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Autore: Dira_    23/02/2013    12 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XIV
 
 
 
It's hard to compromise when I see through your eyes
It's just a common view, I guess it's lost on you
(I Can Talk, Two Doors Cinema Club)
 
 
27 Giugno 2028
Londra, Diagon Alley
 
“Perché stiamo entrando in un negozio di giocattoli?”
James Potter non si riteneva un tipo paziente; certo, riusciva a simularlo con gente come Malfoy, perennemente agitata come un ragazzino strafatto di Piume da Zucchero, ma in toni generali non sopportava domande che riteneva stupide e quella di Prince era appena schizzata in cima alla sua personale top - ten.
Il suddetto in compenso si era bloccato a braccia incrociate a pochi metri da loro. Spiccava, non c’era nulla da fare: era sia l’uniforme blu, dalla foggia diversa,  sia il fatto che urlasse straniero da ogni poro della pelle. Aveva un bel dire suo padre che dovevano cominciare ad andarci d’accordo.
Non ci riuscirò mai. Mi sta troppo sul cazzo, scusate tanto.
“Perché prima di tutto non è un negozio di giocattoli.” Puntualizzò seccato. “Ma di scherzi magici.”
“La differenza?”

Ora lo Schianto.
“La differenza è nella merce.” Gli venne in soccorso Scorpius con una scrollata di spalle. “Comunque non siamo qui per quella parte del negozio. Ce n’è un’altra … Il laboratorio di Hugo, e lui potrà darci una mano.”
“Con le telecamere di sicurezza da montare al San Mungo?” La voce del tedesco suonava scettica e fu di nuovo Malfoy a parlare perché era un tipo dannatamente diplomatico.

“Hugo ha avviato un’attività un po’ particolare…” Spiegò. “Si occupa di rendere funzionanti gli oggetti Babbani nel Mondo Magico. Fa in modo che la tecnologia riesca a sopravvivere ai campi magici emanati dai palazzi, dalle nostre case, da noi.”
“Lo facciamo anche in America.”
Ah, la perfetta America!
“Sì, ma qui è una cosa piuttosto nuova.” Fu l’obiezione pacata; davvero, come riusciva Malfoy a non aver voglia di prenderlo a calci? Doveva essere tutto l’allenamento che aveva fatto con tizi sgradevoli come suo padre, forse. “Se vogliamo far funzionare delle telecamere di sicurezza al San Mungo senza farcele spedire dall’America e perdere tempo ad aspettarle, è lui la persona giusta.”

Prince rimase in silenzio, quasi avesse bisogno di pensarci, quando era chiaro che era l’unica soluzione praticabile sia per proteggere il sergente Flannery, sia per non continuare a girare a vuoto; l’identikit redatto da Mason Wolpert era infatti stato un glorioso buco nell’acqua, dato che all’atto di descrivere il tipo era venuto fuori che Wolpert era stato nientemeno che affatturato.
Una roba potente. Quando ha provato a parlare gli si è annodata la lingua. Letteralmente. A Lesioni da Incantesimo ci stanno lavorando da quanto, quattro giorni?
Era frustrante. Sembrava che quel caso non avesse neanche uno spiraglio a cui affacciarsi, né una pista su cui svoltare. Come se non bastasse la stampa aveva fiutato il sangue ed era solo questione di tempo prima che i segugi della Gazzetta collegassero il black-out all’intera faccenda dell’americano e del Sergente.
Lanciò un’occhiata al proprio Specchio Comunicante; allo scioglimento della fattura sarebbe stato immediatamente contattato.
Nessuna notizia fin’ora.
“Capisco.” Disse il tedesco distogliendolo dai suoi pensieri. “Va bene, entriamo.” Disse passandogli accanto e ignorandolo come se fosse fatto d’aria.
Coglione.
Fece una smorfia scontenta: sapeva che avrebbe dovuto trovare il modo per andarci d’accordo; suo padre glielo aveva fatto promettere qualche giorno prima con un discorsetto durato tutto un dopocena.
Sicuramente gliel’avrà imboccato quella scema di Lils.
Solo che quella raccomandazione non lo prendeva in un momento tranquillo: era stata una settimana schifosa, piena dei problemi che più odiava al mondo, ovvero quelli senza soluzione.
Tipo, il mio ragazzo si è rintanato in mezzo ad una pila di libri alta quanto un pony e non vuole parlare di quanto successo nella Foresta Proibita. E oggi andrà a seppellire quel Mannaro. E non posso farci niente.
Intercettò un’occhiata preoccupata da Malfoy e gli allungò una pacca sulla spalla. “Tutto a posto, Malfuretto.” Mentì.
“Con questa faccia? Non prendermi in giro.” Lo sgamò subito. “Ne vuoi parlare? Birra dopo il lavoro?”

“Preferisco tornare a casa.” Scrollò le spalle, per quanto quella frase suonasse stonata per le sue corde. “Sai, Teddy.”
L’altro, già a conoscenza di tutto dato che quella birra se l’erano presa più volte in quei quattro giorni, annuì. “Okay, ma domenica ci sei per il mio compleanno al Finnigan’s, vero? Trascinaci anche lui.” Gli suggerì con un sorriso cordiale. “Vedere un po’ di gente lo tirerà su di morale!”
“Ci provo.” Concesse spingendo la porta ed entrando nel caotico ambiente dei Tiri Vispi; furono così assaliti da un tripudio di colori, suoni e luci. James sorrise divertito ai fuochi di artificio che sfrecciavano ovunque e alle torme di ragazzini che si asserragliavano attorno agli scaffali, chiedendo a gran voce ai commessi, vestiti di tutti i colori dell’arcobaleno, di provare la merce. Ne schivò un paio, tirando uno scappellotto distratto ad un moretto che tentò di aggrapparsi alla sua cintura, troppo in prossimità del fodero della bacchetta.
“Questo posto è un casino come al solito. Un giorno salterà in aria dalle fondamenta.” Sghignazzò l’amico con gli occhi che gli brillavano. “Lo adoro. Da bambino mamma mi parcheggiava qui e Calzino poi ci metteva ore per trovarmi.”
“I miei una volta mi hanno perso sul serio … Sono stato ritrovato nel retro dopo un paio giorni, abbracciato ad una cassa di Detonazioni Deluxe!” Rise Bobby, che come loro aveva passato l’infanzia tra quegli scaffali.
A metà tra il negozio e una ludoteca, i Tiri Vispi Weasley erano la summa perfetta del negozio a misura di piccolo mago e James aveva sempre ammirato la capacità dello zio di non arrabbiarsi mai quando, alla chiusura del negozio, dentro sembrava esserci passato un uragano.
Ma dopotutto il casino pare divertirlo a morte.
Avanzando in mezzo a Fuochi ad Innesco ad acqua che esplodevano ad ogni piè sospinto in cascate multicolori ci misero più di qualche secondo a notare che Prince era sparito. James si voltò e, per la prima volta dall’arrivo dell’altro, provò qualcosa di simile alla compassione; il poveretto non si era mosso dall’entrata, con gli occhi sgranati in piena e terrificata confusione.
“Sembra che non abbia mai visto un negozio di scherzi magico!” Ironizzò Bobby.
“Di certo non così. Questo posto è un simbolo fulgido della follia umana. Vado a prenderlo.” Esordì Scorpius risalendo il fiume di pre-puberi. Raggiuntolo gli parlò qualche breve istante in un tripudio di sorrisi rassicuranti che avrebbero convinto un Mangiamorte ad adottare gattini; Prince cominciò a riprendere colore.
“L’ha preso in simpatia, eh?” Considerò Bobby incuriosito.
“Probabilmente gli ricorda suo padre o roba del genere.” Scrollò le spalle facendo un cenno di saluto a suo zio George, occupatissimo a mostrare uno dei nuovi scherzi ad un capannello di bambini entusiasti.
“Beh, però è meglio di Lord Malfoy.” Alla sua occhiata si strinse nelle spalle, a disagio. “Avrà fatto degli errori in passato, ma non così grossi.”
“Dillo alla mia famiglia.” Masticò malmostoso, trovandosi nella scomoda posizione di non sentirsi più così legittimato.
Papà, Al, Lils e mamma non me la rendono facile. Merlino, me lo troverò davvero a tavola alla Tana, una di queste domeniche.
Scorpius lo raggiunse con l’altro, che si guardava attorno come se avesse paura che qualcosa potesse saltare in aria da un momento all’altro.
Paura legittima bello.
“È qui il laboratorio?” Chiese riuscendo comunque ad approntare un tono fermo, gliene dovette rendere atto.
“No, dietro.” Fece un cenno alle sue spalle. “Diamoci una mossa.”
 
