Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Himenoshirotsuki    19/02/2013    83 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Boilerplate per Pagine storia

1

Piano Folle

"Corri, corri o ti prenderanno!" questo sussurrava la vocina nella sua testa.
Aminta obbedì e corse più in fretta che potè, cercando di non pensare ai tre inseguitori che le stavano alle calcagna. La distanza tra lei e loro era veramente insignificante e si accorciava di minuto in minuto, metro dopo metro. Ormai poteva sentire i loro respiri sul collo.
Destra.
Il corpo si inclinò pericolosamente, ma riuscì a non cadere. I muscoli delle gambe si irrigidirono per la fatica, ma doveva continuare, doveva, ad ogni costo.
Le tornarono alla mente le immagini di poche ore prima: gli abitanti del suo villaggio che fuggivano di qua e di là nell'intento di sottrarsi alle spade dei loro aguzzini, gli sguardi imploranti delle sue sorelle mentre quei mostri - sì, perché quello erano, mostri - profanavano i loro corpi. E poi le urla, i lamenti, i gemiti e infine le fiamme, che alte si erano alzate dai fienili, avvolgendo ogni cosa, distruggendo quel che era stato il suo mondo fino ad allora.
Sopra i cadaveri e il suo felice passato, una luna fredda e lontana rifulse di un lugubre alone.
Lo sguardo di Aminta si offuscò. Se non fosse stato per l'oscuro terrore che la spronava a proseguire, si sarebbe fermata a piangere tutte le lacrime che non aveva potuto versare per le anime dei suoi cari. Una mano gelida le scese sul cuore, stringendolo in una morsa soffocante, mentre i lunghi capelli venivano catturati dai rami che si allungavano sul sentiero. Avvertiva i polmoni in fiamme, i battiti accelerati, la fatica che pian piano le dilaniava la milza, ma non poteva indugiare, ormai era vicina.
Asciugandosi le lacrime, aguzzò tutti i sensi per riuscire a penetrare quell'oscurità opprimente. All'orecchio le giunse lo scrosciare delle acque di una cascata e, alla fine, quella che era la sola ancora di salvezza che le restava si materializzò: davanti a lei si estendeva in tutta la sua maestosità il fiume Tabor, confine naturale che divideva la terra di Ferya da quella di Eleuterya.
Nonostante fossero quasi totalmente avvolte dalla morsa del ghiaccio, la cascata e le sue acque restavano uno spettacolo meraviglioso. Se non fosse stata in gioco la sua vita, Aminta sarebbe stata tentata di arrestarsi a rimirarla, come quando la sofferenza e l'efferatezza della guerra non erano che un pericolo lontano.
“Quando tutto questo sarà finito, tornerò.” pensò fugacemente, risoluta più che mai, mentre cominciava a saltare da una roccia all'altra.
Udì un tonfo alle sue spalle, seguito da una serie di improperi. Senza voltarsi capì che uno dei suoi inseguitori doveva essere caduto.
Gioì in silenzio, man mano che si avvicinava alla riva opposta. Sentiva l'acqua gelida lambirle la pelle, penetrando attraverso le scarpe in pelle leggera, e il cuore sembrava perdere un battito ogni volta che i piedi slittavano sulle pietre in parte ghiacciate.
“Ce la faccio, ce la faccio...”
Sapeva che poco distante da lì si erano accampate le truppe dell'esercito imperiale per accogliere tutti i superstiti scampati alle incursioni elfiche. L'aveva sentito dire da un gruppo di guardie, prima che si scatenasse l'inferno. Quando era stata costretta a scappare, si era fiondata nella foresta senza pensare a dove stesse andando, facendosi guidare solo dall'istinto di sopravvivenza. Non osava pensare cosa le sarebbe successo, se si fosse sbagliata...
Vide in lontananza alzarsi delle sottili linee di fumo, oltre le cime degli alberi.
Un sorriso di sollievo le attraversò il volto.
Pochi metri. Aminta prese slancio e saltò verso l'ultima pietra.
“Sono salva.”
