Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    20/01/2013    9 recensioni
Non tutti gli incantesimi sono fatti per salvare qualcuno.
Le tragedie della luna, in qualunque lingua le si racconti, con qualunque immagine le si rappresenti, rimangono sempre la tragedia umana più ostica: la storia di un uomo che sarà sempre troppo ingenuo per scegliere la via più semplice e che si sentirà sempre in dovere di percorrere sentieri vaghi per una donna che non riuscirà mai a dimenticare.
[Terza classificata al "9 ore contest" indetto da Shizue Asahi sul forum di Efp]
[Quinta classificata al contest "Emozioni a pacchetti" indetto da Mitsuki91 sul forum di Efp]
[Quindicesima classificata al contest "Flash contest" indetto da Julia of Elaja sul forum di Efp]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Rose/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Dove porta il sentiero'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Il primo taglio fa sempre male

 

La dedica di questa storia è divisa in tante, troppe parti.
A V, A e F perché loro sanno. E staranno ridendo nel vedere che lettere ho usato.
A tutte quelle persone che mi sono state vicine in questo periodo, sia qui su Efp che dal real.
A Emma, Mari, Esis, Rox, Sara, Beth, Sha, Marti, Blackie, Fri e Cri, Jo, Giddy, Meissa e Jane
A Charlie per tutte quelle volte in cui mi ha detto (urlato) che dovevo credere un po’ di più in me stessa.
A Anna, Bee, perché da stalker è diventata mia amica.
A Gin, perché è lei. Perché l’ha capito prima di me, che non andava bene, perché si è rimproverata di cose che non dipendono da lei.
A tutti quelli che ho dimenticato: sanno tutti che la memoria non è il mio forte. Ma anche se non sono citati, sanno di esserci.
Grazie a tutti.

 

Era ben facile constatare l’infelicità che vigeva a casa Malfoy, che permaneva nell’aria come l’afrore pestilenziale delle rose rosse – le predilette della signora Malfoy, la quale probabilmente le associava a un qualche ricordo della sua passata gioventù da signorina Greengrass  – e sembrava voler mettere radici nei polmoni e nel cuore di tutti gli abitanti del Manor.
Solo tre persone vivevano in quella casa e tre persone bastavano affinché non fosse più possibile scovare un briciolo di felicità in quella casa, sepolto sotto litri di lacrime versate in segreto.
C’era il nuovo Signor Malfoy, Draco era il suo nome, che più di tutto rimpiangeva il suo essere così tremendamente simile al precedente Signor Malfoy, che era stato suo padre e che dopo la guerra  – non avrebbe potuto andare diversamente, ne era certo – non era più tornato. Sepolto in una umida cella di Azkaban, gomito a gomito con Rodolphus Lestrange, Lucius Malfoy non era mai tornato a casa. Ogni giorno suo figlio si trovava a fissare il Marchio Nero e a rimpiangere la sua stessa essenza, quella del codardo. Il marchio bruciava ancora, come se fosse fatto di lava incandescente, bruciava per un qualche stupido vecchio tiro giocatogli dalla sua mente debilitata, dalla crescente paura che mai aveva smesso di scuoterlo.
C’era la nuova Signora Malfoy, un tempo era stata Asteria Greengrass, che in verità aveva sperato in un altro cognome che rimaneva nell’aria ogni volta che lei si fermava a scrutare le rose. Suo marito probabilmente ne era a conoscenza e non sapeva cosa fare, cosa dirle, cosa promettere a una donna che l’aveva sposato per combattere la disperazione in cui era precipitata. Non che le fosse di un qualche aiuto, probabilmente, cercare di uccidere un ricordo con la pallida copia d’uomo che era suo marito. Non ci riusciva nemmeno suo figlio, il piccolo Scorpius, che aveva i capelli biondi come il padre e la debolezza di entrambi i genitori. Biondi, quei capelli, Asteria diceva che non sarebbero mai dovuti essere. Guardava suo figlio e, ogni volta, si chiedeva che fine avesse fatto quella sfumatura di fiamma che avrebbero dovuto conservare.  Poi scuoteva la testa e ricordava, fino a farsi venire le lacrime agli occhi, che Fred Weasley era andato via da parecchi anni.
C’era infine il piccolo Scorpius, che a undici anni mostrava ancora le incertezze di un bambino ben più piccolo, che correva sempre dietro le sottane di sua madre per cercare di capire un mondo che sembrava essergli stato negato. Ogni tanto la sorprendeva a fissare il vuoto con aria assente e lui si sedeva accanto a lei e cercava di vedere le stesse cose. Ma Scorpius non vedeva mai niente e sua madre sembrava intenzionata a permanere immobile in quella tristezza che sembrava amare e odiare. Semplicemente, Scorpius non riusciva a comprendere sua madre e lei non faceva assolutamente nulla per facilitargli il compito. Così si rassegnava tacitamente a restare solo un intruso nelle serate solitarie di Asteria, vissute accanto alla luna vergine e silenziosa, con un’ombra che le illuminava il mondo. Quell’ombra portava perfino un nome, ma Scorpius non lo carpiva mai: rimaneva un segreto tacito e innominabile, un nome che se fosse stato pronunciato avrebbe perso l’oscura magia tanto cara alla signora Malfoy. E Scorpius rimaneva solo con le domande a cui non sapeva rispondere, sempre: cresceva annebbiato dai fumi di genitori che avevano poco da donare e tanto da nascondere, vedeva ogni notte sua madre che correva fuori dal Manor e singhiozzava sull’erba illuminata dalla luna. Da bambino, si chiedeva sempre se non fosse un incantesimo, un buon auspicio per il futuro, un dono per proteggerli tutti. Anni dopo si sarebbe svegliato dal suo sogno infantile e avrebbe visto nel comportamento di Asteria un tacito espediente per distruggersi, per distruggere tutti. Non tutti gli incantesimi sono fatti per salvare qualcuno.
 
