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Autore: Rozen Kokoro    09/02/2013    3 recensioni
"[...]Ma improvvisamente abbassò lo sguardo e un libro spiccò davanti ai suoi occhi; aveva la copertina grigia, semplice, nessuno l’avrebbe notato.
Paul si piegò per prenderlo e quando lesse l’autore sentì mancargli un battito. Lucinda Lefevre. Il libro si intitolava “C’était Novembre”.
Preso da un istinto improvviso lo aprì e rimase sconvolto quando lesse una dedica.
Merci de faire ma vie plus belle.
Merci, Paul.
[...]"
(Parigi, 1921)
[Paul/Lucinda - AU - Introspettiva]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucinda, Paul
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Salve! Questa volta faccio pure la pefazione, t'oh. Questa storia è stata concepita verso le 2 e 45 di notte, mentre stavo riflettendo su questi due. Volevo umanizzarli ancora di più, mettendoli in una AU decisamente più seria delle mie precedenti. Ho pensato a Parigi e agli anni '20, alla scrittura e all'amore. Questa volta ho deciso di rendere Paul più profondo(devo renderlo più umano, per Zeus!(?)) e mostrare un suo lato moolto nascosto. Ringrazio la mia dolceamatissimapucciosa Cognatuzza per aver betato la storia. Ti sarò sempre grata♥ Come farei senza di teeeh! Vi lascio alla storia. Un consiglio: mentre la leggete, bevetevi un tè; così, per entrare nell'atmosfera. Ja ne!




It was November

 

Successe su per giù verso Novembre, se ne ricordava bene perché quel giorno aveva comprato la sua prima macchina da scrivere e aveva deciso di appuntarsi tutto quello che le accadeva. Conservava ancora quei fogli consumati nel suo cassetto e ogni tanto li leggeva a notte fonda. Adorava l’inizio, come aveva descritto il paesaggio che la circondava.
 
“Osservo come il cielo appare cupo ai miei occhi e le nuvole non lasciano filtrare un singolo raggio di luce. Sembra tutto ciò che mi circonda sia colorato di grigio, come se tutto fosse morto. Ogni tanto sento delle piccole goccioline bagnarmi il naso arrossato e sospiro, pensando di non avere un posto dove riparami; soffio alito caldo sulle mie mani nude, tentando di scaldarle quanto basta per non sentire più fitte doloranti.
Fa davvero freddo e mi meraviglio del fatto che ancora non nevichi,  viste le temperature raggiunte negli ultimi giorni. Vago senza meta, quando improvvisamente vedo un piccolo bar nascosto in un vicolo, dall’aria calda e accogliente. Mi stringo nel giubbotto caldo e mi avvicino al locale…”
 
Era veramente piccolo come sembrava, ma la cosa non la preoccupò molto: adorava i posti accoglienti e gli spazi chiusi; le piaceva rintanarsi lì per fantasticare e creare nuove storie, personaggi, avventure. L’interno era di color rosso scuro, in contrasto con il paesaggio fuori; c’erano quattro tavolini, tutti molto antichi e sfarzosi e di marmo bianco. Il bancone invece era di marmo nero e sopra di esso erano poggiate innumerevoli bottiglie di Rum, Vodka e liquori.
Il barista si alzò da dietro il bancone appena udì il suono del campanellino, sistemandosi la camicia con fare imbarazzato. “B-benvenuta!”. Era un giovane molto alto, con capelli disordinati e color nocciola, come la sua pelle; aveva degli occhi taglienti, profondi e neri, sembravano scrutare tutto ciò che lo circondava.
Lucinda sorrise, constatando che era l’unica persona lì dentro insieme a lei. Si accomodò su un tavolino, poggiando la pesante borsa che teneva a stento con le mani. Il barista la guardò con curiosità, inarcando le sopracciglia, ma ormai era abituato a vedere gente strana; sembrava come se quel locale li attirasse. “Ordina qualcosa?” Domandò con tono dolce e allegro.
La giovane distolse lo sguardo e guardò dritto negli occhi il cameriere, balbettando leggermente.  “U-un tè alla vaniglia, grazie.”
 Le piaceva l’odore della vaniglia, perché riusciva a rilassarla. Molte cose la rilassavano, come ad esempio i gatti, le coperte, il suono del pianoforte e fantasticare. Oh, quante volte le hanno detto di non stare con la testa fra le nuvole! Si ricordava come a scuola invece di ascoltare la lezione guardava fuori dalla finestra e si immaginava lì a volare nel cielo. Le sarebbe piaciuto creare una storia nella quale lei sarebbe stata la protagonista, ma non riusciva mai a concluderla; una svolta che avrebbe potuto cambiare la sua vita, un’emozione, nulla le veniva in mente. Forse perché riguardava la sua vita, chi lo sa? Fatto sta che, quel giorno, si sarebbe impegnata per darsi una risposta e lo avrebbe fatto proprio lì, seduta su quel tavolino e davanti a quella macchina da scrivere.
Il contenuto della borsa infatti era proprio quello: era emozionata all’idea di poterla finalmente usare e coronane il suo sogno di diventare scrittrice. Si morse il labbro inferiore, infilando con accuratezza i fogli nella macchina. Ringraziò il ragazzo quando le portò il tè, sentendo man mano le narici inebriarsi di quell’aroma paradisiaco.
Il tempo passava e le mani scorrevano alla ricerca di lettere, parole, e ne aveva formulate così tante che aveva già finito un foglio. Osservò il suo lavoro con fare fiero ed entusiasta, poggiandolo a destra della macchina da scrivere.
Finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva rilassata, come se non esistesse niente al mondo a parte lei e le sue parole. Era tutto così perfetto, così… surreale.
 