Il suo corpo si inclinò all'indietro e i piedi persero la presa sul ghiaccio. Allungò le mani nel vuoto, le lacrime che già le rigavano le guance. Batté violentemente la schiena contro la gelida lastra. Al dolore che si irradiava violento dalle gambe se ne aggiunse uno nuovo alla testa e in quel momento la stanchezza si impadronì di lei, togliendole la forza di alzarsi.
Gli inseguitori le furono immediatamente addosso. La afferrarono, la trascinarono di nuovo sull'altra sponda e la inchiodarono a terra, le labbra storte in un ghigno perverso. Non li fermarono le urla, né le preghiere o le lacrime; le loro mani non ebbero rispetto della sua giovane età, né pietà davanti alla sua innocenza di bambina. Niente li trattenne.
Intorno a lei solo una foresta inospitale e fredda e in alto un cielo ancora coperto dai fumi degli incendi, illuminato appena dalla gelida luce di una luna irraggiungibile.

Airis si svegliò nel cuore della notte. Le era parso di aver udito qualcosa, forse un grido lontano. Si tirò su a sedere sulla branda e affondò il viso nelle mani.
Ormai erano trascorse più di due settimane da quando le armate elfiche avevano preso d'assalto la città di Edon, costringendo l'esercito umano a retrocedere. Per quanto avessero affrettato la ritirata, molti soldati erano caduti in quella battaglia, imbevendo il terreno del loro sangue. Dopo quell'atroce battaglia, nonostante i rinforzi dalla capitale, Airis era ben conscia che i suoi uomini non erano nelle condizioni di combattere.
Inspirò profondamente, le iridi bianche fisse davanti a sé.
“Anche se volessimo tentare un'offensiva, sarebbe troppo rischioso.”
Negli ultimi giorni c'era stata una grande affluenza di civili all'accampamento: uomini, donne e bambini scampati agli eccidi di Edon e Meera. Erano arrivati a centinaia, animati dalla speranza di ricevere protezione e sicurezza.
"Invece, l'unica cosa che hanno trovato è un esercito a pezzi, senza più alcuna voglia di combattere." constatò amaramente.
Strofinandosi gli occhi, ripensò alla decisione di pochi giorni prima.

- Non se ne parla proprio! -
- Airis, calmati... -
- Ma ti rendi conto di quello che sta dicendo?! Di quello che ha intenzione di fare? È un suicidio, ci sta condannando a una morte certa! -
Eigor la prese per le spalle e la scosse.
- Ora calmati. Siamo qui per decidere per il meglio e lo faremo tutti insieme. -
Poi costui scoccò uno sguardo a Ignus che, sprezzante, sorrideva dall'altro lato della tavola.
- Adesso vediamo di... analizzare la sua proposta. -
Airis sospirò e si sedette. Da quando era giunta all'accampamento tre mesi prima, non aveva mai discusso così aspramente con gli altri due generali. Certo, Ignus non le era mai piaciuto e probabilmente neanche lui nutriva una grande simpatia nei suoi confronti, ma in qualunque situazione erano riusciti sempre ad accordarsi su come dirigere le azioni belliche. Invece, ora, nella tenda pesava un'atmosfera carica di tensione.
Concentrò la sua attenzione nella direzione in cui supponeva trovarsi Eigor Felther, Cavaliere del Drago. Anche se il suo aspetto non incuteva alcun timore, l'uomo emanava una forza d'animo a dir poco straordinaria e più e più volte negli ultimi tempi aveva dimostrato di possedere un grandissimo sangue freddo e una capacità d'analisi che avevano cambiato le sorti della battaglia. Non un cedimento, non un'esitazione, mai la sua voce aveva tremato. Eppure, ora sembrava indeciso sul da farsi. Anche se non lo dava a vedere, era sconvolto tanto quanto lei dalla proposta che era stata avanzata.
