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Autore: None to Blame    28/02/2013    12 recensioni
Arthur lavora alla Camelot Cost Reduction di Uther, è una macchina perfetta sul lavoro ed una macchina imperfetta nelle relazioni, ha paura del buio, è ancora un bambino anche se non lo è mai stato e conserva nel cassetto il suo sogno più intimo.
Merlin studia Lettere e scribacchia poesie, vive con Will in una topaia e lavora al Roast Dragon di Gaius, scrive recensioni come free-lance, ha un debole per le caramelle gommose e l'alternative metal.
C'è Londra e c'è la Tube, ci sono animali domestici e tende colorate, fotografie ingiallite e storie della buonanotte;
c'è l'atmosfera bohémien degli artisti falliti ed il pessimismo di quelli esordienti;
c'è un po' di caffè per darsi la carica, perché scavare nell'uomo alla ricerca dell'uomo consuma il cuore.
Ed, in fondo, è sempre meglio tenersi per mano e lasciarsi andare.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note introduttive di marginale importanza

 

Cielo, non credevo fosse così complicato scrivere una AU (perché una cosa è scrivere della reincarnazione, un'altra è inserire 'sti qui in un universo alternativo che non ha niente a che vedere con loro). Niente cavalli, niente armature e, soprattutto, niente duelli e spade. Niente sangue! Miseriaccia, forse dovrei scrivere una cosa tipo gangster!Merlin.. Ma forse no.

Beh, è la mia primissima esperienza in questo campo e spero di esserne all'altezza. Credo che questo primo capitolo sia piuttosto una specie di prova. Ditemi voi se vi sta bene, se vi piace, se volete che lo continui o che bruci il quaderno sul quale l'ho scritta.

Oh, il correttore ortografico del programma di scrittura si è fuso. Mi segnala come errore “tavolo” e non “aksnfr”. Quindi, un po' questo, un po' il fatto che odio rileggere le storie, ci saranno errori ortografici (dovrei trovarmi un beta, ma non vorrei condannare qualcuno ad una tale tortura).

Mi sento già una specie di schifezza perché ho tipo sette milioni di long da completare e pubblicare, ma è stato più forte di me.

 

Vorrei seriamente sapere che ne pensate, riguardo ogni cosa – dal titolo (non ho potuto resistere alla tentazione di ficcarci dentro un po' di roba da cinefila) alle virgole – perciò, se non l'ho mai fatto prima, ora davvero vi prego di rendermi partecipe delle vostre opinioni a riguardo.

Vorrei sapere se devo perderci tempo o se è solo una perdita di tempo (?)

 

Beh, comunque, ai miei venticinque lettori rivolgo un enorme ringraziamento! :)

 

 

 

 





 

 

I

Prelude

 



 

 

 

 

 


 

« Merda, merda, merda! »

 

Arthur prese a pugni il volante.

Quando l'auto non diede segno di voler rispondere, rigirò rabbiosamente la chiave ed il motore singhiozzò, morendo con un ultimo ruggito rauco.

Afferrò la ventiquattrore e spalancò la portiera, sbattendosela alle spalle.
Contemplò l'idea di prendere a calci la sua Mercedes, tanto per sfogarsi, ma la carrozzeria lucida lo implorò di risparmiarlo. Si ritrovò, quindi, a strusciare i piedi sul marciapiede ed inveire contro la coltre bigia che brontolava sopra i tetti di Londra. Una donna, fasciata da un tailleur inamidato, passandogli accanto, lo squadrò sospettosa e strinse protettiva a sé la bambina lentigginosa che teneva per mano, uno zaino troppo voluminoso per quel minuto corpicino – ma Arthur non vi fece caso.
Si cacciò il cellulare dalla tasca, componendo un numero e se lo portò all'orecchio, puntando lo sguardo sulla strada, cercando nella fila di automobili un taxi libero. Non se ne vedeva l'ombra.

 

« Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiu- »

 

« Fanculo! »

 

Terminò la chiamata reprimendo l'impulso di scagliare via l'apparecchio.
Inspirò profondamente nel tentativo di placare l'ira che gli montava in petto. Aveva fatto un uso spropositato del turpiloquio – e non era da lui.
La pazienza gli stava scivolando tra le dita come fosse sabbia e la sua nobile indole pacata ne stava risentendo.