Alla follia degli inglesi non c’era mai fine.
Respira.
Occhieggiò la fila di scaffali da cui stava passando, dalla quale esplodevano cose emettendo rumori raccapriccianti tra la pernacchia irriverente e il fischio acutissimo.
Lilian gli aveva raccontato del negozio di scherzi di suo zio George, una vera e propria peculiarità di Diagon Alley che attirava curiosi e clienti anche dai Ministeri vicini, tuttavia non avrebbe mai immaginato si trattasse di una specie di parco giochi per strafatti di Pozione Stimolante.

O per bambini… - gli suggerì la voce della sua coscienza; bambini iper-stimolati e chiassosi a giudicare dalle squadriglie di ragazzini che rischiavano di farlo inciampare ad ogni passo, brandendo bacchette di gommapiuma che si trasformavano ad ogni piè sospinto in ombrelli o merluzzi, dolciumi e fuochi d’artificio.
“Questo posto non dovrebbe vendere scherzi? Perché lascia che i clienti saccheggino gli scaffali?”
“Sono i campioni di prova, credo.” Gli rispose Malfoy, che esibiva un’espressione curiosamente simile ai piccoli avventori. “E se prendi qualcosa che non è in prova, paghi all’uscita. È un metodo che funziona, George Weasley ci ha fondato una specie di piccolo impero!” Si strinse nelle spalle. “Ci sono sedi dei Tiri Vispi sparse un po’ per tutta Europa.”
Sören fece una smorfia; non capiva tutto quel chiasso e ne era maledettamente frastornato.

“Non hai mai comprato una Caccabomba da ragazzino?” Gli venne chiesto con divertimento.
“Avevo il Piccolo Pozionista … Lo ricevetti da mio padre quando avevo sei anni.”      
“Anche io. Feci saltare in aria il letto di camera mia e per punizione il mio mi fece dormire sul tappeto per una settimana!” Sghignazzò allegramente. “Tu cosa hai distrutto invece?”
“Niente.” Aggrottò le sopracciglia. “Seguivo le istruzioni.”
“Oh, ci credo.” Sorrise di rimando indicandogli poi con un cenno della testa una porticina rossa, alla fine dell’enorme stanzone su più piani. “Eccola là. La porta per il regno di Hugo.”
“Cugino di Lily?”  

“Gli Weasley sono più o meno tutti cugini tra di loro. Sono una specie di enorme conigliera rosso-crinita.”
“Guarda che ti sento, cazzone!” Lo riprese Potter facendogli un gestaccio e bussando al battente della porta rossa. “Speriamo che Hugo non si spari quella sua roba in cuffia o non ci sentirà mai.” Borbottò scrocchiandosi il collo.
Fortunatamente il ragazzo in questione aprì subito; Sören lo riconobbe al volo, perché a parte l’altezza e i lineamenti più maturi era lo stesso ragazzino arruffato che aveva conosciuto ad Hogwarts. Questo abbassò le grosse cuffie Babbane sul collo e li squadrò uno per uno. “Ohi. Che ci fate qui?” Esordì con il tono di chi era appena stato strappato dal sonno.
Riesce a dormire con quello che succede dietro la sua porta?
“Consulenza, Hughie!” Esclamò Potter battendogli una pacca consistente sulla spalla magra. “Ci serve una mano con una roba tecnologica.”
“Ah, okay.” Esalò lanciandogli un’occhiata piuttosto truce, ma doveva essere la sua espressione usuale perché non la cambiò neppure per salutare Jordan e Malfoy. Sören da un mondo caotico fu trascinato in un altro, completamente diverso eppure regolato dagli stessi principi dell’entropia. Era un retro-bottega, spazioso ma completamente invaso di ciarpame, tra computer, televisori al plasma e stereo. Weasley non era solo, dacché nel laboratorio si affaccendavano una mezza dozzina tra ragazzi e ragazze che chini su tavoli da lavoro erano per la maggioranza presi a dissezionare plastica e microchip. I tre auror salutarono una ragazzina bionda ancora in piena adolescenza e vestita come se dovesse presenziare ad un concerto punk, tra piercing e abbigliamento ribelle.

Più che un laboratorio magico sembra una sala giochi Babbana.
Lo stesso proprietario sembrava uno di quei giovani geni della Silicon Valley californiana, in t-shirt dal motto ironico e Converse bucate.
“Che posto è questo?” Chiese.
Malfoy fece un sorrisetto svagato. “Il Grande Sogno di Hugo.” Gli rispose. “Tutti i ragazzi inglesi vengono da lui per far funzionare cellulari e impianti stereo ad Hogwarts o a casa della nonna che vive solo di bacchette e incantesimi. Ha anche lavorato alla messaggistica degli Specchi Comunicanti, anni fa, quando era ancora a scuola.” Gli lanciò un’occhiata perplessa. “Non hai detto che esistono posti così anche in America?”
“Sì, ma sono meno … sperimentali.” Si risolse a dire, suo malgrado affascinato. Non capiva un negozio di scherzi, ma un laboratorio dove venivano sviluppate nuove idee per rendere due mondi tanto diversi capaci di comunicare … quello sì, poteva capirlo. “È stupefacente.” Ammise.
Hugo dovette averlo sentito perché si voltò per scoccargli un sorriso tutto denti che lo rese definitivamente cugino di Lilian. “Sicuro che lo è!” Esclamò. “È il primo laboratorio di conversione Tecno-Magica in Europa!” Spiegò gonfiando il petto d’orgoglio. “La WizardTech!” Esitò solo un attimo, prima di lanciare un’occhiata guardinga a Potter. “Vuoi farti un giro?” Propose.
A quanto pare lodare gli Weasley ripaga sempre.
Era disposto a continuare su quella china, se significava portarne un altro dalla sua parte. “Volentie…”
“Magari un’altra volta, Hughie, stiamo lavorando.” Li mise in riga Potter. “Ci serve sapere se puoi fare un lavoretto su delle…” Tentennò cercando chiaramente di ricordarsi il termine.
“Telecamere di sicurezza.” Gli venne in aiuto Malfoy. “Una roba del genere.”
“Di video-sorveglianza cioè?” Intuì subito il tecnico. “Dove volete piazzarle?” 