“E’ un attimo e i miei occhi si alzano dalla macchina, osservando la porta del locale. Il rumore del campanello rimbomba nella mia mente  e inarco le sopracciglia, osservando la persona che sta per entrare.
Un momento, un singolo istante che rimarrà sempre impresso nella mia vita: è un ragazzo. Oh, ma non come tutti gli altri, no. Ha i capelli lilla scuro, lunghi e leggermente umidi, intuisco che fuori sta piovendo; indossa un impermeabile lungo e blu, che lascia scoperti solo i suoi mocassini lucidi e sporchi di fango. Non riesco a vederlo in volto, non girandosi ancora nella mia direzione.
‘Ah, qual buon vento, Paul!’ Lo salutò entusiasta il barista.
 Paul… la mia curiosità si fa sempre più forte e non riesco a trattenermi dall’allungare leggermente il collo per osservarlo meglio. Lui lo saluta con la mano, poggiandola poi sul bancone.
‘Il solito?’ gli domanda il ragazzo.
 Paul annuì.
‘Sei taciturno oggi… anzi, come sempre!’ Ride. ‘Siediti, te lo preparo subito.’
Paul si gira nella mia direzione, e pare sobbalzare appena. Lo vedo il volto, e il mio cuore perde un battito. I suoi occhi sono neri, ma non come quelli del cameriere, no, sono neri come la notte, come l’oscurità; sono più profondi, più...misteriosi. Faccio caso soltanto in un secondo momento alle sopracciglia folte e leggermente incurvate e alle labbra carnose di un rosa pallido. Sembra in un primo istante osservarmi, poi posa il suo bellissimo sguardo sulla mia macchina da scrivere, come se fosse più importante di me.
Sospiro e continuo ciò che stavo facendo prima, amareggiata da quella reazione. Eppure in quell’istante mi sono sentita come la persona più importante del mondo, come se fossi speciale perché mi aveva guardato. Che illusa.
‘Per te che cos’è la scrittura?’ Un’ombra oscura la mia visuale, e sento una voce profonda rimbombarmi nelle orecchie. Sembrava una melodia bassa, profonda; una melodia che poteva rilassarmi come mai ci era riuscita nessuna…”
 
