, si ripromise, mai più avrebbe cercato di imbrogliare a quella maniera parenti e professori.
Estrasse la bacchetta da una manica, fissò intensamente la parete di fronte a sé e, incrociando le dita, disse solenne:
Appari!
Nulla accadde. Jarne deglutì.
– Ehm… forse è la parola sbagliata. Compari!
Niente.
Oleg e Saul, alle sue spalle, si scambiarono un’occhiata significativa.
 
Secondo te sta facendo sul serio?
Secondo me no. Ci sta imbrogliando, non sa quello che deve fare!
 
– No, eh? Allora… uhm… Mostrati!
– Jarne, – intervenne Oleg, – forse sarebbe meglio…
Rivelati! Salta fuori! Fatti vedere!
– Ragazzi, arriva qualc…
MI SERVI, STUPIDA PORTA! VIENI FUORI O BUTTO GIÙ TUTTO! – strillò Jarne, isterico. Perché con quei ragazzi aveva funzionato e con lui no? Dannazione!
Stava per lanciarsi in avanti e dare una testata al muro, quando una mano lo fermò.
– Problemi, amico?
Si voltò, deciso a urlare a quello sconosciuto che il mondo era il suo problema, ma rimase pietrificato: quello di fronte a lui era il Caposcuola Potter.
Oh cavolo.
– Nessuno. Nessunissimo. Tutto perfetto – balbettò in fretta, sperando di non arrossire troppo.
– Sicuro? – Potter sorrise, gentile. – Mi sembravi, come dire, un pochino alterato. O sbaglio?
Jarne non rispose. Il Caposcuola allora si voltò verso gli altri due Bennet. – E voi, ragazzi?
– A parte la pazzia latente nel nostro codice genetico? Tutto bene, direi – sospirò Oleg.
– Meno male. Sembra strano che sia io a dirlo, ma qui a scuola non vogliamo casini prima di Natale. Beh, non casini provocati da dilettanti, dico bene? – Potter guardò di nuovo Jarne, e la sua espressione cambiò. – E ti consiglio di non cercare di far apparire porte inesistenti, amico. Non si sa mai cosa potrebbe capitarti. Ricevuto?
Il ragazzo deglutì. – R-ricevuto. Sissignore. Inesistente. Sì.
– Bravo. – Il Caposcuola tornò cordiale. – Bene, vi consiglio di andare a preparare i bagagli: l’Espresso parte domattina presto. – E con un’ultima occhiata eloquente a Jarne, si voltò e se ne andò.
 
– Allora?
Saul sbirciò dietro l’angolo. – È andato, – rispose. – Vai, riprova!
– Meglio di no.
Oleg fulminò Jarne con lo sguardo. – Meglio di no cosa? Avanti, se davvero c’è una stanza nascosta in questa parete, dobbiamo trovarla! È l’unico modo che abbiamo per nasconderci ed evitare di prendere il treno domani!
Jarne scrollò il capo. Già, era proprio un piano geniale. L’anno prima aveva visto, di sfuggita, tre o quattro Grifondoro entrare in una porta che pochi secondi prima non esisteva, e pochi secondi dopo era scomparsa del tutto; uno di loro era inequivocabilmente il Caposcuola Potter.
L’esistenza di quella stanza nascosta gli era tornata in mente il giorno prima, mentre si spremeva le meningi in cerca di un sistema per evitare il ritorno a casa: era giunto alla conclusione che se, con un pizzico di fortuna, fosse riuscito a far apparire la porta misteriosa, lui e i suoi fratelli avrebbero potuto nascondervisi ed uscirne ben dopo la partenza dell’Espresso – riteneva infatti che non esistesse altro sistema per lasciare Hogwarts. Quando poi la mamma gli avrebbe scritto chiedendo spiegazioni per la loro defezione, sarebbe stato facile giustificarsi spiegando che era stato tutto un incidente e che loro, poverini, non avevano potuto far nulla per evitarlo (gli pareva già di sentire la voce melodrammatica di Saul:  “Te lo giuro, quella porta è apparsa dal nulla! L’abbiamo aperta e… ci ha risucchiati! Ne siamo usciti per puro miracolo!”).
Arrabbiarsi con loro per una simile disavventura, arricchita magari di ulteriori drammatici dettagli, sarebbe stato impossibile; alla fine la mamma li avrebbe perdonati e lei e il papà si sarebbero fatti una risata.
Forse.
Ovviamente, Jarne aveva pensato anche all’altra possibilità, ossia dire chiaro e tondo ai suoi genitori che lui, Oleg e Saul desideravano rimanere a Hogwarts per le vacanze; questo però avrebbe di certo scatenato le ire funeste di Magda, la quale non concepiva proprio di passare le feste senza i suoi figli.
Meglio quindi ideare e portare avanti un piano con scarse probabilità di successo, che andare incontro a una sicura sconfitta. Sì, decisamente.
Ora però che Potter aveva intuito ciò che volevano fare, tutto andava annullato. Quello della stanza nascosta era un segreto di cui essere gelosi, e il Caposcuola sembrava molto molto geloso; e chissà cosa sarebbe stato capace di fare se…
Preferisco non scoprirlo mai, grazie.
– Inutile, ragazzi, non possiamo più farlo. Mi dispiace.
Sospirò tristemente e si allontanò dalla parete. Oleg e Saul gli trotterellarono dietro cercando di insistere, ma alla fine si arresero anche loro.
Mai cercare di discutere con un Corvonero rassegnato.
 
– Potremmo chiedere aiuto ad Aber. Ci nascondiamo nella Testa di Porco per un po’ e…
– E come lo raggiungiamo? Dovremmo uscire dalla scuola e… no, è un rischio troppo grosso!
– Che ne dici di Hagrid?
– Non voglio metterlo nei guai.
– Lumacorno? Oleg, tu sei bravo in Pozioni, magari…
No. Non sopporto quel ciccione pieno di arie.
– Jar, qualche altra idea?
Il maggiore sbuffò. – No, nessuna. La stanza segreta era la migliore che avessi avuto.
– E il bagno di Mirtilla? In fondo ci serve solo un nascondiglio, niente di che!
– Ci serve anche una scusa, Saul. Come potremmo sembrare credibili se dicessimo di essere incappati per caso nel bagno di Mirtilla? Un bagno femminile, oltretutto!
­– Beh, usciamo fuori e diciamo di essere finiti nella stanza segreta! Bugia più, bugia meno…
– Ma no, no, no! Mirtilla sarebbe capacissima di denunciarci! No, ci serve qualcosa di più… più…
– … hai detto bagno?
Jarne si fermò di scatto e si voltò verso Oleg. Rabbrividì: suo fratello aveva quello sguardo, lo sguardo che i Bennet temevano più di qualsiasi altra cosa. Lo sguardo che significava “farete come dico io, perché sì”.
No – ansimò, indietreggiando. – No, no e poi no. Qualsiasi cosa tu stia pensando è no.
– Oh, invece sì – sibilò l’altro. Il piccolo Serpeverde aveva un piano, e gli altri – volenti o nolenti – l’avrebbero realizzato. Come al solito.
 