“San Mungo.”
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, pizzicandosi il mento. “Okay. Non dovrebbe essere difficile, anche se dipende da che risoluzione volete che abbiano. I campi magici potenti come quello del San Mungo smarmellano un sacco la qualità video.” Spiegò senza spiegare nulla, tra colloquialismo e termini tecnici.
“Come ti pare.” Sbuffò Potter a disagio: doveva essere difficile per lui non essere padrone di un argomento. “Basta che si veda la faccia di chi entra ed esce da una stanza ventiquattro ore su ventiquattro. Pensi di poterlo fare?”
“Sicuro.” Convenne l’altro con un cenno evasivo della mano. “Per quando le volete pronte?”
“Il prima possibile.”
“Per stanotte le avrete funzionanti.” Promise con una tranquillità incoraggiante.

Almeno non dovremo preoccuparci anche di questo.
“Bella pensata comunque.” Aggiunse. “È la prima volta che sento che l’ufficio Auror le usa. Di chi è stata l’idea?”
“Di Prince.” Rispose Malfoy. “In America le usano da anni.”
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata valutativa e poi azzardò un sorriso. “State un sacco avanti là, eh? Mi piacerebbe venire a vedere quanta roba ci stiamo perdendo nella vecchia Inghilterra.”
“Idee come le tue sarebbero le benvenute.” Sperò che la lode non risultasse troppo smaccata – e a giudicare dalla smorfia di Potter forse lo era. A sua differenza però il cugino avvampò di autentico piacere.

Tutti gli Weasley arrossiscono sulle orecchie?
“Bene, le avrete per stasera.” Ripeté stropicciandosi il viso con le dita. “Mi ci metto subito.”
“Da quant’è che non ti fai una dormita ad orari decenti, Hugh?” Ghignò Potter arruffandogli i capelli con il piglio di un fratello maggiore. Doveva avercelo nel sangue. “Non vogliamo esser responsabili se poi Gail ti sgrida!”
Ci fu un nuovo arrossamento in zona orecchie. “Gail ce l’ha già con me per qualche diavolo di motivo.” Borbottò “Devo chiedere a Lils che le è preso stavolta. Con le donne a volte serve un dannato traduttore!”
Lily.
Si erano sentiti in quei giorni, anche se solo tramite messaggi su cellulare – non era mai stato tanto grato a Milo per avergli insegnato ad usare quell’aggeggio dallo schermo sin troppo sensibile. Non erano ancora riusciti a vedersi, ma non si sentiva inquieto; se c’era un lato positivo di quella lunga indagine tortuosa era avere un buon margine di permanenza su suolo inglese.

La rivedrò. Posso vederla adesso. Vuole vedermi.
Sapeva di non dover tirare la corda ma al tempo stesso non aveva voglia di attendere un invito da parte dell’altra: la conosceva abbastanza bene da sapere che prendere l’iniziativa non era nelle sue corde.
Il suo invito di domenica è stata un’eccezione.
Un caffè. Suppongo che un caffè vada bene.
Milo aveva suggerito una cena, ma gli sembrava troppo. Doveva fare piccoli passi ed un invito per una consumazione veloce e un po’ di chiacchiere era un buon compromesso.
Ha detto che vuole farmi vedere l’Inghilterra, ma …
Lilian era una ragazza dalle iperboli facili; per quanto fosse stato felice di sentirglielo dire non era sicuro che avrebbero davvero finito per Materializzarsi assieme nei principali luoghi storici o di interesse della Terra d’Albione.
Ha una vita, degli impegni, degli amici e un ragazzo. Goditi i momenti che ti dedica, ma non illuderti.
Mai.  
Sì, un caffè era un’opzione appropriata; nessuno avrebbe potuto muovere obiezioni.
Tranne Potter. Ma che vada francamente al diavolo.
Uscendo dai Tiri Vispi Weasley lo sentì parlottare a bassa voce con Malfoy; udì il suo nome nella frase e finse di non averlo fatto. Era la strategia migliore da seguire.
Io ignoro lui e lui ignora me.
Fu Malfoy alla fine a girarsi e fargli un sorriso amichevole a cui ritenne doveroso rispondere. “Ehi, hai piani per questo venerdì sera?”  
Confuso, scosse la testa. “No, non direi. Perché lo chiedi?”
“Perché è il mio compleanno e faccio una festicciola al Finnigan’s Wake, il pub…”
“… dei gemelli Finnigan, Lily me ne ha parlato.” Concluse per lui, non credendo a quello che stava implicando. Una cosa era esser civili in orario di lavoro, un'altra includerlo nel proprio tempo libero. “Lo conosco.” Concluse non impegnativo.

“Fantastico, allora ti sarà facile trovarlo.” Vedendo la sua espressione chiarificò tranquillo. “Sei invitato, e porta pure chi vuoi. Più siamo, meglio è!”
Non sapendo cosa rispondere senza mostrare le sue deficienze relazionali, si limitò ad un rigido cenno della testa. “Molto volentieri.”
Dopotutto, forse, non gli serviva una scusa per rivedere Lilian.

 
****
 
Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale, Ufficio Internazionale della Legge Magica
Mattina.
 
“Signor Zabini, c’è una chiamata via Fuoco Magico per lei.”
Michel alzò lo sguardo, squadrando perplesso il giovane Fuochista – mestiere che nel Mondo Babbano prendeva il nome di centralinista – affacciato alla porta dell’ufficio.
“Arrivo subito.” Disse abbandonando volentieri la scrivania per sgranchirsi le gambe. Il ragazzo gli fece spazio facendolo passare e Michel si godette l’occhiata al fondoschiena che gli venne lanciata. Quel nuovo completo, uscito fresco dalle mani capaci di George McClan era stato un acquisto decisamente oculato a giudicare dallo sguardo affamato dell’altro.

Abbiamo già avuto il nostro tempo Kyle, e dato che non è stato niente di che, nessun bis, spiacente.
“Se si tratta di Nott ho già detto di non farmi passare le sue chiamate.”
Non gli spedirò denaro, né favorirò la sua estradizione nel caso gli spagnoli avessero finalmente realizzato che sta mettendo su una delle sue baracconate illecite a casa loro.

“No, è dall’America.” Replicò il fuochista. “Michel…” Tentò di raggiungerlo. “Hai un momento…”
“America, Kyle.” Inarcò le sopracciglia. “Scusami, temo sia importante.”

Chi diavolo mi chiama da là?
Fu con quella domanda in testa che si posizionò nella nicchia dedicata al focolare da cui era arrivata la chiamata, sedendosi sullo sgabello basso e scomodo.
Scomodissimo se hai passato una notte a folleggiare per poi tentare di scordartela con le successive, tra le braccia di tizi che non valevano neanche una sveltina nei gabinetti.
Scacciò quel pensiero come sporco sotto un tappeto, chinandosi all’altezza del focolare baluginante. “Parla Michel Zabini.” Esordì.
“Buongiorno Signor Zabini, spero di non averla disturbata.” Gli rispose una voce dal forte accento americano. “Mi chiamo Ethan Scott e la chiamo dall’ufficio Cooperazione del Ministero Americano.”