 
«È colpa tua, solo colpa tua».
La vita vera, per Scorpius, iniziò con quelle due parole. Pronunciate per errore, contorte dall’ira, Scorpius le ascoltò distrattamente mentre fuoriuscivano dalla bocca sottile di suo padre, pregne di veleno per uccidere qualcuno. Asteria, forse. O forse solo per ferire e far soffrire, per aggiungere lacrime ad altre lacrime, senza sapere che la tristezza di Asteria Malfoy era così radicata in lei da apparire infinita. L’aveva capito Scorpius, un bambino, che sua madre non avrebbe mai cessato di soffrire: anche se probabilmente il motivo vero della sua sofferenza l’aveva già dimenticato. Asteria ormai soffriva per inerzia, per ricordare che qualcosa c’era e la faceva star male, senza però riuscire a darle un nome o anche solo a combatterla e cancellarla via dalla sua esistenza.  Non ne avrebbe mai avuto la forza.
«Cosa c’è di sbagliato?» mormorò Draco Malfoy, affranto. Proprio lui che soffriva per un passato morto e sepolto sotto cumoli di terra umida di pioggia. E di lacrime. «Hai un marito che ti ama, un figlio che ti segue come un’ombra» continuò, cercando di strapparle dalla bocca quelle parole.  «Cosa ti manca?».
Scorpius si voltò verso sua madre, cercando di leggere nei suoi lineamenti un accenno di gioia, che scacciasse via quell’antica sofferenza e portasse a loro, a tutti loro, qualcosa di più lieto. Anche se, alla fine, Scorpius lo sapeva che sua madre non avrebbe mai smesso di ricordare quello che quasi tutti avevano deciso di cancellare e rimuovere. Asteria avrebbe continuato a ricordarlo, anche solo per darsi un motivo in più per soffrire ancora e ancora. E Scorpius lo sapeva bene, perché nelle sue vene scorreva lo stesso sangue di Asteria, la stessa tristezza che le corrompeva il cuore. Sentì a stento le parole di sua madre, forse perché già le conosceva, sempre pronunciate in tutti i loro taciti discorsi illuminati dalla luna.
«Mi manca lui» rispose Asteria, chiudendo la mano sinistra in un pugno, una morsa difficile da sciogliere. Quelle dita erano state sfiorate distrattamente da Fred, in un addio silenzioso, prima che la guerra esplodesse in tutta la sua furia poco misericordiosa.
Scorpius strinse la mano di sua madre, per darle un conforto che lei non richiedeva e di cui non necessitava: nulla può sconfiggere un’oscurità che affonda le radici nel cuore, che rende nera perfino l’anima più pura al mondo. Eppure, Asteria non voleva morire nel buio. Nessuno potrebbe mai desiderare qualcosa di così orribile.
«Va via» mormorò Draco Malfoy, la voce rotta che tradiva un’emozione violenta che lo scuoteva dall’interno. Scorpius si affrettò a seguire sua madre in giardino, sotto la luna piena.
 
 
Scorpius non capiva mai i gesti accorti di sua madre, quel suo soppesare attentamente le erbe del giardino per poi raccoglierle ed esporre al vento gelido le nude radici. La osservava in silenzio, aspettando che con le sue parole lei si decidesse a rompere quel silenzio teso che aleggiava fra di loro come una maledizione. Ma Asteria non lo rompeva mai: fissava le sue stesse mani e aspettava qualcosa che sembrava non venire mai. Poi scuoteva la testa e lasciava che la luna le accarezzasse il volto, impedendole di pensare. A cosa serve guardare il cielo, quando la luna è distante?
E Scorpius non riusciva mai a dirle niente, mai.
«Chi?» chiese, una volta. «Chi ti manca?».
Lei non rispose. Indicò la luna con un cenno del capo e tornò a guardarsi le mani. Erano sporche di sangue.
 
