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Autore: Eris Gendei    14/08/2007    3 recensioni
Lei…una killer.
Lui…la sua preda.
Genere: Romantico, Thriller, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Salve…”.
Una voce sussiegosa sussurra tranquillamente…non c’è traccia nelle sue parole di fermento…piatta come la notte, vivida aldilà del vetro che separa un piccolo spazio di cielo dalla realtà.
Un corpo è accasciato a terra, immobile, scosso appena da brividi e dal ritmico movimento respiratorio…accelerato, ansioso…
E’ il corpo di una giovane, cosparso di sangue, screziato, martoriato, i capelli sparsi sul pavimento, il viso graffiato, le labbra livide.
Una mano candida la sfiora delicatamente, posandosi sul collo e scivolando giù piano sullo sterno, fra i seni e sul ventre, macchiandosi di sangue anch’essa.
Si separa dalla pelle morbida e martoriata della ragazza per ricongiungersi alla sua figura, posandosi fra le labbra, mentre una lingua scorre su di essa leccandone via il carminio liquido.
Dolce amaro, aspro…
Un gemito strozzato di dolore scuote, dopo un attimo di esitazione dettata dalla sorpresa e dallo spavento, la figura accasciata a terra.
Dibatte le gambe con le poche forze che le sono rimaste, tentando disperatamente di levarsi a sedere ma senza raggiungere alcun risultato se non di sprecare energie che in futuro le sarebbero potute risultare preziose.
Il collo si tende, con uno sforzo animato puramente dall’angoscia, un volto appare per un attimo in una chiazza di luce lunare che filtra dalla misera finestrella incassata in alto, sulla parete, vicino al soffitto dello squallido e lurido capanno: pallidamente cinereo, cosparso di liquido vermiglio non del tutto coagulato, tumefatto e violaceo in alcuni punti, come sotto l’occhio destro, dove fa bella mostra di sé uno spiacevole livido verdastro e gonfio, pulsante e doloroso.
Due enormi occhi di giaietto si spalancano per un attimo, le iridi si dilatano di colpo e di colpo si restringono per il passaggio dalla totale assenza di luce alla luminosità della luna, facendo gonfiare capillari rossastri e sanguigni che venano l’orbita dal bianco accecante, sulla quale si evidenziano chiazze vermiglie, piccoli versamenti che iniettano i due occhi.
Occhi che lasciano trasparire ansia e angoscia e riluciono di puro terrore.
La testa ricade con un tonfo sordo, attutito da uno spesso strato di polvere e ciuffi di lanugine di cui è coperto il pavimento, dal quale esala una fastidiosa puzza di olio e benzina.
Una massa di intricati e arruffati riccioli nero pece fluisce sinuosa sopra di essa, con un unico fluido movimento che ricorda lo scorrere dell’acqua si una cascata, e lascia scoperta una spalla ferita, dalla quale è scivolato via l’abito che ricopre appena il corpo della donna, stracciato, lacerato e scomposto.
Da esso spuntano due lunghe gambe, ora appena rannicchiate, flesse sulle ginocchia, coperte dalla miseria di stoffa si un paio di calze a rete nere.
“Ti prego…”
E’ rauca e gorgogliante la voce femminile che attraversa i vari strati di capelli e risuona appena nel silenzio opprimente del capanno.
Calda ma arrochita dal terrore, sibilante per la debolezza.
“Cosa vuoi da me?”
La figura silenziosa, nascosta ancora nell’ombra di un angolo avanza lentamente, sorniona, fino alla chiazza di luce e assesta un calcio violento nelle costole della preda.
“Da te nulla, lurida sgualdrinella. A che mai potresti servirmi? No, no…è lui che voglio!”
Un lampo di luce attraversa gli occhi della figura, una malizia equivoca esplode in essi; la porta alle sue spalle si spalanca.
“Tesoro!!”
L’unica voce maschile tra le tre erompe nel capanno con tale forza da far tremare il vetro dell’unica finestrella e la figura a terra tenta un movimento.
Rovescia di scatto la testa, stendendo un braccio con le ultime forze rimaste e il suo viso angosciato appare alla luce, alla vista dell’uomo ancora in piedi sulla soglia, ansante.
“Vattene! Vuole ucciderti!”
Grida con quanta energia ha rimasto in corpo e inspira profondamente, gemendo dal dolore, prima di sfiatare al penetrare nella carne del suo petto di un coltello.
Un banale coltello da cucina, anonimo nell’aspetto e nella marca, sconosciuta, che inchioda il corpo sanguinante della donna a terra, il viso stravolto riversato verso l’alto, il collo teso, e gli occhi sbarrati: è accasciata in modo scenico, tutt’altro che naturale.
Per la figura non è altro che un deja-vu.
“Cosa hai fatto…”
La voce maschile sussurra, sale di tono, in un lento crescendo, fino a gridare.
“Cosa le hai fatto!!”
