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Autore: nes_sie    13/01/2013    4 recensioni
Moira rimase a contemplare lo schermo illuminato del cellulare, la fronte corrugata e le labbra serrate.
Il suo conto era ancora aperto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Malcolm Marlyn, Moira Queen, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nick (forum ed eventualmente sito): Nessie90, nes_sie
Titolo: The Queen
Fandom: Arrow
Genere: Malinconico, Introspettivo
Rating: Verde
Pairing/personaggi: Moira Queen, Malcolm Merlyn, Un po' tutti
Prompt scelto: Segreti
Frase scelta: A me bastano poche persone, anzi una sola o addirittura nessuna.” (Lucio Anneo Seneca)
Avvertimenti: One Shot

Nda: i personaggi non mi appartengono, ahimè, ma sono di chi ne detiene i diritti. Ho scritto questa One Shot che mi frullava da un po' di tempo perché mi è sempre piaciuto il personaggio di Moira e mi sono sempre chiesta come facesse a convivere con quel perenne conflitto interiore. Dei motivi che l'hanno portata a seguire Malcolm, nonostante tutto, non si sa nulla, come del resto della faccenda, per cui mi sono tenuta sul vago, sperando di aver centrato la sua caratterizzazione. Se non ci sono riuscita, mea culpa. La storia riprende frammenti della vita di Moira durante i cinque anni e non con tutti i membri della sua famiglia e Malcolm.

 

 

 

 

 

I ciocchi ardevano dentro al camino e scricchiolavano, divorati dalle fiamme. La stanza era illuminata dalla luce del fuoco e si rifletteva sul cristallo del calice in mano a Moira. Il vino all'interno si increspava ad ogni piccola vibrazione del suo braccio, così come il suo stato d'animo, che ad ogni sua decisione era messo a dura prova e ne sopportava il terribile peso.

Aveva provato ad immaginare la sua vita come sarebbe stata, se avesse preso decisioni differenti, se Robert fosse rimasto al suo fianco, se Malcolm e gli altri soci non l'avessero messa davanti ad una strada a senso unico camuffata da bivio. Aveva amato Robert, ma non era stato abbastanza di fronte agli obiettivi che si erano prefissati, ai progetti su cui avevano lavorato per anni e su cui si basava il loro Impero; i ripensamenti non erano ammessi nelle regole dei giochi di potere stabilite, Moira lo sapeva bene ed anche Robert. Lui aveva pagato per essere tornato indietro con le sue decisioni, era consapevole che nessuno, una volta fatta retromarcia, sarebbe sopravvissuto: il suo destino era segnato con inevitabilità. Per molto tempo, Moira si era chiusa in se stessa, divorata dal rimorso e dal dolore e più di qualunque altra cosa dall'aver perso suo figlio Oliver e così anche Thea, pur se in modo differente. Ciò che forse non si sarebbe mai perdonata era che più di tutti avessero pagato i suoi figli, gli unici che avrebbe protetto a qualunque costo, andando anche contro i Soci; Oliver e Thea, che mai come allora sentiva più distanti, nonostante fosse cosciente che parte delle colpe fossero sue e dei suoi segreti.

Le parole di Malcolm erano ancora affilate come una lama che affondava nella carne. Moira ne percepiva l'eco, tornavano con violenza, riemergevano, facendosi spazio tra i suoi pensieri ormai tutti protesi verso Walter – e ciò che gli sarebbe accaduto – e i suoi obiettivi, quelli che non avevano avuto pietà di Robert e che forse non avrebbero risparmiato il suo secondo marito. Qualcosa dentro di lei, per un attimo, si chiese se tutto quello che aveva sacrificato fino ad allora, che forse sarebbe stato richiesto ancora e ancora, fosse il giusto prezzo da pagare. Ci pensò il telefono, a distoglierla da quelle riflessioni, con il suo squillare imperterrito. Appoggiò il calice sul tavolino di mogano accanto alla poltrona su cui sedeva, prese il cellulare e rispose.

«Dobbiamo parlare.»
«Non mi pare ci sia altro da aggiungere a quello che ci siamo detti l'ultima volta.»
«Non voglio ripetermi, Moira. Stesso posto, stessa ora.»

Non sentì nient'altro provenire dall'altro capo. Moira rimase a contemplare lo schermo illuminato del cellulare, la fronte corrugata e le labbra serrate.

Il suo conto era ancora aperto.

 

***

 

«Thea, non costringermi a chiuderti in camera tua e a gettare la chiave.»

Moira sospirò rassegnata, le dita delle mani massaggiavano l'attaccatura del naso: stava per perdere il conto delle volte in cui aveva visto sua figlia ridotta in quello stato. Spostò la sedia dalla scrivania di Thea e si sedette, stanca e provata. Thea stava a braccia conserte, nasino all'insù e sguardo spavaldo, nonostante sapesse che una punizione coi fiocchi sarebbe arrivata da lì a poco, e la marijuana ancora in circolo.