Paul si trovava proprio davanti a lei, la osservava con uno sguardo cupo e scrutava i suoi occhi blu oltremare. Sentire la sua voce l’aveva rilassata, tant’è che arrossì di piacere, sorridendo per pochi secondi; ma alla domanda che le aveva fatto non riusciva a dare risposta. Forse per il modo diretto in cui le era stata chiesta, forse perché non bastavano pochi secondi per trovare le parole adatte. Aprì la bocca, ma balbettò leggermente.
“Per… per me scrivere…” non voleva fare brutta figura con lui, avrebbe preferito decisamente sotterrarsi a terra o uscire da quel bar e bagnarsi dal capo ai piedi. “Per me scrivere è creare e riportare tutto su foglio.” Lo disse in un sospiro, come se stesse riprendendo fiato. Infatti lo aveva trattenuto per così a lungo che il suo volto era diventato scarlatto.
Tuttavia, non fece in tempo a respirare che Paul si incupì ancora di più, facendola indietreggiare. I suoi occhi la osservavano con disgusto, come se avesse bestemmiato o peggio; come avrebbe voluto non incontrarlo, pensò in quell’istante.
“Cosa credi, che scrivere sia come fare giornalismo? Riportare e basta?” Paul inarcò le sopracciglia.
Lucinda deglutì, osservandolo togliersi l’impermeabile e poggiarlo sulla spalliera della sedia; lo fece con così tanta disinvoltura che non poté fare a meno di arrossire. Si sedette davanti a lei, poggiando in mento sulla mano sinistra; rimasero per un po’ in silenzio. Dal canto suo Lucinda era leggermente indietreggiata e si era portata le mani ad altezza petto, stringendosi come per proteggersi.
 “Beh? Non hai niente da dire?” Il tono del ragazzo era sarcastico. Un lampo illuminò la stanza.
 Lucinda si morse le labbra, riflettendo sulla brutta figura che aveva appena fatto. E pensare che quel giorno sarebbe dovuto essere un giorno di svolte! Aveva davanti a sé uno dei più bei ragazzi che aveva mai visto, e aveva fatto la figura della completa idiota.
Sospirò, passandosi la mano fra i capelli disordinati. “Beh, se tu sai così tanto, perché non mi esponi il tuo parere?” e gli sorrise, essendo riuscita a prendere il coraggio che le mancava pochi istanti prima.
Lo vide rilassarsi, anzi assumere quasi un atteggiamento beffardo nei suoi confronti. “Per me scrivere non è solo creare e riportare, ma anche immedesimarsi nella storia, nelle emozioni di un personaggio. Diventare lui.” Pensava di ricevere una risposta articolata, lunga, profonda. No, quelle poche parole racchiudevano tutta una filosofia, un’essenza che Lucinda ancora non aveva compreso e capì soltanto in quell’istante.
Schiuse leggermente le labbra, osservandolo chinarsi su di lei per sorridere beffardamente.
“Sono uno scrittore, so di queste cose, fidati.” Disse con un tono malizioso.
Lucinda era sicura di aver sentito un brivido lungo la schiena, e non sapeva neanche perché. Forse perché non aveva mai conosciuto un ragazzo che sapeva scrivere; era sempre stato il suo sogno incontrarne uno.
D’istinto, allungò la sua mano verso il ragazzo, arrossendo. “Piacere, sono Lucinda Lefevre. E’ la prima volta che provo a scrivere.” Il ragazzo gliela strinse leggermente; le sue mani erano calde e grandi, le davano un senso di protezione.
“Si vede che è la tua prima volta. Sono quasi sicuro che tu sei una di quelle che ha passato il resto della sua vita a fantasticare guardando le nuvole e ora sta provando a mettere una sua storia, anzi la sua storia per iscritto.”
“Come… come fai a saperlo?” Domandò Lucinda scioccata.
“Non lo so, dal primo istante che ti ho vista l’ho pensato.” Disse con noncuranza Paul. Quel ragazzo aveva una particolarità e lui lo sapeva bene; soltanto che non ne parlava molto, preferiva evitare il discorso. Ogni volta che osservava una persona, riusciva a capire il suo carattere e le sue particolarità; grazie a questa dote era riuscito a diventare un grande scrittore.
Ogni singolo istante che passava rese Lucinda ancora più ammaliata da lui. Avrebbe voluto poter entrare nella sua mente e scoprire tutti i suoi pensieri, la sua storia, i suoi più profondi segreti. Quel giovane le sembrava un libro da poter leggere, assaporare appieno; peccato che sembrava chiuso con un lucchetto e trovarne la chiave non sarebbe stato così facile.
Si sistemò il colletto della camicia giallastra e abbassò lo sguardo, sentendosi leggermente in imbarazzo di fronte a lui. Oh, come avrebbe voluto poter leggere un suo libro! “E… e cosa scrivi?” Domandò titubante.
Paul rise. “Potrei scriverci un altro libro sugli argomenti che tratto di solito.”
In quel momento arrivò il cameriere, portando una tazza fumante al ragazzo, che lo ringraziò. Le narici di Lucinda percepirono un odore familiare e lei sentì il suo corpo pervaso da un calore quasi rigenerante.
Paul notò che si era tranquillizzata e osservò la tazza. “E’ tè alla vaniglia, lo prendo ogni volta che ho bisogno di ispirazione. Che ti devo dire, mi rilassa.”
Lucinda osservò come le sue labbra si poggiavano perfettamente sul bordo della tazza e si ritiravano bagnate di quel nettare divino caldo e dolce che lei aveva sempre amato. Abbassò lo sguardo verso il suo tè ormai non più fumante, sospirando per averlo lasciato freddare troppo a lungo; avrebbe voluto anche lei provare quella sensazione calda che le attraversava il torace, voleva anche lei sentire quel sapore dolce che Paul aveva sulle sue labbra.
