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Autore: GemmaD    01/03/2013    3 recensioni
Spesso, nella vita delle persone, ci sono emozioni accennate, indefinite, che non possiamo raccontare agli altri. Anche se ci dicono chi siamo, sono i pensieri di chi non sa ancora chi è per davvero.
I personaggi di KH in versione teenager vanno al liceo e i due gruppi più popolari della scuola, con a capo Xemnas e Axel sono tradizionalmente rivali, ma sarà abbastanza a farli sentire soddisfatti della propria vita? Saix (del giro di Axel) e Xemnas hanno un primo incontro abbastanza imbranato, riusciranno a portare avanti quello che sentono?
Frequente introspezione, la storia vuole esplorare le sensazioni sospese. Come potranno cooperarci? [paring principale: Xemsai][non è necessario conoscere già i personaggi]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix, Un po' tutti, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Ciao!
E’ da parecchio che volevo scrivere una storia a più capitoli su KH e penso che questa sia buona.
Spero possa essere stimolante e che anche voi vi facciate rapire dal fascino di certi personaggi dai capelli improbabili… <3 Buon viaggio!
 
Solito Disclaimer: i personaggi appartengono a Disney-Square Enix e la storia non ha scopi di lucro.




  
Saix non si era mai fatto troppi problemi per la solitudine, anzi, in linea di massima l’aveva sempre apprezzata se non ricercata.

Ora però nella solitudine c’era qualcosa che non andava, come il peso di un macigno, solida, irremovibile. Nel suo cuore covava un forte desiderio che tuttavia non poteva trovare un corrispettivo nel reale. E sì, era inesprimibilmente triste. Il pensiero di parlare a qualcuno della sua solitudine assoluta, che sfociava nella sensazione di isolamento, quasi gli faceva ribaltare lo stomaco dalla nausea. Non riusciva a immaginare nessuno con cui parlarne, e allo stesso tempo non avrebbe mai voluto tirar fuori cose in fondo così inutili e stupide.

Ma, si disse, era proprio lui lo stupido a stropicciarsi le mani sotto le coperte, con due cuffie nelle orecchie che gli rimbombavano musica ad alto volume addosso, teso come non mai nel buio della sua stanza. Si sentiva triste, in quel modo così acuto da garantirgli che era tutto reale, di non sentirsi di non poterne parlare a nessuno. Isolato al massimo. Non ricordava neanche se si sentiva così inquieto per la solitudine o se si sentiva solo perché non poteva parlare a nessuno di come si sentisse…

Si raddrizzò sul letto e pensò di uscire fuori di nascosto, nel cuore della notte, per fare una passeggiata. –Non lo saprà nessuno- si ripeté, chinando la testa verso i palmi delle proprie mani. –E’ così facile, dovrei solo assicurarmi di prendere le chiavi di casa, camminare in silenzio… Sarei fuori, alla luce della luna e dei lampioni, un po’ d’aria fresca e mi sentirei meglio…- Ma in qualche modo era come se, sebbene fosse così facile, fosse anche tutto troppo lontano. Non sapeva dove trovare le energie per un simile esperimento. Si ridistese sopra le coperte, meditando, cercando ancora di convincersi di provare a soddisfare questo suo desiderio, che ne valeva la pena; ma niente, i minuti andavano nella pace del materasso e della musica che continuava una canzone dopo l’altra, con il buio dove affondare lo sguardo. –Non è così fondamentale.- si disse. –Posso sempre riprovarci quando voglio. Non è che non posso farlo, è solo che ora non mi va tanto.-

Se si sentiva uno schifo, tanto valeva la pena riposare.
 


Xemnas aveva dei problemi, non riusciva a dormire. Era finito seduto al tavolo della cucina, con davanti un bicchiere d’acqua, da venti minuti, ormai. Era un sentimento atroce, quello di non poter fare niente. Osservò l’acqua distratto. Trasparente, praticamente inesistente… Eppure importantissima per la vita del mondo.

