1
Piano Folle
"Corri, corri o ti
prenderanno!" questo sussurrava la vocina nella sua testa.
Aminta obbedì e corse più in fretta che
potè, cercando di non pensare ai tre inseguitori che le
stavano alle calcagna. La distanza tra lei e loro era veramente
insignificante e si accorciava di minuto in minuto, metro dopo metro.
Ormai poteva sentire i loro respiri sul collo.
Destra.
Il corpo si inclinò pericolosamente, ma riuscì a
non cadere. I muscoli delle gambe si irrigidirono per la fatica, ma
doveva continuare, doveva, ad ogni costo.
Le tornarono alla mente le immagini di poche ore prima: gli abitanti
del suo villaggio che fuggivano di qua e di là nell'intento
di sottrarsi alle spade dei loro aguzzini, gli sguardi imploranti delle
sue sorelle mentre quei mostri - sì, perché
quello erano, mostri - profanavano i loro corpi. E poi le urla, i
lamenti, i gemiti e infine le fiamme, che alte si erano alzate dai
fienili, avvolgendo ogni cosa, distruggendo quel che era stato il suo
mondo fino ad allora.
Sopra i cadaveri e il suo felice passato, una luna fredda e lontana
rifulse di un lugubre alone.
Lo sguardo di Aminta si offuscò. Se non fosse stato per
l'oscuro terrore che la spronava a proseguire, si sarebbe fermata a
piangere tutte le lacrime che non aveva potuto versare per le anime dei
suoi cari. Una mano gelida le scese sul cuore, stringendolo in una
morsa soffocante, mentre i lunghi capelli venivano catturati dai rami
che si allungavano sul sentiero. Avvertiva i polmoni in fiamme, i
battiti accelerati, la fatica che pian piano le dilaniava la milza, ma
non poteva indugiare, ormai era vicina.
Asciugandosi le lacrime, aguzzò tutti i sensi per riuscire a
penetrare quell'oscurità opprimente. All'orecchio le giunse
lo scrosciare delle acque di una cascata e, alla fine, quella che era
la sola ancora di salvezza che le restava si materializzò:
davanti a lei si estendeva in tutta la sua maestosità il
fiume Tabor, confine naturale che divideva la terra di Ferya da quella
di Eleuterya.
Nonostante fossero quasi totalmente avvolte dalla morsa del ghiaccio,
la cascata e le sue acque restavano uno spettacolo meraviglioso. Se non
fosse stata in gioco la sua vita, Aminta sarebbe stata tentata di
arrestarsi a rimirarla, come quando la sofferenza e l'efferatezza della
guerra non erano che un pericolo lontano.
“Quando tutto questo sarà finito,
tornerò.” pensò fugacemente, risoluta
più che mai, mentre cominciava a saltare da una roccia
all'altra.
Udì un tonfo alle sue spalle, seguito da una serie di
improperi. Senza voltarsi capì che uno dei suoi inseguitori
doveva essere caduto.
Gioì in silenzio, man mano che si avvicinava alla riva
opposta. Sentiva l'acqua gelida lambirle la pelle, penetrando
attraverso le scarpe in pelle leggera, e il cuore sembrava perdere un
battito ogni volta che i piedi slittavano sulle pietre in parte
ghiacciate.
“Ce la faccio, ce la faccio...”
Sapeva che poco distante da lì si erano accampate le truppe
dell'esercito imperiale per accogliere tutti i superstiti scampati alle
incursioni elfiche. L'aveva sentito dire da un gruppo di guardie, prima
che si scatenasse l'inferno. Quando era stata costretta a scappare, si
era fiondata nella foresta senza pensare a dove stesse andando,
facendosi guidare solo dall'istinto di sopravvivenza. Non osava pensare
cosa le sarebbe successo, se si fosse sbagliata...
Vide in lontananza alzarsi delle sottili linee di fumo, oltre le cime
degli alberi.
Un sorriso di sollievo le attraversò il volto.
Pochi metri. Aminta prese slancio e saltò verso l'ultima
pietra.
“Sono salva.”