Quando fu chiaro che nessun taxi aveva intenzione di passare per Prince's Square – almeno non in tempi utili – Arthur prese la sofferta e necessaria decisione di usufruire della metropolitana.
Se la situazione non fosse stata così grave, avrebbe certamente evitato di mescolarsi alla caotica marmaglia di utenti della Tube. Era dai tempi del college che non si muoveva per la città su quei serpentoni sotterranei – e già allora gli facevano ribrezzo.

Ma era un'emergenza, una vera emergenza.
A mali estremi, si disse mentre svoltava l'angolo di Ilchester Gardens, estremi rimedi.
L'acuminato campanile della St. Mattew's Cathedral si stagliò nella sua indifferente visuale, la guglia che sembrava bucare il cielo, ma non un solo pensiero poetico attraversò la mente di Arthur. Aveva rivolto solo uno sguardo frettoloso alla strada e continuava a tenere gli occhi fissi sul display del telefono, la valigetta che ondeggiava in una mano ed il cappotto appeso al braccio.
Finalmente, lo schermo iniziò a lampeggiare ed Arthur pigiò il tasto verde senza nemmeno dare un'occhiata al nome e parlò prima di chiunque ci fosse all'altro capo della linea.

 

« Gwen, giuro che se dici solo una parola io ti- »

 

« Arthur »

 

« È una giornata no, maledizione! Prima la sveglia, poi la tua telefonata, il Mail non risponde… »

 

« Arthur, ascolta- »

 

« E la macchina non è partita! Che diavolo ce l'ho a fare una Mercedes se poi non parte?! »

 

« Arthur, sta' zitto! »

 

Arthur ammutolì, preso in contropiede.

 

« Abbiamo perso la Mercia »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 

 

 

 

 

MAI CIO' CHE SEMBRANO – LA VERITA' SU AREDIAN W. FINDER

(di Patrick Z.)

 

Pensavo fosse un uomo onesto e rispettabile” dice l'avvocato Laura McDowell, “non posso credere che ci abbia ingannati tutti in questo modo”.

[…]

I più lo conoscono grazie al caso della Pomegranade Corporation e molti ricordano le sue ambigue dichiarazioni in merito allo scandalo Isbone. È l'avvocato più brillante del Regno Unito, colui che ha scalato le vette del successo senza mai affondare.

Ma Aredian W. Finder ha nascosto più di uno scheletro nell'armadio.

[…]

Il nostro informatore – che preferisce mantenere l'anonimato, nel timore di ripercussioni – ci ha fornito ogni prova necessaria, illustrandoci ogni macchia sulla reputazione di Finder.

[…]

Agli arbori della sua carriera, aveva contatti con Michael O'Brien, conosciuto nel giro come “l'Irlandese”. Oltre al contrabbando generale, si occupava soprattutto del traffico di droghe pesanti, ricavandone un utile sufficiente per aprire il suo studio legale Finder. Sembra che tutt'ora collabori con il clan De Sanctis.

[…]

Ha avuto una parte fondamentale nella tragedia di Kensington – ricordiamo il massacro, nel 1988, del detective Kevin Humble, che indagava sull'Irlandese, e della sua famiglia. (lo special sul caso a pag. 8)

[…]

un gigantesco conflitto d'interessi. Finder ha difeso personalmente Samuel e Frank De Sanctis durante il processo conclusosi nel marzo 2006 – entrambi furono rilasciati per mancanza di prove.(in foto, Samuel De Sanctis e la moglie Teresa Gonzales a Montecarlo; Frank De Sanctis con il figlio Oscar a Hyde Park)

[…]

socio dal 2001 della Camelot Cost Reduction, la ben nota società fondata da Uther Pendragon (in foto), del quale attendiamo dichiarazioni a riguardo.

L'informatore ha inoltre suggerito eventuali coinvolgimenti di Pendragon nei traffici illeciti di Finder. Già nel 1999, la CCR…

 

 

« Ehi, non siamo in biblioteca, quello lo devi comprare! »

 

La testa di Merlin scattò in alto.
Da dietro il bancone, il panciuto cassiere gli stava puntando contro un dito accusatorio.