Prese in una mano il bicchiere, fissandolo cupo, pensando vagamente che forse avrebbe dovuto usare entrambe le mani, mentre invece sentiva che avrebbe potuto anche buttarlo per terra, con tutta l’acqua sparsa in giro, andarsene via rovesciando la sedia con passo forte ed autoritario, e il giorno dopo il mondo sarebbe stato nel suo pugno. Proprio così, come se avesse preso il posto dell’acqua nel mondo. Sarebbe stato necessario per gli altri allo stesso modo. Questo doveva bastare a fornirgli un’identità… Il pensiero non era definito nella sua testa, ma questo bastava a donargli una vaga sensazione di serenità. Come se per lui ci fosse ancora speranza.
 


Era metà mattina di un giorno qualsiasi e questi due individui notarono l’esistenza l’uno dell’altro per la prima volta. Che questo particolare fatto cambiasse la loro vita, era tutto da discutere, visto che tutto quello che riuscì a strappare dalle loro teste fu un breve commento perplesso sull’aspetto fisico dell’altro.

-Forse viene dall’istituto d’arte qua vicino. Solo là ci sono dei tipi così strambi- gli venne in mente Xemnas, andando in segreteria per consegnare una circolare. –Capelli blu e una cicatrice gigante in mezzo alla faccia, perché, poi?-

-Ma che ca… Ha già i capelli bianchi?- fu il commento di uno stranito Saïx, mentre vagava per il corridoio per farsi fare una fotocopia.

Appena compiuto il loro compito, tornarono nella loro rispettiva classe: doveva mancare solo qualche misero minuto alla fine dell’intervallo.

Mentre Saïx camminava, vide il suo vecchio amico Axel, che passava correndo come un razzo in corridoio: anche lui doveva fare una cosa prima che la pausa finisse, e aveva fretta di poter parlare con la prof per togliersi in fretta la faccenda dai piedi.

“Ciao, Axel” salutò gentilmente Saïx, mentre invece quest’ultimo tirava dritto senza degnarlo di uno sguardo. Saïx non disse più nulla e anche lui s’infilò nella porta della sua classe senza più fare caso a niente.

“Ehi, ciao” lo salutarono Luxord e Demyx. Avevano parlato animatamente fino a quel momento, ma vedendo l’amico entrare, si erano avvicinati subito al suo banco.

“Ciao.” Ricambiò il saluto Saïx, tranquillo. “Stavate parlando della serata? Come vanno i preparativi?”

“Benone!” rispose immediatamente Demyx, prima che l’altro potesse spiccicare parola. “Luxord si curerà della parte, diciamo, più pratica, con qualche spettacolino, mentre invece io sto ancora scegliendo le canzoni da fare!”

Spettacolino… Vuoi cercare di mettermi in ridicolo? Il mio è il pezzo forte della serata!” ribatté orgoglioso. Risultava abbastanza comico, col suo forte accento inglese. Luxord era uno studente straniero, arrivato solo quest’anno, ma era riuscito ad infilarsi nella compagnia di Axel e degli altri grazie al suo animo festaiolo. Stava preparando una piccola serata con delle esibizioni con Demyx, solo per loro.

“Tu devi solo muovere le mani, mentre io invece ci metto il cuore!”

Prima che i due avessero la possibilità di mettersi a bisticciare, guastando tutti i programmi della serata, Saïx buttò lì: “Ah, mi sa che ho appena visto lo Xemnas del quarto anno di cui parlavate.”

“Davvero?!” esclamò subito Demyx. Troppo iperattivo. “Di solito sta sempre al piano di sopra, è lì che ci sono i suoi amichetti.”

“Sì, allora… Aveva i capelli lunghi, bianchi, gli occhi gialli…”

“… E l’hai riconosciuto perché aveva i pantaloni zebrati” proseguì Luxord con un sorrisetto.

“Be’… Sì” ammise Saïx. Si misero a ridere, ma la campanella suonò: Demyx scappò via dall’aula (lui era ancora al secondo anno) e i due si misero seduti al loro posto.


Nel frattempo, Xemnas era nel corridoio del suo piano, e gli venne incontro Xaldin.

“Amico” lo salutò Xemnas. “Qualche problema?”

“Niente di grave.” Gli rispose con la consueta aria seria. “Però, ora che ci penso, credo che la prof di biologia voglia parlare con te.”

“Ancora?” rispose Xemnas, infastidito. “Che cosa devo dirle? La notte prima del compito avevo dormito pochissimo, che rottura…”

“Puoi dirlo forte!” rispose. “Senti, volevo dirti che la festa di Marluxia è rinviata fra una settimana.”

