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Autore: IoNarrante    03/02/2013    4 recensioni
Terza classificata al contest TV Show addicted - quando i telefilm diventano una droga indetto da Lili91 e Deb.
Tommy è stato cacciato di casa dal padre ed ora si ritrova a vivere nella camera degli ospiti di casa Queen. Una notte dei rumori lo svegliano e il giovane Merlyn si ritrova davanti un Oliver scosso dai tremori della febbre.
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«Andiamo, ti porto a letto,» gli disse, passandosi un braccio muscoloso attorno alle spalle.
Si chiese da quando Oliver fosse diventato così atletico, ma poi il pensiero dell’isola gli balenò nella mente, sorprendendolo come un’epifania.
«Faccio da solo,» protestò Ollie, spingendolo delicatamente lontano da sé, ma barcollando di qualche passo e cercando il sostegno della parete per non cadere. «Torna a dormire, Thomas.»
Thomas. Nessuno utilizzava il suo nome completo, soltanto Mr. Merlyn.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Oliver Queen, Tommy Merlyn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Queen and King'
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Nick: IoNarrante
Titolo: Resta, finché non mi addormento
Fandom: Arrow
Genere: Angst, malinconico
Rating: Giallo
Pairing/personaggi: Tommy/Oliver (Toliver)
Prompt scelto: Bugia
Frase scelta: “Nulla è buono o sbagliato in sé, è il pensiero che lo rende tale”
Avvertimenti: è un po’ pre-slash, lo ammetto. Non ci si fa molto caso, ma devo ammettere che hanno una chimica non indifferente quei due e ci ho fatto un pensierino, sì, sì, anche se rimango fermamente una Tommy x Thea convinta. Ho voluto provare qualcosa di diverso. Soprattutto perché su twitter, questi due si shippano come si beve un bicchier d’acqua.
Nda: vorrei tanto possedere Tommy e Oliver, soprattutto Tommy, tanto, tanto, perché è un orsacchiotto cuccioloso, però i personaggi appartengono in primis alla DC-comics e in secundis a Greg. Li ho solo presi in prestito.
 
Resta, finché non mi addormento.
 
