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Autore: Carmilla Lilith    11/01/2013    2 recensioni
I protagonisti delle storie di questa raccolta sono accomunati da un elemento: il fallimento. Come nel ciclo di romanzi progettato (e mai terminato) da Verga, non c'è alcuna rivalsa per questi personaggi, vinti dalle loro debolezze o da cambiamenti che non riescono ad accettare.
Ogni capitolo può essere letto a sé.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Angela sedeva in una delle panchine del parco cittadino, incurante del freddo pungente, e osservava in silenzio l’hotel Dacia. Le splendide tegole smaltate di blu dell’edificio quasi si confondevano con il cielo terso di quel gelido giorno di Dicembre e la facciata rosa pallido, in pieno stile liberty, ricordava a tutti i passanti l’epoca d’oro di Satu Mare. Purtroppo bastava gettare una rapida occhiata al pianterreno per capire che i bei tempi per il Dacia erano ormai finiti: attraverso le vetrate sporche  e polverose, infatti, si poteva intravedere quella che una volta era la reception e che ora era soltanto un locale spoglio dalle mura scrostate. 
Ogni anno l’amministrazione comunale annunciava che i lavori di restauro sarebbero cominciati al più presto, promessa che veniva puntualmente delusa.
 
Il simbolo della città stava marcendo, pensò Angela, e non importava a nessuno. Un po’ come stava accadendo a lei, d’altro canto: sembrava impossibile che quella donnina ossuta, dai capelli radi e quasi totalmente priva di denti, avesse poco più di cinquant’anni. Persino i suoi occhi verdi, che in passato avevano attirato così tanti spasimanti, ora apparivano spenti ed acquosi, inevitabilmente corrotti dall’alcol.
L’assurdo era che poteva persino ritenersi fortunata se pensava che Stefan, suo marito, non era sopravvissuto alla guerra contro l’alcolismo: se n’era andato, spegnendosi in quella stanza in cui si era rinchiuso insieme alle sue bottiglie e ai suoi ricordi.
Eppure non era sempre stato così, c’era stato un tempo in cui erano entrambi giovani e sani, lavoravano e avevano mille progetti per il futuro. Angela ricordava ancora quella sera in cui, tornando in treno da Cluj, si erano assopiti abbracciati. Certo, l’abbraccio di Stefan era un po’ possessivo, con quelle braccia che aveva poggiato intorno al suo collo e che quasi sembravano volerla strangolare, ma era anche caldo e protettivo.
Pochi mesi dopo quella gita si erano sposati, coronando il loro sogno d’amore. Un sogno che, come molti altri, era crollato insieme al maledetto Muro. L’avvento del libero mercato aveva distrutto l’unico mondo che conoscevano, facendo perdere a Stefan il suo lavoro d’architetto e condannando la loro vita e quella dei due figli che nel frattempo avevano messo al mondo alla più totale incertezza.
 
Angela ancora si domandava cosa diavolo ci fosse di bello nel sistema che gli occidentali avevano imposto anche in Romania e, come lei, molte persone nate e cresciute in epoca comunista rimpiangevano i tempi della dittatura: rinunciare alla libertà pareva loro un prezzo minimo da pagare, pur di aver garantiti un lavoro, una casa e un’auto.
Stefan non si era mai ripreso da quel cambio di vita così improvviso e devastante, così aveva cominciato a bere. Inizialmente Angela non aveva notato il malessere del marito, impegnata com’era a non perdere il suo lavoro di doganiera e ad occuparsi di Stefan e Adrian, i suoi bambini. Si accorse di quanto grave fosse la situazione soltanto  quando, una sera, tornò dal lavoro e trovò suo marito addormentato davanti alla porta di casa, troppo ubriaco per riuscire ad aprirla.
Da quel momento la vita della loro famiglia divenne impossibile: ogni giorno i due coniugi litigavano furiosamente, accusandosi a vicenda del fallimento delle loro vite. Dopo qualche anno la situazione parve calmarsi e le liti cessarono, ma la verità era che anche Angela, ormai logorata dalle continue discussioni e dalla fatica di portare avanti la famiglia, aveva trovato rifugio nelle bottiglie.
 
Angela scosse la testa, cercando di allontanare i ricordi. Forse avrebbe fatto meglio a non allontanarsi mentre Stefan faceva la spesa, chissà che ramanzina le avrebbe fatto il figlio non appena fosse riuscito a ritrovarla! 
Puah, come se fosse lui il genitore! Sapeva che la considerava alla stregua di una ritardata mentale e che non la mandava in casa di cura soltanto perché temeva che facesse qualche sciocchezza e, probabilmente, l’unico motivo che lo tratteneva dal trasferirsi a Sibiu, dove viveva la sua fidanzata Iana, era proprio la paura che la madre tentasse il suicidio: Stefan si sentiva già tremendamente in colpa per la perdita del padre, non avrebbe mai rischiato di perdere anche lei.
Angela faceva il possibile per alimentare questa paura e tenere stretto a sè il primogenito. Adrian, il figlio più giovane, viveva già a Cluj dove, dopo essersi laureato in Economia, aveva trovato lavoro e perdere anche Stefan l’avrebbe costretta alla più totale solitudine.
Pur di non far allontanare il figlio per il suo compleanno aveva accettato quell’intrusa di Iana in casa sua, permettendole persino di cucinare. Quando lei e Stefan erano usciti di casa, la ragazza stava preparando la mamaliga per accompagnare il ghiveci de miel, il piatto preferito del suo fidanzato e che voleva preparare per festeggiare degnamente.
 Angela sapeva già che avrebbe criticato in ogni maniera possibile quel piatto: sicuramente le verdure sarebbero state affettate male, magari la carne sarebbe risultata stopposa o la mamaliga di accompagnamento troppo densa... anche se quei difetti non ci fossero stati, ne avrebbe sicuramente trovati degli altri, doveva farlo. Non poteva permettere che quella donna giovane, gentile e brava in cucina rendesse completamente felice suo figlio, perché poi lui se ne sarebbe andato.
 