Moira guardava i suoi occhi lucidi e arrossati, ma era come se non li vedesse e non volesse accorgersi che sua figlia si faceva del male. Non ne aveva la forza. Le parole si aggrappavano l'una con le altre, si mettevano insieme e facevano forza per uscire dalla sua bocca e traboccare; parole, confessioni che sarebbero rimasti celate.
Sospirò un'altra volta, poi si alzò per incamminarsi verso la porta.

«Ricordati che domani hai scuola. Andrai con Walter.»
«Walter?» Le uscì un risolino pieno di sarcasmo. «Cos'è, lo hai già istruito a dovere? Gli hai regalato il manuale del “padre modello”? Mio padre è morto. Mio fratello è morto.»

A Thea sfuggì una lacrima, che si premurò di asciugare subito con una mano. Moira, invece, rimase davanti alla porta, la mano bloccata sul pomello, il corpo incapace di muoversi. Il sorriso di Robert, il tocco delle sue labbra sottili, l'abbraccio irruente di Oliver e la suoneria del cellulare come avviso che tutto era stato compiuto, qualche ora dopo la loro partenza, la investirono come un treno in corsa. Strizzò gli occhi, mandò giù il groppo in gola per reprimere la voglia di urlare e scacciare quei suoni e immagini dalla mente. Si convinse che avesse funzionato, mentre il suo sguardo diventava duro, la voce si riduceva ad un sussurro tagliente come una sferzata di vento gelido. «Domani andrai a scuola e poi subito a casa. Nessun'altra uscita.»
Sbatté la porta dietro di sé, con la consapevolezza che Thea non le avrebbe dato ascolto.

 

***

 

Anche quella notte non era riuscita a dormire; le capitava spesso dal giorno del naufragio, ma con Walter accanto non temeva che il fantasma di Robert la tormentasse, apparendo di fronte a lei non appena avesse chiuso gli occhi. Quella sera, però, Walter non sarebbe tornato a casa, una riunione importante lo avrebbe tenuto indaffarato fino a tardi e sarebbe rientrato con molta probabilità alle prime luci dell'alba. E Moira, quando Walter non c'era, si sentiva sola e vuota: lui era l'unica cosa bella che il destino avesse voluto regalarle dopo, insieme al ritorno di Oliver. Walter era la sua salvezza.
Si alzò, prese la vestaglia di seta avorio appoggiata ai piedi del letto e si diresse verso le scale che conducevano alla cucina. Una tisana l'avrebbe aiutata a prendere sonno.

Il calpestio delle sue pantofole sul parquet fu interrotto dal fracasso proveniente dalla cucina. Moira per qualche secondo si domandò se gli allarmi della casa fossero stati attivati da uno dei domestici, ma di solito era Raisa ad occuparsi di questa mansione e Moira sapeva quanto fosse scrupolosa. Bastò solo qualche altro passo per vedere che gli allarmi fossero stati attivati correttamente e nessun malintenzionato fosse entrato: Oliver stava rannicchiato sul pavimento, un canovaccio in mano ad assorbire la marmellata che aveva fatto rovesciare dal barattolo sopra la mensola, vicino al frigo; i piedi nudi stavano in bilico tra i frammenti di vetro del contenitore ridotto a piccoli frammenti sparpagliati.

«Oliver, che succede?» chiese, mentre si guardava intorno. Oliver alzò il viso, colto nel sacco, e Moira vide per un istante un bambino biondo con l'espressione birichina, dopo che aveva fatto l'ennesimo scherzo alla sua governante.
«Mamma? Cosa ci fai sveglia a quest'ora?» Oliver si rizzò in piedi e posò il canovaccio sul bancone.
«Beh, potrei farti la stessa domanda.» Si avvicinò a lui e prese lo strofinaccio per togliere i cocci di vetro dal pavimento. «Non dovresti camminare scalzo.»
Oliver sorrise mesto. «Credo sia una brutta abitudine che mi sono portato dall'isola.»

Moira gettò i pezzi di vetro nella pattumiera e si girò verso suo figlio. Quello era uno dei momenti in cui non sapeva come comportarsi: erano trascorsi pochi giorni dal ritorno di Oliver, ma dall'istante in cui lo aveva riabbracciato, in ospedale, aveva capito che non era lo stesso di cinque anni prima, ciò che era accaduto in quell'isola lo aveva cambiato in un modo che lei nemmeno immaginava, e forse lo aveva perso per sempre. Non aveva detto che poche parole sull'argomento, rimaneva sempre sul vago e lei stessa, né gli altri avevano avuto il coraggio di approfondire, se lo vedevano chiudersi nel suo sorriso garbato, quasi malinconico.