“Sta tranquillo. Non l’ho certo stuprata se è questo che credi. Dio, che schifo di idea!”
la voce dell’assassina è divertita, come dev’essere la voce di ogni assassino dopo aver avuto la soddisfazione di veder morire la sua preda ai posteri di una lenta e dolorosa tortura.
“Ho fatto semplicemente quello che tu hai fatto a me.”
Si volta di scatto, ora c’è un’espressione rabbiosa nei suoi occhi.
“Ho frantumato il tuo cuore…”
Una lama fende l’aria fischiando, si conficca nel petto dell’uomo; barcolla, cade a terra, agonizza. “…come tu hai frantumato il mio!!”
Il grido che lacera l’aria rimbomba contro le pareti e il tetto di vecchia lamiera arrugginita del capanno, fa tremare pericolosamente il vetro della finestrella: oscilla, fugge dalla blanda presa degli infissi sconnessi e precipita rovinosamente verso il suolo, infrangendosi in mille taglienti schegge che schizzano con violenza quasi pari a quella della donna, come a volerla eguagliare, sostenere nel suo intento e creare la giusta atmosfera.
Gli occhi dell’uomo brillano di puro sconvolgimento, palpabile sorpresa, shock, ma non terrore.
Tiene la testa sollevata per un attimo, uno sforzo immane, per seguire la scena da film tragico, poi la lascia cadere sullo scalino di pietra sotto la vecchia porta deformata.
Lacrime.
Sul volto di lei scorrono lacrime.
“Perdonami…”
Un sussurro e un tonfo, un altro corpo caduto a terra, intenzionalmente, accanto a quello dell’uomo.
“Perdonami, perdonami! Perdonami per quello che ti ho fatto!”
L’assassina si accascia sul corpo dell’uomo abbracciandolo.
“Ti prego, perdona questa povera donna pazza!!”
Si porta le mani alle tempie, tirandosi i capelli in un gesto drammatico, poi si distende accanto alla figura maschile, seguendo con il corpo il profilo accidentato della superficie su cui egli si è accasciato: l’avvallamento del pavimento consumato ai piedi della porta, un piccolo rialzo con il quale la porta avrebbe dovuto combaciare senza arrivare a terra, un dislivello tra la porta e lo scalino di pietra, lo scalino sbeccato e rugoso e infine il suolo polveroso di ghiaetto e terra battuta, con quale raro ciottolo e ciuffi d’erba secca e schricchiante sparpagliati qua e là.
“Io ti volevo…volevo soltanto te…volevo che fossi solo mio…”
Si distende sopra il corpo del giovane uomo, ormai più morto che vivo, estrae il coltello dal duo petto.
“Io ti ho amato…ti ho amato tanto, e ti amo ancora…perdonami per quello che ho fatto e che sto per fare…è un peccato, è un torto verso te e la tua donna…”
Estrae dalla cintura un altro coltello, più sottile, affilato, rilucente, lungo…un vero e proprio pugnale.
Torce il braccio e lo alza sopra i due corpi avvinghiati di cui uno è il suo; piange, disperata, per l’inferno che di certo l’attenderà tra le viscere bollenti della terra una volta superati i campi elisi e la condanna alla suprema punizione: bruciare viva sulle fiamme per l’eternità.
Il braccio si abbassa di scatto.
“Addio!!”
E’ ad un centimetro dai due corpi congiunti, quando si ferma di scatto.
Uno sguardo.
E’ bastato uno sguardo.
“Bene…capisco che non sono io la donna che vuoi abbracciare dolcemente nel momento della tua morte…”.
Un corpo viene trascinato sul pavimento polveroso del capanno, lasciando una scia nella sporcizia che lo ricopre, fino a trovarsi accanto a quello della donna defunta.
“Ormai devo farlo…non potrebbero salvarti…soffrirai di meno…”
Due sguardi si incrociano: troppo tempo è passato dall’ultima volta che uno scambio così diretto e crudo di emozioni è avvenuto.
“Non temere…andrete entrambi in paradiso…ne sono certo…ho acceso una candela l’altra sera nella cappella per voi…”
Non si è mai visto un assassino pregare.
Ma si può vedere una donna inginocchiata su una panca, a capo chino, mormorare tristemente preghiere a mezza voce, senza sapere di trovarsi davanti una futura assassina.
Il pugnale trafigge lentamente, quasi con dolcezza, per quanto la ferita di un coltello possa essere dolce, la carne morbida e giovane dell’uomo, che rovescia gli occhi e senza un sussurro o una parola si accascia a terra morto, sul corpo della sua donna.
E’ sempre una donna che fugge dal capanno, in preda alla lacrime e ai tormenti, senza un ultimo sguardo all’immagine macabramente dolce e bella dei due amanti giacenti abbracciati nello stesso sangue.
Non c’è bisogno di parole, addii melensi, sguardi pentiti indietro e scene drammatiche.
Per porre fine basta accasciarsi sull’erba poco più in là, all’ombra di alcuni alberi e morire sulla lama torbida di un coltello senza una parola.
Si chiama affrontare il proprio destino…e quel che sarà sarà.

  
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