Dopo un silenzio interminabile, Eigor distolse lo sguardo da quello vitreo di Airis e con la sua voce fredda e distaccata si rivolse al loro interlocutore: - Allora? Stiamo aspettando. -
Con fare teatrale, Ignus si alzò dalla sua sedia e, fissando Airis, disse: - Quando si parla di vera guerra, di sacrificare gli uomini per un fine più grande, il guardiano della città Imperiale, protettore dei deboli e degli oppressi, l'esimio Cavaliere del Lupo esita. -
Il sorriso sprezzante che le aveva rivolto poco prima gli si ridipinse sul volto. La giovane, sebbene non potesse vederlo, lo percepì senza fatica, ma si astenne dal commentare per non dare soddisfazione al generale.
- Si vede che nella capitale la guerra è solo un'eco lontana. Comunque, - mise le braccia dietro la schiena e iniziò a camminare attorno alla tavola, sulla quale era stesa una mappa di tutto il Mondo di Esperya, - Da quando è iniziata questa guerra? Quaranta, cinquant'anni? È passato così tanto tempo che non ricordo più cosa significhi la parola “pace”. - si passò la mano sul pizzetto biondo, pensoso, poi riprese imperterrito, - Sono convinto che anche voi la pensiate come me. - quindi allargò le braccia e inspirò profondamente, - I nostri uomini sono stanchi di tutta questa devastazione, di tutte queste morti e di questo conflitto. È giunta l'ora di mettere la parola fine e di far capire al popolo elfico chi deve dominare su chi. -
Airis fece per alzarsi, ma Eigor la trattenne. Dovevano finire di ascoltare quel che aveva da dire, era la regola dei consigli di guerra.
Ignus la squadrò nuovamente e riprese il suo discorso.
- Ora, da quando siamo qui, nessuna delle due fazioni è riuscita a prevalere sull'altra. Tutte le precedenti battaglie hanno solo messo in luce che gli elfi sono dei dannati codardi, incapaci di sostenere uno scontro in campo aperto, mentre noi umani ci siamo limitati ad una strategia di inutile guerriglia. E per cosa, poi?! - fissò gli altri due e con una voce che a malapena tratteneva la rabbia continuò, – Per non conquistare neanche mezzo centimetro di terreno?! Ci siamo comportati come dei conigli. E i vostri stupidi piani di indebolire il nemico non sono serviti a nulla! Assolutamente a nulla! - sbatté il pugno sul tavolo, – Io, Ignus Adelon, propongo di andare nella foresta di Llanowar, attaccare direttamente gli elfi per spingerli fuori dai loro nascondigli e poi massacrarli senza pietà! -
Aveva superato il limite. Senza pensarci un secondo, Airis sguainò la spada e gliela puntò alla gola.
- Come ti permetti di darci degli incompetenti? Ricordati che siamo tuoi pari. I nostri piani erano volti a preservare quante più vite possibili. Hai visto cosa è successo a Mera ed Edon? Hai visto com'è ridotto il campo? - strinse l'elsa fino a far sbiancare le nocche, - Quella che tu definisci “inutile strategia di guerriglia” ha permesso a tutte le persone là fuori di scampare ad una morte certa! -
Eigor fece per aprire bocca, ma subito dopo la richiuse, conscio che sarebbe stato uno sforzo vano cercare di placare la collera di Airis in quel momento. Era testarda quando voleva e bisognava armarsi di infinita pazienza per farla ragionare quando si infiammava così.
- Sono venuta qui per aiutare queste popolazioni, per dare loro l'opportunità di andarsene, non per abbattere le armate elfiche. Non dopo quello che è successo, almeno. - sputò ed esercitò una leggera pressione sul pomo d'Adamo di Ignus, sufficiente a provocargli una piccola ferita.
Anche con i suoi occhi senza luce, Airis poteva fiutare il puzzo della paura del Cavaliere del Leone, insieme al suo battito accelerato, al sudore che lentamente colava lungo la schiena e al suo continuo deglutire, e questi erano solo gli indizi più evidenti. Ma sapeva che ciò che gli incuteva più terrore era un'altra cosa.
Fu questione di attimi. Nella tenda echeggiò un clangore di spade e poi calò di nuovo il silenzio.