Il suo corpo si inclinò all'indietro e i piedi persero la
presa sul ghiaccio. Allungò le mani nel vuoto, le lacrime
che già le rigavano le guance. Batté
violentemente la schiena contro la gelida lastra. Al dolore che si
irradiava violento dalle gambe se ne aggiunse uno nuovo alla testa e in
quel momento la stanchezza si impadronì di lei, togliendole
la forza di alzarsi.
Gli inseguitori le furono immediatamente addosso. La afferrarono, la
trascinarono di nuovo sull'altra sponda e la inchiodarono a terra, le
labbra storte in un ghigno perverso. Non li fermarono le urla,
né le preghiere o le lacrime; le loro mani non ebbero
rispetto della sua giovane età, né
pietà davanti alla sua innocenza di bambina. Niente li
trattenne.
Intorno a lei solo una foresta inospitale e fredda e in alto un cielo
ancora coperto dai fumi degli incendi, illuminato appena dalla gelida
luce di una luna irraggiungibile.
Airis si svegliò nel cuore della notte. Le era parso di aver
udito qualcosa, forse un grido lontano. Si tirò su a sedere
sulla branda e affondò il viso nelle mani.
Ormai erano trascorse più di due settimane da quando le
armate elfiche avevano preso d'assalto la città di Edon,
costringendo l'esercito umano a retrocedere. Per quanto avessero
affrettato la ritirata, molti soldati erano caduti in quella battaglia,
imbevendo il terreno del loro sangue. Dopo quell'atroce battaglia,
nonostante i rinforzi dalla capitale, Airis era ben conscia che i suoi
uomini non erano nelle condizioni di combattere.
Inspirò profondamente, le iridi bianche fisse davanti a
sé.
“Anche se volessimo tentare un'offensiva, sarebbe troppo
rischioso.”
Negli ultimi giorni c'era stata una grande affluenza di civili
all'accampamento: uomini, donne e bambini scampati agli eccidi di Edon
e Meera. Erano arrivati a centinaia, animati dalla speranza di ricevere
protezione e sicurezza.
"Invece, l'unica cosa che hanno trovato è un esercito a
pezzi, senza più alcuna voglia di combattere."
constatò amaramente.
Strofinandosi gli occhi, ripensò alla decisione di pochi
giorni prima.
- Non se ne parla proprio! -
- Airis, calmati... -
- Ma ti rendi conto di quello che sta dicendo?! Di quello che ha
intenzione di fare? È un suicidio, ci sta condannando a una
morte certa! -
Eigor la prese per le spalle e la scosse.
- Ora calmati. Siamo qui per decidere per il meglio e lo faremo tutti
insieme. -
Poi costui scoccò uno sguardo a Ignus che, sprezzante,
sorrideva dall'altro lato della tavola.
- Adesso vediamo di... analizzare la sua proposta. -
Airis sospirò e si sedette. Da quando era giunta
all'accampamento tre mesi prima, non aveva mai discusso così
aspramente con gli altri due generali. Certo, Ignus non le era mai
piaciuto e probabilmente neanche lui nutriva una grande simpatia nei
suoi confronti, ma in qualunque situazione erano riusciti sempre ad
accordarsi su come dirigere le azioni belliche. Invece, ora, nella
tenda pesava un'atmosfera carica di tensione.
Concentrò la sua attenzione nella direzione in cui supponeva
trovarsi Eigor Felther, Cavaliere del Drago. Anche se il suo aspetto
non incuteva alcun timore, l'uomo emanava una forza d'animo a dir poco
straordinaria e più e più volte negli ultimi
tempi aveva dimostrato di possedere un grandissimo sangue freddo e una
capacità d'analisi che avevano cambiato le sorti della
battaglia. Non un cedimento, non un'esitazione, mai la sua voce aveva
tremato. Eppure, ora sembrava indeciso sul da farsi. Anche se non lo
dava a vedere, era sconvolto tanto quanto lei dalla proposta che era
stata avanzata.