 
Il binario era caotico come sempre, un gran via-vai di bambini eccitati come non mai. Scorpius Malfoy stringeva la mano di sua madre, beandosi di quel contatto occasionale. Ma era come se lei non ci fosse, come se fosse in un luogo nascosto agli occhi di tutti. Il suo sguardo rimaneva fisso su una serie di teste rosse. “Marca Weasley” sibilò Draco, stringendo la mano al figlio. Scorpius non sapeva chi fossero i Weasley, non gli importava, sentiva solo la pressione delle dita di sua madre e non riusciva a concentrarsi su qualcos’altro: non vedeva il sangue secco sotto le unghie, forse, lo oscurava con l’affetto che provava per lei.
«Mamma».
 Scorpius le strattonò la manica dell’abito, quando lei si fermò all’improvviso, intenzionata a non muoversi per un tempo che appariva infinito.
«Che succede?» domandò Scorpius, cercando di soffermarsi nell’esatto punto dove si soffermava lei, a guardare qualcosa che in verità non c’era.
«Niente» rispose Asteria, scuotendo la testa con aria distratta. «Non è niente».
E la sua mano, stretta in quella di Scorpius, diventò come ghiaccio puro. Scorpius cercò di concentrarsi sui suoi coetanei.
«Chi sono quelli?» domandò, indicando con un cenno del capo i Weasley.
«Weasley» risposero all’unisono i suoi genitori. Draco appariva leggermente turbato, Asteria quasi sognante. Si poteva dare la colpa alla guerra per entrambe le reazioni. Scorpius non lo sapeva.
 

***

Scorpius, la luna, aveva appreso a guardarla da solo, ad Hogwarts. Dal dormitorio, si scorgeva solo una pallida lama di luce biancastra che penetrava oltre il vetro spesso delle finestre. La guardava e pensava a sua madre, ogni volta, a come  la luce lunare doveva illuminare anche lei durante le sue notti all’aperto.
Era stato smistato a Serpeverde, per il gran diletto di entrambi i suoi genitori e dei nonni che non c’erano più. Era uno studente diligente e dall’intelletto assolutamente non da buttar via. Influenzato dai cicli lunari era di umore variabile, difficile da comprendere. Di amici, ne aveva qualcuno, ma era con  Rose Weasley, sua compagna di Casa, che passava la maggior parte della giornata.
Era con lei che passeggiava, le spalle che si sfioravano, per Hogwarts trascinandosi a fatica verso l’ora successiva. E con lei passava ore in Sala Comune, illuminati dalla luna.
«Perché la guardiamo?» chiese Rose, come ogni volta. Parlava della luna, ovviamente, lei che era una ragazza come tante. Era nata di fuoco, una donna di terra che conosceva il valore di una vita fatta di sentimenti, di calore umano: conosceva il duro lavoro di chi cammina, la fatica che logora anima e piedi. Lei era nata di terra e fuoco, per sopportare la vita con facilità.
Scorpius era nato nell’acqua fredda di un fiume sotterraneo, un ragazzo che viveva per nuotare sotto la luce lunare. Era nato d’acqua, un ragazzo ghiacciato che non aveva mai imparato a camminare, annebbiato da fumi invisibili e fantasmi sempre presenti. Era nato senza conoscere la fatica che si provava vivendo per davvero, il logorarsi della pelle a contatto con la terra. Un uomo come sarebbe diventato lui aveva bisogno di una donna di fuoco, per poter sopportare la vita.
Chi nasce dall’acqua vive nell’illusione di poter davvero vivere come se l’acqua possa davvero tramutarsi in fuoco, che il cammino non debba per forza provocare dolore. Ci si illude che, per amore, si possa davvero correre a piedi nudi sull’asfalto per raggiungere una sola donna. Tutte queste storie sono tragedie, nate dal nulla, cresciute velocemente e morte tutte allo stesso modo.
«Ci attira tutto quello che è troppo distante per essere toccato» rispose Scorpius, in un sussurro. «E la luna è quanto di più lontano ci sia».
Riuscì a sorridere, Scorpius, mentre pronunciava quelle parole, ignaro del destino che la luna aveva sapientemente pianificato solo per lui. Rose gli strinse la mano, sul foglio dove giacevano incorrotti gli appunti di Pozioni: ci vuole una donna di fuoco, per aiutare un uomo d’acqua.
Ma le tragedie della luna, in qualunque lingua le si racconti, con qualunque immagine le si rappresentino, rimangono sempre la tragedia umana più ostica: la storia di un uomo che sarà sempre troppo ingenuo per scegliere la via più semplice e che si sentirà sempre in dovere di percorrere sentieri vaghi per una donna che non  riuscirà mai a dimenticare.
 