Eigor strabuzzò gli occhi, meravigliato, poi lentamente si girò. La spada che impugnava un istante prima giaceva in un angolo a pochi metri da lui, mentre Airis, senza distogliere lo sguardo da Ignus, stava puntandogli contro una seconda lama. La studiò, alternando lo sguardo da una parte all'altra della tenda, cercando di capire dove la donna avesse preso la nuova arma. In pochi secondi nella sua mente si fece spazio un'idea assurda, una supposizione che gli gelò il sangue. Respirando con apparente calma, lanciò un'occhiata al fianco del Cavaliere del Leone, dove normalmente teneva la sua spada dorata, scorgendo il meraviglioso fodero vuoto.
“Impossibile...”
Trattenne un sussulto, mentre un brivido freddo gli attraversava la colonna vertebrale. In un battito di ciglia, la donna aveva disarmato il Cavaliere del Drago e si era appropriata della spada di Ignus, dando prova di un'agilità e una destrezza stupefacenti.
“Non dirmi che...”
Deglutì e un'ombra di timore mista ad ammirazione attraversò il volto di entrambi gli uomini: era dunque quella, la leggendaria bravura del Cavaliere del Lupo, che durante ogni battaglia le aveva garantito la vittoria su ogni nemico? Era quella, la famosa mano che padroneggiava con grazia mortale l'arte della spada?
- Potresti essere condannata per questo tuo gesto. - nella voce di Eigor si avvertiva un leggero tremolio, - Se veramente vuoi risolvere la situazione, sai meglio di me che la violenza non è il migliore dei modi. - le si fece più vicino, - Rispetta il regolamento. -
Con una certa riluttanza, Airis rinfoderò la lama e con malagrazia riconsegnò l'altra arma nella mani del suo proprietario, imponendosi la calma. Mentre tornava a sedersi, udì il risolino soddisfatto di Ignus.
”Dannazione, era a questo che puntava.”
Volse gli occhi ciechi nella direzione di quella risata odiosa, mordendosi le labbra a dandosi della stupida.
Come se nulla fosse accaduto, il Cavaliere del Leone riprese la parola: – Questa tua reazione così istintiva, mio carissimo Cavaliere, ha messo in luce quello che già da tempo pensavo: sei inadatta a prendere le decisioni di guerra. Tutti i piani da voi sostenuti sinora sono stati dettati dall'inesperienza. Per questo motivo, chiedo al generale e Cavaliere del Drago Eigor Felther di esonerarti dal voto in questa sede. - si rivolse all'altro, – Dopo quello che è successo pochi attimi fa, non pensi che sia la soluzione migliore? -
Airis implorò Eigor tacitamente, spalancando le iridi bianche nel vuoto, e per un attimo l'uomo sembrò tentennare, indeciso tra il dovere e l'amicizia.
Alla fine, senza esitazione disse: - Sono d'accordo con Ignus. Airis Lullabyon sarà esclusa dalle prossime decisioni. -


All'improvviso, il vocio fuori dalla tenda si interruppe bruscamente e il movimento che caratterizzava la vita frenetica del campo si arrestò. Qualcosa non andava.
Airis si alzò subito e, una volta indossato il mantello blu, uscì. L'aria fredda della notte le sferzò le guance e per un secondo rabbrividì. Fuori regnava uno strano silenzio: era come se tutti quanti fossero spariti senza lasciare traccia, eppure erano ancora lì, ne avvertiva la presenza. In qualche modo sembrava che i loro respiri fossero rimasti in sospeso, mozzati dalla visione di qualcosa di terribile.
Udì un soldato avvicinarsi correndo verso di lei.
- Generale! Generale, dovete venire subito! -
Era affannato, come se avesse percorso una distanza enorme in pochi istanti. Dalla voce Airis arguì che doveva trattarsi di ragazzo abbastanza giovane.
- Cosa sta succedendo? -
- Dovete... dovete vedere con i suoi occhi... -
Poi senza perdere tempo tornò da dove era venuto.