La notizia non scosse particolarmente Xemnas. Marluxia era uno studente passato nella loro scuola da quell’anno, e dopo un paio di mesi aveva deciso di trasferirsi ancora in un’altra: avevano quindi deciso di fargli una festicciola d’addio. Il breve arco di tempo era comunque bastato per farsi malvolere da Xemnas, visto il suo atteggiamento chioccio e superficiale.

“Come mai?”

“Larxene ha le sue cose, quindi vuole spostare.”

Xemnas alzò gli occhi al cielo. “E farlo lo stesso no?”

“Lo sai che quei due stanno sempre insieme. Marluxia non vuole rinunciare, quindi…”

Era la prima volta probabilmente in cui uno come Marluxia si mostrava coerente coi propri sentimenti. Nessuno sapeva perché fossero così cattivi, ma lui e Larxene si divertivano a spettegolare e umiliare chiunque cercasse di avere una relazione vera con loro, quasi al punto da essere definiti dei sadici. A Xemnas davano sui brividi, ed era contento che la loro influenza se ne andasse dalla sua scuola, anche se era consapevole che, pur essendo una festa d’addio, probabilmente avrebbero continuato a infestare la compagnia.

Xemnas sospirò. “Va bene. Facciamola fra una settimana, quindi.”
 

E una settimana dopo circa, eccoli al pub. Xemnas era seduto in mezzo al tavolo, come al solito, e attorno a lui tutti gli altri scherzavano, parlavano, bisticciavano e tracannavano alcolici. Quel giorno, a dire il vero, Xemnas si sentiva abbastanza triste. Per carità, non certo per l’addio a Marluxia; quest’ultimo si stava divertendo, assieme alla sua socia, a punzecchiare tutti gli altri, ad accarezzarsi i folti capelli rosa e cercare di rimorchiare con occhiate languide tutti gli avventori o avventrici del locale.

“Uh, non sapevamo che fossi bi, Marlu”  si mise a ridacchiare Xigbar, ricoprendolo di gomitate. Era brillo da un pezzo.

“Cosa m’importa se siano maschi o femmine” fu la sogghignante risposta “Hanno entrambi un cuore da spezzare.”

Larxene rise anche lei, trovando evidentemente deliziosa la battuta; Xemnas li guardava con aria annoiata. La loro filosofia di vita lo lasciava rassegnato e incurante; le attenzioni di stasera erano puntate su di sé, capetto dei suoi amici, meno del solito, e poteva lasciarsi andare ai propri sentimenti.

Era una di quelle volte che preferiva dimenticare, in cui stando con la sua compagnia non si sentiva a casa. Era abbastanza infastidito dei loro giochi sciocchi, di come sembrava che non dessero importanza a niente; avevano la capacità di scherzare su tutto e prendere sul serio niente. Ma a dire il vero in quel momento neanche lui sentiva più di loro la voglia di parlare di qualcosa  in modo approfondito: sembrava che tutto, ogni istante, ogni pensiero, ogni oggetto al mondo scivolasse via inesorabilmente, con suo irritato disprezzo, ma anche quello fosse lì per scivolare, come fosse stato costruito sulla sabbia. Si sentì apatico e appoggiò la guancia sulla superficie del tavolo: dove sono? Perché sono qui? Si chiese un po’ stupidamente, ma tanto non lo stava sentendo nessuno.

“Xemmy, bevi” lo incitò Xigbar, gesticolando e rovesciando metà del suo cocktail in faccia a Larxene.

“Ah, sì” si rialzò e riprese a sorbire dal suo bicchiere con occhi vitrei.

“Che muso! Dai, è una festicciola, perché sei giù così?” ululò Xigbar.

“Cosa? Xemnas, sei giù?”

“No, stai allegro, Xemmy!”

“Ci siamo noi” gli sorrisero i suoi amici.

Xemnas sorrise prima ancora di sentire reale sollievo dalle loro parole. “Grazie, amici.” E pensò che era proprio vero, era lì con loro, a sentirsi giù, in mezzo a loro.
 