 
Capì subito che era un sogno, perché era troppo colorato per appartenere al duro mondo in cui era nato. I piedi non gli dolevano, immerso com’era in quel lago dal fondo scuro. Si accorse si essere seduto, tant’è che l’acqua gli accarezzava dolcemente la pelle del volto, e si alzò. Era vestito di tutto punto, una rosa rossa appuntata sulla camicia: solo i capelli erano zuppi d’acqua, che dolcemente scivolava lungo i vestiti, senza bagnarli mai. Era solo, evidentemente, poiché i suoi occhi non riuscivano a fermarsi su nulla di vagamente umano. C’era un’ombra che però increspava la superfice uniforme del lago, un volto familiare che Scorpius non riusciva a decifrare. La luna lo illuminò di luce biancastra. Fu allora che capì.
Sul fondale, Asteria Malfoy sorrideva come mai aveva  fatto. Aveva gli occhi  caldi, lei che per anni aveva sempre vissuto con un mare celeste che le si agitava nell’iride. Teneva la mano di un ragazzo dai  capelli di fiamma: ci vuole il fuoco per sopportare la terra, se si è d’acqua.
 
 
Scorpius Malfoy si svegliò nel suo letto, i capelli umidi di sudore. Una sensazione gli scuoteva il cuore, rendendolo sicuro soltanto di quell’affermazione dolorosa, nella quale non voleva vedere assolutamente nulla di certo: sua madre aveva perso la sua fiamma, il fuoco che la faceva sentire viva.
 

***

Nevicava per l’ennesima volta, durante quella settimana caratterizzata da un freddo che ti stringeva in una crudele morsa. Scorpius, però, il freddo non riusciva a percepirlo: si avvicinavano le vacanze di Natale e con esse il momento in cui avrebbe visto sua madre, l’avrebbe forse abbracciata e le avrebbe detto che finalmente capiva. Se fosse la verità non  lo sapeva, lui che a stento conosceva sé stesso.
L’acqua gli scorreva nelle vene al posto del sangue e gli rendeva difficile il cammino. Guardò sottecchi Rose, placidamente seduta al suo fianco, in silenzio. Era sua la dote di comprendere quando era il momento giusto per tacere, ma era proprio con Scorpius che faceva economia di parole. Sapeva infatti che lui preferiva sentirsi vicino a lei fisicamente, saperla vicina almeno quanto la luna sapeva essere lontana.
Lei lo accontentava, sempre.
 
 
«Torni a casa, per Natale?» domandò Scorpius, in uno dei suoi momenti di normalità disarmante. «Con i tuoi cugini?».
«Sì» rispose Rose, scrollando le spalle. «Non mi permetterebbero di rimanere. Tu?».
Scorpius si lasciò stringere la mano fredda, resa insensibile dal gelo. «Io devo tornare» osservò, semplicemente.
La sua presa sulla mano di Rose si rafforzò.
 
 
Si salutarono prima di salire sul treno, con la freddezza che caratterizzava quel loro rapporto controverso e asimmetrico. Scorpius sorrideva, esitante, lei aveva occhi duri come zaffiri.
«Allora, ci vediamo dopo le vacanze» disse, semplicemente. Aspettò che lei sorridesse, ma quel sorriso non arrivò mai.
«Certo» rispose Rose, rigida.
«Non ti scriverò» osservò Scorpius, diretto e inclemente come sua madre.
Rose gli regalò un sorrisetto triste, che morì sul nascere. «Lo so» mormorò, atona. «Non mi aspettavo altro da te».
«Tu non mi conosci» replicò Scorpius, rosso in volto.
Lei rise.
«Non è vero».
 

***

Mostrava a sua madre le foto dei suoi amici e compagni di scuola, raccontando brevi aneddoti sulla loro breve carriera scolastica. E così finì a raccontare ad Asteria di quando Estelle aveva fatto esplodere il calderone davanti al professore, di quando Emma aveva iniziato a correre dietro a James Sirius Potter e di lui e Rose e quel loro rapporto strano che avevano costruito fin da subito: nato dal nulla, perseverava nello stesso elemento, senza che potessero farci nulla di nulla.
«Lei è la piccola Weasley, non è vero?» domandò Asteria, con una strana dolcezza nella voce. «Rose?».
Scorpius annuì, perplesso davanti alla familiarità con cui sua madre discorreva dei Weasley, perplesso davanti alla fredda tolleranza dipinta sul volto di suo padre.
«Avrei chiamato mia figlia, così, Rose» mormorò Asteria, nostalgica. Nessuno le rispose e probabilmente lei preferì così, che la sua riflessione passasse inosservata alle orecchie sensibili di suo figlio e suo marito.
Draco Malfoy tossì, per attirare l’attenzione su di sé. «Fai attenzione a non  innamorarti di lei, Scorpius» osservò, conciliante. «E’ pur sempre una Weasley».
« Questo tipo di amore dura per sempre» osservò sua moglie, una sincerità disarmante nello sguardo. «Nessuno, se non la morte, riuscirà mai a separarli».
«Lo so» ammise Draco Malfoy, che la moglie l’aveva persa per via di quel suo amore imperituro. «Lo so».
 