 
C’era qualcosa in quella casa che esercitava sempre una strana energia su di lui. Era come fare un profondo tuffo nel passato, una capriola all’indietro nel tempo, a quando c’erano meno pensieri e più azioni, un periodo in cui lui e Oliver erano liberi.
In cima a quella scala si sentiva pioniere del mondo e padrone del suo destino, anche se le cose erano andate in modo molto diverso da come aveva previsto. In alto, sull’ultimo gradino, si era arrestato.
Quella notte il sonno era stato inquieto. Si era rigirato più e più volte nel letto a due piazze nella camera degli ospiti di casa Queen.
Moira non aveva voluto sentir ragioni quando aveva saputo di Malcolm.
Già, suo padre. L’uomo che lo aveva messo al mondo, o almeno aveva contribuito, per chissà quale ragione aveva deciso bene di tagliargli i fondi. Si era accorto che suo figlio Thomas, a trent’anni ormai compiuti, non aveva mai camminato davvero con le sue gambe. Si era limitato a sperperare l’eredità dei Merlyn, a far scivolare il denaro come coriandoli nelle sue mani.
Ed ora Tommy si era ritrovato senza una casa e senza nemmeno un lavoro.
Chiedere aiuto ad Oliver sarebbe stata la soluzione più ovvia, ma da quando il giovane Queen era stato ripescato – nel vero senso della parola – dal naufragio della Queen’s Gambit, era come se il vecchio Jacob Marley[1] gli si fosse presentato la notte della vigilia di Natale.
Ora che finalmente si era aperto uno spiraglio con Laurel, adesso che la donna che aveva sempre amato forse lo amava a sua volta, senza che Oliver, grazie al suo successo, al suo bell’aspetto e a quel carattere intraprendente che Tommy da sempre gli invidiava, riuscisse a riconquistarla.
Fu per amore di Laurel che alla fine aveva ceduto.
Era andato dal suo migliore amico, gli aveva chiesto di poter lavorare per lui, di fare qualsiasi cosa gli permettesse di rimettersi in carreggiata, e Oliver aveva sorriso. Tommy aveva notato un alone di tristezza in fondo al blu dell’iride, ma non aveva voluto indagare.
Era come se da quando il figliol prodigo fosse tornato a casa, si fosse eretta una barriera di vetro nel mezzo della loro amicizia: potevano ancora vedersi l’un l’altro, attraverso la superficie, ma c’era come qualcosa che impediva loro di avvicinarsi.
In cima a quella scala, Tommy era rimasto fermo a fissare il suo migliore amico appena rientrato da una notte passata chissà dove. Aveva sbattuto la porta dell’ingresso ed ora si appoggiava malamente al battente quasi come fosse ubriaco.
L’istinto gli suggeriva di soccorrerlo, di domandargli dove fosse stato fino alle due di quel mercoledì mattina, ma tutti i suoi muscoli erano come pietrificati mentre osservava Oliver Queen, uno dei più giovani miliardari di Starling City, tenersi in piedi a fatica nel centro dell’ingresso.
Non era la prima volta che rientrava a casa in quelle condizioni, anzi, che rientravano. Tommy ricordava perfettamente tutte le loro bravate, come se le avesse annotate sulla punta delle dita, ma erano memorie appartenenti a due ragazzi di tanto tempo fa.
Erano passati cinque lunghi anni da quei giorni, erano cresciuti, ormai. O, almeno, Oliver lo era stato fino a qualche secondo prima.
«A-Ac-Acqua…?» balbettò a fatica il suo migliore amico, posando una mano sul tavolinetto dell’ingresso e facendo rovesciare il vaso che conteneva delle giunchiglie.
Dentro Tommy, qualcosa finalmente scattò e fu allora che si decise a scendere la scalinata, rischiando quasi di inciampare nella vestaglia di seta, e afferrare saldamente Oliver prima che potesse far crollare mezzo arredamento di casa Queen.
Il suo migliore amico lo guardò intensamente, perplesso. «C-Cosa?» farfugliò.
Thomas non avvertì nessun tanfo di alcool fuoriuscire dalle labbra screpolate di Ollie, anzi, doveva ammettere che l’alito di Malcolm alle dieci del mattino era sicuramente peggiore di quello. Così si preoccupò ancora di più di trovarlo in quello stato.
Niente alcool, allora dov’è stato fino a quest’ora tarda?
«Andiamo, ti porto a letto,» gli disse, passandosi un braccio muscoloso attorno alle spalle.
Si chiese da quando Oliver fosse diventato così atletico, ma poi il pensiero dell’isola gli balenò nella mente, sorprendendolo come un’epifania.
«Faccio da solo,» protestò Ollie, spingendolo delicatamente lontano da sé, ma barcollando di qualche passo e cercando il sostegno della parete per non cadere. «Torna a dormire, Thomas.»
Thomas. Nessuno utilizzava il suo nome completo, soltanto Mr. Merlyn.
Oliver lo chiamava in quel modo, soltanto quando aveva intenzione di farlo incazzare sul serio, ma quello non era né il momento né il luogo adatto per cominciare ad inveirgli contro. Evidentemente non era in sé, Tommy avrebbe dovuto essere paziente.
«Si può sapere cosa hai fatto?» gli domandò preoccupato. «Dove sei stato? Perché continui a evitare tutti in questo modo?»
Gli occhi di Oliver divennero, se possibile, ancora più grandi con la luce di una timida falce di luna che filtrava dal portone ancora aperto. Tommy si accorse di quanto fossero dilatati e arrossati.
«Torna a dormire,» gli ripeté con fermezza.
Ma il giovane Merlyn era testardo. In quei cinque lunghi anni di assenza, aveva imparato a battere il ferro finché era ancora caldo e Oliver sembrava scottare.
Ollie mosse qualche passo per allontanarsi da lui, ma la testa gli girava e dovette subito fermarsi. Tommy gli fu subito al fianco e fissandolo dritto negli occhi gli afferrò un braccio. «Se non vuoi dirmi cos’è successo, almeno lasciati accompagnare nella tua stanza. Ti reggi in piedi a mala pena!» gli fece notare.
L’altro annuì e Tommy si diresse verso la camera dell’amico situata al pian terreno. Spalancò la porta e si avvicinò barcollando al grande letto. Non era abituato a tutto quell’esercizio fisico, il suo massimo era una ventina di minuti sul tapis roulant nella sala pesi di casa sua.
Adesso non faceva più nemmeno quelli, da quando era stato bandito.
Adagiò Oliver sulla trapunta damascata, accorgendosi in ultimo di quanto bollente fosse la sua pelle.
Ha la febbre alta.
Si chiese se fosse il caso di svegliare Moira o Walter, almeno per domandare loro dove fossero i medicinali.
Un lungo lamento interruppe i suoi pensieri. Ollie lo stava fissando e notò come il suo ampio petto si alzava freneticamente. Vi posò timidamente una mano, sentendo la durezza dei pettorali sfiorargli il palmo, e avvertì il cuore del suo migliore amico battere forte.
«Ollie, che diavolo ti è successo…?» domandò, più a se stesso che all’altro ragazzo, visto che non aveva intenzione di rispondergli, almeno per il momento.
Era sciocco da chiedere, ma lì per lì si era trovato sguarnito, esposto, come se il dolore di vederlo ridotto in quello stato pietoso lo distruggesse. Spesso si rifugiava dietro a battute sarcastiche, ad un sorriso beffardo, a qualsiasi cosa gli permettesse di sfuggire alla realtà.
Fu allora che Oliver abbozzò un sorriso. «I-Il bagno…» soffiò impercettibilmente. «L’a-armadietto delle me-medicine,» concluse.
In uno scatto quasi sovrumano, Tommy si diresse verso la toilette attigua alla stanza, tornando con tutto ciò che aveva trovato all’interno dell’armadietto. Ad una prima occhiata, notò degli antinfiammatori, delle pasticche contro il dolore, perfino una scatola di antidepressivi, ma ciò che lo sconvolse maggiormente fu il trovare un flaconcino di sonniferi quasi vuoto.
Da quando Oliver non riusciva a dormire?
Ricordava perfettamente quando ancora andavano a scuola e spesso passavano la notte l’uno a casa dell’altro. Ci volevano le cannonate per riuscire a svegliare Oliver Queen e lui lo aveva sempre preso in giro per questo.
Adesso prendeva addirittura dei sonniferi per riuscire a conciliare il sonno. Cosa diavolo gli era successo su quell’isola?
Lian Yu. Purgatorio. Così l’avevano chiamata i telegiornali.
Tommy, a sentire quel nome nella sua testa, rabbrividì. Era più che sicuro, che se le parti si fossero invertite e fosse stato lui a naufragare su quella terra dimenticata da Dio, nessuno lo avrebbe più trovato. Non era mai stato abbastanza forte da sopravvivere, non aveva mai avuto la determinazione di Oliver.
Posò la cesta con le medicine sulla sponda del letto, poi aiutò il suo migliore amico a mettersi seduto, sistemandogli dei cuscini dietro la schiena. Lo vide fare una smorfia di dolore e tenersi malamente un fianco.
Sfiorò appositamente quella porzione di pelle ed Oliver grugnì di dolore.
«Che hai fatto qui?» gli chiese, ancor più preoccupato.
Ollie minimizzò, come suo solito. «È solo un livido. Sono caduto giocando a badminton con Walter l’altro giorno.»
Tommy avvertì come un muro erigersi tra di loro e pensò che quella famosa lastra di vetro che ormai li divideva riuscisse a far scivolare sulla propria superficie un’ingente quantità di menzogne.