Dopo un silenzio interminabile, Eigor distolse lo sguardo da quello
vitreo di Airis e con la sua voce fredda e distaccata si rivolse al
loro interlocutore: - Allora? Stiamo aspettando. -
Con fare teatrale, Ignus si alzò dalla sua sedia e, fissando
Airis, disse: - Quando si parla di vera guerra, di sacrificare gli
uomini per un fine più grande, il guardiano della
città Imperiale, protettore dei deboli e degli oppressi,
l'esimio Cavaliere del Lupo esita. -
Il sorriso sprezzante che le aveva rivolto poco prima gli si ridipinse
sul volto. La giovane, sebbene non potesse vederlo, lo
percepì senza fatica, ma si astenne dal commentare per non
dare soddisfazione al generale.
- Si vede che nella capitale la guerra è solo un'eco
lontana. Comunque, - mise le braccia dietro la schiena e
iniziò a camminare attorno alla tavola, sulla quale era
stesa una mappa di tutto il Mondo di Esperya, - Da quando è
iniziata questa guerra? Quaranta, cinquant'anni? È passato
così tanto tempo che non ricordo più cosa
significhi la parola “pace”. - si passò
la mano sul pizzetto biondo, pensoso, poi riprese imperterrito, - Sono
convinto che anche voi la pensiate come me. - quindi allargò
le braccia e inspirò profondamente, - I nostri uomini sono
stanchi di tutta questa devastazione, di tutte queste morti e di questo
conflitto. È giunta l'ora di mettere la parola fine e di far
capire al popolo elfico chi deve dominare su chi. -
Airis fece per alzarsi, ma Eigor la trattenne. Dovevano finire di
ascoltare quel che aveva da dire, era la regola dei consigli di guerra.
Ignus la squadrò nuovamente e riprese il suo discorso.
- Ora, da quando siamo qui, nessuna delle due fazioni è
riuscita a prevalere sull'altra. Tutte le precedenti battaglie hanno
solo messo in luce che gli elfi sono dei dannati codardi, incapaci di
sostenere uno scontro in campo aperto, mentre noi umani ci siamo
limitati ad una strategia di inutile guerriglia. E per cosa, poi?! -
fissò gli altri due e con una voce che a malapena tratteneva
la rabbia continuò, – Per non conquistare neanche
mezzo centimetro di terreno?! Ci siamo comportati come dei conigli. E i
vostri stupidi piani di indebolire il nemico non sono serviti a nulla!
Assolutamente a nulla! - sbatté il pugno sul tavolo,
– Io, Ignus Adelon, propongo di andare nella foresta di
Llanowar, attaccare direttamente gli elfi per spingerli fuori dai loro
nascondigli e poi massacrarli senza pietà! -
Aveva superato il limite. Senza pensarci un secondo, Airis
sguainò la spada e gliela puntò alla gola.
- Come ti permetti di darci degli incompetenti? Ricordati che siamo
tuoi pari. I nostri piani erano volti a preservare quante
più vite possibili. Hai visto cosa è successo a
Mera ed Edon? Hai visto com'è ridotto il campo? - strinse
l'elsa fino a far sbiancare le nocche, - Quella che tu definisci
“inutile strategia di guerriglia” ha permesso a
tutte le persone là fuori di scampare ad una morte certa! -
Eigor fece per aprire bocca, ma subito dopo la richiuse, conscio che
sarebbe stato uno sforzo vano cercare di placare la collera di Airis in
quel momento. Era testarda quando voleva e bisognava armarsi di
infinita pazienza per farla ragionare quando si infiammava
così.
- Sono venuta qui per aiutare queste popolazioni, per dare loro
l'opportunità di andarsene, non per abbattere le armate
elfiche. Non dopo quello che è successo, almeno. -
sputò ed esercitò una leggera pressione sul pomo
d'Adamo di Ignus, sufficiente a provocargli una piccola ferita.
Anche con i suoi occhi senza luce, Airis poteva fiutare il puzzo della
paura del Cavaliere del Leone, insieme al suo battito accelerato, al
sudore che lentamente colava lungo la schiena e al suo continuo
deglutire, e questi erano solo gli indizi più evidenti. Ma
sapeva che ciò che gli incuteva più terrore era
un'altra cosa.
Fu questione di attimi. Nella tenda echeggiò un clangore di
spade e poi calò di nuovo il silenzio.