Grace Burke non era esattamente il tipo di ragazza che si definirebbe “bella”, “avvenente” o quantomeno “carina”. La natura era stata ben poco generosa con lei, donandole un aspetto pressoché scialbo e insignificante: i lunghi capelli color miele erano la sua unica bellezza, insufficiente però ad annullare l’impressione generale che si aveva di lei sin dalla prima occhiata. Non era brutta, solo… insipida, incolore, totalmente ordinaria – forse persino meno che ordinaria. Nessuno si soffermava a guardarla due volte. E la sua passione era la Divinazione, il che la rendeva ancora meno gradevole agli occhi del mondo intero.
Jarne, naturalmente, era pazzo di lei. Si sentiva come lo scopritore di un nuovo minerale prezioso che tutti guardavano e nessuno vedeva realmente. Grace era spiritosa, tenera e intelligente, sapeva sempre cosa dire a quei pochi che le rivolgevano la parola, e sarebbe stato bellissimo se i figli di Jarne avessero avuto tutti quei capelli color miele.
Ma la prospettiva di avere una stirpe in comune con lei rischiava di essere annullata dall’idea folle di Oleg. E questi non ne sembrava affatto dispiaciuto.
– Tanto non hai speranze, lei è troppo per te – sghignazzò infatti, derisorio. Jarne lo fulminò con lo sguardo, poi tornò ad osservare la sua compagna di classe, seduta da sola a un tavolo della biblioteca. Non c’era quasi nessuno con loro: tutti erano in classe o a preparare i bagagli per il giorno dopo; anche Saul era corso via una mezz’ora prima, balbettando di essere in ritardo per Cura delle Creature Magiche.
– L’ideale per un incontro romantico – disse ancora Oleg. – Ora va’, dichiarale il tuo amore e fatti dare la parola d’ordine per il Bagno dei Prefetti, forza.
Jarne sbuffò e si avviò, controvoglia. La faceva facile, Oleg! Come se lui potesse davvero andare lì e chiedere una cosa del genere a… oh, diciamolo, alla donna della sua vita! Ovviamente non pensava di essere così rude con lei: avrebbe sì chiesto la parola d’ordine a Grace, ma l’avrebbe fatto spiegando i suoi motivi, chiarendo di non voler fare nulla di male, e poi l’avrebbe pregata in nome della loro amicizia, della lealtà tra compagni di Casa e… e… e boh, qualcosa si sarebbe inventato.
Forse.
– Ehm… ciao – bofonchiò, non appena fu vicino al tavolo. Grace non parve sentirlo: era china su un grosso volume e ripassava a bassa voce tra sé.
– Ciao, Burke – ripeté allora Jarne. La ragazza sobbalzò e si guardò attorno, sorpresa – aveva gli occhi verdi, diamine! Perché nessuno si accorgeva che aveva gli occhi verdi? Il cuore di Jarne mancò un battito.
– Oh, Jarne, ciao! – disse, non appena lo vide. Non sorrideva, perché aveva i denti leggermente accavallati e se ne vergognava, ma al ragazzo non importò.
– Ehm… come va?
– Male, questo libro non vuole lasciarsi studiare. Speravo di finire il capitolo prima delle vacanze di Natale, ma è troppo complicato. Cosa posso fare per te?
Ecco, se c’era una cosa che Jarne adorava di Grace era la sua disponibilità ad aiutare il prossimo in ogni occasione. Beh, quella e i suoi capelli. E i suoi occhi. E il nasino all’insù. E il neo sul suo collo. E…
Va bene, adesso piantala di fare il cretino. Concentrati. ORA.
– Ecco, beh, è imbarazzante da chiedere, ma… – Jarne deglutì. – Tu, insomma, sei un Prefetto, no?
Stavolta Grace non poté fare a meno di sorridere. – È bello che ogni tanto qualcuno se ne accorga, sai? Sei davvero gentile – scherzò.
– N-no, scusa, non intendevo… io… ecco… – si impappinò. No, per nulla al mondo ci sarebbe riuscito: già rivolgerle la parola gli costava uno sforzo titanico, figuriamoci andarle a domandare la parola d’ordine per il Bagno, che tutti sapevano essere un segreto riservato ai soli Prefetti! Una simile figuraccia andava oltre le sue sole forze. Meglio rinunciare anche a quel piano e sperare di trovarne un altro.
– Non importa, scusa – farfugliò. – Io…
– Mio fratello voleva solo chiederti se ti va di uscire con lui, prima o poi.
Per la seconda volta in pochi minuti, il cuore di Jarne saltò un battito, ma per motivi diversi da prima. Accanto a lui Oleg era comparso dal nulla, e sorrideva con il suo classico ghigno. Doveva aver intuito che Jarne era prossimo a capitolare e deciso di dargli una mano a modo suo.
Stramaledetto Serpico.
Il Corvonero abbassò il capo per non mostrare il rossore che l’invadeva; da parte sua, dapprima Grace lo guardò senza capire, sbalordita, poi di colpo si illuminò. – Ah! – esclamò, e stavolta rise mostrando tutti i denti, rivolta a Jarne. – Allora eri tu!
Subito mise da parte il tomo, prese un pezzo di pergamena dalla borsa e vi scrisse qualcosa. – Ieri sera mi sono esercitata con l’Alomanzia, – spiegò nel frattempo, – ed è venuto fuori che avrei ricevuto “un invito diviso in due parti” in cambio della “parola chiave per un bagno”. Suppongo intendesse quello dei Prefetti, visto che gli altri sono ad accesso libero. Avevo ragione?
– Io… tu… ehm, sì, certo, certo. – Il ragazzo aveva compreso metà delle parole, ma non gli importò: a quanto pareva, Grace aveva capito tutto da sola e lo stava aiutando. Che tesoro di ragazza!
Questa terminò di scrivere e piegò il foglio in otto. – Ecco qui. Posso dirtela tranquillamente, tanto sarà cambiata domattina all’ora di pranzo… e penso che tu non voglia fare nulla di male, vero?
– M-male? No, certo che no! Mi conosci, non farei del male a un Vermicolo!
Grace sorrise, gentile. Fece per porgere il foglietto a Jarne, ma un secondo dopo si bloccò.
– Aspetta! – esclamò, sgranando gli occhi.
Oleg spalancò la bocca, mentre Jarne, già pronto ad acchiappare la pergamena, fece un salto all’indietro. – Che c’è? Che succede?
– Non posso farlo!
– Cos… perché?! – fecero in coro i ragazzi.
– Perché sto precorrendo gli eventi! – Grace si sbatté una mano sulla fronte e scosse il capo. – Ah, che errore da principiante! Vedi, Jarne, non posso dirti la parola d’ordine se prima non me la chiedi.
Jarne la osservò confuso. – Cosa? Ma… ma tu sai già che ne ho bisogno!
– Lo so, è una noia, ma devi farlo lo stesso. Altrimenti la predizione non si avvererà.
– … e quindi?
– Quindi creeresti un paradosso temporale, visto che ti ho dato la parola d’ordine in conseguenza di una profezia non compiuta. – Poiché l’espressione di Jarne non era minimamente cambiata, Grace agitò una mano. – Lascia stare, è troppo complicato da spiegare a chi non se ne intende. Fa’ come ti dico e basta.
Congiunse le mani e attese. Jarne guardò Oleg in cerca di aiuto, ma suo fratello pareva bloccato sulla modalità “sbigottimento totale”, quindi lasciò perdere.
– Ehm, Burke… Grace… uhm, po-potresti darmi la parola d’ordine per il bagno dei Prefetti, per favore?
Grace parve soddisfatta. – Va bene – e gli tese di nuovo il biglietto. – Fa’ attenzione a Gazza, però, sotto Natale diventa ancora più nevrotico.
– Lo farò, grazie infinite. – Jarne prese il biglietto e, finalmente, riuscì a sorriderle. – E poi vorrei chiederti se possiamo uscire insieme, prima o poi – buttò fuori subito dopo, sorprendendosi di se stesso.
Grace annuì, compiaciuta, mentre i suoi occhi si illuminavano di gioia. – Ed ecco la seconda parte dell’invito, come voleva la predizione! – disse. – Bravissimo, vedo che impari in fretta. Buona fortuna con ciò che devi fare!
E senza aggiungere altro, raccolse le sue cose e scappò fuori, diretta a lezione. Jarne la seguì con lo sguardo, imbambolato, finché non fu sparita.
– Direi che quello era un “sì”, fratello – lo risvegliò Oleg, dandogli una pacca sulla spalla.
 
 
 
 
– Ancora niente gufi dalla scuola?
– Macché. Temo che i ragazzi non abbiano preso bene la notizia.
– Peggio per loro – grugnì Magda. Il tipico malumore pre-natalizio la stava assalendo con più forza che negli anni precedenti. Nessuno dei suoi parenti era d’accordo con l’idea di invitare anche i nonni Bennet al tradizionale pranzo del 25, nessuno, e glielo avevano dimostrato in molti modi; a lei, però, non importava affatto. Per i rapporti tra Roman e i suoi genitori adottivi non poteva far nulla, ma si era stufata di quella tensione continua tra i suoi figli e i suoi suoceri e voleva che finisse, subito. Erano una famiglia, accidenti! Va bene, non si piacevano; va bene, i nonni Bennet non erano quasi mai carini con i loro nipoti; però dovevano andare d’accordo tra loro, e quale occasione migliore per imparare a conoscersi meglio di un pranzo di Natale? Per una volta avrebbero anche potuto mettere da parte le divergenze e starsene in pace, quantomeno per far piacere a lei.
Sì, a Magda sembrava proprio una buona idea; e il fatto che nessuno l’approvasse non scalfiva minimamente la sua convinzione.
Roman la pensava diversamente. Secondo lui, imporre ai suoi figli la presenza di Bunbury ed Evangeline sarebbe servito solo a farglieli odiare di più. Anche lui avrebbe desiderato stare con i suoi genitori, a Natale – e che i suoi genitori si comportassero bene – ma i ragazzi erano più importanti: non voleva che si trovassero a disagio.
– Senti, non vuoi proprio cambiare opinione? – la pregò quindi. – Sai come sono fatti i miei, non amano le feste e…
– … e non amano i ragazzi. Lo so. Ed è per questo che dovranno stare insieme a noi, per respirare un po’ di aria di famiglia: farà bene a loro e a tutti quanti.
Roman scrollò il capo. – Maddie, – insistette, – possiamo sempre… che so, andarli a trovare il 26, oppure passare il pomeriggio del 25 con loro, ma non obbligare i piccoli a…
– Non è la stessa cosa! E i ragazzi ci saranno, perché anche loro devono imparare cosa significhi essere uniti.
– Ma se…
– Marito, taci. Ormai ho deciso, i tuoi genitori hanno ricevuto l’invito e accetteranno. Punto e basta.
Prima che l’uomo avesse il tempo di replicare, Magda prese la bacchetta e si Smaterializzò altrove, probabilmente diretta al mercato: era già il 21 dicembre, e doveva ancora rifornirsi di vivande per il pranzo di Natale.
Vistosi in questa maniera zittito, Roman emise un verso di stizza. Accidenti a quella donna! Faceva sempre di testa sua, senza sentire il parere di nessuno e senza curarsi delle conseguenze! Certe volte gli faceva venire dei nervi, ma dei nervi…
Prese a sua volta la bacchetta e, con un pop!, si diresse a casa delle uniche persone con cui potesse sfogarsi in maniera decente.
 
