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Autore: La pani    13/01/2013    13 recensioni
E' la mia storia, un ammasso di sentimenti e lacrime, niente di speciale.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Scritto giusto per sfogo,
la pani.

Una volta...

Una volta, alla materna, una compagna mi prese il braccio delicatamente e lo affiancò al suo, notando la differenza di colore, dicendomi poco dopo 'Sono più colorata di te!' e io risi, per poi andare a giocare con le piccole costruzioni e i mini pony.

Una volta la preside si preoccupò perché ero troppo, fin troppo, bianca di pelle e mia madre rispose che purtroppo ho i globuli rossi troppo piccoli e che comunque non potevo farci niente.

Una volta, a scuola, dopo le vacanze estive, tutti si confrontavano la pelle, per vedere chi era più abbronzato e chi meno, mi lasciavano da parte perché io ero sicuramente la più bianca di pelle e trattenevo le lacrime perché non potevo di certo piangere lì, davanti a tutti.

Una volta, a nove anni, mi guardai allo specchio e notai che la mia pancia scompariva sempre di più, lasciando notare le costole. Notai che i miei polsi erano fin troppo piccoli e che se ci mettevi una mano intorno, potevi toccarti le dita. Notai che le dita erano troppo fini, si notavano le vene e si sentiva la struttura.

Ogni giorno andavo a scuola sentendomi dire che sembravo una morta, mi chiamavano cadavere, mi dicevano che ero un vampiro, che avevo paura del sole, mi chiedevano 'Ma tu in estate non ti abbronzi mai? Rimani sempre così?' e io ci stavo male ma fingendo comunque indifferenza dicevo 'Si, un po' mi abbronzo'. Mi prendevano le guance e mi davano leggerissimi schiaffi dicendomi 'così prendi più colorito'. Le mie compagne mi dicevano che ero magrissima, che volevano il mio fisico, che mi si sentivano le costole, che ero troppo magra, mi chiedevano se mangiavo e io dicevo di si, perché effettivamente qualcosina la mangiavo, ma di certo non mi facevo portare il bis.

Ricordo che una volta ero andata a scuola di pomeriggio per un lavoro che stavamo facendo appunto per scuola e lì, per una discussione riguardante 'i fidanzati' io risposi al posto di una mia amica e poco dopo mi dissero 'ahah, parla il cadavere' scoppiando tutti a ridere, andai in bagno e piansi, poi ritornai tra i banchi e continuai quello che stavo facendo, come se niente fosse successo. Tornai a casa, mi tolsi le scarpe e crollai a piangere, con mia madre che mi chiedeva cosa fosse successo e io, tra le lacrime, dicevo 'continuano a chiamarmi cadavere, voglio andarmene via da quella scuola'.

Una volta aprii il mio facebook e notai che c'erano un sacco di notifiche di commenti alle foto, aprii una notifica e notai che c'era scritto 'Sembri un alieno' con altri commenti sotto tipo 'oddio che ansia che mettono i suoi occhi' 'questa deve venire nella nostra scuola? Ci faremo fin troppe risate l'anno prossimo!' e sentii il mio cuore esplodere, non spezzarsi, ma esplodere. Le lacrime iniziarono a scendere e mi sentii così brutta, così indifesa. Il mio pianto si stava trasformando in nervoso, in odio. Entrai in bagno e chiusi la porta reggendomi al lavandino, avevo lo stimolo del vomito, lo schifo in bocca, gli occhi rossi, il labbro che veniva morso nervosamente pur di non far sentire l'urlo che si nascondeva dietro le lacrime. Conoscevo l'autolesionismo, quelle che si tagliavano venivano chiamate 'emo' e mi chiedevo se dopo che mi fossi lasciata il segno sulla pelle, se dopo che la gente lo avesse notato, tutti avrebbero iniziato a chiamarmi così, pensavo se era vero che se ti tagliavi potevi rischiare la vita e io non volevo morire. Volevo solo farmi del male per provare nuovo male che non sia dato da tutti i commenti che giravano su di me. Volevo provare nuovo dolore, ma non volevo uccidermi. Avevo aperto il rubinetto, mi ero bagnata la faccia, soffiata il naso e dopo essermi asciugata mi buttai a terra e mi appoggiai alla vasca da bagno, cercando di calmarmi.
Ricordo che qualche giorno dopo mie foto erano sparse su facebook grazie a una ragazza 'popolare' della mia città, commenti brutti su di me giravano ovunque, nessuno che mi parlava, la voglia di andare a scuola passava e io ogni giorno mi ritrovavo su quel bagno a piangere e rifare sempre le stesse mosse eppure, in tutti quei giorni, anzi, mesi, non osai mai provarmi a tagliare o a tentare magari il suicidio.
Soffrivo così tanto, la sofferenza non stava solo a scuola, la sofferenza stava anche dentro casa, con tutti gli 'anoressica' di mio fratello, le critiche di mia mamma sul fatto che io non studiavo più e stavo sempre al pc a leggere cose brutte su di me, la sofferenza stava su un computer composto da persone che si son sempre creduti più superiori di me per via dell'età o per via del fatto che non ero bella come molte altre ragazze.