Airis svelta lo seguì per un centinaio di metri e quando sentì i suoi passi rallentare si fermò.
Il silenzio a quel punto si fece quasi assordante, diventando molto simile a quello che aleggiava sui cimiteri. Il vento le scompigliò i capelli e le portò alle narici un odore acre che conosceva fin troppo bene. Davanti a lei percepiva la presenza di un essere piccolino, dal respiro irregolare, che le si avvicinava a fatica. Non poteva sapere che davanti a lei c'era una bambina di dodici, forse tredici anni, con lunghi capelli neri, che avanzava strascicando i piedi pieni di tagli e calli. I vestiti che a malapena coprivano il suo corpo puerile erano ridotti a brandelli e penzolavano dalle braccia e dalle gambe, incrostati di sangue, terra e neve. I suoi grandi occhi azzurri, cerchiati da occhiaie scure, erano vuoti, senza più alcun barlume di luce. I soldati radunatisi intorno a loro assistevano inorriditi alla scena, incapaci di muoversi. Non sapevano come fosse arrivata lì e nessuno ci aveva fatto caso, credendola una delle tante orfane che pullulavano nel campo, fino a quando una donna non aveva urlato vedendo il sangue raggrumato che le imbrattava le cosce.
- Una bambina... -
- Cosa le hanno fatto... -
Airis poté cogliere solo qualche frammento di frase in quel basso vociferare. Si avvicinò con circospezione, cercando di non spaventarla, protendendo le braccia in avanti per invitarla ad accostarsi di più. Nel momento in cui non udì più i passi della ragazzina, si arrestò anche lei.
- Non avere paura, non voglio farti del male. - le tese la mano, sorridendole.
Sentì sulla pelle uno sguardo colmo di diffidenza e terrore, che pareva volerle scavare nell'anima.
“Anche io sono un nemico per lei.” pensò tristemente, trattenendosi dal correrle incontro, ”Non la si può biasimare, se esita ad avvicinarsi.”
Rimasero ferme per un periodo di tempo indeterminato a fissarsi, in attesa. Poi la bambina continuò a camminare con passo incerto, finché, sfinita, cadde sulle ginocchia a pochi passi dalla guerriera.
Senza esitazione, Airis azzerò le esigue distanze e la strinse a sé, accarezzandole il volto sudicio e rigato di lacrime.
- Va tutto bene, ora sei al sicuro. - le scostò un ciuffo di capelli dalla faccia, - Ce l'hai fatta, sei arrivata all'accampamento. Sei stata brava... veramente brava... -
Nonostante non potesse vederla, si accorse che il suo corpicino magro tremava, accaldato per la febbre e per la lunga camminata in mezzo a quella landa innevata. Non aveva idea se fosse stata opera degli elfi, ma in cuor suo ne era abbastanza certa.
- Un guaritore, qui serve un guaritore! - urlò in direzione dei suoi soldati.
Subito dei passi frenetici si allontanarono. La bambina si fece piccola piccola tra le sue braccia.
- Come ti chiami? - chiese Airis in un sussurro.
- Aminta... mi chiamo Aminta... -
- Chi ti ha fatto questo? Da dove vieni? -
- Gli... elfi... -
- Tranquilla, tranquilla. Rimani con me, Aminta... tra poco starai meglio... - le passò le dita tra i capelli e la coccolò come farebbe una madre, - Devi resistere, va bene? -
Avvertiva il suo respiro farsi sempre più fievole, mentre il battito rallentava minuto dopo minuto.
Aminta allungò la mano verso il volto di Airis, sfiorando il collo di pelo del mantello. La luna, quella stessa luna che l'aveva accompagnata per tutta la sua fuga, si stagliava alta nel cielo, impedendole di vedere chiaramente chi la stesse abbracciando così delicatamente, se un umano o uno spirito. Di quella figura, poteva solo scorgere gli occhi, bianchi con dei riflessi azzurri. Occhi feroci e fieri, simili a quelli di un lupo.