Gli occhi della donna si fecero lucidi a causa delle lacrime: chi voleva prendere in giro?
Stefan se ne sarebbe andato comunque, prima o poi, e lei era destinata a marcire nell’indifferenza generale, proprio come il Dacia.  Si sarebbe spenta nella grigia periferia della città, al settimo piano di un edificio uguale a mille altri, tipico del periodo sovietico. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
Si alzò, convinta che l’unico modo per porre fine ai suoi tristi pensieri fosse farsi un goccetto, quando sentì la voce di Stefan che la chiamava. Il giovane la raggiunse in pochi istanti e le afferrò con forza un braccio, facendola gemere di dolore.
 
“Si può sapere dove diavolo eri finita? Mi sono spaventato!” la rimproverò il figlio, prendendola per mano e avviandosi verso la fermata dei taxi, dall’altra parte del parco.
“Volevo solo fare due passi, non sei capace di fare la spesa e divento nervosa quando mi rendo conto di avere un figlio tanto incapace.” rispose, con acidità, la donna.
La mano di Stefan tremò per la rabbia, ma il giovane non disse nulla. Aveva visto abbastanza liti in vita sua da voler evitare di avere discussioni violente per il resto dei suoi giorni.
 I due salirono sul taxi senza rivolgersi la parola. Angela, per evitare lo sguardo severo del figlio, si voltò verso il finestrino, perdendosi nella contemplazione della maestosa fontana centrale del parco: la luce del sole illuminava gli alti getti d’acqua e li rendeva simili a luminosi raggi solari.
Per un istante Angela fantasticò di poter divenire invisibile come un fantasma, per poi volare fino al cielo ed immergersi nella luce del sole diventando un tutt’uno con quel meraviglioso spettacolo che si offriva ai suoi occhi. Sarebbe svanita, dimentica dell’impossibilità di essere nuovamente felice.
Desiderò con tutto il cuore che potesse accadere davvero, mentre una lacrima le solcava il viso.
 

L’angolo dell’autrice

 
Eccomi di ritorno! Permettetimi di cominciare subito con l’angolo alla National Geographic: Satu Mare  è un municipio della Romania, capoluogo dell'omonimo distretto, nella regione storica della Transilvania. Si trova a nord e confina con l'Ungheria. Nelle guide turistiche l'hotel Dacia viene definito l'edificio simbolo di Satu Mare, ma quasi nessuno comunica le reali condizioni in cui versa il celebre albergo, il cui interno è quasi fatiscente (io ci sono stata ed è stata un'esperienza traumatica). 
In parte della Romania è piuttosto diffusa l'usanza di dare al primogenito maschio lo stesso nome del padre, differenziandoli soltanto con il secondo nome (l'usanza del secondo nome è diffusissima). 
Sibiu è un'altra città della Transilvania, anch'essa capoluogo di un distretto ma situata piuttosto lontano da Satu Mare. Per Cluj, invece, s'intende la città di Cluj Napoca, celebre soprattutto per l'università. 
Il ghiveci de miel è un ragù d'agnello che si prepara con melanzane, zucchine, fagiolino, peperoni e pomodori, fritti e poi saltati nel burro.Le verdure vengono poste a strati in un tegame dai bordi alti, e ad esse viene aggiunta una grande quantità di paprika e la carne d'agnello precedentemente tagliata in grossi pezzi e rosolata. Infine si copre il tegame e lo si lascia sobbollire in forno a bassa temperatura. Viene di solito servito come piatto unico, accompagnato da un tipo di polenta chiamata mamaliga. Ammetto di non averlo mai mangiato e il suo inserimento nel testo è dovuto alle indicazioni datemi dal pacchetto del Worldwide contest. Oltre al ghiveci de miel ho inserito, nel finale, una rivisitazione del testo di Maiastra dei Magica, un gruppo rumeno che amo molto, e la descrizione di una foto (il ricordo di Angela riguardo al viaggio in treno).
Detto questo, ammetto che inizialmente non pensavo uscisse un testo simile dal pacchetto Romania, ero tentata di sfornare l’ennesima storia sui vampiri. La storia da me raccontata è piuttosto verosimile ma non rappresenta minimamente un Paese che amo con tutta me stessa.
Bene, credo di aver concluso, a presto!
 

Carmilla Lilith.

 
   
 
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