«Scusami, Oliver, a volte faccio fatica a credere che tu sia stato così a lungo lontano da casa, lontano da me, in mezzo al nulla. A volte mi sento in colpa.»
Oliver le accarezzò un braccio con premura. «Perché dovresti sentirti in colpa? Gli incidenti non sono colpa di nessuno, succedono e tu non puoi fare niente, se non accettarne le conseguenze.»

Moira invece si sentiva in colpa. Una colpa segreta che la consumava a poco a poco, logorava la sua anima, e si disse che fosse una pessima madre, per tutto quello che aveva fatto patire ai suoi figli.

«Hai ragione. È solo che non voglio più perderti, non lo sopporterei.»
«Non succederà, te lo prometto.» Oliver la abbracciò forte, trasmettendole una serenità che credeva perduta. Quello era suo figlio e lei aveva il dovere di proteggerlo.

 

***

 

Avevano appena sorpassato la hall dell'ospedale, dopo aver fatto visita ad Oliver, quando Walter le disse che avrebbe fatto un salto in ufficio per controllare un paio di cose. La frase arrivò chiara alle sue orecchie dopo un po': per tutta la sera, dopo la loro discussione, l'angoscia aveva preso possesso della sua mente.

«Cos- oh, okay. D'accordo,» sorrise, «ti aspetto a casa.» Gli lasciò una carezza leggera sulla guancia.
«Farò il prima possibile e poi potremo parlare. Niente più bugie, niente più segreti.»

Walter le baciò le labbra con delicatezza, poi le diede le spalle e chiamò un taxi. Moira non distolse lo sguardo fino a quando il taxi scomparve dalla sua vista.

 

***

 

«E non proverai niente, vero? Migliaia di innocenti saranno morti e tu non proverai niente.»
«Non è vero. Sentirò di aver raggiunto un obiettivo. E tu riavrai Walter.»*
«Non devi fargli del male. Promettimelo, Malcolm,» insisté ancora Moira.
«Hai la mia parola, ti ho detto. Sai che non ne vengo meno.» Malcolm la guardò con gli occhi che in quei mesi la inquietavano e le facevano quasi paura; un lampo di follia poteva vedersi attraverso le iridi blu.
«Tu non puoi capire come mi sento per quello che sto facendo. Sì, lo so, voglio quello che vuoi tu, ma lui è mio marito, nonostante tu dica non abbia avuto lo stesso riguardo per Robert, perché ti sbagli. Hai tuo figlio, eppure lo hai abbandonato al suo destino. Possibile che non ti importi di nulla tranne che di te stesso e dei tuoi obiettivi?»
«A me bastano poche persone, anzi una sola o addirittura nessuna.» Si avvicinò alla sua limousine, aprì lo sportello ed entrò. Moira rimase sulla strada, ormai neppure l'angoscia poteva sovrastare il vuoto.

 

***

 

Aveva ripiegato la polo che teneva tra le mani almeno due volte, eppure non riusciva a fare altro. Le serviva per occupare la mente e non pensare. Stava seduta sul loro letto, accanto vi era la valigia di suo marito aperta e riempita a metà.

«Moira, se continui a maltrattare quella povera maglia, non prenderò lo yacht in tempo e non voglio lasciare che quello scapestrato di nostro figlio la faccia affondare prima di salpare dal porto.» Robert fece capolino nella stanza, in una mano teneva dei documenti e nell'altra due paia di bermuda. Moira si fermò a guardare i documenti con espressione ironica.
«Beh? Voglio avere la coscienza a posto,» ammiccò Robert e riuscì a strappare una risata a Moira.
«Giusto,» annuì. Poi tornò alla polo, la piegò un'ultima volta e la sistemò dentro alla valigia. Le sfuggì un sospiro.
«Non dirmi che sei triste per la nostra partenza! Sai che non staremo via per molto. Vedrai, tra qualche ora ringrazierai di non averci tra i piedi per un po'.» Si avvicinò a Moira e si sedette accanto a lei.
«Credo tu abbia ragione, ma mi mancherete ugualmente.»
«Ti amo, Moira.»
«Ti amo anch'io, Robert.»

Moira fece uno sforzo immane per non piangere di fronte a lui. Lo baciò con tutto l'amore che aveva in corpo e che sapeva non fosse abbastanza. Robert ricambiò con lo stesso trasporto, e Moira si chiese se non avesse inteso che quello fosse il loro addio.

 

 

 

 

 

  • queste due battute sono prese entrambe dalla puntata 1x09 di Arrow

 

 


 

 

 

Solo altre due parole da aggiungere: questa storia ha partecipato al contest TV Shows Addicted - Quando i telefilm diventano droga indetto da Ili91 e Deb, classificandosi quarta. Ringrazio loro per avermi dato la possibilità di scrivere questa one-shot e per il premio speciale “Miglior Caratterizzazione” di cui vado molto fiera e che mi tengo stretta.

...titolo originale, eh? Eppure non mi viene niente di meglio per descrivere Moira. 

   
 
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