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Autore: Love_in_idleness    05/09/2007    0 recensioni
C'è una sola cosa che accomuna tutti gli uomini in tutto il mondo - il Tempo. Probabilmente, in un angolo del pianeta, nello stesso istante, un’amicizia nasce ed un’altra si spezza; qualcuno porta il lutto, qualcuno ricomincia a vivere; qualcuno muore, qualcuno nasce; qualcuno si innamora, qualcuno si dimentica la passione; qualcuno vive incubi abissali, qualcuno contempla un paesaggio nell’assoluta solitudine. *AVVERTENZA* - la storia è formata da one-shot slegate tra loro. Solo il capitolo II è drammatico e il capitolo X shonen-ai.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sono una deficiente

Sono una deficiente, perdonatemi. Pensavo di avere finito. Lo giuro, ne ero convinta, e mi sentivo felice per avercela fatta prima della fine della scuola e delle vacanze.

Ma -

mancava un capitolo.

Scussaaaaaaaaaate Y____Y

 

 

XII.

[Pavia; Ventuno Novembre 2006, 17.58]

 

Il tempo è sempre lo stesso in ogni luogo. A volte cambia l’ora, a volte il giorno, a volte la luce. In ognuna di queste sue trasmigrazioni permane la stessa essenza, lo stesso movimento proteso in avanti. È fondamentalmente un attimo cristallizzato nell’infinito, un unico istante vissuto da milioni di anime – quel tempo era un freddo pomeriggio di fine Novembre, imbiancato da un velo di nebbia soffusa che sembrava addormentare ogni cosa sotto una patina di sogno. Pensavo che quello strato bianco, perlaceo, sbiadito, potesse trasformarsi in un incantesimo millenario e preservare ciò che copriva dalla consunzione del tempo e del cambiamento.

Seduta sulla panchina fredda di granito ancora bagnata dalla condensa appesa nell’aria, aspettando qualcosa, qualcuno che non sarebbe mai arrivato, o, forse, semplicemente scappando un po’ dalla finitezza di certe situazioni, guardai l’orologio con una svogliatezza casuale. Il campanile della chiesetta si alzava davanti ai miei occhi e batteva le sei di pomeriggio, ma il quadrante del mio orologio segnava ancora le cinque e cinquantotto. Il mio orologio era giusto. Sicuramente. Era regolato non solo da una perfetta media tra le ore esterne, ma anche dalle mie contingenze e dai miei ritmi naturali. Ormai quell’ora, che non cambiava di nemmeno un secondo da anni, era entrata a far parte delle mie percezioni sino a condizionare i miei risvegli ed ogni altra azione della mia giornata; non come quel Ich che una volta si perse nella città, perché era sehr früh am Morgen.

In quel momento, in quel precisissimo istante, io non ero schiava di nessun concetto e di nessuna idea. Pensavo a una cosa pazzesca, banale da una parte, enorme dall’altra, abbastanza vasta da riempire le sale del mondo. Pensavo di stare vivendo quel minuto, quel minuto preciso, quei canonici sessanta secondi, in una maniera che mi sembrava individuale e personale, quasi intima, immersa nella solitudine della nebbia evanescente del mio paese, eppure, senza nemmeno accorgermi di rompere un guscio inesistente, condividevo con miliardi di altre persone la stessa irrefrenabile corsa verso il futuro, lo stesso inesprimibile slancio verso la vita, la stessa transizione fino alla morte.

Non era una concezione pessimista, o macabra, o distorta. Era una cosa semplice e perfettamente naturale, tanto chiara da non sconvolgermi nemmeno un po’. C’era un’idea che legava me e, inconsapevolmente, tutta l’umanità, tutto l’Universo – ed era il Tempo. Il minuto. Quel minuto: le cinque e cinquantotto.

Io non so se il Tempo sia solo la percezione umana di una coscienza dilatata all’infinito, o un’insieme di segmenti quantificabili posti uno accanto all’altro fino all’eternità, o un’impressione di esistenza intrinseca della nostra mente, non conosco nemmeno il modo in cui il resto del mondo concepisce il Tempo, se esista un Tempo, dieci Tempi, mille Tempi, tanti Tempi quante sono anime che vivono, e respirano, e avvertendo la loro esistenza si delimitano in una sfera temporale definita. So solo che si potrebbe bloccare un istante e trovare al suo interno la perennità, così come si potrebbe scoprire l’universo dentro ad un atomo infinitesimale. Allora sapevo anche che quel minuto cristallizzato nella mia testa avrebbe potuto produrre migliaia di risvolti inaspettati.

C’era una cosa che mi stupiva. Io ero seduta tranquilla ed infreddolita sulla mia panchina, semplicemente immersa in pensieri insignificanti – eppure, in quello stesso istante, sei miliardi di persone stavano vivendo sensazioni, emozioni, patimenti del tutto diversi dai miei. Forse semplicemente indifferenze lontane dalla mia atarassia. Era una sorta di humanitas tutta particolare.

Credo che questo meccanismo gigantesco sia regolato da una “Legge dei Contrasti”, una sorta di bilanciamento per ognuno. Non so se si chiami Giustizia o semplicemente Compensazione, ma senza contrari non c’è progresso. Mi sembrava plausibile che qualcuno condividesse i miei pensieri nello stesso momento in cui io li formulavo un po’ annebbiati e pieni di sonno e noia, come se ogni meditazione, ogni introspezione potesse viaggiare attorno al mondo attraverso il vento e toccare un milione di menti separate.

Probabilmente, in un angolo del pianeta, un’amicizia cominciava ed un’altra si spezzava; qualcuno portava il lutto, qualcuno ricominciava a vivere nel coraggio; qualcuno moriva, qualcuno nasceva; qualcuno si innamorava, qualcuno si dimenticava la passione; qualcuno viveva incubi abissali e solitudini incolmabili, qualcuno contemplava un paesaggio nell’assoluto isolamenti se stesso; e tutto ciò accadeva proprio lì, in quell’ora qualsiasi di un giorno qualsiasi di Novembre, col suo autunno, con la sua nebbia, con la sua empatia e coi suoi pensieri dirompenti.

 

[Thinkin' Shift]

  

   
 
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