Sarebbe rimasta lì a guardarli per ore.
Lucy non capiva perché, ma, nonostante non avesse alcuna esperienza di bambini, suo marito non trovava difficoltà nell'occuparsi di Audrey. Le dedicava ogni minuto libero dal lavoro, facendo tutto quanto era necessario per lei: la cambiava, le dava da mangiare, la faceva giocare finché gli occhi non le si chiudevano per il sonno.
In quel momento i due erano sul divano, profondamente addormentati; Klaus vi si era seduto, aveva fatto scivolare Audrey nel mondo dei sogni e, subito dopo, era stato vinto a sua volta dalla stanchezza. Il suo petto si alzava ed abbassava regolarmente, cullando la bambina che giaceva avvinghiata a lui, il capo adagiato su una sua clavicola.
Non poteva esistere nulla di più bello al mondo.
– Klaus? Sei in casa?
La donna sobbalzò e si diresse di corsa ad aprire la porta, cui suo cognato bussava senza ritegno.
– Roman! – Subito gli fece cenno di entrare e fare piano. – Klaus è di là, sta dormendo.
L’uomo annuì ed entrò in casa in punta di piedi. Svegliare suo fratello era sempre un grosso errore, soprattutto dopo che il poveraccio aveva svolto un turno di pattuglia.
Passò accanto al divano senza far rumore, incredibilmente silenzioso per la sua stazza tutt’altro che esile, poi si diresse in cucina. Lucy lo seguì e chiuse la porta alle proprie spalle.
– Che succede? Tutto bene? – disse, non appena poterono parlare normalmente.
– Tutto a posto, volevo solo… – sbuffò e si agitò. – Scusa il disturbo, davvero, è solo che… dannazione, Maddie è così ostinata!
Lei capì subito l’antifona. – Per i tuoi genitori, eh?
– Ovvio.
Lucy fece una smorfia. – Senti, non piacciono neanche a me, però… insomma, lei lo fa perché è Natale e vuole che la famiglia sia unita. Non c’è nulla di sbagliato in questo.
­– No, certo che no! È solo che… sai… i ragazzi.
Calò il silenzio. La discordia tra nonni e nipoti era ben nota, non c’era bisogno di discuterne ancora. La donna alzò le spalle. – I ragazzi capiranno. E capiranno anche i tuoi genitori, vedrai.
– No, non credo affatto. Fuggiranno non appena si troveranno nella stessa stanza, o peggio. Ricordi come Bunbury li abbia trattati, l’ultima volta che li ha visti? È come se non ne sopportasse la presenza! E per loro è lo stesso.
– Ma è proprio per questo che Maddie li vuole tutti insieme! – Lucy si infervorò. – Un giorno potrebbero aver bisogno gli uni degli altri, e come faranno se tutto ciò che conoscono è il disprezzo reciproco? No, mi dispiace, ma i ragazzi devono cambiare il loro modo di fare, e così anche i tuoi genitori.
– Come se potessi dar loro torto. – Roman sostenne lo sguardo sbalordito di sua cognata e si passò una mano tra i capelli. – I miei non hanno mai digerito che io e Klaus non fossimo… “come loro”. E non posso certo biasimarli per questo. – Rise senza allegria. – Voglio dire, aspetti anni prima di avere un figlio, riesci a inserirti nel sistema di adozioni del governo britannico lottando con unghie e denti… e cosa ti ritrovi in casa? Due immigrati norvegesi di cui il Ministero della Magia ha dimenticato l'esistenza nel caos della Seconda Guerra Mondiale, buoni solo a far esplodere le lampadine e cambiar colore alle tende. Non hanno avuto la vita normale che desideravano, i miei.
– Va bene, ma questo non è un buon motivo per odiare voi o i vostri figli!
– Lo so, lo so! Però anche noi abbiamo avuto le nostre responsabilità nel farci odiare. – Sospirò gravemente. – Li abbiamo tagliati fuori dalla nostra vita non appena abbiamo potuto, dimenticando che si sono presi cura di noi nonostante tutto. E i ragazzi… beh, i miei speravano soltanto che la nostra “malattia” non li avesse contagiati, ecco.
– È questo l’errore, accidenti! – La voce di Lucy si alzò sensibilmente. – La magia non è una malattia, i tuoi genitori devono capirlo! E l’unico modo è far sì che la conoscano meglio!
– Ormai è tardi per quello. Klaus ed io avremmo dovuto…
– Eravate solo dei ragazzini, ma ora siete adulti. E Rhett e gli altri non possono commettere i vostri stessi errori.
L’argomento era fin troppo valido. I due cognati si fissarono in silenzio, a lungo, finché Roman non sbuffò e annuì.
– Sì, – borbottò. – Sì, forse hai ragione tu.
Si mise le mani in tasca e si guardò attorno. – E anche Maddie ha ragione – aggiunse. – Sono stato davvero sciocco a non capire cosa intendesse.
– Ciò non toglie, – si intromise Lucy, in tono più conciliante, – che nemmeno io faccia i salti di gioia al pensiero di rivedere i miei suoceri. Morgana! – ridacchiò. – L’ultima volta che li ho visti avevo ancora il pancione, e Bunbury mi ha chiesto se…
– … se stavi per dare alla luce un altro “anticristo”, sì. – Anche Roman rise, prima di accigliarsi. – Che accidenti sarebbe, poi, un “anticristo”?
– Roba da Babbani, senza dubbio; prova a chiedere a Magda, magari ne sa qualcosa. A proposito, pensa di andare in chiesa la sera della vigilia?
– Certo che sì – rispose lui. – Ha cercato di convincere anche Rhett, ma lui sembra poco interessato alla faccenda.
Anche Lucy sorrise. Un classico. Nella famiglia Bennet il Natale veniva festeggiato più come tradizione civile che per reale convincimento religioso; più di una volta Roman aveva proposto ai suoi di tornare a chiamarlo Yule e celebrare il solstizio d’inverno come i loro antenati, ma Magda, fervente anglicana sin dall’infanzia, si era sempre opposta. Nonostante ciò, sembrava che i quattro giovani Bennet avessero ereditato le tendenze neopagane del padre – per la gioia di quest’ultimo e il divertimento di Klaus.
– Potrei accompagnarla io, quest’anno – propose Lucy. – Mi hanno detto che le celebrazioni natalizie sono molto belle, e sarei curiosa di assistere. Chissà, magari a Audrey piacerebbe…
Sospirò e guardò istintivamente la porta, dietro la quale i suoi due amori dormivano della grossa. Roman se ne accorse e sorrise sornione.
– Siete davvero una bella famiglia, lo sai?
Lucy arrossì di piacere e abbassò gli occhi. – Non avrei potuto desiderare di più. Davvero.
– Lo stesso posso dire di mio fratello.
Si sorrisero ancora, poi si congedarono.
Nel salotto, i due riposavano ancora. A un certo punto la testa di Audrey scivolò e la piccola rischiò di cadere sul divano, ma Klaus, nel sonno, la strinse a sé e la risistemò come prima.
– Sono qui, sono qui, – mormorò, sognando chissà cosa. – Sono qui.
 
 
 
 

21-22 dicembre 1977

 
 