 
Asteria aveva iniziato a lavorare a maglia, durante quel Natale, nella Yule dei undici anni di suo figlio. Creava maglioni nei toni del rosa, per bambini molto più piccoli di suo figlio, bambini che mai erano nati. Ci lavorava ogni giorno per ore, senza che nessuno riuscisse a distoglierla dal suo lavoro. Preparava maglioni per i corpi perennemente freddi di tutti quei bambini che le erano morti dentro, nel cuore, in silenzio.
«A cosa ti serve?» sbuffò un giorno Scorpius, tirando irato il gomitolo di lana rosa.
«A vivere» rispose lei, scrollando le spalle. Sorrise. «A continuare a guardarti. Sai cosa penso?» non aspettò il cenno di suo figlio, per continuare a parlare. «Ti guardo, sempre. E non capisco a cosa serve guardare la luna, se il cielo è distante».
«La speranza di poterla raggiungere, un giorno» rispose Scorpius, semplicemente.
Asteria sorrise: lo sapeva già.
 
 
Il primo gennaio, Asteria uscì di soppiatto, lo sguardo di suo figlio che la seguiva da lontano. Scivolò con grazia ballerina nel giardino e si accomodò sull’erba umida, raccogliendo la camicia da notte attorno alle gambe pallide. Lasciò la lana e i maglioncini sull’erba e prese la bacchetta con un movimento impacciato. Scorpius aggrottò le sopracciglia, cercando di intuire la prossima mossa della madre.
Asteria Malfoy trattenne le lacrime e mosse rapida la bacchetta. Scorpius socchiuse gli occhi per rifugiarsi dalla luce mattutina. Il cumolo di lana rosa prese fuoco. Asteria scoppiò a ridere, sotto lo sguardo sbigottito del figlio.
 

***

 
Rose appariva diversa e più grande, sotto la luce filtrata dai finestrini dello scompartimento. Stringeva fra le mani un braccialetto sottile, con un ciondolo a forma di rosa.
«Ho un regalo per te, nel baule» osservò, imbarazzata. «L’ho comprato prima di Natale, ma non sono riuscita a mandartelo via Gufo. Comunque, grazie per il tuo regalo, lo adoro».
Scorpius fece per chiederle di quale regalo stesse parlando, poi scosse la testa e abbassò lo sguardo. Rose indossava un maglione rosa.
 
 
Bruciava. Bruciava  come il fuoco più crudele, sembrava volergli straziarmi l’anima, dividerla in così tante parti che presto non ne sarebbe rimasto più nulla. Era la luna, però, che controllava quel male. Il riflesso sull’acqua era di un colore argenteo e irreale, rendeva più appuntiti gli spigoli di Scorpius, rendendolo sempre più simile a una figura di cristallo. Rose lo squadrava da lontano, infagottata nel suo maglione rosa. Aveva gli occhi duri e asciutti, il viso scolpito nel marmo appariva più bello e adulto di quanto in realtà fosse.
Scorpius abbassò lo sguardo su di sé e scoprì di essere nudo, il corpo a contatto con il marmo di una vasca vuota. Piena di fuoco, forse. La pelle appariva di un candore irreale, se confrontato con il marmo della vasca. Suo era un bagliore traslucido, le vene spiccavano evidenti sulla carne.
Si accorse di avere una lama, in mano, il cui bagliore si confondeva con la luce lunare. Rose sorrise, un sorriso affascinante che le increspava le labbra pallide. Un sorriso di sangue si aprì sulla pelle di Scorpius.
 
 
Scorpius si svegliò  con il volto abbandonato sul libro di Erbologia, in Sala Comune. Rose giaceva nella stessa posizione, accanto a lui. Scorpius allungò la mano per coprire quella di mei. Mai più, pensò deciso. Mai più.
La cicatrice sul polso sembrava essere fatta di fuoco.
 

***

 
Il primo taglio è il più difficile, sebbene in molti dicano il contrario: le mani tremano sempre e non sai materialmente come tagliare, in orizzontale o verticale, se vuoi davvero farlo. Lo fai quasi per sbaglio, sobbalzi alla vista del sangue che sgorga copioso dalla ferita.
Il secondo taglio arriva per rimediare al primo, per nascondere l’iniziale paura, il tremore del cuore e delle mani. Arriva perché deve arrivare, come da copione, per porre davvero fine a un’esistenza.
Il terzo arriva perché se ne sente fisicamente il bisogno, perché il peggio è passato. Abbassi sempre le mani sui polsi. Le mani non tremano più.
Ma è sempre troppo tardi per farci caso.
 
 
Scorpius passò le dita sulla vecchia cicatrice, facendo attenzione a sfiorare appena i bordi irregolari, esattamente dove la lama aveva reciso la carne.
Mai più.
 
 
«Cosa ci fai qui, ragazzino?» domandò la Medimaga, piuttosto perplessa. «Hai solo undici anni, non puoi sapere quant’è brutta la vita».
Scorpius le dedicò un sorrisetto che ostentava infinita superiorità. «Evidentemente» disse «Lei non è mai stata un ragazzino di undici anni».
 