“Buongiorno.” Salutò perplesso; era la prima volta che si occupava di un caso di giurisdizione congiunta, ma non gli risultava cosa abituale che i colleghi americani si facessero vivi. “Come posso esserle utile?”
“Sì, mi può essere utile.” Convenne l’altro con un tono sciolto, di chi era abituato a parlare con tante persone di diversa estrazione sociale e per questo approntava un tono neutro e genericamente amichevole. “È lei ad occuparsi del caso congiunto Howe, è corretto?”

“Corretto.” Confermò, ed era un po’ sterile visto che era l’unico caso che supervisionava al momento. Che diavolo voleva quel tipo da lui? Non che non apprezzasse una diversione dalla pila si scartoffie che lo aspettava, ma quella chiamata era strana.
“Si occupa di monitorare le indagini del nostro agente di collegamento, Sören Prince, giusto?” Sembrava voler ribadire cose ovvie, ma Michel decise di assecondarlo mentre cercava di capire il sottotesto.
La mia professione è fatta tutta di sottotesto.  
“Mi occupo di questo al momento, sì.” Ripeté diligente. “Avete ricevuto i rapporti con le mie note, spero.”
“Certo.” Assentì. “Un lavoro eccellente. La professionalità è una dote che viene molto apprezzata nel nostro ufficio.”

“Lei mi lusinga.” Non si sbilanciò, cominciando a capire che l’altro stava facendo ampi giri attorno ad un argomento. “Ethan … posso darti del tu?” Chiese scivolando in un tono accattivante, quello che riservava per i pezzi grossi o per amanti degni di nota.
“Stavo per proportelo io, Michel.” Abboccò l’uomo con un sorriso che poteva essere percepito anche oltre le fiamme verdognole. “Ho letto la tua scheda. Giovane ed intraprendente. Ragazzi come te sono linfa vitale per la nostra professione.”
Sì, vallo a dire a mio padre o a Lord Malfoy.
“Riguarda il caso Howe, Ethan?” Chiese pacato, cercando di capire dove voleva andare a parare l’americano. Se aveva chiamato lui e non l’ufficio Auror era evidente che avesse bisogno di un favore.
E chiunque frequenti i corridoi del Ministero sa che favori e Ufficio Auror non stanno nella stessa frase.
A meno che tu non appartenga al grande Clan Potter-Weasley, ovvio.
“Riguarda Sören Prince.”
“Prince?” Inarcò le sopracciglia preso in contropiede. “È un vostro agente.” Sottolineò. “Cosa posso dirvi che già non sapete?”

“Molto.” Michel aggrottò le sopracciglia tentando di riflettere il più velocemente possibile. “Come ho detto, in America sappiamo valutare le persone che ci sono davanti, Michel … e anche quelle che non possono esserlo per motivi geografici. E una buona opinione è cosa ben spendibile nei nostri ambienti.” Fece una breve pausa. “Spero di essere stato chiaro.”  
Ah.
Un favore per una buona parola. Chiarissimo.
“Prince non è un agente qualunque, Michel, se conosci la sua storia non potrai che convenire.” Continuò l’americano in tono discorsivo, amichevole. Doveva essere pericoloso avere a che fare con un uomo così, se ti trovavi dalla parte sbagliata della sua bacchetta.
O se gli dai le spalle.
Chissà cosa aveva fatto Prince per finirci. Non che gli interessasse; non era affar suo dopotutto.
Non sono certo la sua balia.
“Quello che vogliamo sapere da te è un’opinione sul suo operato, niente di più. Che tu lo tenga d’occhio e che ci riferisca i suoi movimenti.”
“E le mie impressioni devo inviarvele assieme alle mie note sul caso?” Domandò ironico; non c’era bisogno che notificasse il suo assenso: quella era la sua occasione per avere un biglietto di sola andata per uno scatto di carriera prima dei venticinque anni e non se la sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo. Ethan Scott doveva aver studiato la sua storia professionale prima di contattarlo.

Vuole usarmi. Benissimo. Io userò lui.
L’americano ridacchiò. “Ti chiamerò io. Una chiacchierata una volta a settimana, non sarà nulla di impegnativo. Avere buoni amici in questo mestiere è il metodo migliore per fare strada.”
“Mi è stato detto.” Sorrise di rimando anche se non poteva vederlo. “Puoi contare su di me, Ethan.”

 
“Pausa pranzo, mio buon Mike?”
Michel fece una smorfia, entrando in ufficio e notando come la sedia di fronte alla sua scrivania fosse occupata da una giacca a strisce stravaganti e dagli occhi bicolori di Loki Nott.
“Pensavo ti fossi definitivamente stabilito in Spagna.” Sbuffò aggirando l’amico e sedendosi. “Se non altro per sfuggire alla giustizia.”

“Sentivo nostalgia dell’umida estate londinese, che vuoi farci. Sono un tipo abitudinario.” Replicò con un mezzo sorriso indolente, di quelli che si accoppiavano ad uno stiracchiarsi dopo una lunga dormita. “Non ti sono mancato?”
“In questa settimana? Affatto.” Ironizzò afferrando una cartellina spessa e aprendola con un tocco delle dita. “Non posso venire a pranzo, ho da fare.”
“E salti un pasto principale? Sai, credo che in qualche nazione sia considerabile un delitto capitale. Andiamo, l’affare è andato in porto. Offro io.”
Michel era piuttosto certo che la maggior parte dei funzionari del Ministero non aveva amici fastidiosi come i suoi. Tra Nott e Malfoy era difficile decidere chi era il più pronto a trascinarlo via dai suoi compiti.

Non oggi che è una giornata che sembra finalmente fuori dalla mia solita, avvilente routine.
“Grazie, come se avessi accettato.”
“Stiamo diventando maniaci del lavoro?” Lo stuzzicò come era solito fare, ma quel giorno Michel era poco incline ad indulgere nei loro soliti battibecchi.

“Diversamente da persone di mia conoscenza ho un lavoro che richiede la mia completa dedizione.” Buttò fuori forse con eccessiva stizza, tanto che la sua collega alzò la testa per controllare la situazione – e probabilmente sparlarne durante la maledetta pausa pranzo.
Nott d’altro canto non diede segno di aver notato lo sfogo, passando un dito sulla targa lucida che informava l’intero piano del suo nome, cognome e grado ministeriale. “Ti ricordi quando al Quinto anno giurammo che fuori da quell’isolamento barbaro tra le montagne saremo vissuti per diventare i re della Londra Magica?” Chiese invece.
Michel inarcò le sopracciglia, non capendo dove  volesse andare a parare; era piuttosto raro che Loki si perdesse in discorsi nostalgici. “Ne abbiamo fatte molti, di discorsi del genere. Pensi che me ne ricordi uno in particolare?”