“Uhn…” grugnì, rialzando il volto dal tavolo. La pelle delle braccia gli si era attaccata ai capelli e al volto, coperta da un sudaticcio caldo e malsano. Gemette ancora, portandosi una mano alla fronte dolorante. Due ciuffi di capelli gli caddero sul volto. Ci vedeva male e aveva un senso dell’equilibrio piuttosto distorto.

Alzò la testa, e vide confusamente che il pub era mezzo vuoto. I suoi amici erano scomparsi. Eppure riusciva a sentire ancora l’eco delle loro risate nelle orecchie.

-Dove sono, tutti?- prese in mano il suo cellulare, perplesso, e vide che erano le quattro del mattino. Non riusciva a credere ai propri occhi, doveva essere uno scherzo dell’alcool, ma non poteva, non poteva essere così tardi! Lesse e rilesse l’ora, ma erano le quattro passate e attorno a lui non c’era nessuno. Il tavolo era completamente sgombro. Il vociare di chiacchiere sconosciute, il monitor del pub che continuava a trasmettere canzoni rock sicure di sé, la notte che filtrava dalle vetrate.

“Ehi, scusami” Xemnas si voltò come tradito dal suo mondo e vide che una cameriera era comparsa vicino a lui con un sorriso gentile. Xemnas la ascoltò con sguardo disorientato. “Finalmente ti sei svegliato! Eravamo preoccupati, sai… Senti, i tuoi amici sono già andati, però devi ancora saldare il tuo conto: hai preso due birre medie e quattro superalcolici, vero? Sì, infatti, sono ventiquattro euro.”

“Ehm… Sì…” Xemnas prese confuso il portafoglio e tirò fuori due banconote.

“Grazie mille! Torno subito con il resto.”

Levatasi di torno anche la cameriera gentile, a Xemnas non rimaneva che provare a togliersi il malessere generale e cercare una soluzione. Prese il cellulare e provò subito a chiamare tutti i suoi amici, ma fu tutto inutile. –Ormai staranno già dormendo- pensò, sentendo il panico cominciare a salire di pari passo con il vomito. Non aveva idea di come tornare a casa. Chiamò i suoi genitori, sia sul cellulare sia a casa, anche se si sarebbero infuriati, ma neanche lì ricevette risposta. Dovevano aver mandato al diavolo il telefono che si metteva a squillare in piena notte.

Era nei guai, era nei peggiori guai. Aveva contato su Leon per un passaggio a casa, ma probabilmente si era fatto convincere dagli altri che era a posto, oppure se ne erano dimenticati. –Com’è possibile? Sanno che non ho la patente. I miei non sono mai venuti dopo una certa ora. Che fine hanno fatto?- richiamò tutti per una quarta volta, ma niente.

Buttò via il cellulare sul tavolo, attirando l’attenzione degli avventori lì vicino. A Xemnas non importava. Arrivò la cameriera col resto, ma rimase lì, con le mani sulla fronte, le dita che si appiccicavano alla pelle malaticcia. Pensava: -Non importa, non importa, posso farmela a piedi. Forse arrivo per la seconda ora, domani, ma ce la faccio. Posso sempre contare su qualcosa.-

Decise di alzarsi, ma si trovò a doversi aggrappare al margine del bancone. Cercò di avanzare con nonchalance, per non dare a vedere la situazione penosa in cui si trovava. Cammina piano- si ripeteva. –I piedi, uno dopo l’altro, la schiena dritta, guarda davanti. Ricorda, guarda davanti- si sforzò di sorridere alla barista, poi uscì all’aria aperta. Era buio e faceva un freddo terribile. Le macchine passavano sulla provinciale con noncuranza, senza dare segni di riconoscere la sua esistenza.

-Allora, devo attraversare la strada…- Si mise ad aspettare che tutte le auto passassero, ma voler percorrere a piedi in senso orizzontale un’autostrada era la cosa più stupida che uno volesse fare, specialmente con i riflessi alterati. Le auto arrivavano a cento all’ora, precedute solo dal rapido suono crescente del motore e due luci gialle galleggianti nel buio.

-Ci devo provare, altrimenti non torno a casa più- Riuscì ad attraversare una corsia, poi vide che stava per avvicinarsi un auto sulla terza e cominciò a correre: rischiò di venire linciato su due piedi, ma almeno era arrivato dall’altra parte. Cominciò a camminare lungo la strada, guardando a terra, rimuginando pensosamente sulla sua infelice condizione; poi si ricordò che per arrivare a quel pub bisognava attraversare un paese che confinava col suo, ma che ovviamente non conosceva, quindi non avrebbe avuto idea di che strada fare. Forse avrebbe anche potuto trovarla, ma vagando per chissà quanto, in quello stato.

-Ho bisogno di rimettermi almeno un pochino- pensò in difficoltà. Approfittò di un camion che stava rallentando la circolazione per correre attraverso la strada, arrivato cadde a terra sbattendo contro il guard rail, ma era cosa da poco, si rialzò. Rientrato al pub, la situazione non era cambiata affatto. Si infilò nel bagno e s’inginocchiò davanti alla tazza del water, tenendo chinata la testa, anche perché non avrebbe saputo tenerla ferma e dritta. Ora che l’adrenalina era passata, era tornato il mal di testa, più acuto e vendicativo che mai, mentre un calore malsano lo faceva sudare e appiccicare alla pelle tutti i vestiti. Si sollevò la maglietta per trovare un po’ di sollievo, ma così non poteva tirarsi su i capelli, che negli occhi gli davano una sensazione terribile. Teneva sempre una mano incollata al pavimento per restare dritto: si reggeva praticamente su quel braccio, visto che era così confuso da non pensare a un’altra posizione possibile.

Stare in bagno non lo faceva sentire meglio, l’ambiente piccolo gli dava l’idea di essere intrappolato in quel guaio; si lavò la faccia, poi si accorse che non c’erano salviette e dovette asciugarsi con la maglietta appiccicosa. –Vorrei andare a casa a cambiarmi- Non aveva mai pensato che casa sua potesse essere così lontana.

Uscito, si accorse che in cielo brillava forte la luna piena; non ci aveva fatto caso, prima. Guardò dritto avanti a sé e notò che su un tavolino era seduto il suo compagno di scuola, quello coi capelli azzurri, seduto su uno sgabello con le gambe accavallate, intento a sorseggiare un bicchiere di birra con un’aria seria e pensosa.

-Devo parlare con lui- pensò –Anche lui domattina deve andare a scuola, sa come andarci. Così potrò andare anch’io.- Ma non poteva, aveva vergogna; non sapeva cosa chiedergli; si sedette sempre più vicino al suo tavolo, arrivò la cameriera e ricordò a tutti che il locale sarebbe dovuto chiedere una ventina di minuti fa, Xemnas si allarmò che avesse potuto andar via subito, ma tutti si infischiarono della notizia. Xemnas era più tranquillo, continuava a pensare ad altre soluzioni, finché, quando vide che ormai il bicchiere dell’altro era finito, colto dal terrore che potesse finalmente andar via, gli si fece vicino e buttò lì le prime parole al sapore di alcool che gli venivano: “Ehi, ciao, amico.”

Il ragazzo con i capelli blu lo guardò male. “Che cosa vuoi?”

“Io… No, be’, niente” si autoinsultò nella testa per aver fatto un tentativo così stupido e andò via immediatamente.

L’altro divenne più cupo e sembrò ritirarsi nei suoi pensieri.

Xemnas era sepolto nella vergogna. Si era allontanato, ma rimaneva nei guai lo stesso. Doveva aspettare che qualche amico si chiedesse di lui e venisse a prenderlo là? Dopotutto erano le cinque, fra un paio d’ore si sarebbero svegliati per andare a scuola e avrebbero acceso il cellulare. Certo, era una figura del cavolo, ma dopotutto l’errore era dei suoi amici, non suo, no? Era proprio una situazione ridicola, Xemnas avrebbe preferito rivolgersi a quello sconosciuto, ma che diritto aveva di disturbarlo? Ma dove avrebbe passato quelle due, tre ore, forse in piedi sulla provinciale? O si sarebbe avventurato nell’altro paese?

-Perché? Potrei chiedere un passaggio a questo ragazzo e basta. Mi andrebbe bene da qualsiasi parte, se è verso Radiant Garden, oppure potrei chiedere qualche indicazione…-

Seguendo quest’ultima idea, andò a chiedere alla barista, ma quella le disse solo cose sconclusionate; gli sembrava imbarazzante fare la stessa domanda agli altri camerieri, ma cosa poteva fare? –Al diavolo, ha la mia età, gli sarà capitato di trovarsi in questo tipo di guai come me, no?-

“Senti, scusa” si riavvicinò al ragazzo coi capelli blu, proprio mentre stava per rialzarsi.

“Cosa c’è, ancora?”

“Ehm… Scusami tanto… (cercava di vincere l’imbarazzo) Domani vai a scuola anche tu, no? Cioè, ho visto che sei della mia stessa scuola.”

“Come no. Sei Xemnas” gli disse tranquillamente.

Xemnas si sentì incredibilmente sollevato: conosceva il suo nome! Tante paranoie per niente. “Ah, mi fa piacere che mi hai riconosciuto! Quindi, insomma, sai che non sono un piantagrane o cose simili…” –Anche se mi ha appena visto ubriaco da non saper camminare in linea retta- “Quindi, volevo semplicemente chiederti come fai a tornare a scuola, domattina.”

L’altro ragazzo sembrava abbastanza perplesso. Sì, un dialogo davvero strano da avere con uno sconosciuto (o il ragazzo più popolare della scuola) alle cinque del mattino in un pub. “Io abito qua  vicino, quindi da lì prendo il pullman che mi porta a scuola.”

Un pullman! “I pullman sanno la strada.” fu l’intelligente commento di Xemnas. “Mi ci potresti accompagnare?”

Il ragazzo lo fissò per lunghi istanti senza dire niente. Lo guardava torvo e basta. Poi rispose: “No, senti, io adesso devo tornare a casa…”

“Ti prego!” lo supplicò Xemnas, perdendo la faccia in un istante.

“Non riesci ad andarci da solo?”

“Non sono di qui. E’ solo questo il problema” disse Xemnas, cercando di sminuire la propria tragedia.

Dovette sopportare un altro sguardo inquisitore, che si trasformò in uno meditabondo. Xemnas si chiese come avesse fatto a non trovare spaventosi quei capelli celesti.

“Va bene, seguimi.” Il ragazzo uscì di corsa dal pub, e Xemnas dovette seguirlo in fretta. “Però ti porto lì e basta, sia chiaro.” Spiegò, sovrastando con la voce pacata e responsabile il suono delle macchine che sfrecciavano.

“Grazie. Sono nelle tue mani” ci tenne a chiarire Xemnas, come per assicurargli che non poteva fargli niente di male.

L’altro si limitò ad annuire, poi prese a camminare lungo la provinciale. Ad un certo punto, con stupore di Xemnas, oltrepassò il guard rail e cominciò a camminare veloce per i prati, di notte. –Per fortuna che c’è la luna piena- pensò Xemnas, incantato. Seguiva la testa celeste davanti a lui che avanzava in fretta, come se lui stesso stesse lottando per raggiungere il giorno, un posto dove avrebbe potuto orientarsi. La forte luce lunare inondava i campi, faceva risaltare i ciuffi di erbacce alte che sopravvivevano anche d’inverno. Si sentiva come in un sogno, nessuna guida, nessun limite al destino, come nei sogni. Era leggero, come se non esistesse, allo stesso tempo avanzava pestando tutto ed era fin troppo pesante. Se non avesse bevuto tanto, avrebbe saputo godersi tutto questo? Forse era solo ora che non aveva più una strada, che gli sembrava di averne trovata una. –Solo perché ha tutti i contorni di una strada… Solo per questo… Ma non è una strada…- si ripeté sconsolato, osservando l’orizzonte, una linea buia al chiaro di luna.

“Notte brava al bar, eh?” chiese l’altro ragazzo.

Xemnas fu sorpreso dall’improvviso disturbo ai suoi pensieri tanto che all’inizio non riusciva a coordinare i passi e parlare contemporaneamente. Si sentiva perfino quasi commosso del tentativo di conversazione. “Già. Per un amico che cambia scuola.”

“Cosa va a fare?”

“Niente, anche lui lo scientifico, però da un’altra parte. Mi sa che questa scuola è troppo difficile.”