Sorrise un'ultima volta, verso quell'essere dallo sguardo pieno di preoccupazione, tentando di parlare. Voleva rassicurarlo e dirgli che andava tutto bene, ma le parole le rimasero in gola.
- Lu-lupo... - rantolò.
Poi chiuse le palpebre, rannicchiandosi tra quelle braccia forti e gentili, e la mano cadde a terra, priva di vita.
Passi concitati annunciarono l'arrivo del guaritore, ma, prima che questi potesse avvicinarsi, Airis si alzò, consegnandogli il corpo ancora tiepido della bambina. Girò il capo come per scrutare tutti gli astanti, immaginando lo sgomento e la rabbia che si stavano dipingendo sui loro visi.
- Penso che questo basti a dimostrare l'efferatezza e la crudeltà degli elfi. - proferì Ignus, facendosi largo in mezzo alla folla.
Era stato richiamato dal trambusto e un soldato gli aveva spiegato cosa era accaduto. Niente di meglio, quella era un'occasione che non poteva lasciarsi sfuggire e l'avrebbe sfruttata a suo vantaggio.
- Vi serve che qualche altro innocente muoia per causa loro? -
Le parole di Airis riecheggiarono nel silenzio: - Hai ragione, abbiamo visto tutti di cosa sono capaci. -
Avanzò verso di lui con lo sguardo ostile e lo fronteggiò con decisione.
- Per questo dobbiamo assolutamente ritirarci. Nell'accampamento ci sono troppi civili e tutti hanno bisogno di cure e assistenza. Se gli elfi attaccassero, non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivenza e tu, in quanto generale e Cavaliere del Leone, verresti meno al tuo primo dovere. - i due visi erano vicinissimi, – Quello di difendere i deboli e gli oppressi. -
La sua voce era diventata quasi un ringhio.
Ignus si scostò e ridendo sommessamente rispose: – Oh, Airis, mia cara Airis... forse tu non hai ben capito come stanno le cose. Ormai non puoi più decidere nulla. -
Si volse verso gli uomini e li squadrò tutti, uno ad uno, con occhi ardenti e pieni di rabbia.
- Voi, soldati, miei prodi soldati, non siete stufi di questa guerra? -
Un brusio di assenso si diffuse tra le fila.
- Un'altra innocente è stata uccisa da quegli esseri senza cuore. E voi vorreste lasciarli impuniti? Volete davvero disertare il fronte senza combattere? - scrutò i loro volti, – Chi vi dice che un giorno la loro orda diabolica non arriverà fino alle vostre case, fino alle vostre famiglie? Chi vi garantisce che i vostri figli e le vostre mogli saranno al sicuro per l'eternità? Se ora ci ritiriamo, gli elfi marceranno mettendo a ferro e fuoco ogni villaggio che troveranno sulla loro strada e alla fine occuperanno tutta Esperya! E voi volete lasciarglielo fare?! -
I soldati alzarono le armi in alto e gridarono la loro indignazione.
Ignus, toltosi il mantello arancione, aprì le braccia e sguainò a sua volta la spada. I rubini incastonati sull'effige leonina scintillarono sotto le stelle del firmamento, emettendo un bagliore sanguigno.
- E allora glielo impediremo! -
Un urlo di folle eccitazione salì verso il cielo notturno.
Airis si guardò intorno, spaesata e sorpresa dall'entusiasmo che improvvisamente si era impadronito dei suoi uomini. Tentò di dire qualcosa, ma le sue parole vennero coperte da quel frastuono infernale. Tiratasi sul volto il cappuccio di pelliccia, si recò alla sua tenda a passi lenti. Aveva bisogno di dormire.
Se davvero Ignus aveva intenzione di attuare il suo piano, sarebbe dovuta essere nel pieno delle forze per poter limitare il più possibile le perdite.
Ascoltando le esclamazioni di gioia e la rinnovata speranza dell'esercito, conscia che di lì a pochi giorni le radici degli alberi ghiacciati sarebbero state bagnate dal sangue dei suoi soldati, Airis cadde in un sonno senza sogni.

  
Leggi le 83 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Himenoshirotsuki