Per la primissima volta in vita sua, Saul capì veramente cosa significasse non essere coraggiosi.
Un tipo coraggioso ci sarebbe riuscito senza difficoltà. Un tipo coraggioso se ne sarebbe fregato del rischio e avrebbe attraversato la porta della sala comune di Tassorosso facilmente – e non inciampando sulla soglia per il tremore alle gambe. Un tipo coraggioso non si sarebbe spaventato di fronte all’atmosfera inquietante che la notte donava a Hogwarts; e di sicuro non avrebbe squittito di paura ad ogni soffio di vento. Un tipo coraggioso non avrebbe perso la testa nemmeno qualora avesse dimenticato di saltare quello specifico gradino che tutti sapevano difettoso (anzi, se ne sarebbe ricordato di certo!) e non avrebbe sudato sette camicie per liberarsi.
Un tipo coraggioso, insomma, non si sarebbe trovato nella situazione in cui si trovava Saul Bennet in quel momento: spalle al muro, nascosto dietro un’armatura, terrorizzato dal lieve suono di passi in avvicinamento che rimbombava nel corridoio.
“Ti prego, fa’ che non sia Gazza” pensò il bambino, stringendo denti e palpebre. “Fa’ che non sia lui. Né la McGranitt. Né Pix. Né il Barone Sanguinario. Ti prego ti prego ti prego fa’ che non siano loro.”
– …entito qualcosa – sussurrò una voce a due metri dal nascondiglio di Saul. – Sei sicuro…?
– Sì, era qui. Ehi?
Un tenue fascio di luce illuminò per un attimo i piedi di Saul, poi il suo viso. Il piccolo si ritrovò abbagliato e tornò a serrare gli occhi, ormai in preda al panico.
Era pronto a gridare “Mi arrendo!”, quando la voce di suo fratello Oleg lo riempì di sollievo.
– Mangiapolpette! Sei qui! – bisbigliò infatti questi, sempre puntando la bacchetta contro Saul. – Ti aspettiamo da ore, che fine avevi fatto?
– Sc-scusate, io…
– Non fa niente, ora dobbiamo andare – borbottò Jarne, sbrigativo.
I tre si compattarono e procedettero cauti lungo il corridoio. Jarne era teso: bastava che qualcuno li vedesse e il loro piano geniale sarebbe andato in fumo. Beh, insomma, geniale non era il temine adatto; l’idea era piuttosto grezza (si vedeva che l’autore era Oleg e non lui) ma era anche la migliore che avevano, se non l’unica.
Nonostante la fama, il Bagno dei Prefetti era poco frequentato; questo perché, spesso e volentieri, i succitati Prefetti erano troppo impegnati per usarlo, e preferivano svolgere le loro attività “da toilette” nei bagni dei vari piani o in quelli delle sale comuni; di notte, poi, era praticamente certo che nessuno vi si recasse. Se i tre Bennet avessero trovato un cubicolo abbastanza lontano dalla porta d’ingresso e fossero riusciti a chiudercisi dentro, avrebbero potuto attendere il mattino successivo in tutta (o quasi) tranquillità senza farsi trovare, dopodiché sarebbero usciti fuori nel momento più propizio (il modo di stabilire quale fosse questo momento non era ancora chiaro) e avrebbero potuto giustificarsi usando la scusa che avevano già pronta da prima, ossia la misteriosa apparizione della porta invisibile.
Semplice.
Tutto stava nel non farsi beccare da anima viva o defunta.
– Manca ancora molto?
– No, è qui. – Il più grande si avvicinò alla statua di Boris il Basito e sussurrò la parola d’ordine. Subito si rivelò loro l’ingresso del bagno.
– Avanti, prima che arrivi Gazza!
Entrarono, e rimasero non poco stupiti dall’aspetto della stanza. Certo, immaginavano che fosse qualcosa di bello e speciale, ma… non pensavano così tanto. Era enorme, tutto di marmo, e… era per caso oro, quello lì?
– Diventerò Prefetto, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia – dichiarò Oleg con solennità.
– Certo, certo. Saul, non provarci!
– Ma io voglio fare il bagno! – piagnucolò il più piccolo, una mano già tesa verso gli scintillanti rubinetti della vasca.
­– Non se ne parla. È già un miracolo che siamo arrivati qui senza farci scoprire da nessuno, adesso sistemiamoci per la notte e basta!
Sbuffando, Saul si accodò di malavoglia ai fratelli. Si sentiva assonnato e nervoso, e iniziava a pensare che tutti quegli sforzi non sarebbero serviti a nulla, alla fine.
Quasi quasi sarebbe stato meglio lasciar perdere e tornare a casa per Natale; chi se ne importava dei nonni, se la loro mamma avrebbe cucinato il tacchino a pranzo! E quella ricetta italiana che conosceva tanto bene, gli spaghetti! E il papà avrebbe decorato la casa con rami di sempreverde e stecche di cannella, e ci sarebbero state candele e frutta secca ovunque; avrebbero cantato tutti insieme, poi si sarebbero raccontati storie e aneddoti sui Natali del passato, avrebbero giocato con la cuginetta (chissà quanto era cresciuta in quei mesi!) e si sarebbero scambiati regali e auguri.
Sì, sembrava decisamente più allettante della prospettiva di passare la notte e metà della mattina successiva nella toilette che i suoi fratelli avevano appena aperto.
–­ Non è molto spaziosa, ma la faremo bastare – decretò Jarne. – Dentro, forza.
Una volta entrati, si sistemarono alla meglio attorno al water. Oleg chiuse la porta a chiave e spense la bacchetta. – Non dovremo mica stare in piedi tutto il tempo, vero? – chiese poi, con una punta di acidità.
– Nah. – Jarne si guardò attorno: la toilette era ben più larga del normale. – Direi che possiamo anche metterci sdraiati, se ci stringiamo un po’. Però dovremo tenere la testa l’uno sui piedi dell’altro.
– BLEH! – Saul e Oleg si produssero in un’espressione schifata.
Jarne roteò gli occhi. – Era per dire.
– Ah beh, allora…
– Naturalmente – aggiunse – non potremo dormire tutti e tre nello stesso momento. Dovremo fare dei turni di guardia.
– MA IO HO SONNO! – strepitarono ancora i due più giovani, sempre all’unisono.
– E allora starò sveglio io per primo! Avanti, prendete le coperte e sistematevi.
Ciascuno di loro aveva portato un fagotto con coperte e vestiti per la notte; Saul era anche riuscito a procurarsi, chissà come, un po’ di viveri in caso di fame.
– Purché non te li mangi tutti tu come al solito – borbottò Oleg, ma l’altro non lo sentì: si stava già abbandonando alle braccia di Morfeo, nonostante la situazione e la scomodità del giaciglio.
Gli mancava il materasso della sua stanza, nella sala comune di Tassorosso. Anzi, no: gli mancava di più il letto di casa sua, nella stanza che divideva con Oleg. Il suo letto, la sua camera, la mamma indaffarata, il papà con la pipa in bocca e i baffi sempre più lunghi ogni volta che lo vedeva, zio Klaus che lo prendeva in braccio nonostante lui non fosse esattamente un ragazzo magro…
Un rumore improvviso lo fece sobbalzare, risvegliandolo di colpo. Il suo primo istinto fu di gettare un grido, ma la mano di Oleg lo fermò appena in tempo.
 
Zitto. Forse siamo nei guai.
 
Saul spalancò gli occhi e guardò Jarne, il quale, teso, fissava la porta tenendo la bacchetta puntata di fronte a sé. Un rumore di passi indicava senza ombra di dubbio la presenza di visitatori nel bagno.
– Grazie di avermi accompagnata, davvero. Spero non ti dispiaccia.
– Ma no, figurati! E comunque è meglio non girare da soli per la scuola, di notte.
Jarne trattenne il fiato. Quella era la voce del Caposcuola Potter! E l’altra sembrava essere una ragazza!
– Figuriamoci! Di cosa dovrei aver paura? Dei topi?
– Alcuni di loro sono davvero grossi. E voraci. Peter… voglio dire, ne ho incontrati certi davvero inquietanti, sai, Evans?
E ti pareva. L’altra Caposcuola.
Ancora rumore, stavolta di passi più rapidi. Fortunatamente erano lontani, i due Capiscuola dovevano essere ancora nei pressi della porta d’ingresso; che fossero di ronda quella sera? E perché dovevano avere bisogno di usare la toilette proprio in quel momento?!
Sfortuna nera. Ti prego, Divinità Qualsiasi Senza Niente Di Meglio Da Fare, aiutaci.
Mentre Jarne pregava così tra sé, Saul strinse la coperta tra le mani e guardò Oleg, il quale stava facendo lo stesso.
 
Che succederà? Ci scopriranno?
Non lo so. Non lo so. Sta’ zitto!
Ma io sono zitto!
… ah, già, è vero.
 
Altri passi. Jarne inspirò il più silenziosamente possibile e cercò di riordinare le idee.
Anzitutto, doveva calmarsi. La toilette che avevano scelto era la più distante in linea d’aria dall’ingresso, per raggiungerla si doveva attraversare tutto il bagno… improbabile che i Capiscuola entrassero proprio lì. Inoltre, la porta aveva lo straordinario vantaggio di giungere fino a terra, impedendo così di vedere da fuori se all’interno vi fosse qualcuno. No, finché non avessero emesso un suono non li avrebbero scoperti.
Nel frattempo, i due continuavano a parlare. – Beh, ti ho portata fin qui. Non avevi bisogno del bagno?
– Più tardi, forse. Ora… devo parlare con te.
D’improvviso Jarne realizzò di star ascoltando una conversazione fin troppo privata. Si guardò attorno, disperato, ma non c’era nulla che potesse fare per impedirlo.
A parte, beh, uscire dalla toilette.
Giammai.
– Parlare? Oh, ma…
– Sì, insomma… preferisco farlo in privato, ecco. Non… davanti ai Prefetti.
Il tono di lei era incerto, timido. Potter ci mise un po’ prima di rispondere. – Va… va bene. Allora, dimmi tutto.
Evans esitò ancora; a Jarne parve di sentirla respirare. – Ecco, non è facile. Io… io volevo scusarmi con te.
Oleg soffocò uno starnuto nella coperta. Jarne si voltò di scatto e gli lanciò un’occhiataccia, ma il piccolo sembrava in preda a un attacco allergico: già si preparava ad un altro starnuto.
– … come hai detto?
– Ho detto che… – La ragazza alzò un po’ la voce. – Ti chiedo scusa, Potter.
 
Porca vacca, Saul, fallo smettere!
E come faccio?!
 
– Ma… ma tu…
– Ecco, l’ho detto. Uff.
– … e per cosa?
– Per… oh, santo cielo!
I passi ripresero, stavolta più vicini. Dovevano essere a metà bagno, all’incirca presso i bordi della vasca.
Oleg infilò la testa sotto la coperta, invano: lo sternuto uscì soffocato ma vagamente udibile.
– È così… difficile da spiegare per me! – esclamò la Caposcuola nello stesso momento, coprendone il suono.
Grazie, Divinità Qualsiasi.
– Beh, provaci.
Si sentì Evans prendere fiato. – Okay. Ci provo. Ricordi quando… al quinto anno, la volta che ho detto di odiarti e tutte quelle altre cose?
– All’incirca, sì. – Il tono di Potter era remissivo. – E devo dire che non avevi tutti i torti, io…
– Fammi finire, per favore. Ecco, volevo scusarmi per… quanto ti ho detto quel giorno.
 
Oleg, piantala subito!
Non ce la faccio, queste coperte sono piene di polveeeeeeeee…
NOOOOOOO!
 
– Stai scherzando, Evans?
– Mai stata più seria.
I passi si spostarono verso le toilette sul fondo del bagno. – Pensavo davvero che tu fossi un arrogante, presuntuoso, vanesio, detestabile…
– Lo ero! – Potter pareva infervorato. – Lo ero, ero un deficiente! E tu… avevi ragione, su tutto quanto.
– Davvero lo credi?
– Sì! Voglio dire, sei stata dura, ma… mi hai fatto riflettere, ecco.
– Ed è per questo che da quel momento in poi mi hai evitata? Perché stavi riflettendo?
Calò il silenzio.
 
NON FARLO! NON ACCIDENTI FARLO!
Eeee… eee… e.
… finito?
… sì. Tutto passato.
 
– Allora, Potter?
– Io… Diciamo di sì. In un certo senso. Lì per lì mi ero offeso, e anche parecchio: non capivo come tu potessi prendertela con me in quel modo, e soprattutto… beh, mi bruciava che mi avessi detto quelle cose. Per un po’ ti ho odiata profondamente, lo ammetto.
– Immagino.
– Ma ti ho odiata tanto. Pensavo che non esistesse una persona più cattiva, acida, antipatica e…
Ho capito. Va’ avanti.
– Poi però, anche grazie a Remus, ho capito che in fondo avevi ragione. Comportarmi così non mi rendeva affatto migliore di Moc-di Piton, anzi, e in generale non è mai servito a rendermi più simpatico agli occhi degli altri. Ero solo un cretino. – Potter tacque per qualche secondo, ed Evans ne approfittò per interromperlo.
– Perché non mi hai detto nulla di tutto ciò? Per tutto il sesto anno non mi hai parlato, non sei mai venuto a…
– Pensavo che tu non volessi avere nulla a che fare con me.
– Infatti era così. Prima che iniziassi a comportarti bene.
 
Grazie, Divinità Qualsiasi.
Jar? Con chi parli?
Ti sarò sempre devoto, mi rivolgerò sempre a te, diffonderò il tuo verbo…
… Jar?
Che cosa c’è?
Non vorrei interrompere il momento mistico, ma mi sa che sento qualcosaaaaaaaaaaaaaa…
NOOOOOOOOOOOOOO!
 
– Tu sei… cambiato – continuò la ragazza. – Lo vedo quando parli con i nostri compagni, quando aiuti gli studenti come Caposcuola, quando rimproveri i ragazzi che si comportano come te due anni fa; non sei solo più calmo o più diligente, sei proprio… diverso.
– Beh, una volta sbollita la rabbia ho pensato che, se non ti piacevo com’ero, tanto valeva provare a migliorare. Non che fosse facile, eh: non avevo molto margine, sai, quando uno nasce già perfetto…
– Sempre il solito modesto. – Risero, e la tensione tra loro scemò. – Quindi, – riprese lei, – sei… cambiato per me?
Potter sospirò, come a voler prendere tempo. – Anche. Cioè, sì. Credo di sì. Insomma, se tu non mi avessi detto quelle cose, forse…
Seguì un rumore strano, che Jarne non riuscì a identificare, ma che somigliava molto allo schiocco di due labbra su una guancia. Qualsiasi cosa fosse, fece tacere il Caposcuola per un bel po’.
– Credevo che tu fossi irrecuperabile, – disse Evans dopo qualche momento, – ma a quanto pare mi sbagliavo. Scusami se ti ho trattato in quella maniera.
Al ragazzo fu necessario qualche secondo di più per recuperare l’uso della parola. – E… ed io t-ti chiedo scusa per essere stato un… arrogante insopportabile cretino. E per averti evitata finora.
– Nessun problema. Davvero.
– Allora… amici?
– … ora non esageriamo, Potter. Però, diciamo che potremmo iniziare a conoscerci meglio.
Potter rise. – Andata. Mi piacerà molto iniziare a conoscerti… Lily.
– Piacerà molto anche a me… James.
­– AT-CHOOOOOOOO!
 
Quando, cinque secondi dopo, la porta della toilette venne aperta, Jarne riuscì a pensare soltanto due cose: la prima era che la Divinità Qualsiasi aveva scelto proprio il momento sbagliato per trovarsi qualcosa di meglio da fare; la seconda era che-no, niente, non c’era tempo di pensare a un’altra cosa.
Stava per scoprire cosa fosse peggio tra l’espulsione e il Natale coi nonni Bennet: tutto ciò era già troppo per il suo povero cervello.
 
– Curioso come io sia sempre il primo che vengono a svegliare quando trovano degli studenti in giro per la scuola di notte. In fondo sono anziano, avrei bisogno di riposare. Non trovate?
Silente sorrideva bonario, ma Jarne non si illuse: non l’avrebbero fatta franca, oh no.
– Secondo me, lei è in splendida forma. Non dimostra affatto i suoi, uhm… duecentotrent’anni.
La faccia tosta di Oleg era ineguagliabile. Jarne si voltò automaticamente per redarguirlo, ma il preside scoppiò a ridere di cuore. – Oh, Serpeverde! – esclamò poi. – Alcuni dicono sia la Casa riservata agli scaltri e ai disonesti, ma per fortuna vi alberga anche la schiettezza. Complimenti per la valutazione, Oleg, sei andato molto vicino alla mia età effettiva.
Il ragazzo sorrise, soddisfatto. Non pareva per nulla preoccupato da ciò che stavano rischiando: aveva sentito dire che il preside, sotto sotto, non era per niente malvagio – al contrario di Gazza, che non avrebbe esitato a punirli nella maniera più severa possibile. Meno male che i due Capiscuola avevano chiamato proprio lui! Se quel vecchio bacucco era tenero di cuore, l’avrebbero passata liscia senza alcun problema.
– Ora, per favore, ditemi. – L’anziano mago si appoggiò allo schienale della sua sedia e congiunse le dita. – Come mai i signori Potter ed Evans vi hanno trovati accampati dentro ad una toilette? Escludo che il motivo fosse godere del piacevole refolo di vento che passa dalla finestra del Bagno dei Prefetti, o fare due chiacchiere con la sirena del quadro.
– No, infatti. – Fu di nuovo Oleg a parlare; Jarne e Saul erano piuttosto impegnati a fingere di non essere lì, e lo lasciarono fare di buon grado.
In breve, il ragazzino raccontò dei motivi che li avevano spinti a intrufolarsi nel bagno per cercare di evitare la partenza, accennando il più possibile al modo in cui i nonni Bennet li maltrattavano e alla loro esasperazione per questo (e qui Saul ci mise del suo, producendosi in un brevissimo pianto sconsolato al ricordo di come la sua amata Casa era stata denigrata da Evangeline); per tutto il tempo Silente lo ascoltò senza battere ciglio, e lo stesso fece quando Jarne difese con calore Grace incolpando se stesso per il modo in cui le aveva “estorto” la parola d’ordine. Non commentò, ascoltò e basta, interessato e a tratti divertito.
– Poi ho tirato uno starnuto, quei due mi hanno sentito e…
– Bene, il finale lo conosco. Grazie.
Silente restò in silenzio per un lungo minuto, poi si alzò in piedi, camminando a grandi passi lungo l’ufficio, le mani dietro la schiena. – Miei cari ragazzi, – disse, – per quanto comprenda le vostre ragioni e desideri aiutarvi, non posso proprio esimermi dal darvi una punizione. Avete pur sempre violato le regole della scuola.
– OH, NO! – esclamarono i tre, in coro. – Non ci espella, per favore!
– E chi parla di espellervi? – Gli occhi di Silente brillarono di divertimento. – Se dovessi cacciare tutti gli studenti che, una volta o l’altra, decidono di avventurarsi nella notte, a quest’ora Hogwarts sarebbe semideserta. No, ragazzi, non sarete espulsi.
I tre tirarono un sospiro di sollievo e si guardarono. Nessuna espulsione? Meraviglioso! Qualsiasi altra punizione sarebbe stata più che ben accetta, assolutamente!
– Ritengo infatti – proseguì il preside, – che la miglior penitenza per voi sia passare le feste a casa, con la vostra famiglia riunita.
OH, NO!
– Oh, sì. – Silente smise di sorridere, ma la sua espressione restò mite. – Non posso permettermi di giudicare persone che non conosco, tuttavia dai vostri racconti mi sembra di capire che Bunbury ed Evangeline non amino molto la magia, giusto?
– Non amano nemmeno noi, se è per questo – borbottò Oleg.
– Però i vostri genitori vi amano, e loro amano voi e desiderano il vostro bene. Vedete, io non avrò certo l’esperienza di Magda e non saprò barcamenarmi tra figli e suoceri, – sollevò appena gli angoli della bocca, – ma so per certo che non esiste nulla di più bello di una famiglia unita, e nulla di più triste di due o più parenti stretti che non vanno d’accordo.
– Lo dica ai nonni, – fece ancora Oleg. – Noi ci siamo sempre comportati bene con loro.
– Ne sei assolutamente sicuro?
Lo sguardo azzurro e indagatore di Silente riuscì a zittire il ragazzo, che tacque e chinò il capo. Lo stesso fecero gli altri.
– Quindi, – fece Jarne dopo un minuto di riflessione – lei sta dicendo che… secondo lei, noi dovremmo far sì che i nonni non ci odino?
– Non intendo questo. Sono sicuro che i vostri nonni non vi odino affatto. D’altra parte state vivendo una situazione che non vi piace, ma questa non cambierà da sola: qualcuno deve pur fare un primo passo, presto o tardi.
– Però…
– Perdonatemi, ragazzi miei, – fece il preside con un sospiro, – ma sono davvero stanco adesso. L’ora è tarda e domani mi aspetta una lunga giornata… e aspetta anche voi, temo. Sono certo che un giorno comprenderete ciò che ho cercato di dirvi. – Sorrise, poi diede loro la buonanotte e li congedò.
 