Eigor strabuzzò gli occhi, meravigliato, poi lentamente si
girò. La spada che impugnava un istante prima giaceva in un
angolo a pochi metri da lui, mentre Airis, senza distogliere lo sguardo
da Ignus, stava puntandogli contro una seconda lama. La
studiò, alternando lo sguardo da una parte all'altra della
tenda, cercando di capire dove la donna avesse preso la nuova arma. In
pochi secondi nella sua mente si fece spazio un'idea assurda, una
supposizione che gli gelò il sangue. Respirando con
apparente calma, lanciò un'occhiata al fianco del Cavaliere
del Leone, dove normalmente teneva la sua spada dorata, scorgendo il
meraviglioso fodero vuoto.
“Impossibile...”
Trattenne un sussulto, mentre un brivido freddo gli attraversava la
colonna vertebrale. In un battito di ciglia, la donna aveva disarmato
il Cavaliere del Drago e si era appropriata della spada di Ignus, dando
prova di un'agilità e una destrezza stupefacenti.
“Non dirmi che...”
Deglutì e un'ombra di timore mista ad ammirazione
attraversò il volto di entrambi gli uomini: era dunque
quella, la leggendaria bravura del Cavaliere del Lupo, che durante ogni
battaglia le aveva garantito la vittoria su ogni nemico? Era quella, la
famosa mano che padroneggiava con grazia mortale l'arte della spada?
- Potresti essere condannata per questo tuo gesto. - nella voce di
Eigor si avvertiva un leggero tremolio, - Se veramente vuoi risolvere
la situazione, sai meglio di me che la violenza non è il
migliore dei modi. - le si fece più vicino, - Rispetta il
regolamento. -
Con una certa riluttanza, Airis rinfoderò la lama e con
malagrazia riconsegnò l'altra arma nella mani del suo
proprietario, imponendosi la calma. Mentre tornava a sedersi,
udì il risolino soddisfatto di Ignus.
”Dannazione, era a questo che puntava.”
Volse gli occhi ciechi nella direzione di quella risata odiosa,
mordendosi le labbra a dandosi della stupida.
Come se nulla fosse accaduto, il Cavaliere del Leone riprese la parola:
– Questa tua reazione così istintiva, mio
carissimo Cavaliere, ha messo in luce quello che già da
tempo pensavo: sei inadatta a prendere le decisioni di guerra. Tutti i
piani da voi sostenuti sinora sono stati dettati dall'inesperienza. Per
questo motivo, chiedo al generale e Cavaliere del Drago Eigor Felther
di esonerarti dal voto in questa sede. - si rivolse all'altro,
– Dopo quello che è successo pochi attimi fa, non
pensi che sia la soluzione migliore? -
Airis implorò Eigor tacitamente, spalancando le iridi
bianche nel vuoto, e per un attimo l'uomo sembrò tentennare,
indeciso tra il dovere e l'amicizia.
Alla fine, senza esitazione disse: - Sono d'accordo con Ignus. Airis
Lullabyon sarà esclusa dalle prossime decisioni. -
All'improvviso, il vocio fuori dalla tenda si interruppe bruscamente e
il movimento che caratterizzava la vita frenetica del campo si
arrestò. Qualcosa non andava.
Airis si alzò subito e, una volta indossato il mantello blu,
uscì. L'aria fredda della notte le sferzò le
guance e per un secondo rabbrividì. Fuori regnava uno strano
silenzio: era come se tutti quanti fossero spariti senza lasciare
traccia, eppure erano ancora lì, ne avvertiva la presenza.
In qualche modo sembrava che i loro respiri fossero rimasti in sospeso,
mozzati dalla visione di qualcosa di terribile.
Udì un soldato avvicinarsi correndo verso di lei.
- Generale! Generale, dovete venire subito! -
Era affannato, come se avesse percorso una distanza enorme in pochi
istanti. Dalla voce Airis arguì che doveva trattarsi di
ragazzo abbastanza giovane.
- Cosa sta succedendo? -
- Dovete... dovete vedere con i suoi occhi... -
Poi senza perdere tempo tornò da dove era venuto.