“Non è quello il punto.” Inclinò la testa per guardarlo e Michel si sentì investire da qualcosa di simile all’inadeguatezza. Il che era ridicolo, perché Loki, diplomatosi con il minimo dei voti, viveva alla giornata e del frutto dei proprio imbrogli – il patrimonio di famiglia non era mai stata un’opzione, sperperato da Nott Senior in una serie di investimenti scriteriati prima che figlio e nipote nascessero.
Io sto costruendo il mio futuro. Prestigio, importanza, far combaciare il mio nome con le aspettative che porta il mio cognome.
Lui passa il suo tempo in bettole con Goblin strozzini e scommettitori.
Perché dovrei essere io quello a sentirsi inferiore?
“E quale sarebbe, di grazia?” Ritorse serrando le dita sulla pratica, quasi fosse una maledetta coperta confortante dopo un tuffo gelido nel Lago Nero.
“Vivere.” Tagliò corto l’amico. “Ultimamente pare tu ti sia scordato come si fa.”
Michel si rifiutò di sentire lo stomaco contrarsi in una morsa. Si rifiutò di provare angoscia, e dunque provò rabbia. “Non dire sciocchezze.” Sibilò. “Oggi ho ricevuto un’ottima opportunità e non permetterò che tu mi rovini il buon’umore con discorsi insensati.”
“Ah, perché adesso sei di buon’umore? Ti ricordavo diverso.” 

Michel represse l’impulso di rispondergli per le rime. Non aveva davvero tempo, né tantomeno voglia. “Se hai tempo per scocciarmi perché non ne fai buon uso e ti occupi del regalo di Scorpius?”
Loki si passò una mano trai lunghi ricci scomposti e Michel intuì il gesto distensivo; si conoscevano da troppo tempo per infilarsi in una discussione sui rispettivi sentimenti offesi. “Come preferisci.” Fu infatti la replica quieta. “Solo, pensavo volessi esserci anche tu.”
“Non ho…”
“… tempo, avevo afferrato il concetto a due lamentele fa.” Si alzò in piedi, recuperando l’estroso bastone da passeggio che portava ovunque – era un ottimo posto dove nascondervi la bacchetta quando doveva condurre affari ai limiti del lecito. “Lasci dunque nelle mie mani il regalo per il nostro festoso amico, arbiter elegantiae?” Motteggiò con eleganza, ed era una delle cose che più apprezzava di lui.

E che lo lascia libero di vivere in casa mia senza spendere uno zellino né una sterlina.
“Mi fido del tuo buon gusto, una delle poche doti che hai, Mastro Zabini.” Replicò accettando l’offerta di pace con un sorriso che sperò risultasse sincero. 
“È la stessa che mi permetterà di avere la tua auto sportiva per questo fine settimana?” Interloquì impenitente.
“Scordatelo.” Ribatté sapendo che avrebbe finito per capitolare; differentemente da un certo Dursley, non era poi così attaccato alle sue cose. “Specie se usi il bagagliaio come hai fatto l’ultima volta.”
“Era solo una fornitura di pozioni!” Protestò con tono falsamente offeso. “Passare il confine le Asturie è stato un gioco da ragazzi e te l’ho riportata sana e salva, o mi sbaglio?”

Alzò gli occhi al cielo. “Levati dai piedi, Nott.”
“Ai tuoi ordini.” Sogghignò disimpegnato, prima di fare un cenno di congedo sia a lui che alla collega e Smaterializzarsi con un sonoro crack.

Michel con un sospiro si apprestò ad ignorare il vuoto che la presenza dell’amico e dell’ennesima rinuncia avevano appena lasciato.
 
****
 
Notturn Alley, Black Goose.
Ora di pranzo.

 
L’universo Magonò era largamente sottovalutato da chi aveva la magia e questo era un dato di fatto per chiunque si prendesse la briga di controllare.
Cioè nessuno.
Milo si calcò il vecchio berretto in testa e aprì la porta del Black Goose, pub decrepito a Notturn Alley, segnalatogli come il ritrovo per eccellenza degli scarti della società magica. Al suo ingresso si voltarono in simultanea una dozzina di teste. Milo ignorò le occhiate che gli vennero lanciate e si diresse verso l’unica persona con cui voleva parlare lì dentro, ovvero il suo nuovo, scintillante contatto londinese.
“Figgins?” Apostrofò un ragazzo dai capelli rossi a cui mancava solo il kilt per essere la perfetta rappresentazione dell’anglosassone. Quando abbassò lo sguardo mascherò una risata: il kilt il tipo lo aveva davvero. “Sei Figgins, giusto? Mi manda Kreutzer.”
“Figg per gli amici, e tu devi essere Meinster.” Replicò quello in forte accento londinese, tanto che capì solo il suo cognome. “Kreutzer mi aveva detto che eri grosso … Cazzo, quanto sei, due metri?” Esclamò stringendogli la mano. “Cos’è, in Germania vi fanno bere Pozione Ingozzante dalla nascita?”
Milo si sedette ed ordinò subito due birre al bancone; l’entrata in scena era importante, così come l’immediata offerta di un dono, in quel caso alcool. “Uno e novanta.” Sorrise amichevole. “Ti offro il primo giro se dici ai tuoi amici di piantarla di guardarmi come se volessero ficcarmi un coltello nella schiena.” Non appena ebbe terminato la frase, come voleva il codice del perfetto malvivente, i più corpulenti della schiera fecero il gesto di alzarsi, mani dentro le tasche, ma il ragazzo fece un brusco cenno e tornarono in un batter d’occhio alle loro consumazioni.
Guardaspalle.
“Siete nervosetti da queste parti.” Osservò prendendo la propria pinta e dandone un sorso; trattenne una smorfia.
Tra americani e inglesi non so chi ha il peggior piscio caldo.
“Solo prudenti.” Gli fu risposto. “Kreutzer mi ha detto che volevi parlarmi. Di cosa?”
Dritto al punto. E andiamo.
“Non posso cercare di conoscere altri Maghinò?” Interloquì con noncuranza. “Sono in città da una settimana e volevo stare in famiglia.”
Quello diede un vigoroso sorso alla sua Stout. “Non raccontarmi palle, biondo. Le uniche cose che bevo sono whiskey e birra.” Replicò asciugandosi la bocca con il dorso della mano. Sorrise, ma era un sorriso affilato come un rasoio; Milo conosceva abbastanza la logica della strada per sapere che chi esternava in quel modo e aveva la stazza di un adolescente aveva buone probabilità di essere un bastardo più pericoloso dei troll armati di prima.
“Kreutzer mi ha detto che sei un lupo solitario.” Continuò in tono discorsivo. “E che è un po’ che sei fuori dal giro.” Lanciò uno sguardo al suo abbigliamento. “E ti dirò, sembra abbia ragione, sembri un Babbano.”  
Milo prese una manciata di secondi per riflettere: quel Figgins, a dispetto dell’età, doveva essere una specie di capoccia dei Magonò londinesi ed era dunque un contatto da farsi. Il problema, supponeva, era evitare che l’altro si facesse lui.
E non in senso buono. In senso farmi a filo di lama.
“Vivo in America adesso … là le cose funzionano in modo diverso.” Spiegò con tutta la nonchalance che possedeva. “Bisogna adattarsi.”
L’inglese appoggiò il gomito sul bancone per sporgersi nella sua direzione e Milo rilassò la postura per non mostrarsi troppo guardingo. “Adattarsi è una cosa furba da fare, garantito …” Iniziò vago. “Kreutzer dice però che ti sei adattato talmente tanto da esserti scordato chi sei.” Ghignò. “Dì un po’, Meinster, è vero?”
“Falso come la moneta di un Leprecauno.” Rispose pronto. “Non ci si può scordare di essere Maghinò.” Scrollò le spalle. “E se fossi in te, non darei retta quello che esce dalla bocca di Kreutzer. Ce l’ha con me perché ho sempre scopato più di lui.”
Figgins scoppiò in una risata sgangherata e questo fece visibilmente rilassare le persone attorno a loro. Milo, che aveva tenuto d’occhio l’atmosfera, si trovò molto sollevato.

Se finisco con un coltello ficcato in pancia perché sono troppo poco cencioso poi chi lo spiega al principino?
Quello è capace di farmi lavorare anche con un’emorragia interna in corso.
“Sei simpatico. Mi piacciono i tipi simpatici.” Stabilì sciogliendosi in un sorrisone che lo fece sembrare un monello troppo cresciuto. “Avanti, crucco, dillo a Figg. Cosa ti serve?”
“Un’informazione.” Ammise, ora che i paletti erano stati messi e il rapporto avviato. Aveva bisogno di una conferma molto specifica e l’unica soluzione che gli si era affacciata alla mente era stato chiedere a chi in strada ci stava tutti i giorni.
Non si era scordato quanto visto al San Mungo, il giorno del cosiddetto black-out. Non aveva dimenticato neppure un secondo la faccia che aveva visto.
Fottuto Johannes. O come diavolo si fa chiamare qui.
L’unico motivo per cui non era corso a gridarlo ai quattro venti – specialmente al principino, che aveva incubi abitati dal tizio in questione – era perché prima doveva esser certo di non aver preso un abbaglio. Aprire quel vaso di Pandora sarebbe stato un suicidio senza avere certezze.
“Quindi vediamo se ho afferrato … Mi stai chiedendo di guardare in giro e trovare un mago che cambia faccia a seconda di come gli gira?” Riassunse Figg con un’espressione scettica dipinta sulla faccia lentigginosa. “Amico, non faccio magie né miracoli!”
“Ha una faccia sola quando non lavora, la sua.”

L’altro Magonò fece un sospiro. “Okay, ho afferrato. Sulla trentina, testa rasata, accento come il tuo e un gran chiacchierone. Mago, ma tiene un profilo basso e veste da Babbano.” Si strinse nelle spalle. “Io e miei ragazzi terremo gli occhi aperti e faremo domande… Ma dì un po’, che problema hai con il tipo?”  
Milo schioccò la lingua e ordinò un’altra birra. Come si era abituato alle bottiglie di vetro americane, poteva abituarsi alla robaccia tiepida britannica. “Io? Nessuno. Diciamo solo che se quello sta in giro per Londra, i casini possono arrivare per tutti.”



****
 
Inghilterra Sud-occidentale, Godric’s Hollow, Cimitero.
 
C’è sempre qualcosa di beffardo quando il sole splende ad un funerale…
Ted l’aveva sempre pensato.
Con la bacchetta calò la bara di semplice legno sotto terra, aiutato da Neville e il sacerdote; non era stato facile trovare un posto dove seppellire Ben – aveva deciso che quello, in mancanza di certezze, sarebbe stato il suo nome.
Nel nascondiglio del Mannaro non erano infatti stati rinvenuti né una bacchetta nè documenti che potessero testimoniare la sua appartenenza al mondo magico. Era stato il buon Neville, efficiente come sempre, a trovare il modo di farlo seppellire al cimitero di Godric’s Hollow.
Il cimitero dei maghi per eccellenza.
Ascoltò con metà orecchio il salmodiare trito e impersonale del sacerdote; del resto, cosa avrebbe mai potuto dire di un uomo che nessuno di loro conosceva?
Non ho fatto abbastanza.
Era questo il pensiero che lo tormentava, togliendogli ogni capacità di concentrazione.  Razionalmente sapeva che i suoi margini di manovra erano stati minimi dato che il Mannaro l’aveva attaccato con l’intenzione di ucciderlo. Tuttavia la conclusione a cui giungevano le sue riflessioni era sempre la stessa.
Non ho fatto abbastanza.
Sentì dei passi affrettati lungo il selciato ghiaioso del piccolo cimitero di campagna e con la coda dell’occhio vide James avvicinarsi e inspirare, arruffato da una Materializzazione forse troppo veloce. “Ehi.” Sussurrò senza fiato. “Scusa il ritardo.”
Scosse la testa. “Non fa niente.” Ed era vero perché gli bastò vedere tutta quella vivacità repressa per sentirsi meno anestetizzato dall’ambiente

Odio i cimiteri.
Avendoci passato buona parte delle feste comandate della sua infanzia, con la mano stretta a quella di sua nonna o a quella del padrino, sentiva di avere le sue buone ragioni. Percepì le dita di James insinuarsi tra le sue; sorrise. Quella stretta era ben diversa.
Grazie.
Glielo disse con gli occhi ma l’altro parve capire perché gli restituì il sorriso e gli sfiorò le labbra con un bacio leggero.
Era davvero beffardo quel dannato sole che gli scaldava la schiena mentre si dirigeva verso le tombe dei suoi genitori. Rimase a fissare le due lapidi ben curate per un tempo infinito, non pensando a nulla di particolare; con gli anni aveva imparato che quello era il modo migliore per affrontare quel genere di visita.
Rimugino già abbastanza quando sono fuori di qui.
James gli si affiancò, la giacca dell’uniforme buttata indolentemente su una spalla. “Sono passato a salutare Sirius.” Disse passandosi una mano trai capelli. “Papà dev’esserci stato di recente. Ci sono fiori diversi rispetto all’ultima volta.”
“Ci passa ogni settimana.” Gli fece eco con un sospiro. “Dovrei farlo anch’io. Vengo troppo di rado.”
“Non credo.” Fece una smorfia. “In posti del genere ci devi venire solo quando ne hai voglia.”

“Non funziona proprio così…”
“Invece sì.” Ritorse con la decisione tranciante che lo contraddistingueva. “Non penso che ai tuoi farebbe piacere che tu venga a trovarli per dovere.”

Ted ci rifletté poi non poté trattenere un sorriso. “Non hai tutti i torti.”
“Come ti senti?” Gli chiese. A James non poteva mentire o dissimulare la verità; con l’esperienza aveva capito che era solitamente un’idea imbecille.

Visto che sa leggermi come un libro.
“Non riesco a togliermi dalla testa la sua espressione quando ha capito che doveva morire.” Serrò le labbra. “È stato … orribile.”
L’altro annuì ma non disse niente e gliene fu immensamente grato. Per quanto James dimostrasse spesso una mancanza di tatto degna di nota, negli argomenti seri era capace di misurare le parole come pochi, sceglierle e farle valere. Era una dote che aveva ereditato da Harry e Ted non l’aveva tanto apprezzata come in quel momento.

“C’era qualcosa … che non mi dà pace.” Confessò.
“Cosa?”
“Avermi attaccato … non aveva senso, Jamie.” Si voltò verso di lui, non riuscendo più a tenerselo dentro. “Ci ho pensato e ripensato, avrebbe potuto scappare, o nascondersi.”

“C’eravamo noi che cercavamo nelle grotte e i Centauri dall’altra parte del greto … Era un po’ difficile passare inosservato.” Gli fece notare aggrottando le sopracciglia. “Nascondersi non era un’opzione.”
“Lo era però scappare. Invece è rimasto. I Mannari non trasformati non si comportano così, evitano il confronto diretto se possono. Non hanno la bacchetta e molti di loro non hanno mai imparato a sviluppare le proprie capacità magiche. Contro un mago o una creatura come un Centauro è partita persa e lo sanno bene.” Spiegò cercando di esprimersi nel modo più chiaro possibile. Il guizzo negli occhi castani dell’altro gli fece capire che l’analogia era andata a segno.

“Sì, me lo ricordo.” Sogghignò. “Sono le tue vecchie lezioni, Teddy. Ce le ho stampate a fuoco nella memoria.”
“Esagerato.” Sbuffò sentendosi suo malgrado lusingato. “Quindi, cosa ne pensi?”

“Penso che la tua idea non sia poi così assurda.” Ammise. “È stato un comportamento anomalo in effetti. Attaccarti è stato come dipingersi un bersaglio sulla schiena.”
Un’idea illuminante arrivava in molte forme e spesso tramite commenti del tutto casuali, Ted non ne fu convinto tanto come in quel momento, quando capì perché l’uomo di nome Ben gli si era gettato addosso come se non avesse nulla da perdere.
“Voleva l’attenzione su di sé!” Esclamò. “Mi ha attaccato per portarvi via dalla grotta!”
L’altro batté le palpebre stupito, assimilando l’informazione. “Cazzo, ha senso.” Convenne. “Questo spiegherebbe anche perché non è scappato quando ci ha sentiti arrivare.” Gli scoccò un’occhiata perplessa. “Ma cosa doveva difendere?”

“Non ne ho idea.” Scosse la testa. “Ma qualunque cosa sia, è ancora lì.”
 
****
 
Londra, Ministero della Magia. Refettorio.


“Lo devo dire … Tutta questa storia non ha il minimo senso. E sta diventando inquietante.”
James sperò ardentemente che Scorpius non stesse tirando fuori il dannato caso Howe proprio mentre si apprestava a gustarsi il proprio pranzo, momentanea isola felice tra le preoccupazioni del lavoro e quelle che aveva a casa, con un Teddy che aveva deciso di imbarcarsi in un’indagine al sapore di Mannaro, Foreste Proibite e Centauri incazzati.

Ma sono troppo ottimista, vero?
Prince, ignaro dei suoi pensieri e dunque inopportuno come un Babbano ad un raduno di Mangiamorte,  smise di massacrare la propria insalata. “Stai parlando del caso Howe?” Chiese abbandonando il suo patetico tentativo di pranzo.
Troppo ottimista, già.
Scorpius annuì, abbandonandosi sullo schienale delle scomode sedie che costellavano il refettorio ministeriale. “Pensateci.” Esordì squadernando il dito teatrale. “Arriva un mago dall’America, malato e prima di crepare riesce ad infettare uno dei nostri di qualcosa che neppure il San Mungo e tutti i suoi Guaritori riuniti riescono a classificare. Come se non bastasse, tutto quello che avevamo sulla prima vittima, vittima compresa, è sparito, rubato da un tipo che non ha lasciato la minima traccia ed ha legato la lingua all’unico testimone con una maledizione da Ordine di Merlino di Prima Classe.” Fece un cenno a Prince. “Come hai detto giustamente, il passo successivo sarebbe occuparsi del sergente.”
“Ma a questo ci abbiamo già pensato … Non facciamo montare quelle cavolo di telecamere di sorveglianza apposta? Per vedere se riusciamo a beccarlo con le mani nel calderone?” Si inserì, dato che ormai il discorso era inesorabilmente avviato.

“Sì.” Convenne il tedesco. “Questo però significa che c’è qualcosa di più grande dietro.”
“Un esperimento di Magia Oscura andato male, forse?” Ipotizzò Scorpius dondolandosi sulla sedia con pericolosi scricchiolii che sembrava ignorare con un certo compiacimento. “Voglio dire … Howe era forte come un Centauro, e anche duellare con il Sergente è stato come duellare con tre di lui.” Sospirò. “Mi sa tanto di potenziamento magico o roba del genere. Esistono incantesimi simili in America?”

“Non che io sia a conoscenza.” Non si sbilanciò ma James notò come si mosse a disagio sulla sedia e tentò di inforchettare per l’ennesima volta l’insalata praticamente intonsa.
Ma mangia o di solito si nutre d’aria?
Non che avesse importanza in quel momento. “Non ne conosci?” Ritorse fissandolo negli occhi. Non vi leggeva mai nulla e Scorpius gli aveva dato una spiegazione complicata in cui entrava l’Occlumanzia, cosa che l’aveva reso ancora più sospettoso.
Che bisogno c’è di Occludersi con gente che sta dalla tua parte?
Prince si morse l’angolo delle labbra. “Esistono.” Ammise. “Non so però se il Ministero americano abbia mai condotto studi sull’incremento delle capacità magiche.”
“La Thule però l’ha fatto, eh?” Fu come aver trascinato un troll svenuto per i piedi ed averlo piazzato sul tavolo con un tonfo e un gran lavoro di muscoli. James non se ne pentì: quel caso andava risolto alla svelta se si voleva tornare alla normalità, al diavolo i riguardi.
Così te ne torni in America.
“Sì, la Thule ha condotto alcuni studi in merito.” Rispose con la pacatezza di chi avrebbe esposto un quadro ad una torma di turisti tardi. “Io stesso ne facevo parte.”
Cosa?” Notò con la coda dell’occhio Malfoy lanciargli un’occhiata d’ammonimento, ma la ignorò. “E quando pensavi di dirci che hai studiato questa roba?”
“Non facevo parte del progetto come studioso, ero una cavia.”
Il silenzio che ne scaturì risultò piuttosto opprimente e una parte di sé si sentì piuttosto idiota. La tacitò. “Non cambia il fatto che hai già sentito parlare di maghi che vanno fuori di testa e diventano delle macchine da guerra fuori controllo!”
“La cambia invece, perché il modus operandi di Howe e del sergente Flannery non c’entrano nulla con quello che mi è stato fatto.” James capì che l’Occlumanzia stava cedendo quando lo vide serrare la mascella.

“Cosa riesci a fare?” Il tono gentile di Scorpius suonava fuori posto eppure in qualche strano modo funzionò, perché dopo avergli lanciato una lunga occhiata indecifrabile, il tedesco si slacciò il polsino dell’uniforme e tirò su la manica. James occhieggiò e non trovò nulla di strano nel braccio pallido dell’altro; era solo ornato da un bizzarro bracciale metallico. Vi contò tredici rune dall’aria complicata che neppure tentò di decifrare.
Rune Antiche mi ha sempre fatto schifo.
“Cosa?” Chiese perplesso. “Che c’entra il tuo braccio?”
“La Thule mi ha impiantato il nucleo di una bacchetta nell’arteria radiale.” Non gli diede il tempo di fare domande, che continuò, con la freddezza di un’esposizione clinica. “Se uso il braccio gli incantesimi che lancio hanno una potenza di fuoco superiore a quelli che lancerei con una normale bacchetta. Il nucleo attinge direttamente al sangue arterioso, e dunque alla magia.”