Avevo solo 10, quasi 11 anni e io mi stavo già rovinando.

Impazzivo, me la prendevo con mio fratello (tra l'altro più grande) iniziando a provare a picchiarlo, sentendo poi i suoi 'questa è pazza! Tu sei tutta pazza!'
La mia vita mi cadeva sotto i piedi ogni giorno ma quando si parlava di sofferenza, di vera sofferenza, tutti dicevano 'tu non puoi capire, sei troppo piccola' e io mi son sempre chiesta 'Da quando in qua non avere 30 anni ti porta ad essere ignorante?' me lo chiedo tutt'ora.
Posso sbagliare i verbi, posso contare male, posso pure non sapere ogni definizione di ogni singola parola presente nel vocabolario, ma nessuno ti può assicurare che una bambina di 10, 11, 12 anni, non capirà mai cosa sia la sofferenza.
Perché di sofferenza se ne prova ogni giorno, dall'inizio della giornata, fino alla fine.

Sapete, è dal 2009 che io lotto per me stessa e nessuno se ne è mai accorto.
Ne mia mamma, ne mio padre, ne mio fratello, ne i miei parenti.
Forse i miei ex compagni che mi conoscono dall'asilo e mi hanno accompagnata nel mio cammino fino alla prima media – anno in cui son stata bocciata per via del fatto che andare a scuola mi stressava, portandomi a soffrire ogni giorno e portandomi pure a non avere più una vita sociale – solo ora loro sanno di tutto questo.
Forse solo ora i professori e i maestri, che per giorni mi facevano la ramanzina su quanto sono bianca, su quanto devo mangiare, su quanto devo studiare, sapranno tutto questo, quando mi vedevano sempre e solo come la ragazzina troppo bianca e magra che non studiava mai.
Forse i miei nuovi compagni, che mi vedono sei giorni su sette come la ragazzina simpatica più grande di loro che ha sempre la battuta pronta, sapranno che in realtà quando vado lì e non mi porto nessuna merendina è perché evidentemente mangiare mi porta a piangere.

Perché si, mangiare mi porta a piangere.

Ci sono volte in cui entro a casa e mi ingozzo di merendine pur di ingrassare e sapete, ci sto riuscendo. Forse il polso è ancora piccolo, forse si sente ancora tutto lo scheletro se porti le mani nella parte delle costole, ma io ci sto provando, ogni giorno.
Voglio potermi provare dei jeans in un negozio e non sentir più dire da mia madre 'tu dimagrisci ogni giorno, questi son troppo larghi'
Voglio che la gente, mentre cammino a scuola, o mentre sto semplicemente seduta nel mio banco, non mi urli più 'cadavere'.
Voglio che la gente smetta di prendermi il braccio e controllare quanto sono più bianca rispetto a lui/lei.
Voglio che la gente in carne non dica sempre, ogni giorno, che quelle magre son fortunate.

Perché tutto questo fa male. Fa un male assurdo ogni giorno.

E anche se io ora scrivo tutto questo e ammetto di stare male, non la finiranno.

Gli insulti non finiranno, le offese non finiranno, l'odio non finirà, la bassa autostima non finirà.
Non posso chiudere gli occhi e cambiare chi sono, per poi riaprirli amando me stessa.
Non posso, ma posso continuare la mia vita, posso migliorare e poter dire, un giorno
'Hei, ragazza, hai superato tutto questo da sola, sii fiera di te'

  
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