***

 
Col passare del tempo certi sentimenti non muoiono, si rafforzano soltanto. Mentre altri scoloriscono su uno sfondo asettico, altri diventano sempre più vividi, sotto la luce lunare.
Dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici anni. Tutti traguardi importanti, anni in più di vita per un ragazzo d’acqua. Fissava sua madre con occhi pieni di lacrime, la mano di Rose persa fra le sue.
«Sei Rose, giusto?» domandò Asteria, cortese. Il suo sguardo tradiva un accenno di tenerezza che solitamente non possedeva, che suo figlio non aveva mai posseduto. «La nipote di Fred e George Weasley?»
Rose annuì distrattamente, lo sguardo fisso sulle scorie della madre di Scorpius. Anche lei aveva una ferita sul polso, rimarginata da tempo, che spiccava nel pallore uniforme dell’insieme.
«Somigli a lui, sai» osservò Asteria, un sorriso remoto che le increspava le labbra. Nessuno ebbe il coraggio di dire niente.
 
 
«Mi dispiace» Scorpius lo sussurrò a mezza voce, come se avesse voluto non essere sentito da lei. «Non volevo che andasse così».
Rose rise, rideva del suo dispiacere assolutamente palese. «C’è sempre un motivo per cui le cose accadono» osservò lei, atona. «Accadono perché c’è bisogno che accadano».
«Cosa intendi dire?» chiese Scorpius, in un sussurro.
Rose sorrise e inclinò la testa, un ricciolo rosso le accarezzò dolcemente il viso. Era cresciuta in fretta e quella crescita accelerata aveva donato al viso, un tempo tondeggiante, gli spigoli appartenenti a chi viveva di speranze. Gli spigoli di Asteria, che si portava dietro da anni e che Rose sembrava aver acquisito per osmosi, senza un perché. Sorrise nuovamente, forse per giustificare le sue parole.
«Scorpius, tua madre ha perso qualcuno» disse, dolcemente. «Ricordi?» domandò, sottovoce, posandogli una mano sulla spalla, resa rigida dalla tensione. «Ci vuole un uomo di fuoco per aiutare una donna d’acqua a sopravvivere sulla terra».
«Nessuno sa cose le sia successo» mormorò Scorpius, scioccamente. «Nemmeno mio padre riesce a comprenderla».
Rose sorrise, incerta e strinse la mano al suo amico di sempre. «Mio zio Fred è morto durate la Guerra» osservò, semplicemente. «E tua madre si è asciugata sulla terra, senza di lui».
«Non è vero» mormorò Scorpius, senza riuscire a guardare Rose in volto. «Dimmi che non è vero».
Ma Rose non disse niente.
 
 
«Dillo, avanti».
Il tono di Asteria Malfoy suonava sarcastico e petulante, gli occhi erano asciutti e duri come pietre, la bocca atteggiata a mo’ di sorriso. Fra le mani stringeva una vecchia lettera piegata a metà, dove i polpastrelli indugiavano. Ha perso qualcuno.
«Cosa dovrei dire?» chiese Scorpius, lasciando strisciare quelle parole attraverso i denti. Sentì il sapore del sangue invadergli la bocca: forse si era rotto il labbro, sotto la pressione rabbiosa dei denti. «Cosa vuoi sentirti dire, mamma?»
«Dimmi che ti dispiace per me» sussurrò Asteria, mentre il suo sorriso si incrinava.
Scorpius sorrise, velenoso come la serpe che era. «Te lo sei meritato, mamma» osservò, gelido. «Ti sei innamorata della persona sbagliata e te l’hanno portata via, è solo colpa tua».
Fece per dire qualcos’altro, la bocca piena di veleno. Asteria lo mise a tacere con uno schiaffo.
 
 
«Mi dispiace» sussurrò Asteria, prima di lasciarlo andare. Trattenne per un secondo di troppo la mano di sua figlia, le dita che carezzavano la pelle indurita dalle fatiche e dagli anni passati a bearsi del dolore della Pluffa che colpiva e trascinava via brandelli di pelle.
Quando Scorpius riebbe la sua mano, notò che era decorata da una lieve traccia di sangue. Alzò lo sguardo, preoccupato cercò sua madre nella folla del Binario. Solo che lei se n’era già andata.
 

***

 
La pioggia cadeva rumorosamente sul tetto della scuola, scivolava lentamente sui vetri del castello. Ma non era quello il rumore che affollava le orecchie di Scorpius Malfoy: nell’aria c’era come un canto lugubre che lo distoglieva da ogni suoi dovere.
«Scorpius!» Rose gli strinse il braccio, apprensiva. Il canto cessò di colpo.
«Se n’è andata» mormorò Scorpius. Fissava le sue mani con ostinazione, come se volesse leggervi un qualche messaggio.
«Chi?» chiese Rose, perplessa.
«Mia madre se n’è andata» osservò Scorpius, atono. Fissò Rose negli occhi, calmo. «Non tornerà più».
Il suo sguardo scese sulle loro mani intrecciate, esaminò ogni lembo di pelle visibile, alla ricerca di qualcosa. Vedeva solo sangue.
 