Airis svelta lo seguì per un centinaio di metri e quando
sentì i suoi passi rallentare si fermò.
Il silenzio a quel punto si fece quasi assordante, diventando molto
simile a quello che aleggiava sui cimiteri. Il vento le
scompigliò i capelli e le portò alle narici un
odore acre che conosceva fin troppo bene. Davanti a lei percepiva la
presenza di un essere piccolino, dal respiro irregolare, che le si
avvicinava a fatica. Non poteva sapere che davanti a lei c'era una
bambina di dodici, forse tredici anni, con lunghi capelli neri, che
avanzava strascicando i piedi pieni di tagli e calli. I vestiti che a
malapena coprivano il suo corpo puerile erano ridotti a brandelli e
penzolavano dalle braccia e dalle gambe, incrostati di sangue, terra e
neve. I suoi grandi occhi azzurri, cerchiati da occhiaie scure, erano
vuoti, senza più alcun barlume di luce. I soldati radunatisi
intorno a loro assistevano inorriditi alla scena, incapaci di muoversi.
Non sapevano come fosse arrivata lì e nessuno ci aveva fatto
caso, credendola una delle tante orfane che pullulavano nel campo, fino
a quando una donna non aveva urlato vedendo il sangue raggrumato che le
imbrattava le cosce.
- Una bambina... -
- Cosa le hanno fatto... -
Airis poté cogliere solo qualche frammento di frase in quel
basso vociferare. Si avvicinò con circospezione, cercando di
non spaventarla, protendendo le braccia in avanti per invitarla ad
accostarsi di più. Nel momento in cui non udì
più i passi della ragazzina, si arrestò anche lei.
- Non avere paura, non voglio farti del male. - le tese la mano,
sorridendole.
Sentì sulla pelle uno sguardo colmo di diffidenza e terrore,
che pareva volerle scavare nell'anima.
“Anche io sono un nemico per lei.” pensò
tristemente, trattenendosi dal correrle incontro, ”Non la si
può biasimare, se esita ad avvicinarsi.”
Rimasero ferme per un periodo di tempo indeterminato a fissarsi, in
attesa. Poi la bambina continuò a camminare con passo
incerto, finché, sfinita, cadde sulle ginocchia a pochi
passi dalla guerriera.
Senza esitazione, Airis azzerò le esigue distanze e la
strinse a sé, accarezzandole il volto sudicio e rigato di
lacrime.
- Va tutto bene, ora sei al sicuro. - le scostò un ciuffo di
capelli dalla faccia, - Ce l'hai fatta, sei arrivata all'accampamento.
Sei stata brava... veramente brava... -
Nonostante non potesse vederla, si accorse che il suo corpicino magro
tremava, accaldato per la febbre e per la lunga camminata in mezzo a
quella landa innevata. Non aveva idea se fosse stata opera degli elfi,
ma in cuor suo ne era abbastanza certa.
- Un guaritore, qui serve un guaritore! - urlò in direzione
dei suoi soldati.
Subito dei passi frenetici si allontanarono. La bambina si fece piccola
piccola tra le sue braccia.
- Come ti chiami? - chiese Airis in un sussurro.
- Aminta... mi chiamo Aminta... -
- Chi ti ha fatto questo? Da dove vieni? -
- Gli... elfi... -
- Tranquilla, tranquilla. Rimani con me, Aminta... tra poco starai
meglio... - le passò le dita tra i capelli e la
coccolò come farebbe una madre, - Devi resistere, va bene? -
Avvertiva il suo respiro farsi sempre più fievole, mentre il
battito rallentava minuto dopo minuto.
Aminta allungò la mano verso il volto di Airis, sfiorando il
collo di pelo del mantello. La luna, quella stessa luna che l'aveva
accompagnata per tutta la sua fuga, si stagliava alta nel cielo,
impedendole di vedere chiaramente chi la stesse abbracciando
così delicatamente, se un umano o uno spirito. Di quella
figura, poteva solo scorgere gli occhi, bianchi con dei riflessi
azzurri. Occhi feroci e fieri, simili a quelli di un lupo.