Merlin non aveva davvero intenzione di leggere a sbafo. Aveva afferrato la prima rivista che gli era capitata sottomano mentre aspettava che i clienti che gli stavano davanti nella fila venissero serviti.
In fin dei conti, nemmeno gli interessava quell'articolo. Ne aveva letto qualche frase, ma non aveva idea di chi fosse Aredian W. Finder né gli importava granché dello scandalo. Certo, era una brutta faccenda, scomoda per chi era direttamente interessato, ma si sarebbe sgonfiata da sola. Già da quella sera, il Daily Mail avrebbe trovato un altra succulenta notizia – magari su quell'insopportabile nuova presentatrice dello show del mattino.

 

« Allora? »

 

Il cassiere stava tamburellando le dita sul ripiano, la fronte aggrottata ed un'espressione che doveva risultare dura, ma era solo ottusa.
Merlin gli sorrise, riponendo il tabloid con cura sulla pila di riviste ed afferrando, invece, un sacchetto di caramelle gommose.

 

« Prendo queste »

 

« Ottanta pence »

 

La mano di Merlin si bloccò scandalizzata mentre era alla ricerca del portafogli.

 

« Che cos- Ma se fino a ieri stavano cinquanta! »

 

L'uomo sollevò le spalle, il ventre ampio premette pericolosamente contro i bottoni della camicia di flanella.

 

« I prezzi aumentano. Allora, ce li hai o no? »

 

Merlin sbatté sul bancone le monete, girando sui tacchi senza degnare di un saluto l'antipatico.

Strinse il pacchetto, che scricchiolò piacevolmente fra le sue dita, e lo aprì con un movimento secco, mentre le gambe si muovevano meccanicamente lungo la banchina gremita di persone. Si infilò quel che pareva un coccodrillo giallo fra i denti e ne succhiò lo zucchero, calmandosi immediatamente nel momento in cui la consistenza gommosa del dolciume premette contro la lingua ed il sapore familiare gli invase la bocca. Ne prese un'altra – un vermiciattolo rosso – e ripose accuratamente la confezione nella tasca anteriore della tracolla.
Si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo, avanzando ancora di qualche passo, facendo scivolare lo sguardo sulla folla di viaggiatori.

Su un tabellone, le cifre arancioni di un orologio segnalavano che mancavano due minuti alle otto e che il treno per Wimbledon delle 07.53 era, a quanto pareva, in leggero ritardo.

Era un maledetto martedì e, come ogni maledetto martedì, doveva buttarsi giù dal letto all'alba per arrivare per tempo al locale di Gaius – il suo turno iniziava alle otto in punto e lui era ancora alla stazione di Edgware Road.

Naturalmente, da quando aveva ottenuto quel lavoro, non era arrivato mai in orario, nemmeno una volta. Gaius, dopo i primi tempi, aveva capito che la sua era una negligenza naturale e che i ritardi sulla tabella di marcia erano più che naturali per lui.
Merlin era consapevole della propria fortuna. Nessun datore di lavoro si sarebbe mai comportato così con un dipendente part-time e non ci avrebbe pensato due volte prima di sbatterlo fuori a calci senza liquidazione.

Sospirò, le mani affondate nelle tasche dei jeans, e sollevò di nuovo lo sguardo sull'orologio – le 8.09.

Un assordante sferragliare annunciò l'arrivo del treno, che sfrecciò sempre più lentamente sui binari e stridette fastidiosamente mentre frenava.

Gli sportelli si spalancarono con un rumore sordo ed iniziò la quotidiana battaglia per guadagnarsi la supremazia sui rari sedili liberi – doveva essere un martedì particolarmente maledetto, perché gli strilli acuti di decine di ragazzini in gita scolastica accolsero i viaggiatori mentre sgomitavano per farsi spazio.

Le porte si richiusero ed il treno ripartì.