James provò disagio; aveva sentito mezze voci sulla sua capacità di non usare la bacchetta, certo…
Ma da qui a pensare che ce l’avesse nel braccio!
“E il bracciale?” Chiese Scorpius sporgendosi e occhieggiandolo. “Sembra Magia Runica.”
Prince fece un pallido sorriso, tirato ma comunque genuino. Sembrava che la quantità di domande non lo infastidisse.

Forse ha preso Malfuretto in simpatia.
“Controlla le fuoriuscite di magia accidentale. È stato ideato e costruito all’Istituto Magico Sperimentale di Boston.” Lo osservò con espressione assorta. “Neppure io so bene come funzioni, credo sia simile alle valvole di controllo che vengono inserite nelle bacchette.”
James non aveva idea di come fossero finiti a parlare della triste storia del crucco ma si trovò nella posizione di non poter aver voce in capitolo.
Dai, ammettilo. Sei curioso.
Fece una smorfia preferendo addentare con noncuranza il proprio sandwich mentre Scorpius si informava per entrambi.
“Come facevi prima di arrivare in America?”
“So controllarmi.”
Pure troppo, Ragazzo-Occlumanzia.
“Quanti anni avevi quando ti hanno…” Scorpius esitò.
“Avevo nove anni.”
“Eri solo un cazzo di ragazzino!” Esclamò di getto. L’espressione che gli restituì il tedesco era sorpresa quanto la sua, anche se immaginava per motivi diversi.

Ehi, non sono un totale pezzo di merda insensibile, sai?
“La mia giovane età era una variabile a favore della riuscita dell’operazione, non il contrario. Certi esperimenti hanno più probabilità di successo se condotti su soggetti che non hanno ancora sviluppato a pieno la propria capacità magica.” Spiegò con tono simile a quello di uno scolaro costretto a recitare un brano delle guerre dei Troll a memoria. James però non si fece imbrogliare.
Basta guardargli gli occhi. Dissimula di merda.
La qual cosa era stranamente rasserenante.
Non è psicopatico quanto pensavo fosse. Ce le ha delle cose che lo mettono fuori fase. Buono a sapersi.
“Mi dispiace.” Mormorò Scorpius spoglio di ogni sorriso e lo intendeva al cento per cento perché persino Prince se ne accorse, restituendogli un sorriso.
“Grazie.” Disse. “Vorrei che capiste questo … Le sperimentazioni tramite Magia Oscura non conoscono regole morali, o paletti. Qualsiasi cosa abbiano fatto ad Howe potrebbe essere … estremamente sgradevole da molteplici punti di vista. Quello morale è solo il principio.”
A James passò l’appetito; il crucco aveva ragione, stavano avendo a che fare con un caso che era come un maledetto salto nel vuoto, e non aver fatto il minimo progresso cominciava ad essere un problema.
E non solo perché non c’è lui. Poche seghe, la sua presenza è il minore dei nostri problemi. 
“Inquietante, come avevo detto.” Sospirò Scorpius grattandosi la fronte. “Quello che mi chiedo…” Si umettò le labbra pensieroso. “Questa roba che ha infettato il Sergente e Howe … che cos’è? Al San Mungo pensano sia una malattia, ma voglio dire, aumenta la capacità magica di un mago, giusto?”
“Questo è l’unico dato di fatto che abbiamo.” Convenne il tedesco.
“Allora non torna! I virus non dovrebbero indebolirla?”
Prince intrecciò le dita sotto il mento e fissò un punto oltre le loro teste con aria assorta. “È chiaro che chiunque abbia trafugato gli effetti personali di Howe voglia tenere la faccenda lontana dagli occhi e dalle orecchie della popolazione magica. Forse è un esperimento andato storto e il virus è un effetto collaterale.” Prince non era un idiota. Aveva una bacchetta infilata su per il sedere ed era antipatico da morire, ma sebbene fosse seccante ammetterlo, sapeva usare la testa meglio di molti idioti che indossavano la loro stessa uniforme.
Dovette ricordarsi con tutte le forze che lo detestava. “E come può un virus nascere da incantesimi e pozioni?”  
“Non lo so.” Ammise l’altro. “Non mi intendo di questo genere di cose.”
“Al San Mungo ci capiranno sicuramente di più.” Si inserì Scorpius speranzoso. “Dobbiamo solo dargli tempo, il Capo Guaritore Finnigan e gli altri di Malattie Infettive ci stanno lavorando. Quando sapremo come funziona il virus … o quel che è … sicuramente sapremo anche qualcosa di chi l’ha creato!”

“Ehi!” La voce di Bobby li sorprese, facendoli voltare in direzione del ragazzo di colore. “Siete qua!”
“Hai già mangiato?” Chiese vedendo che l’altro aveva l’aria di uno che avrebbe potuto divorare ciò che restava dei loro pasti con un solo boccone. “Siediti, avanti.”
“Dopo magari.” Rifiutò. “È arrivato un Gufo Espresso dal San Mungo. A Lesioni sono riusciti a liberare Wolpert dalla maledizione. Abbiamo l’identikit.” Tolse dalla tasca interna della giacca un foglio e James fu lesto a prenderglielo, sbattendolo senza troppe cerimonie tra di loro.
“Grandioso!” Poi però aggrottò le sopracciglia quando riuscì a dargli un’occhiata completa. “Così questo è il tizio che ha pagato Wolpert per vendergli i contro-incantesimi delle barriere?” Aveva un viso anonimo, le sopracciglia folte e una testa piena di capelli. Un tipo come ce n’erano tanti, che chiunque avrebbe potuto trovarsi di fronte mentre faceva la fila alla Gringott o al mercato.  

“Abbiamo già fatto un riscontro con l’archivio?” Chiese Scorpius grattandosi la nuca, probabilmente pensando la stessa cosa.
“Cosa pensi che abbia fatto invece di fare la pausa pranzo Sy? L’ho passato a setaccio.” Sospirò Bobby. “Nessun riscontro comunque, risulta incensurato per il nostro Ministero.”

“Tocca farlo girare al San Mungo allora. Magari qualcuno l’ha visto.” Si voltò verso Prince. “Spediscilo ai tuoi per vedere se è americano come Howe e…” Si bloccò quando vide che il suddetto era diventato pallido come un lenzuolo – più di quanto non fosse già di suo; fissava il disegno come se avesse appena visto un Infero.
“Che c’è Sören?” Chiese Scorpius. “Lo conosci?” Indovinò.
Questo fece per parlare ma le parole dovettero morirgli in gola più di un paio di volte prima che riuscisse a formulare una frase compiuta. “Sì.” Si risolse a dire ed era un caso o il suo accento era più marcato? “Non è necessario che chieda un riscontro al mio Ministero, posso dirvi io chi è.”
James non era assolutamente tipo da apprezzare la suspense. “Tira fuori il nome avanti!”
Prince gli restituì uno sguardo vuoto e Merlino, non doveva essere un buon segno.

“John Doe.”
 
 
****
 
 
Note:
Se qualcuno mi tira una pietra … beh, me lo merito.

Questa la canzone del capitolo. Prometto che il prossimo sarà più cazzaro!
(È anche il compleanno di Sy, quindi…)
  
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