 
Seppellirono Asteria Malfoy il giorno del compleanno di Scorpius. Asteria Greengrass, la chiamarono tutti quel giorno. Ma lei, in verità, era sempre stata Asteria Weasley, anche se mai di fatto.
George Weasley aiutò Draco Malfoy a portare la bara. Nessuno lo disse, ma non era George a piangere per la signora Malfoy: quelle lacrime appartenevano a Fred, sempre. E Fred Weasley, ovunque fosse, stava piangendo per la sua donna d’acqua, asciugata da un suolo asciutto, bagnato occasionalmente dalle lacrime.
Di lacrime, Scorpius Malfoy non ne versò nemmeno una.
 
 
Rose tenne le mani di Scorpius finché Asteria non fu coperta da palate di terra umida. Per un momento, solo per un momento lo sentì tremare.
 
 
«Buon compleanno» sussurrò Rose, quando tutti se ne furono andati. Sorrise, esitante, conscia che lui sapeva che lei l’aveva sentito tremare. «Non si compiono diciassette anni tutti i giorni, Scorpius».
Scorpius le regalò un sorriso amaro, stanco. «L’ha maledetto lei, questo giorno» osservò. «Non c’è niente da festeggiare, Rose».
«Era tanto infelice» mormorò la ragazza, sovrappensiero.
Scorpius rise. «Lo so» disse, scrollando le spalle. «Prego che ora non lo sia più».
 
 
Quella notte, Rose restò a dormire dai Malfoy. A mezzanotte, udì i passi di Scorpius che si facevano strada verso la sua stanza. Il ragazzo si fece strada fra le lenzuola ancora calde del corpo di lei.
«Ho paura» Rose fu certa di udire lui che pronunciava quelle parole.
Quella notte non ebbe la forza di mandarlo via.
 

***

 
Quando Scorpius aprì gli occhi, Rose era già sveglia e vestita, seduta in un angolo del materasso. Si torceva le mani, inquieta, lo sguardo tormentato che vagava per la stanza.
«Te ne stai andando» osservò, atona. «Non è vero?».
«Sì» ammise Scorpius. «Me ne sto andando».
Rose scosse la testa e non gli chiese di rimanere, sapeva che non sarebbe servito a nulla. «Dove vai?» domandò, piano.
Scorpius sorrise.
«A prendere la luna».
 
 
Rose tornò ad Hogwarts prima del previsto. Scorpius non tornò e nessuno chiese niente.
Nel giardino del Manor, la tomba di Asteria Greengrass era sempre circondata dai fiori. George Weasley andava a portarli lì ogni due giorni.
Di Draco Malfoy non si sapeva più nulla.
 
 
Scorpius si fermò a guardare la luna, splendeva sul pare. Era uno splendore doloroso, necessario, lo ammaliava come il canto di una sirena. Chiuse gli occhi.
C’era davvero un richiamo che premeva fra le pareti del cranio. Ricordò che, l’ultima volta l’aveva sentito quand’era morta sua madre. Fissò il mare scuro e sorrise, mentre una lieve brezza gli scompigliava i capelli.
Diede il suo addio a suo padre, in silenzio.
 

***

 
Rose non andò al funerale di Draco Malfoy. Suo zio George le disse che Scorpius non si era presentato. Rise, quando glielo riferirono: lo sapeva già.
 
 
Scorpius non scrisse nemmeno una lettera, durante tutti gli anni passati fuori casa. Nemmeno a lei che, lo sapeva, senza una sua parola sarebbe per forza finita ad asciugarsi fra le braccia di un altro.
Forse per questo decise di non scriverle mai.
 
 
Rose nemmeno l’aspettava più, una lettera di Scorpius.
 

***

 
Rose si svegliò in un giorno di maggio, le rose che appassivano lentamente in un vaso sulla finestra. Suo marito non c’era forse impegnato sotto le sottane di una sgualdrina di Notturn Alley. Si sfiorò la testa con la punta delle dita, i capelli tagliati corti che pizzicavano l’epidermide: li aveva tagliati corti un pomeriggio, quando aveva compreso che non sarebbe più riuscita a tollerare quei serpenti che le si agitavano sulla testa. Li aveva bruciati dopo pochi minuti, provando un piacevole sollievo. Aveva indossato il vecchio maglione rosa cucito dalla madre di Scorpius.
Rose si svegliò con un dolore al petto, il cuore che si spezzava, e si avvicinò alla finestra. Una scheggia di vetro giaceva lì, separata dal resto del vaso.
Il primo taglio è sempre più difficile.
 