Merlin estrasse da una tasca un taccuino nero dalla copertina consumata e spedì la propria mano alla ricerca di una penna, persa nei meandri della borsa. La scovò dopo qualche minuto – impigliata nel berretto che Will gli aveva regalato a Natale – e la estrasse dalla tracolla con un verso vittorioso. Ne afferrò un'estremità fra i denti, svitandone il tappo – che restò fra le sue labbra – e con le dita sfogliò le pagine del taccuino.

 

« Stazione di Bayswater. Prossima fermata: Notting Hill Gate. »

 

Le porte si spalancarono di nuovo ed il vagone si svuotò considerevolmente e abbastanza curiosamente da spingere Merlin a staccare lo sguardo dalle parole che stava buttando giù sulla carta per focalizzarsi sulla realtà circostante – la scolaresca era scesa e nel treno cadde un piacevole silenzio.

 

« Le posso assicurare che non abbiamo niente a che fare con questa storia e se solo mi lasciasse parlare con il Dirigente Esecutivo tutto si risolverebbe nel migliore dei modi. »

 

Naturalmente, anche la pace più deliziosa era stata interrotta dal solito imprenditore – o quel che era – che faceva la sua telefonata di lavoro in metropolitana, nonostante la linea disturbata.
Questo, in particolare, una voce imperiosa che sembrava appartenere più ad un generale trascinatore di popoli – e stava alzando il tono al limite dell'urlo di guerra senza prendere in considerazione gli altri pendolari, costretti ad ascoltare le sue beghe d'ufficio.

 

« Le ho chiesto… No, non ancora. Santo- Mi faccia parlare con Bayard! »

 

Merlin voltò la testa per includerlo nella propria visuale, nell'intenzione di provare su di lui lo sguardo di disapprovazione che Gaius gli rivolgeva piuttosto spesso – ed il tappo che reggeva fra le labbra cadde, rotolando sul pavimento.

Forse furono quelle ciocche bionde che gli ricadevano sulla fronte, andando ad addolcire il cipiglio corrucciato che sembrava tristemente naturale su quel volto. Forse le mani, una che stringeva il cellulare, i tendini tesi, l'altra che aveva smesso di gesticolare nervosamente, andandosi ad artigliare al ginocchio, stropicciando il tessuto del completo dall'aria costosa. O forse furono gli occhi – doveva esserci qualche legge che proibiva lo sfoggio indisturbato di un paio d'occhi del genere, anche se sotto sopracciglia aggrottate.

Magari fu semplicemente l'insieme di tutti questi fattori nella cornice della metropolitana.
Il cuore perse un paio di battiti ed il respiro gli mancò, mentre su un'insegna immaginaria che galleggiava sulla testa dello sconosciuto lampeggiava la frase “assolutamente fuori portata”.

Uno stridore intollerabile annunciò che il treno si era fermato.
Merlin ingaggiò una lotta con se stesso nel decidere sul da farsi. Era la sua fermata, doveva scendere e cambiare linea, ma stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di fregarsene, contemplando quella bionda alternativa che continuava a sbraitare con – evidentemente – una segretaria ottusa.

Non che avesse intenzione di seguirlo.
No, affatto.

 

« Stazione di Notting Hill Gate. Prossima fermata: High Street Kensington. »

 

Lo sconosciuto sobbalzò, come se avesse solo in quel momento ripreso contatto con la realtà e gli si avvicinò, piazzandosi – con gioia di Merlin – di fronte allo sportello, che si spalancò un attimo dopo.

Merlin aveva sopravvalutato la propria coordinazione mente-corpo.

Dato che tutta la sua attenzione era focalizzata sullo sconosciuto, i movimenti motori ne risentirono.

Mise un piede in fallo e con una maldestra manovra si tirò fuori dal minaccioso e leggendario gap dal quale si viene solitamente messi in guardia – giusto prima che il treno ripartisse. Sfortunatamente, la manovra di auto-salvataggio aveva coinvolto anche lo sconosciuto, al quale braccio Merlin si era saldamente aggrappato per evitare di cadere, col risultato che avevano entrambi perso l'equilibrio, sbalzati in avanti dall'inerzia.

La ventiquattrore scura dell'uomo si era aperta, rovesciando sulla banchina lurida alcuni fogli, che venivano calpestati dai viaggiatori poco attenti.