Ognuno ha i propri segreti, si disse. Anche lui ne aveva avuti per Oliver.
Bugie, bugie, e soltanto bugie. Ormai in quella città governata unicamente da chi aveva il potere e i soldi per comprarselo, vigeva soltanto una regola: mentire.
Oliver, da quando era tornato, non aveva fatto altro. Tommy lo aveva visto mentire a Walter, a Moira, persino alla piccola Thea. Ed ora lo stava facendo con lui.
Fece rotolare sul palmo della mano due pastiglie e gliele porse. «Prendi queste, ti abbasseranno la febbre.»
L’altro le afferrò e se le fece scivolare in gola senza nemmeno un sorso d’acqua. Quante cose erano cambiate dall’ultima volta che lo aveva visto.
«Vado a prendere una bacinella e delle pezzuole.» gli comunicò. «Intanto spogliati, così ti metti sotto le coperte calde.»
Tommy si sentì un po’ mamma chioccia in quel frangente, ma poco gli importava. Per una volta riusciva a sentirsi utile per qualcun altro che non fosse se stesso. Se l’avesse visto suo padre, magari per una volta in tutta la sua vita sarebbe stato fiero di lui.
Sparì nella cucina e tornò subito dopo con tutto l’occorrente.
Al suo rientro, di certo non si aspettava di trovarsi Oliver ancora intento a spogliarsi con una certa difficoltà. Gli fu subito accanto e afferrò i bordi della maglia nera, aiutandolo a sfilarla dalla testa.
Quello che vide, però, lo colpì al cuore come una stilettata.
Della pelle chiara e glabra dell’Oliver adolescente, non era rimasto quasi più nulla, se non una mappa irregolare di infinite cicatrici. In alcuni punti, Tommy notò che le ferite avevano reciso gran parte della muscolatura, creando degli avvallamenti e dei solchi che gli deturpavano il fisico.
Ollie lo stava fissando.
Cercò di distogliere lo sguardo, ci provò davvero, ma il dolore di vederlo così ridotto lo sopraffece, facendolo sprofondare seduto ad un angolo del letto. L’Oliver Queen che ricordava, ormai non c’era più. Era sempre stato il fratello che non aveva mai avuto, l’ancora a cui aggrapparsi quando suo padre gli ricordava i suoi fallimenti, la sua esatta metà, quell’anima gemella che invano cercava nelle ragazze che si portava a letto.
Adesso, non sapeva nemmeno chi avesse di fronte.
«Mi sento un po’ meglio,» disse Oliver, smorzando quel silenzio indotto dall’imbarazzo.
Tommy sorrise, o almeno ci provò. «Le medicine stanno facendo effetto.»
Si ricordò in ultimo della bacinella con l’acqua fresca, così imbevve una pezzuola e la passò gentilmente ad Oliver.
«Abbasserà la febbre.»
Ollie si sistemò meglio contro la testata del letto e si posò la pezza sulla fronte, sospirando di sollievo. Lo sguardo di Tommy, però, vagava ancora lungo tutto il petto del suo migliore amico. Ad una prima occhiata, solo sul davanti, era riuscito a contarne circa dieci di cicatrici. Le più grandi, visibili solo con il chiarore della luna.
Tentò di parlare, davvero. Dischiuse le labbra, ma non vi uscì nulla se non uno sbuffo di fiato.
«Non avresti dovuto vederle,» commentò Oliver, tenendo ferma la pezzuola sulla fronte.
Tante volte Tommy aveva tentato di immaginare cosa avesse passato in quei cinque anni sperduto sull’isola, ma la sua mente non era mai giunta a tutto quello.
«M-Mi dispiace…» disse, senza sapere cos’altro aggiungere.
Oliver, infatti, sorrise. Lo fece genuinamente, senza alcuna malizia in quel gesto. Era soltanto una reazione umana all’espressione stordita che Tommy aveva in volto.
«Hai una faccia…» ironizzò. «Sembra tu abbia visto il Vigilante!» aggiunse, dandogli un calcetto giocoso.
Già, l’uomo incappucciato. L’eroe che terrorizzava l’élite di Starling City con le sue frecce e il suo arco e che aveva salvato, in circostanze misteriose, Oliver e Tommy da quei terroristi mascherati.
«Tanto, prima o poi, verrà a farmi visita…» mormorò, stirando un sorriso. Anche se gli affari di famiglia erano stati sempre snobbati da Tommy, sapeva che suo padre non era certo uno stinco di santo e magari sarebbe rientrato nelle mire del Vigilante.
Magari un po’ ci sperava, anche.
Oliver si fece improvvisamente serio. Scese il silenzio nella stanza e a Tommy parve di sentire la vecchia casa respirare.
Thomas immerse un altro pezzo di stoffa e lo cambiò con quello ormai asciutto sulla fronte del suo migliore amico.
«Pensi che sia sbagliato ciò che fa?» gli domandò di punto in bianco.
Tommy gli lanciò uno sguardo perplesso. «Il Vigilante, dici?» E l’amico annuì.
Si ritrovò a pensare per la prima volta a quell’uomo dal volto mascherato. Sarebbe stato un supereroe ai suoi giovani occhi, se non avesse attentato alla vita delle famiglie più ricche della città.
Ruba ai ricchi per dare ai poveri.
«Credo che ci sia qualcosa di giusto che muove le sue azioni,» ragionò. «Quello che fa ha un senso, anche se è una sorta di nemico per noi dell’alta società. Magari non tutti condividono il suo metodo, ma in fondo credo che questa città avesse bisogno da tempo di uno del genere.»
Oliver lo ascoltò assorto per tutto il tempo, senza aggiungere nulla.
«Quindi, non pensi che sia sbagliato, che sia una specie di terrorista come dice Lance,» gli suggerì.
Tommy sospirò e gli sorrise. «Sai, mia madre diceva sempre che nulla è buono o sbagliato in sé, è solo il pensiero che lo rende tale.» Poi fece una pausa. «Se i potenti di Starling City penseranno che quest’uomo in calzamaglia sia il nemico pubblico numero uno, tutta la città lo crederà. Ma se qualcuno, seppure in minima parte, crederà che in lui c’è del buono, allora si mescoleranno le carte in tavola.»
Non era da lui affrontare un discorso così serio. Si era sempre reputato un ragazzo frivolo, un burlone superficiale, ma da qualche tempo era come se stesse cambiando.
«E secondo te, io come sono? Buono o cattivo?» gli chiese, forse in prenda ai deliri della febbre.
Tommy storse il naso. Quella domanda lo aveva completamente spiazzato. «La fata turchina direbbe che sei un bambino cattivo, viste le bugie che continui a raccontare in giro,» ridacchiò, sdrammatizzando.
Anche Ollie sorrise, fissandolo con quegli occhi che parvero inghiottirlo.
Si era domandato spesso, da quando Oliver era tornato, quanto di quello che aveva raccontato a tutti corrispondesse alla verità.
Meno della metà. O magari tutto a giudicare da quelle cicatrici.
«Forse hai ragione, Thomas,» soffiò. «Sono stanco di tutte queste bugie, di fare del male alle persone che amo. A mia madre, a Thea, a Walter… a te.»
Thomas, di nuovo.
«Non mi chiami più così dal giorno in cui ci siamo incontrati per la prima volta, ventotto anni fa.» gli ricordò, sorridendo.
Ollie lo guardò sorpreso, gli occhi lucidi di febbre e allargati. L’iride che inghiottiva quasi totalmente la pupilla.
«Siamo già così vecchi?» ironizzò l’altro, facendo ridere Tommy.
«Ora riposati, che sei stanco. Sappi che in futuro ti racconterò di questa notte e ti sentirai molto stupido,» lo avvertì, ironico.
Si alzò dal letto a fatica, a causa delle gambe intorpidite, poi fece per andarsene. «Buonanotte, Oliver.» Ma l’altro ragazzo lo afferrò saldamente per la manica della vestaglia.
«Resta, ti prego,» gli chiese.
Tommy s’imbarazzò d’improvviso, anche perché con Oliver rimaneva sempre più spiazzato. Era impulsivo, questo lo sapeva da sempre, ma ogni volta riusciva a sorprenderlo.
«Non penso riusciresti a dormire bene, il letto è piccolo e noi siamo grandi ormai,» gli spiegò tranquillo.
Ollie ci pensò un po’ su, ragionando sulle sue parole, poi un lampo di malizia gli attraversò quel poco d’azzurro che rimaneva nei suoi occhi febbricitanti. «Resta, finché non mi addormento,» gli chiese.
E Tommy non poté dire di no. Davvero, non ci riuscì.
 
The end.
 
 
 
Note:
[1] Jacob Marley = il fantasma del socio di Ebenezer Scrooge (A Christmas Carol – C. Dickens).



Premetto che ho scritto questa OS ottocento anni fa, per cui abbiate pietà se non rispecchia appieno le ultime puntate di Arrow uscite. Considero Oliver e Tommy due metà della stessa mela, si completano a vicenda e per me sono perfetti l'uno per l'altro. Inoltre, Stephen e Colin (gli attori) mi fanno morire su twitter e amo loro, come tutto il cast di Arrow :3
Aggiungo una nota, dicendo che questa OS partecipa(va) al contest TV shows addicted - quando i telefilm diventano una droga e ha avuto l' ''onore'' di classificarsi terza, vincendo anche il premio come "miglior sviluppo della trama'' :3
Ringrazio le giudiciE Lili91 e Deb per il loro giudizio, grazie davvero. Non mi aspettavo tutto questo successo, soprattutto per un personaggio secondario come Tommy, che per me ha un ENORME (potenziale) valore.... :3

Se mi lasciate un mini-commentino ne sarei felicerrima! :3
accie!
Marty
 
   
 
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