 
Scorpius si svegliò in una stanza squallida di un albergo Babbano, il sole che gli feriva gli occhi. La barba ispida copriva la bocca triste, i denti apparivano come singole perle perse in una selva d’oro. Con le mani, si strinse la testa: di nuovo quel canto.
Si alzò a fatica e si ritrovò a fissare il suo riflesso nello specchio. Il canto crebbe d’intensità.
No, si ritrovò a pensare Scorpius. Non lei.
Crollò a terra mentre il canto cessava.
 
 
Rose scoppiò a piangere, in bagno, il frammento di vetro ancora stretto fra le mani. Lo gettò a terra con rabbia. Se non riesci a tagliare la prima volta, non ci riuscirai più.
 

***

 
Era sempre la luna a comandarlo, dall’alto del cielo, bella e tremendamente irraggiungibile. Scorpius era disteso nella vasca vuota, la finestra aperta per lasciare entrare la luce lunare, la carne debole dei polsi esposta alla corrente notturna.
Si sorprese a piangere, mentre pensava alla povera Rose abbandonata da lui, da lui che l’aveva irretita e poi dimenticata. Strinse un rasoio Babbano fra le mani: la seconda volta serve per riparare alla prima incertezza.
Un fiotto di sangue colorò il marmo grigiastro della vasca, sempre troppo raffinato per l’uso improprio che Scorpius ne stava facendo. Si morse le labbra per non urlare, per non chiamare Rose che non avrebbe più potuto ascoltarlo: l’aveva sentito, il canto. Scorpius lo sentiva quando qualcuno d’importante moriva, ogni volta. La terza volta ce la fai sempre a catapultarti fuori dal mondo.
 
 
Scorpius Malfoy morì con le lacrime agli occhi e una foto stretta fra le mani.
 
 
Rose Weasley si svegliò con il cuore che batteva all’impazzata.
 

***

 
In pochi presenziarono al funerale di Scorpius Malfoy: non aveva più famiglia, non aveva moglie o figli. Solo un’amica che aveva abbandonato, un tempo lontano, per cercare di affrontare da solo un cammino mai percorso. Ci vuole una donna di fuoco per aiutare un uomo d’acqua. Scorpius l’aveva dimenticato e si era asciugato sul terreno, proprio come sua madre.
Rose Weasley versò tutte le lacrime sulla lapide che lei aveva scelto, sulla frase che aveva formulato in ricordo di un dialogo di Asteria e Scorpius: E non capisco a cosa serva guardare il cielo se la luna è distante.
 
 
Seppellirono Scorpius fra sua madre e suo padre, nel giardino del Manor che passava ai figli della sorella di Asteria, Daphne Zabini. Erano tombe simili, fatte di terra smossa e lapidi marmoree.
Erano sempre piene di rose rosse. Nessuno sapeva chi fosse a portarle.
 
 
Erano tutti sepolti insieme, i Malfoy: Draco con la sua tristezza silenziosa, Asteria e il suo amore segreto, Scorpius e la metà di Rose che gli era stata affidata. Soli in un mare di rose rosse dal pestilenziale afrore.
Rose andava a trovarli ogni giorno.
 
 
Alex Zabini portava i fiori a suo cugino e ai suoi zii ogni giorno. Rose rosse che aveva visto tante volte al Manor, che sua madre detestava terribilmente.
Alex usciva di mattina per portare le rose alle tombe, perché sapeva che ogni sera sua moglie avrebbe versato fiumi di lacrime su quei fiori che tutti detestavano. Anche lui.
 
 
Rose Weasley portò una sola rosa a Scorpius, una rosa e una promessa celata fra i petali. Ci rincontreremo.
 

***

 
Rose scese una notte e scoprì Alex Zabini che poneva le rose sulle tombe dei Malfoy. Lo vide e i suoi occhi di pietra si ruppero per far fuoriuscire le lacrime. La luna le illuminava il volto e l’afrore di rose era l’unico odore percepibile.
 
 
Rose, quella notte, si fiondò fra le braccia di Alex, fra le braccia di suo marito. Non guardò la luna nemmeno una volta.
 
 
Rose quella notte pianse perché non aveva altro.
 

***

 
Dicono che il primo taglio sia quello che fa meno male. Bugia. Rose fissò il proprio pallido riflesso. Una rosa rossa cadde nell’acqua sporca di sangue.
È proprio il primo taglio, quello che fa più male.
Strinse la mano attorno ai petali.





Note: 
«Cosa ci fai qui, ragazzino?» domandò la Medimaga, piuttosto perplessa. «Hai solo undici anni, non puoi sapere quant’è brutta la vita».
Scorpius le dedicò un sorrisetto che ostentava infinita superiorità. «Evidentemente» disse «Lei non è mai stata un ragazzino di undici anni». --> Questo scambio di battute è liberamente ispirato al libro di Jeffrey Eugenides, “Le vergini suicide”

La storia della donna di terra ecc. è liberamente ispirata a uno dei miei libri preferiti, "La regina bianca" di Philippa Gregory.

La frase sulla lapide era nel pacchetto del contest a cui la ff partecipa.
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie