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Autore: Terry Arpax Storm    11/01/2013    2 recensioni
Nella Londra vittoriana, una serie di omicidi turba il governo.
Niente è fatto a caso, ogni omicidio è solo un nome sulla lista, un pretendente da scartare, ma c'è qualcosa, quel tassello del domino messo dalla parte sbagliata, quel violino scordato dentro un'orchestra di morte, beh, quel qualcosa... distrugge il piano.
[Long semi-incentrata sull'aria "Nessun dorma"]
Genere: Malinconico, Mistero, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: l'idea di questa long è venuta abbastanza spontaneamente. E poi in così breve tempo, allo stesos modo, mi è venuta l'idea della canzone con cui avrei accompagnato la narrazione. Quindi... è tutto scritto molto velocemente, quasi uno schizzo, quindi eventualmente... vogliate perdonarmi ^.^ in ogni caso buona lettura, graditi pareri e critiche.

Prefazione (parte I)
Behind the scenes

 




C’erano circa trecentoquaranta ragazze o donne che si chiamavano Amy Johnson a Londra.
Trecentoquaranta ragazze. Quasi settecento genitori  orgogliosi della propria Mimmie.
Duecento fratellini o sorelline sbraitanti che giocavano con la loro sorellina Mi.
Trecentoquaranta paia di orecchini alle orecchie di Amy Johnson. Trecentoquaranta profumi sul collo di Amy Johnson.
Ma se si cercava nei vicoli dei bassifondi  londinesi, di Amy Johnson ce n’era solo una.
 
“Udite, udite! Un’altra ragazza scomparsa! Famiglia Himming affranta per la scomparsa della piccola Daisy!”
Le teste pelate, con capelli unti, o con chignon veloci e arruffati, si sporsero dalle abitazioni per sentire le notizie. Il vicolo risuonò di una voce squillante.
“Daisy Himming scomparsa! Si crede sia ancora opera del Minstrell! Diciottenne scomparsa!”
La voce si abbassò quando il primo giornale fu consegnato “Salve, signorina Lock”
La donna si strinse sulle spalle lo scialle sgualcito. Era di mezz’età e ancora bella, seppure ancora nubile. “E’ un piacere vederti, Amy. Cinquanta penny come al solito?”
“Cinquanta penny” annuì la ragazza.
Le passò il giornale, stampato su carta scadente e scritto con parole così elementari da far ridere la Regina per un giorno intero. Niente a che vedere con giornali più importanti, come il Times. Oh, magari lavorassi per il Times, si diceva spesso Amy, mentre cinquanta penny, ad uno ad uno, cadevano nel palmo coperto da un guanto rattoppato.
Il giornale che Amy distribuiva la mattina era il più scadente fra gli scadenti, il cui nome, se detto ad un nobile, sarebbe stato confuso con una marca scadente di the o con un’industria scadentissima di penne. Serviva soltanto a far sapere anche ai bassifondi cosa stesse succedendo  a Londra, in effetti. Nella Londra dove c’era sempre da mangiare e dove di vestiti, nell’armadio, ce n’erano più di due.
Passò la casa della signorina Lock, che tornò alle sue virginali preoccupazioni, per poi arrivare alle porte del signor Greed. Oh, quel pomposo signor Greed, che borbottava per il prezzo alto di quei quattro fogli messi insieme, e spesso e volentieri la beffava e le dava solamente venticinque penny, avrebbe voluto volentieri strozzarlo, quel signor Greed, quello stramaledettissimo signor…
“Buongiorno, signor Greed”
“Arrivi per il giornale?” borbottò Greed, aggrottando le folte sopracciglia nere sul viso gonfio e sudaticcio “Le tue urla si sentono fino alla residenza reale, lo sai?”
“Mi perdoni” borbottò dandogli il giornale con tutto il garbo di cui era capace, e Greed le sbatté gli spiccioli in mano.
“Sono cinquanta?” chiese Amy alzando un sopracciglio e stringendo le labbra.
“Sono ben cinquanta, mocciosa! E ora sparisci!”
La ragazza passò avanti borbottanto un “Buona giornata, signor Greed”, anzi, le sembrò di sputarle, quelle parole.
“Oh, cara, non ti affannare. Vedrai, quando mi richiameranno nell’esercito reale, potrò sistemare quel pallone gonfiato!”
Amy alzò gli occhi alla cara figura del signor Finning, sorridendo radiosa “Buongiorno, signore!”
“Signore, signore, oh, te l’ho detto come devi chiamarmi. C’è un solo Signore, e sono troppo piccolo per essere come lui”
“Buongiorno, Gil” disse Amy correggendosi e mettendosi ben dritta sulla schiena “Il suo giornale, Gil”
Il vecchio sorrise facendo notare tutte quelle piccole ma care rughe sul viso “Se solo fossimo stati compagni, avrei scelto te come mia recluta. Sei così in gamba” disse frugando nel borsellino di pelle sgualcita.
Gillian Finning era un povero vecchio a cui mancava qualche venerdì, terribilmente convinto di essere stato scelto come guardia personale della Regina in gioventù. Ad Amy faceva così pena; Gil era l’unico abbastanza gentile con lei.
“Ehi, cavallino, sei magra da far paura. Stavo preparando un the con quei due o tre biscottini dolci che mi rimangono. Perché non entri e ti godi una colazione con un prode ex ufficiale della Regina?”
Amy pregò affinchè lo stomaco non le brontolasse. Biscottini dolci, quando era stata l’ultima volta che ne aveva mangiati?
“Molto gentile, Gil, ma ora non posso. E poi ho mangiato a sufficienza alla redazione di questa sottospecie di giornale” mentì. Non voleva stare di peso a nessuno.
“Sarà meglio, non voglio vederti deperita” borbottò Gil mettendosi dritto “Buona giornata, madamigella. Questa è una sterlina tutta per te”
“Ma il giornale è cin…”
“Soldato!” la zittì Gil con un tono austero, senza guardarla e mettendosi bene sull’attenti. “Prendete la paga e non proferite parola!”
Intascò la sterlina argentea così emozionata da far tremare le sue mani infreddolite, passando avanti.
Facce, volti, Amy passò tanti di quei volti e di nomi, e alla fine il suo sacchetto pesava abbastanza come al solito, e rimaneva un solo giornale. Esultò tra sé, solo quando era fortunata poteva leggere il giornale che le rimaneva, e i bisbetici della redazione glielo rendevano gratis.
Aprì il giornale; in prima pagina aveva già sbirciato uno schizzo (copiato da altri giornali) di quello che era il mostro che stava disturbando la grigia tranquillità diella Londra sotto la Regina Vittoria. O almeno era così che se lo immaginavano, il classico killer; girato di spalle, con cappello e lungo impermeabile scuro e sgualcito.
Daisy Himming, figlia di un avvocato, era scomparsa. Nel nulla, come una nuvola dissolta tra altre mille nuvole. La famiglia avrebbe dato mille sterline pur di avere quel fiore in boccio di diciotto anni, anzi, sarebbe  stata disposta anche ad aumentare il prezzo.
Che Dio ci fulmini, pensò Amy Johnson. Mille sterline. Mille pezzi argentati. Lei non ne aveva visti più di due o tre messi insieme.
Dannazione, quanto valeva la vita, a Londra, quella vera. Una figlia avrebbe fruttato mille sterline.
Mentre tornava nel misero solaio che aveva affittato, si immaginò una vita da figlia di avvocato. Sarebbe stata rapita, magari avrebbe passato non più di tre ore di terrore, legata e imbavagliata, ma poi i genitori sarebbero arrivati, l’avrebbero liberata e le avrebbero offerto del the con panna e biscotti glassati mentre per farle dimenticare tutto le facevano fare un bagno con i migliori saponi orientali.
Sapone. Forse l’unica cosa, oltre al pavimento di quel solaio maleodorante e scricchiolante, che la signora Emptress non le faceva pagare.
“Buongiorno, signora Emptress” sussurrò Amy come ogni giorno, salutando quel viso grassoccio che si sporgeva dalla finestra.
“Mancano diciassette giorni alla paga dell’affitto, Mimmie. Vedi di guadagnare” disse con voce bassa e bisbetica la signora Emptress, intenta a guardare le nuvole scure di Londra.
La signora Emptress era stata la vicina di casa della prostituta che aveva partorito Amy. Non aveva avuto problemi a prendersi cura della figlia, ma dato che per la madre aveva nutrito astio quando era viva, adesso che quella riposava in chissà quale fossa di chissà qale prateria londinese, l’odio si era riversato tutto sulla figlia. Che comunque non riusciva ad odiare del tutto.
Amy era una persona difficile da odiare.
Ogni volta che si specchiava nello specchio mezzo rotto del suo solaio, vedeva solo l’immagine di sé stessa, ma qualunque poeta avrebbe detto di poter vedere un povero cherubino troppo in basso per essere stato preso nelle schiere angeliche di Dio. Gli occhi color foglie di quercia erano così grandi che chiunque avrebbe detto che il viso ne era pieno: sulle guance una nuvoletta di efelidi decoravano il viso. Le labbra non avevano niente di speciale, erano strette, piccole e rosa, rosa intenso. Ma ciò che sembrava emanare pura luce erano i ricci biondi che le ricadevano sulle spalle magrissime, arrotolati qualche volta sulla nuca d’estate.
Il vestito che indossava sempre, cucito dalla signora Emptress con ben poco entusiasmo, era verde con le rifiniture gialle, e si intonava ai suoi occhi graziosi e allegri. Ripetendo: chi l’avesse vista scorrazzare tra i cunicoli, avrebbe visto un angelo. E più di quindici o sedici anni non le avrebbero dato: eppure oramai da qualche mese ne aveva fatti ben diciotto. Diciotto, il numero del biglietto per entrare in società e per mettere il tacco alto, per truccarsi con più eleganza e apparire a teatro nei palchi più alti.
Era ancora intenta a leggere il giornale seduta sulla sgangherata sedia di legno (uno dei pochi mobili di quel solaio) quando sussultò. Un topo le era passato tra le caviglie. Dannazione, la terza volta in un mese. Ci mancavano solo i topi, a renderle la vita facile.
L’animaletto si diresse sotto il letto, mentre lei lesta prendeva  una verga minacciosa e la alzava correndo contro la bestiola. I topi in casa, perfetto. Le avrebbero mordicchiato quei pochi mobili già distrutti.
Il topo si nascose abilmente sotto il letto, infilandosi nel buco dell’angolo della stanza.
Amy crollò a piangere sulla sedia.
 
Era troppo di cattivo umore, il giorno dopo. Salutò freddamente la signorina Lock, sbattè sul palmo del signor Greed il giornale – che se lo prendesse pure gratis, quel taccagno, tanto era persino più povero di lei – e i suoi occhi verdi sembravano più grigi del cielo che li sovrastava e delle macchie scure sui loro vestiti.
Oh, ma avrebbe accettato il the del signor Finning. Al diavolo le buone maniere. Aveva fame. Era rabbiosa.
“Signor Finning” disse con tono secco, fermandosi di fronte alla porta di legno marcio della misera abitazione del buon vecchio.
“Gil, apri. Il giornale” disse, con le narici dilatate e frementi, arrabbiata. Si decise persino a bussare con forza con le nocche congelate.
Apri, per la carcassa della regina!”gridò infine, pestando i piedi e facendo per andarsene, così arrabbiata da avere le lacrime agli occhi, mentre i vicini la guardavano con sguardo allibito e sbigottito.
“Oh, potrebbe pure essere data in pasto ai corvi, la nostra Vittoria” la sorprese una voce.
No, non era il signor Finning.
“Io non sono mosso da minacce sull’autorità reale. Ma mi è sembrato molto scortese, da parte vostra, chiedermi di aprire in quel modo. Sbaglio, miss?”
Si voltò.
La voce le parlava attraverso la penombra della porta. C’era soltanto una mano, alla completa luce, tesa. Una sterlina luccicava su quel palmo. Una bella sterlina brillante.
“Voi non siete il signor Finning” disse Amy con tono tagliente, quasi spaventata. Tremò indietreggiando e stringendosi nello scialle. “Dov’è il signor Finning? Dov’è Gil? Io non vi conosco”
“Sono una persona che si prende cura di lui” disse quella voce. Così svelta, lucida, schietta, per nulla profonda, ma virile.
Menzogne, si disse Amy, tremando. Mio Dio, è un assassino. Magari è il Minstrell. Ha ucciso Gil. Vuole me. Adesso mi prenderà e…
“Avanti, miss, datemi il giornale.”
Mille scene si sovraffollarono nella sua mente. Mille scene di puro terrore.
“Devo acculturarmi anche io sugli affari di Londra. Non siate crudele, Miss.”
La figura fece per avanzare.
Sentì un tintinnio di campanelli.
Come i cappelli che portano i giullari.
Amy lasciò cadere i giornali e corse via urlando. 

  
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