Eppure non era amore quello che provava nei confronti di Paul. Era ammirazione, pura adorazione che poteva osservare da lontano; era così perfetto che non l’avrebbe mai vista in quel modo. Lucinda era una ragazza semplice, proveniente da una famiglia benestante e mediocremente famosa nella Parigi di allora; partecipava spesso a feste e incontri noiosissimi ed era costretta ad indossare abiti molto sfarzosi ed eleganti.
Ma all’età di sedici anni era scappata di casa, andandosi a rifugiare in un ritrovo d’artisti nel centro di Parigi. Lì aveva cominciato ad amare l’arte e a pensare riguardo il suo futuro. Dinnanzi a lei non vi era più la vita caotica della nobiltà; in quell’istante vedeva solo il suo sogno: scrivere.
Era una ragazza semplice, sì, ma aveva una bellezza quasi delicata, come se fosse una bambola di porcellana. I capelli erano sempre raccolti in una coda alta, erano lucenti e lunghi, color oceano; erano sempre ornati di piccole orchidee o di fiocchi color panna. La pelle era lattea, in contrasto con le sue labbra rosse e carnose; aveva poche lentiggini. Vestiva sempre in modo molto lineare, indossando delle camice di seta bianca o azzurra e gonne che sfioravano appena le caviglie, e adorava le sciarpe grandi e le scarpe comode.
Istintivamente si spostò una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla guancia; i suoi modi gentili ed educati non erano comunque cambiati nel corso degli anni. “Anche io amo la vaniglia.”
“Me ne sono accorto.” Disse facendo cenno alla tazza.
“Sei un grande osservatore, tu.”
Paul ghignò, bevendo un altro sorso. “Gli osservatori li odio. Non fanno altro che guardare la vita degli altri e poi, quando si tratta della loro, fuggono perché non sanno affrontarla. Io non sono un osservatore, no, diciamo che mi saltano all’occhio alcuni particolari che gli altri non notano.”
“E non pensi sia una dote?”
“Avere una dote è quando si è fieri di questa.” Aveva sempre la risposta pronta, in ogni occasione, e Lucinda se ne meravigliò a tal punto che per pochi minuti rimase in silenzio, ad osservare la pioggia.
Ma la curiosità la divorava, sentiva dentro di sé una forza talmente devastante che dovette pronunciare quelle fatidiche parole a stento, con un sospiro. “Nei tuoi libri hai mai parlato d’amore?”
Paul sobbalzò leggermente, inarcando le sopracciglia. Osservava le gote della ragazza farsi man mano sempre più rosse e d’istinto volle sorriderle, ma si trattenne. Così si morse le labbra, chiudendo gli occhi.
“Nessuno mi ha mai domandato una cosa del genere.” Si passò la mano fra le folte ciocche viola, storcendo la bocca. Era leggermente a disagio e lo sapeva bene: avrebbe confessato ad una sconosciuta i suoi più profondi pensieri e si sarebbe denudato del suo orgoglio. “Una volta, scrissi qualcosa al riguardo. Nulla di che, tutte stupidaggini…”
“A me interessano.” Rispose seccamente Lucinda, stringendosi le spalle. Cosa si può rispondere ad una affermazione del genere?
Ormai, messo con le spalle al muro, si decise a parlarle; si sporse verso di lei, cercando di non far udire il discorso al suo amico. “Lo scrissi su un foglio scarabocchiato, essendo l’unica cosa che avevo a disposizione in quel momento. “ Sussurrò. “Sai, quando ho l’ispirazione non posso aspettare: devo scrivere e basta. Insomma, presi quel foglio e cominciai a scrivere. Stavo riflettendo su una cosa che notai quel giorno: due ragazzi intenti a baciarsi. Era un bacio passionale, me lo ricordo bene; lei era bella, lui era bello, tutto ciò che li circondava sembrava bello. Allora pensai ‘Ciò significa che l’amore è bello?’. Riflettici anche tu: trovi bello quell’istante in cui incroci gli occhi del tuo amante, oppure quando sfiori le sue labbra?” Lucinda arrossì. “Visto? Avevo ragione. Quindi tu pensi che l’amore sia bello?”
“Sì…” Disse timidamente, non sapendo dare altra risposta.
“E invece ti sbagli! L’amore è bello fuori, ma dentro non lo è. L’amore è la pioggia, il vento, le tempeste; tu sei una montagna. A mano a mano, col passare del tempo, se ne va via un piccolo pezzo, anno dopo anno vieni consumato senza poterti opporre. L’amore ci prende, senza il nostro volere: poi opporti quanto vuoi, anche gli animi più duri e inaccessibili presto o tardi vengono contagiati da questa furia distruttrice.” Strinse le labbra, come se una fitta di dolore lo avesse colpito in pieno petto. “Per questo odio l’amore. E’ un amico dispotico che ti impone il suo volere; puoi scappare quanto vuoi, ma lui ti cercherà e ti prenderà. E tu ne sarai felice! Perché ormai noi siamo dipendenti dall’amore! L’uomo non può vivere senza l’amore, e se ne manca, soffre ancora di più. E’ questo quello che penso: mai più gioia è stata gradita quanto temuta. Lucinda, è questo il mio consiglio: puoi amare quanto vuoi, essere felice e gioire; ma sappi sempre che un pezzo di te se ne andrà; ogni volta che usufruirai di questo privilegio, ti sarà tolto qualcosa. Non si può avere nulla gratis, giusto?”
 
“Sento mancarmi il fiato. Lo guardo con occhi spalancati e pieni di lacrime, e sento quasi la sensazione di sporgermi verso di lui per baciarlo. È perfetto, tutto di lui è perfetto: i suoi occhi, i suoi pensieri, il suo sorriso.
Impazzisco, stringo la mano contro il mio petto e respiro velocemente: mi ha detto di fuggire dall’amore, ma le sue parole me l’hanno fatto cercare con più desiderio di prima. Ormai ho capito: non provo per lui ammirazione, no, è qualcosa di più forte. E’ quel sentimento che lui tanto odia ma che io ormai sto amando più di me stessa.
Gli sorrido, stringendomi come per darmi forza: mi sento la persona più felice del mondo.”
 
Paul si voltò verso la finestra, notando un raggio di luce illuminare la stanzetta. Era talmente in imbarazzo, che la trovò una scusa per andarsene finalmente di lì; però nel suo profondo non voleva lasciare quella ragazza, sapeva che non l’avrebbe mai più vista.
A malincuore si alzò, strusciando la sedia rumorosamente. “Beh, ha smesso di piovere, direi di rimetterci in cammino.” Fece per indossare l’impermeabile, ma la ragazza si alzò di scatto, con le lacrime agli occhi. Paul sentì qualcosa colpirgli in pieno petto; erano quegli oceani che lo fissavano imploranti di restare con lui per sempre.
“Ti prego, non andartene. Voglio ancora sentirti parlare, voglio ancora scoprire più di te!” Stava urlando senza rendersene conto. Il ragazzo al bancone voltò lo sguardo verso i due, sorridendo teneramente di fronte a quella scena.
D’altro canto Paul era arrossito leggermente e la osservava con un espressione leggermente sconvolta e confusa. Sospirò, sorridendo leggermente. “Lucinda, ti prometto che un giorno ti farò leggere i miei libri. Sappi che io le mantengo sempre, le promesse.” Indossò il suo impermeabile e si staccò da lei; poi si avvicinò alla cassa per pagare il conto, ma il ragazzo gli disse: “Tranquillo, oggi offro io.”
Paul lo ringraziò amichevolmente. E mentre stringeva a fatica la maniglia della porta, si voltò verso la ragazza, sorridendole come mai aveva fatto con nessuno. “A presto, Lucinda.” E uscì.
 