Qualche ora dopo, alla luce del mattino nascente, tre figurine meste camminavano sulla banchina di Hogsmeade, dirette al treno.
– Che fregatura, – brontolò Oleg. – Non posso credere che ci siamo arresi così.
– Cos’avresti voluto fare? Nasconderti sotto il letto per non partire? Zitto e ringrazia che la nostra punizione sia solo questa.
Oleg non replicò. L’ultima volta che aveva cercato di discutere con uno Jarne in preda al nervosismo, ci aveva quasi rimesso il naso: meglio lasciar perdere.
Per buona parte del viaggio, i tre furono silenziosi. In circostanze normali si sarebbero accodati ai loro compagni di classe, avrebbero chiacchierato e scherzato, ma quel giorno tutto sembrava sin troppo gioioso per il loro umor nero.
Quando furono circa a metà percorso, però, Saul disse qualcosa di totalmente inaspettato.
– Credo che chiederò al nonno di raccontarmi della guerra.
Jarne lasciò cadere il libro che stava leggendo e Oleg smise di mangiarsi le unghie. – Cosa?! – domandarono insieme.
– Sì. Voglio chiedergli com’era la guerra. – Saul si grattò la testa. – Spesso ha provato a parlarmene, ma a me non andava di ascoltarlo; stavolta lo lascerò raccontare. Ci ho pensato su e credo che lo renderebbe contento, che ne dite?
Gli altri due si guardarono, e in quello stesso istante, all’improvviso, capirono tutto – ciò che Silente aveva voluto dir loro, il senso della loro punizione. Sì, i loro nonni avevano dei difetti enormi e probabilmente non sarebbero mai cambiati, ma ciò non significava che loro dovessero per forza essere dei cattivi nipoti.
E chissà, magari un gesto gentile o una parola cortese avrebbero smosso quelle due mummie e le avrebbero costrette ad essere più amabili. Tutto poteva essere.
Bisognava solo provarci.
– Mi sembra una buona idea – rispose Oleg. – Io invece gli chiederò di insegnarmi a fare le fotografie, visto che da giovane lo faceva per mestiere. Anche se proprio non capisco cosa ci sia di bello in immagini che non si muovono!
– E io invece potrei… ehi, Grace! Grace! – In un batter d’occhio, Jarne si lanciò fuori dallo scompartimento. Saul e Oleg lo osservarono, interdetti, mentre scambiava alcune rapide frasi con la ragazza in corridoio e tornava indietro, un enorme sorriso in volto.
– Le ho chiesto se vuole venire a casa nostra il pomeriggio del 25 e lei ha accettato – spiegò, con aria sognante. – Sapete, nonna Evangeline si lamenta sempre perché non ho una ragazza…
Gli altri due risposero al sorriso.
 
 
 
 

25 dicembre 1977

 
 
Alla fine, nonostante le insistenze di Magda, Bunbury ed Evangeline Bennet riuscirono ad evitare il pranzo di Natale. Com’era prevedibile, il loro scarso spirito natalizio e la profonda avversione per l’ambiente in cui i loro familiari erano immersi li aveva spinti a inventare su due piedi una scusa per non muoversi da casa, generando così un misto di disappunto e sollievo in tutti quanti.
– Pare che il loro gatto abbia il raffreddore. Riesci a concepire una cosa più stupida di questa? – ridacchiò Klaus, semisprofondato nella poltrona di suo fratello.
– Sempre meglio di quella che hanno inventato per non venire al compleanno di Rhett – rispose questi, soffocando una risata. – La Grande Invasione delle Blatte nello Scantinato, ricordi?
– Ooooooh, sì! Aspetta, com’era la frase?
– “Dovreste vedere che roba, figlioli. Ho dovuto usare il fucile a pallettoni!”.
– E noi: “Ma papà, l’ultima volta che hai preso il fucile a pallettoni ti sei sparato su un piede!”. E lui…
– … “Ed è appunto per questo che non possiamo venire!”.
– Oh, smettetela di prendere in giro quel povero vecchio! – li rimproverò Lucy, con un vassoio di tartine nel momento in cui i due Bennet rotolavano a terra per le risate. – Ha fatto la guerra, ha una certa età… è normale che sia un po’ eccentrico, no?
– “Suonato” è la parola giusta, moglie. – Con un movimento fluido Klaus si alzò e le sfilò il vassoio di mano. – Capisco che è Yule, ma non devi per forza essere così buona.
Lucy fece per ribattere, ma fu fermata da un Saul a dir poco terrorizzato che corse nella stanza reggendo Audrey, tutta rossa e in lacrime.
– Che devo fare? Che devo fare?! Non è colpa mia! Ha iniziato da sola e…
– Sta’ calmo, sta’ calmo! – Klaus rise, appoggiò il vassoio e prese la bambina urlante tra le braccia. – Se l’è solo fatta addosso, ai bambini capita.
Con qualche moina riuscì a tranquillizzare Audrey, poi si spostò in bagno per cambiarla, seguito dallo sguardo adorante di Lucy.
– Non so cosa farei senza di lui – sospirò. Guardò Roman, ma questi, fortunatamente, non aveva sentito la sua frase, impegnato com’era a rassicurare Saul; se così non fosse stato, l’avrebbe presa in giro per settimane.
Ma che ci posso fare? È la verità.
Non so cosa farei senza di lui.
 
Che lo si chiami Natale, Yule o in altri modi, il 25 dicembre del 1977 fu un giorno molto felice per la famiglia Bennet. L’assenza dei tanto temuti nonni rese più euforici che mai i quattro ragazzi – i quali, nonostante i buoni propositi, videro in quella circostanza un provvidenziale intervento della Divinità Qualsiasi – e costrinse persino la tenace Magda ad ammettere che sì, era molto più piacevole festeggiare senza quei due brontoloni.
– Però a Pasqua verranno. Punto e basta – stabilì la donna, un po’ alticcia dopo i brindisi finali.
– Allora per Pasqua inventeremo qualcos’altro – bisbigliò Oleg, ammiccando ai suoi fratelli e alzandosi insieme a loro per portare i piatti in cucina.
– A proposito, – fece Rhett, appena furono fuori dalla portata dei loro genitori e zii, – mi avete fatto preoccupare un casino! Vi avevo detto di scrivermi e non l’avete fatto, accidenti!
– Scusa, eravamo troppo indaffarati a inventarci qualcosa – rispose Jarne. – Ed è stato tutto inutile, alla fine.
Rapidamente, e controllando di tanto in tanto la porta della cucina, i ragazzi raccontarono al loro fratello maggiore tutte le disavventure in cui erano incappati. Alla fine Rhett scoppiò a ridere.
– Certo che è stato inutile! – fece, asciugandosi le lacrime. – Vi siete complicati la vita in una maniera assurda!
– Ehi, ma…
– Nascondersi nel Bagno dei Prefetti? Seriamente? Solo un idiota avrebbe avuto una pensata del genere. Non riesco a crederci!
– Era il nostro piano migliore! – fece Oleg, offeso. – E non avevamo alternative! Vorrei proprio sapere tu cos’avresti fatto, al posto nostro.
– Io? – Rhett ghignò. – Ma è ovvio, no? Mi sarei finto malato e mi sarei fatto ricoverare in infermeria. Più semplice di così!
Rise forte e corse fuori dalla cucina, prima che i suoi fratelli avessero il tempo di lanciargli qualcosa contro.
 
– Sei stanco?
Klaus sollevò la testa e accennò un sorriso, gli occhi semichiusi. – Non proprio. Credo sia la digestione.
– Vuoi tornare a casa? Se…
– Nah, la piccola si sta divertendo. E questa poltrona ormai ha la mia forma: se mi dai una coperta e un cuscino posso rimanerci per sempre.
Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, poi attirò Lucy a sé e la fece sedere sulle proprie gambe. Sul divano al lato opposto del salottino, Rhett e Oleg stavano giocando con Audrey, facendole a turno delle boccacce: in risposta la bambina rideva e cercava di colpire i loro visi, riuscendoci quasi sempre. Seduto a terra, Jarne giocava a scacchi con la sua amica Grace e ogni tanto alzava gli occhi per osservarla, incantato; la partita era seguita con attenzione da Saul, che non conosceva il gioco ma esultava ad ogni pezzo mangiato. Roman e Magda erano spariti da diversi minuti, probabilmente in giardino per godersi l’aria frizzante del pomeriggio.
Lucy si strinse a Klaus e assaporò il suo odore di tabacco. Era bello vederlo rilassato per la prima volta da settimane: quel giorno non era arrivato nessun gufo, nessuna convocazione urgente, nessun allarme. Forse anche il male aveva deciso di dar loro una tregua, a Natale; era un pensiero sciocco, ma a Lucy piacque così tanto che lo disse a suo marito, il quale rise.
– Non è una tregua, solo un respiro – mormorò. – Domani, anzi, stanotte sarà di nuovo tutto come prima.
– Però, adesso siamo qui. Insieme e in pace.
– Anche questo è vero.
Klaus strinse di più Lucy a sé e affondò il naso tra il suo collo e la sua spalla. – Facciamo un altro bambino, Lu?
Lei ridacchiò e si divincolò. – Ma non ti basta Audrey?
– Certo, però… insomma, tra poco crescerà e ci lascerà, quindi ci servirà qualcuno con cui rimpiazzarla.
– Ha solo sei mesi!
– Appunto, direi che è abbastanza grande per avere un fratellino, no?
Gli occhi di Klaus brillavano. Sembrava davvero convinto di ciò che diceva, o forse aveva ecceduto con i cicchetti digestivi. In ogni caso, Lucy arrossì.
– Magari ne riparliamo tra qualche anno, che ne dici? – propose. Klaus parve contento e annuì, sorridente.
– Facciamo presto, però, – aggiunse subito. – Voglio averne tanti, e prima iniziamo meglio è.
– Tanti? – Lucy rise forte. – Tanti quanti?
– Dunque… che ne dici di uno per ogni lettera dell’alfabeto? Abbiamo già Audrey, possiamo continuare con Beatrice, Corinne, Daisy…
– … Emma?
– … pensavo a Evangeline, tanto per far contenta la mamma, ma mi sa che Emma è meglio. E poi?
– Ma devono essere tutte femmine?
– Anche maschi, se vuoi. Dai, che nomi daresti ai tuoi figli, signora Bennet?
Passarono il resto del pomeriggio accoccolati sulla poltrona, intenti ad elencare nomi sempre più astrusi. Ben presto anche Magda, di ritorno dalla passeggiata, si aggiunse a quel piccolo gioco, poi Rhett con Audrey ancora in braccio, poi pian piano tutti gli altri. Tutti a parlare di quei bambini che un giorno sarebbero arrivati a rendere ancora più bello, più pieno, più ricco il loro futuro.
Non ci fu posto, quel Natale, per preoccupazioni o pensieri di guerra. Erano tutti vivi, felici, insieme. Cosa sarebbe potuto accadere di male? Nulla, finché ci fossero stati loro.
 
 
 
 

24 dicembre 2004

 
 
– E lo fa… ogni anno?
– Ogni anno.
­– Io non… accidenti, non ne sapevo nulla. Io…
– La conosci. Se mia figlia vuole mantenere un segreto, lo mantiene.
Percy si passò una mano sul viso. Si sentiva tremendamente triste e non ne capiva il motivo; forse era colpa dell’espressione di Lucy, così dolce e infelice al tempo stesso, o forse era il tono della sua voce – calmo, troppo calmo.
– Quando Audrey aveva tre anni, – riprese questa, – Klaus… lui… non tornò da una ronda notturna. – Lucy deglutì con forza. – Fu il periodo più brutto della mia vita; sapevo che una cosa del genere sarebbe potuta accadere, prima o poi, ma… un conto è saperlo, un altro è esserci. Viverlo. Pensi sempre che… e invece non si è mai pronti abbastanza per una cosa simile.
Tacque, e così anche Percy. Questi non aveva parlato granché, dal momento in cui era giunto a casa di sua suocera per salutarla e riprendersi la piccola Molly: la sorpresa di trovarvi lì anche sua moglie, impegnata in faccende piuttosto imprevedibili, era bastata a renderlo molto meno loquace del solito.
L’uomo sbirciò di nuovo in quella che anni prima era stata la camera da letto di Audrey: costei, che non si era accorta di nulla, sedeva a terra davanti al piccolo Pensatoio modificato anni prima da Bilius Weasley. Lo zio di Percy, trafficando chissà come, era riuscito a far sì che l’oggetto proiettasse a mezz’aria le immagini dei ricordi contenuti, come un film Babbano, in modo tale che non fosse necessario immergervisi per vederli; quando Percy si era per puro caso affacciato alla stanza, qualche minuto prima, Audrey stava ridacchiando di fronte all’avventura dei suoi cugini nel Bagno dei Prefetti, riprodotta nei minimi dettagli dal Pensatoio – sonoro compreso.
– Se non fosse stato per Magda e Roman, – continuò Lucy, la voce sempre più bassa, – non ce l’avrei mai fatta. Puoi capirmi, ero una vedova di trent’anni con una figlia a carico… e l’idea di trovarmi un altro compagno diverso da Klaus mi dava i brividi, come me li dà adesso.
Tirò su col naso. Dalla stanza proveniva la voce tranquilla di Silente e quella, ben più agitata, di Jarne. – La famiglia di mio marito mi ha aiutata tantissimo. Mi hanno sostenuta, mi hanno dato una mano con Audrey… e un giorno, Roman si è ricordato di quel Pensatoio che Klaus gli aveva affidato anni prima, e ha avuto un’idea.
– Raccogliere i vostri ricordi di quel Natale – completò Percy. Non era sicuro che la sua intuizione fosse giusta, ma ne ebbe la conferma da Lucy.
– Il primo Natale di Audrey – disse infatti questa, non riuscendo a trattenere un lieve sorriso. – Il primo, e uno degli ultimi, che ha potuto passare con suo padre. All’inizio abbiamo messo nel Pensatoio solo le memorie mie e di Roman, poi però Jarne ha pensato di aggiungerci la… versione sua e dei suoi fratelli, giusto per arricchire un po’ il tutto.
Rise tra sé, ripensando a quanto si era arrabbiata Magda nello scoprire i piani dei suoi figli per quell’anno. – Alla fine, – riprese, – Roman mise tutto nel Pensatoio e lo regalò a Audrey, l’anno in cui lei iniziò Hogwarts.
– E da allora, ogni vigilia di Natale…
– … Audrey viene qui e guarda i nostri ricordi. In un certo senso, è la sua tradizione per festeggiare: rivivere quei giorni e rivedere suo padre.
– Pare che il loro gatto abbia il raffreddore – diceva la voce chiara e sonora di Klaus Bennet. Percy sbuffò di malcelato divertimento e guardò Lucy con aria complice.
– E io che pensavo – disse – che Aud passasse il 24 a comprare i regali mancanti…
– Oh, ma è ovvio che fa anche quello! Se non si riduce all’ultimo giorno utile non è contenta!
Risero piano tra loro, il cuore finalmente più leggero. Subito però Percy tornò a guardare nella stanza: Audrey, assorta, osservava l’immagine dei suoi genitori abbracciati sulla poltrona e intenti a scegliere i nomi dei fratelli che doveva avere – che non avrebbe mai avuto.
Una fitta di tristezza lo assalì allo stomaco. Il pensiero che Audrey, la sua Audrey, soffrisse ancora così tanto lo faceva star male, oltre a gettargli addosso un invincibile senso di impotenza.
Cosa poteva fare per lei? Niente. Quel tipo di dolore e rimpianto non poteva essere attenuato in alcun modo: com’era possibile infatti compensare anni di assenza di qualcun altro – di un padre, di un fratello? Percy era soltanto un marito, e per quanto amasse sua moglie non era in grado di restituirle ciò che le era mancato nell’infanzia.
– Senti, Perce, – la voce di Lucy era diventata un soffio. – Non prendertela perché… perché Audrey non ti ha detto nulla. Suo padre le è sempre mancato, e questo è solo… lo fa per rivederlo, almeno a Natale, capisci?
Percy annuì, anche se una parte di lui si sentiva comunque disturbata. Non era da Audrey escluderlo in quella maniera: gli aveva parlato di suo padre, della sua infanzia… perché non raccontargli anche quello? Perché non fidarsi di lui?
D’altra parte, si disse, forse era proprio quel “segreto” a farla sentire meglio. Per Audrey guardare i ricordi nel Pensatoio doveva essere qualcosa di intimo, privato; se l’avesse sbandierato ai quattro venti, avrebbe perso metà del valore – o magari aveva paura che Percy la considerasse una sciocca? Possibile che pensasse davvero una cosa simile?
In ogni caso, non era importante. Rivivere quei ricordi aiutava Audrey a sopportare il vuoto perenne che doveva sentire nel cuore: se poi desiderava farlo da sola, d’accordo.
Percy non poteva ridarle Klaus, né i fratelli che non aveva avuto, né tutti gli avvenimenti che una figlia ha il diritto di vivere con il proprio padre; l’unica cosa che poteva fare era rispettare la sua decisione di tenerlo fuori da quella “tradizione”, concederle lo spicchio di solitudine necessario per godere di quella consolazione così difficile, così fragile, così fondamentale. Lasciarsi escludere, almeno per una volta, senza domandarsi il perché.
E l’avrebbe fatto, con tutto l’amore che aveva.
 
Audrey uscì dalla stanza pochi minuti dopo, gli occhi lucidi come ogni anno. In salotto trovò Percy, il mantello sporco di Metropolvere e l’aria di chi è appena uscito dal camino; gli sorrise e l’abbracciò forte, più forte del solito. Lui la strinse in risposta, poi le spiegò di essere arrivato per prendere Molly; Audrey rise e lo rimproverò di essere un distratto, perché quella mattina avevano concordato che sarebbe andata lei a riprenderla.
– Altrimenti perché sarei qui? – concluse, facendo l’occhiolino a sua madre.
Non appena se ne furono andati, Lucy si ritrovò sola nel silenzio senza fine di casa sua. Come ogni anno andò a prendere il Pensatoio per riporlo, ma quando se lo trovò davanti non resistette alla tentazione: lo toccò con la bacchetta e subito apparve, sospesa a mezz’aria, l’immagine di Klaus addormentato sul divano con Audrey tra le braccia.
Non era mai esistito nulla di più bello al mondo.
– Buon Natale, Klaus – mormorò Lucy, prima di esplodere in un pianto silenzioso.
 
 
 
– Hai mai pensato di fumare la pipa, Perce?
– Io? Assolutamente no.
– Peccato. Secondo me, ti darebbe un tono.
Percy lanciò un’occhiata di sbieco alla moglie, ma non commentò. Si limitò a voltarsi in direzione di Molly: la piccola, sei anni compiuti da qualche mese, giocava con la neve accumulata nel parco vicino casa, voltandosi ogni tanto a sorridere ai suoi genitori seduti su una panchina poco distante. Cresceva di giorno in giorno, e già solo starla a guardare era una gioia.
– Devo dirti una cosa.
L’uomo distolse lo sguardo da Molly e si fece attento. Si aspettava che Audrey gli parlasse del Pensatoio, invece l’argomento era del tutto diverso.
– Ricordi quando ti ho chiesto di avere un altro bambino? – chiese infatti lei, fissando un punto lontano. Percy sorrise. Come poteva dimenticarlo? Non aveva aspettato altro per mesi. Si sentiva pronto per una cosa simile, e sapeva che anche Audrey lo era; la sua esperienza in merito, però, gli diceva che una simile decisione doveva provenire da lei, altrimenti non se ne sarebbe mai fatto nulla.
– Sì, me lo ricordo.
La osservò mordersi un labbro, come se tentennasse. Dopo un po’, Audrey domandò: – Ricordi anche quando è stato?
La domanda lo sorprese, ma non ebbe il tempo di pensare alla risposta.
– Esattamente due mesi e ventidue giorni fa, il due di ottobre. – Detto ciò, Audrey tacque un istante, poi fece una risatina. – Che forte. Tanti due tutti assieme, non è bello? Due, ventidue, due. Sembra fatto apposta.
Chinò il capo e seguitò a sorridere tra sé, come persa in un pensiero tutto suo. Percy attese la continuazione di quel discorso, ma quando questa non arrivò incominciò a sbuffare. Merlino, quanto detestava quando sua moglie faceva così!
– E... quindi? – la incalzò, curioso di sentire il resto.
– Quindi… niente. Questo.
– Questo cosa, Bennet?
Finalmente Audrey si voltò a guardarlo. I suoi occhi brillavano come quelli di Klaus, quel 25 dicembre di ventisette anni prima: lo stesso orgoglio, la stessa gioia. Lo stesso sguardo aperto sul futuro, senza nessuna paura di andargli incontro.
– Sono incinta, Perce. Di due mesi e ventidue giorni.
 
 
 
 
Fu il loro Natale più bello.

 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
 
 
Note finali:
 
anzitutto, BUON ANNO NUOVO! Spero che abbiate passato un Natale (o Yule, o come lo chiamate voi) tranquillo e sereno.
Come avete visto, questa era una storia prettamente natalizia; mi dispiace non essere riuscita a fare in tempo. Spero comunque che il leggerla fuori stagione non vi abbia disturbati troppo.
Buonismo, cliché, vomitevoli riflessioni sull’importanza della famiglia e così via. Mi spiace, avevo bisogno di sfogare tutto ciò in una storia. Tuttavia, voglio chiarire un punto: come mio solito, NON intendevo inserire una morale della favola. NO, chiaro? Il discorso che Silente fa a Jarne, Oleg e Saul è valido PER LORO, per il loro caso specifico: non significa che la sottoscritta pretenda che, da domani, tutti siate più buoni e più cari coi vostri parenti perché, oh, come si fa senza parenti!
NO, gente. Anzi. Tutto quello che scrivo riguarda solo l’ambito della mia storia, e non vuole essere un modo per propagandare buoni sentimenti e cose simili.
(Anche perché, come sanno i lettori di UBL, l’antipatia tra nonni e nipoti non si è mai sanata. Ciò vorrà pur dire qualcosa.)
Ciò detto, vediamo di inserire altre notine, così, sperando che qualcuno le legga:
- Dartford, il paese dove abitano Lucy e Klaus, si trova in Inghilterra a 16 miglia da Londra (secondo Wikipedia). Deganwy invece, dove vivono Roman e Magda, è in Galles. Le città sono state scelte in maniera casuale, non essendoci io mai stata.
- L’Alomanzia è la tecnica di divinazione del sale. Non chiedetemi come funziona, perché non lo so. La fonte che mi ha permesso di scoprirla è questa storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1472724&i=1
Leggetela, perché è veramente stupenda!
- A proposito di Alomanzia: alzi la mano chi ha collegato la passione di Grace per la Divinazione con il fatto che, come si dice in UBL, la moglie di Jarne era in grado di indovinare con mesi di anticipo il sesso dei nascituri.
… solo voi? Oh beh, complimenti!
- Ma… il Bagno dei prefetti ha le toilette? Boh! Il libro parla solo della vasca, quindi per “bagno” si dovrebbe intendere il posto in cui ci si lava… ma oh, a me servivano le toilette, quindi ce le ho messe.
Spero che questa piccola licenza da parte mia non vi abbia disturbati.
- Perché James/Lily? Perché sì! Quando mi sono resa conto che la cronologia della storia mi portava al 1977 (anno in cui James e Lily frequentano il loro settimo anno e sono Capiscuola insieme) ho capito che non potevo esimermi: ecco allora che ho deciso di propinarvi, in sintesi, la MIA versione di com’è andata la storia tra i due.
Perché diciamocelo: l’idea che James non facesse altro che tampinare Lily chiedendole di uscire o rompendole le scatole ha un po’ stufato. Ed è irrealistica.
La scena ovviamente non è approfondita, perché loro non sono i protagonisti della ff. Ed è descritta solo attraverso i dialoghi perché il punto di vista è di Jarne, il quale è rinchiuso in una toilette e non può sbirciare in alcun modo.
- Parlando di James, il fatto che lui e i Malandrini conoscessero la Stanza Va-e-Vieni (volgarmente detta “delle Necessità”) per me è assolutamente scontato. MA VI PARE che quei tizi lì potevano non conoscerla? Suvvia.
Se non siete convinti, vi consiglio di leggere quest’altra fanfiction, a mio parere molto bella e molto originale: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1024842
- Bilius, Bilius ovunque. Amo Bilius, che ci volete fare?
Sempre in UBL avevo scritto (non chiedetemi perché, all’epoca ero una biNbaminkia che non sapeva ciò che faceva) che il padre di Audrey conosceva Arthur Weasley. In sede di revisione, ciò mi era parso una scemenza colossale, per cui ho sostituito Arthur con Bilius. Ed ecco quindi una fugace visione dell’amicizia tra Klaus Bennet, Auror, e Bilius Weasley, impiegato all’Ufficio Misteri con la passione per il “miglioramento” degli aggeggi che gli passano sotto mano (chi vi ricorda?).
- Mi sembra chiaro che, nel discorso di Silente, ci sia un piccolissimo riferimento a quella che è la SUA situazione familiare. Questo, naturalmente, i piccoli Bennet non possono saperlo, ma noi lettori sì.
- La scena di Saul che corre terrorizzato tenendo Audrey in braccio l’ho presa da una splendida recensione di Nymphy Lupin all’ultimo capitolo di UBL, in cui diceva:
“Non so perché poi ho anche immaginato Harry che corre in giro con Nini in braccio che piange, urlando "Che devo fareeee???" mentre tutti sono occupati a organizzare il matrimonio e nessuno lo caga XDDD ”
Ecco, cara, spero di averti in parte accontentata. I personaggi sono diversi e la situazione è un’altra, ma mi auguro ti piaccia lo stesso. XD
- Per ragioni di economia del racconto, e anche per evitarvi noie inutili, non mi sono soffermata sulla cronologia che ho seguito per la narrazione. Se doveste avere dubbi in proposito chiedetemi pure, provvederò a chiarirvi tutto. ^^
 
Bene, e anche le note sono concluse. Non mi resta altro da fare che ringraziarvi di nuovo, augurarvi ancora un buon anno e invitarvi, come al solito, a segnalarmi errori e sviste di qualunque genere: stavolta ho lavorato senza beta (Agnuska, please, don’t kill me!) quindi potrei aver combinato LA QUALUNQUE.
Grazie!
 
Sempre vostra
Fera
 
 
 

   
 
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