Sorrise un'ultima volta, verso quell'essere dallo sguardo pieno di
preoccupazione, tentando di parlare. Voleva rassicurarlo e dirgli che
andava tutto bene, ma le parole le rimasero in gola.
- Lu-lupo... - rantolò.
Poi chiuse le palpebre, rannicchiandosi tra quelle braccia forti e
gentili, e la mano cadde a terra, priva di vita.
Passi concitati annunciarono l'arrivo del guaritore, ma, prima che
questi potesse avvicinarsi, Airis si alzò, consegnandogli il
corpo ancora tiepido della bambina. Girò il capo come per
scrutare tutti gli astanti, immaginando lo sgomento e la rabbia che si
stavano dipingendo sui loro visi.
- Penso che questo basti a dimostrare l'efferatezza e la
crudeltà degli elfi. - proferì Ignus, facendosi
largo in mezzo alla folla.
Era stato richiamato dal trambusto e un soldato gli aveva spiegato cosa
era accaduto. Niente di meglio, quella era un'occasione che non poteva
lasciarsi sfuggire e l'avrebbe sfruttata a suo vantaggio.
- Vi serve che qualche altro innocente muoia per causa loro? -
Le parole di Airis riecheggiarono nel silenzio: - Hai ragione, abbiamo
visto tutti di cosa sono capaci. -
Avanzò verso di lui con lo sguardo ostile e lo
fronteggiò con decisione.
- Per questo dobbiamo assolutamente ritirarci. Nell'accampamento ci
sono troppi civili e tutti hanno bisogno di cure e assistenza. Se gli
elfi attaccassero, non avrebbero alcuna possibilità di
sopravvivenza e tu, in quanto generale e Cavaliere del Leone, verresti
meno al tuo primo dovere. - i due visi erano vicinissimi, –
Quello di difendere i deboli e gli oppressi. -
La sua voce era diventata quasi un ringhio.
Ignus si scostò e ridendo sommessamente rispose: –
Oh, Airis, mia cara Airis... forse tu non hai ben capito come stanno le
cose. Ormai non puoi più decidere nulla. -
Si volse verso gli uomini e li squadrò tutti, uno ad uno,
con occhi ardenti e pieni di rabbia.
- Voi, soldati, miei prodi soldati, non siete stufi di questa guerra? -
Un brusio di assenso si diffuse tra le fila.
- Un'altra innocente è stata uccisa da quegli esseri senza
cuore. E voi vorreste lasciarli impuniti? Volete davvero disertare il
fronte senza combattere? - scrutò i loro volti, –
Chi vi dice che un giorno la loro orda diabolica non
arriverà fino alle vostre case, fino alle vostre famiglie?
Chi vi garantisce che i vostri figli e le vostre mogli saranno al
sicuro per l'eternità? Se ora ci ritiriamo, gli elfi
marceranno mettendo a ferro e fuoco ogni villaggio che troveranno sulla
loro strada e alla fine occuperanno tutta Esperya! E voi volete
lasciarglielo fare?! -
I soldati alzarono le armi in alto e gridarono la loro indignazione.
Ignus, toltosi il mantello arancione, aprì le braccia e
sguainò a sua volta la spada. I rubini incastonati
sull'effige leonina scintillarono sotto le stelle del firmamento,
emettendo un bagliore sanguigno.
- E allora glielo impediremo! -
Un urlo di folle eccitazione salì verso il cielo notturno.
Airis si guardò intorno, spaesata e sorpresa dall'entusiasmo
che improvvisamente si era impadronito dei suoi uomini.
Tentò di dire qualcosa, ma le sue parole vennero coperte da
quel frastuono infernale. Tiratasi sul volto il cappuccio di pelliccia,
si recò alla sua tenda a passi lenti. Aveva bisogno di
dormire.
Se davvero Ignus aveva intenzione di attuare il suo piano, sarebbe
dovuta essere nel pieno delle forze per poter limitare il
più possibile le perdite.
Ascoltando le esclamazioni di gioia e la rinnovata speranza
dell'esercito, conscia che di lì a pochi giorni le radici
degli alberi ghiacciati sarebbero state bagnate dal sangue dei suoi
soldati, Airis cadde in un sonno senza sogni.