Passarono i mesi, ma Lucinda non ebbe più tracce di Paul. Si era convinta che se il destino era a loro favore, un giorno si sarebbero rincontrati. Ma il tempo passava, e ormai le speranze della giovane si affievolivano a poco a poco.
Si sedette sul suo rifugio, davanti alla finestra; in mano aveva un foglio e una penna e li osservava titubante. La luce della luna illuminava il suo volto stanco e spossato da tutto quel dolore che stava provando; era tutto così dannatamente romantico dentro quella stanza, che sentì di poter scoppiare a piangere all’improvviso.
Ma si fece forza, prendendo una delle decisioni più importanti della sua vita: avrebbe scritto un libro, per lui, per far vedere che non si era dimenticata di quel ragazzo. Era il suo modo di urlargli di non lasciarla andare, di farsi ascoltare da lui.
Si scrollò e premette la punta della penna sul foglio, cominciando a formulare frasi, pensieri, emozioni.
Aveva seguito il consiglio di Paul e quello era l’unico modo per ringraziarlo.
Così le ore passarono, e Lucinda continuava a scrivere, piangendo dalla gioia e bagnando quel foglio delle sue lacrime salate.
 
L’estate era alle porte e il tempo di Parigi si stava facendo sempre più piacevole. Paul passeggiava per il parco, osservando i bambini correre per giocare a nascondino o donne prendere il sole.
Odiava l’estate, per i troppi colori e il bel tempo; ma doveva ammettere sentirsi proprio bene lì. In lontananza vide una libreria e, con la voglia di leggere qualcosa di nuovo, cambiò direzione, avvicinandosi a grandi passi verso la sua meta.
Entrando dentro il negozio, percepì subito l’odore dei libri e si sentì a casa. Davanti a lui c’erano librerie colme di libri e enciclopedie, e sorrise di fronte a quello spettacolo. Ma improvvisamente abbassò lo sguardo e un libro spiccò davanti ai suoi occhi; aveva la copertina grigia, semplice, nessuno l’avrebbe notato.
Paul si piegò per prenderlo e quando lesse l’autore sentì mancargli un battito. Lucinda Lefevre. Il libro si intitolava “C’était Novembre”.
Preso da un istinto improvviso lo aprì e rimase sconvolto quando lesse una dedica.
 
Merci de faire ma vie plus belle.
Merci, Paul.*
 
Per la prima volta nella sua vita si sentì felice come non mai: milioni e milioni di sensazioni lo sovrastavano e il suo cuore batteva all’impazzata. Quella ragazza l’aveva cambiato, questo lo sapeva: aveva sempre sperato un giorno di poterla rivedere, di poter vedere almeno qualcosa che la riguardasse. Senza accorgersene stava sorridendo, alcuni lo stavano guardando in modo strano, ma a lui non importava.
Era così felice che ripensò a quelle parole che aveva detto a Lucinda, sull’amore, sul dolore; anche lui era stato preso da quella forza incontrastabile e ne era felice.
Strinse il libro fra le mani come per paura di perderlo, poi si guardò intorno. Aveva finalmente ripreso la lucidità di prima, così si decise ad avvicinarsi verso la cassa. Poggiò il libro sul bancone, osservando il cassiere con aria indifferente. “Quanto costa?”
Quello si girò nella sua direzione, scrutandolo con aria critica. “25.”
Paul increspò le labbra in un sorriso soddisfatto.
“Perfetto, lo compro.”
 
“Continuammo a scriverci libri su libri. Se uno di noi ne pubblicava uno, l’altro rispondeva con un altro libro. Era quello il nostro legame indissolubile che non ci avrebbe mai divisi. Io ero soddisfatta, perché lo sentivo vicino, perché leggevo i suoi pensieri e scoprivo i suoi più profondi segreti
 Era divertente scovare i riferimenti a noi.
Ormai è come se fossimo insieme da una vita.
E’ stata la scrittura ad averci fatto incontrare e ad averci tenuto insieme per sempre.”



*Grazie per aver reso la mia vita più bella.
Grazie, Paul.
   
 
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