 

« Ma che- Ma sei un totale idiota! Guarda che hai combinato… Idiota! »

 

Lo sconosciuto si scrollò di dosso Merlin – che ancora gli stringeva l'avambraccio – e si precipitò a soccorrere i preziosi documenti.

Intanto, l'altro si era rialzato, riassestandosi distrattamente.

 

« Non l'ho fatto apposta! Sono solo inciampato! »

 

Lo sconosciuto si bloccò, rivolgendogli un'occhiata gelida, continuando ad accusarlo sottovoc, furiosamente, e mentre raccoglieva i fogli. Un brivido percorse la spina dorsale di Merlin – e non aveva niente a che vedere con qualsiasi piacevole pensiero avesse precedentemente sviluppato nei confronti di quell'arrogante, insopportabile biondino.
Quello richiuse la valigetta con un clic e gli voltò le spalle, lasciandolo sulla banchina a masticare da solo il suo risentimento.

 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 

 

« E non mi ha nemmeno chiesto se mi ero fatto male! »

 

Lance annuì mentre lucidava il marmo del bancone.

Will, appollaiato su uno degli sgabelli, si spalmò il palmo sulla faccia.

 

« È la settima volta che parli di questo tizio. Faresti meglio a piantarla e cambiare argomento se non vuoi ritrovarti con questo coltello su per il- »

 

« D'accordo, d'accordo »  Lance impedì diplomaticamente che quello concludesse la frase  « Merlin ha afferrato il concetto, vero? »

 

L'imputato arricciò le labbra ed annuì, scoccando un'occhiataccia alla faccia da furetto di Will.
Soddisfatto, quello scese dal suo trespolo, infilandosi in bocca quello che rimaneva del suo sandwich, deglutendo rumorosamente.

 

« Io torno a lavorare, voi restate pure a cazzeggiare. Lance, ci si vede. Merl, oggi vado in facoltà »

 

« Che? Oggi non abbiamo corsi. »

 

Will si limitò a scrollare le spalle in risposta, infilando le braccia nella giacca.

Merlin scrutò sospettosamente l'amico.

 

« Non me la conti giusta »

 

« Fammi trovare la cena pronta! »

 

Mentre usciva dal locale facendo tintinnare allegramente i campanelli, Gaius picchiettò la spalla di Merlin, porgendogli un foglio.

 

« Charecroft Way, 62. Uffici della CCR. Quindici ordini entro venti minuti. »

 

Merlin scorse la lista – caffé nero, caffé con panna, cappuccini…

 

« Ma- »

 

« Niente ma. Forza, ragazzo, un po' di impegno! Fa' almeno finta di apprezzare questo lavoro! »

 

Tredici minuti dopo, Merlin stava correndo lungo Richmond Way.

 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 

 

Gwen sbuffò esasperata, infilandosi una mano fra i riccioli.

 

« Ho chiamato solo un quarto d'ora fa, Gwaine »

 

Il suo collega, la testa sul tavolo, la guancia spiaccicata poco igienicamente contro la plastica ruvida, fece una smorfia.

 

« Ma io ho bisogno della mia dose di caffeina, altrimenti non lavoro bene! Già mi sento male… »

 

Percy, seduto di fronte a Gwaine, ridacchiò e borbottò qualcosa come “tanto non lavori lo stesso” mentre teneva il telefono incastrato fra spalla e orecchio, le mani impegnate a digitare freneticamente sulla tastiera.

Gwen stava seriamente per perdere quel briciolo di pazienza che le era rimasto.

Era uno dei membri d'oro della Camelot – testuali parole di Uther Pendragon in persona – dipendente da quella che pareva un'eternità.
Era stato il suo primo – e unico – impiego serio.
Non appena aveva saputo che alla CCR avevano accettato la sua domanda, se ne era pentita. Riduzione costi, aveva pensato, sai che palle! 
Lei aveva un'ottima laurea in Architettura, non doveva gettarsi per forza sul primo lavoro con reddito fisso che le capitava sotto il muso – ma la necessità ed il timore della disoccupazone presero il sopravvento.

Sorprendentemente, Gwen non trovò mai noiosa la Camelot.

Gerarchicamente ordinata in base ad una flessibile distribuzione di compiti, assegnati in base alle competenze del singolo o del gruppo,  burocraticamente lineare ed organizzata in modo impeccabile, la società non aveva nulla da invidiare a redazioni di giornali e studi legali.
Non si cadeva mai nella routine e ogni nuovo progetto che veniva sottoposto al suo gruppo di lavoro – si occupò, inizialmente, di riduzione spese immobili, con la possibilità, quindi, sfruttare parzialmente la sua laurea – preannunciava una eccitante avventura.
Concludere con successo era, poi, una scarica elettrica sottopelle.

Lei era piaciuta immediatamente a tutti, sopratutto a Leon, veterano della società, ed Arthur, il figlio del Gran Capo.
Si era sorpresa scoprendo che Arthur Pendragon fosse un tipo così alla mano, riservato ma cordiale e dal cuore gentile. Non assomigliava per niente a suo padre – aveva solo la sua determinazione e dava in modo evidente tutto se stesso al lavoro, ma gli mancava il cinismo di Uther ed era decisamente più malleabile ed umano.

Si era perfino presa una cotta per lui e lui la ricambiò, senza troppa passione - solo in seguito Gwen scoprì che era stata una delle avventure più bollenti del giovane Pendragon - per quasi tre mesi, ma le cose finirono amichevolmente nel momento in cui si resero entrambi conto che non facevano davvero l'uno per l'altra. Gwen cercava di non pensarci troppo.

In breve, la CCR era un posto felice, insuccessi compresi.

Ma la Camelot non aveva mai affrontato una crisi simile, in precedenza.
Non solo dovevano tagliare i rapporti con uno dei maggiori soci contribuenti – lo studio di Aredian poteva essere considerato una specie di pilastro della CCR – ma, per paura di esser coinvolti nello scandalo, i clienti più fedeli si tiravano indietro ed i soci si defilavano.

Gwen era stata eletta a Responsabile Generale col Supremo Compito di Tenere Alto il Morale ed erano ormai ore che non faceva che rispondere diplomaticamente alle invadenti telefonate di riviste scandalistiche che le impedivano di fare il lavoro assegnatole.

Aveva implorato Gwaine, lo aveva pregato, chiedendogli in ginocchio di adempiere ai suoi doveri di centralinista, ma quello aveva risposto nisba – non riusciva a reggersi in piedi, era stato in malattia per una settimana e richiamato sul fronte dietro minacce di morte o, peggio, licenziamento in tronco.

 

« Gwaine, ti prego »

 

« Quando arriva il caffè, te lo prometto »

 

Gwen sospirò, sollevando di nuovo la cornetta, guardando Arthur nel suo ufficio , dietro le porte di vetro. Stava passeggiando avanti e indietro, ma aveva un'aria incredibilmente rilassata.

Si chiese come facesse ad essere così tranquillo.
Sperò che riguardasse qualche buona notizia riguardo le Mercia Inc. Era il cliente più prestigioso e facoltoso della società.
Confidava nel buonsenso di Bayard. Confidava nel proprio ottimismo, in realtà, e nelle capacità di Arthur.

Gwen tremò al pensiero di quello che sarebbe successo se la Camelot e Mercia si fossero separate.
Perdere Bayard sarebbe stata la fine della CCR.

Il telefono squillò nuovamente e Gwen sollevò la cornetta, preparandosi il no comment sulle labbra.

 

« Gwen, sono Elena. C'è il tipo dei caffè, lo mando su? »

 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 


 

Gli Alleati non furono accolti con maggior calore nei lontani anni della Guerra.

Gwaine, nel momento in cui udì la lieta notizia, sembrò dimenticare il malessere che lo inchiodava alla plastica del tavolo e schizzò verso la porta dell'ascensore, aspettando che si spalancasse come un cane attende il padrone.

Sorrise, quasi commosso, quando nella sua visuale, oltre all'invitante folla di bicchieri fumanti, si fecero spazio un paio di enormi orecchie, zigomi acuminati e una massa di capelli incolti. 

Nell'insieme, quel quadretto era più che attraente.

 

« Ehm, permesso… »

 

Con qualche attimo di ritardo, Gwaine si spostò di lato, permettendo all'altro di uscire dall'ascensore.

 

« Posso aiutarti, se vuoi. Il mio è un caffè macchiato. Comunque, io mi chiamo Gwaine. Tu sei? »

 

« Frena, frena »

 

Merlin sollevò la mano libera, preso alla sprovvista, una risata in fondo alla gola. Gli mollò volentieri il vassoio, regalandogli un sorriso ancora più ampio come ringraziamento.

 

« Su ogni cartoncino c'è scritto il tipo di caffè. Se mi aiuti a distribuirli, mi fai un piacere »

 

Gwaine annuì, cercando con lo sguardo il “caffè macchiato”.

 

« Io sono Merlin, comunque. Ti stringerò la mano dopo che avrò finito il mio lavoro »

 

Gwaine annuì con aria comicamente seria.

 

« Ben detto. Prima i caffè, poi i convenevoli. »

 

Dopo tre minuti, sul vassoio erano rimasti solo tre bicchieri.
Merlin seguì il passo sicuro di Gwaine, che si dirigeva verso la scrivania occupata da una ragazza dalla folta chioma scura ed un omaccione con la faccia da cucciolo bastonato.

 

« Ragazzi, questo è Merlin, pusher-mascotte della CCR. Merlin »  si rivolse a lui, poggiando il vassoio sulla scrivania e passando a Gwen il suo cappuccino  « il caffè è una droga, noi eravamo in astinenza, perciò tu ci hai ufficialmente salvato la vita. »

 

Gwen, senza dar conto all'intricato ed insensato ragionamento del collega, porse una mano a Merlin, prendendo una prima sorsata dal bicchiere.

 

« Io sono Gwen. Lui è Percy. »

 

Percy sorrise, mimando uno “Scusa” con le labbra e tornando a parlare alla cornetta con espressione cupa.

Gwen gli parlò di nuovo.

 

« Hai già conosciuto questa testa di cavolo, vedo. »

 

« Gwaine? Mi ha fatto fare il tour del piano come se fosse un safari in una savana sintetica e tecnologica. »

 

Quello scoppiò in una risata fragorosa.

 

« Siamo tutti animali, te l'ho detto, no? »

 

« Non saprei che razza di animale potresti essere tu »

 

Gwaine si protese verso di lui, sussurrando.

 

« Che animale vuoi che sia, Merlin? »

 

« Uno silenzioso »

 

Gwen, suo malgrado, rise.

Si guardò intorno, ritrovandosi a pensare che, in fondo, quel giorno assomigliava ad una savana. Una selvaggia e disperata savana.

 

« Il fatto è che è un brutto momento »

 

Merlino fece per replicare, ma Gwaine lo interruppe.

 

« Qui c'è un altro caffè! Di chi è il » lo sollevò all'altezza degli occhi, leggendo la descrizione sul cartoncino « “nero ristretto senza zucchero”? »

 

« È quello di Arthur. L'ufficio è laggiù »

 

« L'ufficio trasparente. Attenzione, lui è il leone e se vede una bella gazzella come te- »

 

« Gwaine, sta' zitto e rispondi alle chiamate o ti faccio il culo come un babbuino »

 

« Agli ordini, milady! Mi piaci quando sei graffiante. »

 

Merlin ridacchiò mentre si affrettava a portare a termine la sua ultima consegna.

 

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 

 

 

Bayard era un uomo assennato, ne aveva avuto prova tante volte durante tutti quegli anni ed ora ne aveva avuto l'ennesima conferma.
Uther godeva ancora di una certa credibilità presso chi lo aveva conosciuto – nessuno di questi pensava fosse davvero un criminale.

Aredian non poteva essere salvato, ma ad Arthur nemmeno importava. Non gli era mai piaciuto, lui con quel suo “Metodi infallibili, conclusioni incontestabili”.
Non poteva negare che il suo contributo – quello economico, ma anche il suo sostegno legale era risultato utile – fosse stato conveniente per la CCR, ma, nel profondo, poteva quasi essere contento di essersene liberato – lo sarebbe stato, se fosse accaduto in un altro modo, in un modo meno dannoso, in un modo che non avesse coinvolto anche la Camelot. Ed, invece, un anonimo qualunque si era permesso di trascinare nel fondo anche suo padre e la sua società, ciò su cui aveva fondato la sua intera esistenza. Aveva raccontato un insieme di provate verità, ma aveva insinuato il dubbio nella pubblica opinione ed il Mail aveva fatto il resto.

Arthur ebbe uno scatto d'ira ed un blocco di post-it finì sotto la scrivania.

Il Mail. Il Daily Mail.
Fra tutte le cose, era forse questa quella che davvero non gli andava giù.
Vendere una società prestigiosa come la Camelot ad un tabloid sfogliato perlopiù nelle sale da manicure.

Si accasciò sulla sedia, stropicciandosi la faccia.

Aveva in qualche modo convinto Bayard a pensarci su. Perdere le Mercia sarebbe stato un colpo troppo duro perché poi la società potesse risollevarsi e tornare agli antichi splendori. In quel momento, sapeva che la promessa di pensarci su era il meglio che sarebbe riuscito a strappare ai clienti. Odin non aveva nemmeno voluto discuterne e sapeva che l'amministratore delegato della Essetir – Lot qualcosa – era al telefono con Uther.
 

Dio, aveva bisogno di una pausa.


Qualcuno picchiettò le nocche sul vetro della porta.

Non aveva la forza di sollevare la testa e mostrarsi fiducioso e responsabile.
Con la guancia premuta contro il braccio, si limito a rivolgere un cenno all'intruso.

Fu sorpreso quando non fu la gentile voce di Gwen a riscuoterlo dal suo pessimistico torpore, ma una che non riuscì ad identificare.

 

« Caffè »

 

Oh.
Quella era una notizia per la quale valeva la pena stendere la schiena ed aprire gli occhi.

Mise a fuoco la figura che gli stava di fronte e, dopo un battito di ciglia, realizzò.

La mascella gli si staccò dal volto.

 

« TU »

 

Doveva esserci del ridicolo in quella situazione, eppure nessuno dei due riuscì a fare nient'altro che digrignare i denti.

Erano appena le dieci del mattino e la giornata aveva già i presupposti per essere ricordata in eterno ed Arthur era arrivato al punto in cui avrebbe preferito rannicchiarsi nel cestino delle cartacce fino al tramonto piuttosto che scoprire cos'altro la sorte avesse in serbo per lui.

Stava già per mandare via quell'impiastro prima che potesse combinare qualche altro pasticcio, quando lo sguardo gli cadde sul vassoio.
E sul caffè.
Quello era importante. Caffeina. 

Anche l'intruso guardò in basso e quasi si sorprese nel vedere ciò che le sue mani reggevano, come se si fosse dimenticato del perché si trovasse lì. Riacquistando quella che pensava fosse un'aria professionale, si avvicinò alla scrivania di Arthur, un inspiegabile rossore sulle guance, e gli porse il bicchiere.

 

« Nero ristretto senza zucchero »

 

Arthur annuì, sfilandogli il caffè dalle mani e portandoselo alle labbra.

 

« È freddo, idiota »

 

L'idiota, che si era voltato con l'intenzione di uscire, lo fronteggiò nuovamente, le braccia conserte al petto, il vassoio che gli copriva una porzione di fianco.
In volto, un'espressione di sfida che ben poche persone avevano avuto il coraggio di rivolgergli – e certamente ben pochi estranei.

 

« Forse avreste dovuto specificare che lo desideravate caldo, signore »

 

Quello sgranò gli occhi e l'idiota si stampò sulle labbra un ghigno compiaciuto, lasciando l'ufficio prima che l'altro potesse replicare.

Attraverso il vetro, lo vide allontanarsi con passo veloce e dirigersi verso l'ascensore.

Lo squillo prepotente del telefono lo svegliò ed Arthur riacquistò una facciata professionale, rispondendo con l'usuale tono competente.


Fu solo quando incontrò il proprio riflesso nel vetro che si accorse che stava sorridendo.

 

 

 

 

 

   
 
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