Il ragazzo indicò un masso in mezzo al percorso. Avrebbero potuto costeggiarlo, ma si vedeva che era una strada che faceva per abitudine. “Vi dispiace?” riprese.
“Ad alcuni sì, a me invece…” il suo tono di voce divenne duro. “Non è una brava persona. Non è sincera. E’ triste, senza principi… Agisce solo in base a come gli è comodo, a come gli va al momento.”

L’altro si limitò ad annuire. Abbandonarono i campi per una stradina sperduta. Si sentivano dei cani abbaiare, in fondo alla via. Xemnas rabbrividì, ma volle fidarsi.

“E’ che non è una persona che valga la pena frequentare, ecco tutto.” Proseguì. “Mi dispiace per i miei amici, che rischiano di finire nella sua rete, ma è sbagliato che uno faccia così, anche se magari non lo fa apposta, anche se a dire il vero non lo capisco. A volte il comportamento delle persone è così strano che è difficile da comprendere.”

“Già, a volte succede.”

“Ma non solo, da comprendere! Da… Dargli un nome. Da dire il perché di una certa azione, come chiamarla… Se chiamarla stupidità o ansia, chi lo decide? Se è sbagliato o disperato?...”

“Stai parlando di inquietudine.” Lo corresse.

“Non so… Vedi, anche quello in fondo, è già un nome, è già qualcosa. Io invece non voglio dire questo, non voglio dire… Niente, è proprio il niente, cioè…”

“Quindi avevi voglia di bere stasera?” taglio corto l’altro, che camminava al suo fianco lungo la stradina silenziosa, in mezzo a casette dall’aria serena e anonima.

“Ho solo alzato un po’ il gomito, ecco tutto.” Rispose Xemnas semplicemente.

“Bevevi per il tuo amico?”

Amico…” Xemnas storse il naso.

“E’ pur sempre un amico.” Commentò tranquillamente. “Anche con tanti difetti, sai.”

“Non bevevo per lui!” disse sprezzante Xemnas. “E’… Uhm…” Non sapeva che dirgli, a conti fatti non lo sapeva di preciso nemmeno lui. Non si era chiesto perché, aveva cominciato a rubare da tutti i bicchieri che gli capitavano sotto mano e aveva continuato a ridere. Perché fermarsi?

Era nel bel mezzo dei suoi pensieri, che si rese conto di star fissando l’altro ragazzo. Aveva le sopracciglia (anch’esse blu) aggrottate, disturbando la forma della sua cicatrice. Aveva un aspetto molto buffo, e allo stesso tempo molto dignitoso. Xemnas si accorse che sì, avrebbe potuto continuare la conversazione in modo piacevole parlando di sé, come lo aveva invitato a fare il suo nuovo compagno, ma il giorno dopo forse si sarebbe amareggiato di non aver chiesto nulla di lui.

“Senti, tu sai come mi chiamo, tu, invece?” domandò.

“Lasci cadere nel nulla il discorso di prima?” punzecchiò a mo’ di sfida l’altro. Avevano attraversato due parcheggi deserti, e ora stavano passando sotto un passaggio a livello chiuso.

“Dai, non puoi non dirmelo…” gli disse ridendo Xemnas.

“Mi chiamo Saïx.” Rispose. “Con due puntini sulla i, non dimenticartelo.”

-Definitivamente strano.- commentò nella mente. “Sei dello scientifico, no? Che anno?”

“Terzo.” Rispose. “Proprio a metà, non si può tornare indietro e non ti rimane che andare avanti.”

“Cosa significa, che non ti trovi bene?”

“No, no, chi ha detto questo.” Girò l’angolo e indicò una grande casa bianca dall’aspetto moderno. “Casa mia.”

“Davvero? Mi piacerebbe entrarci” Sorrise Xemnas. “Sarebbe strana, come tutto il resto…”

“Cosa?”

“Niente.”

Oltrepassarono un altro paio di curve, poi un parchetto con dei tossicomani stesi su una panchina. Saïx non batté ciglio. “Siamo quasi arrivati.”

Xemnas non poté impedirsi di chiedersi che cosa gli sarebbe piaciuto sapere di quello strano individuo prima di salutarsi. Non gli veniva in mente niente di sensato, quindi buttò lì la cosa più accettabile che gli girava in mente: “Tu perché bevevi, alle quattro di notte?”

Saïx fece una breve pausa di silenzio. “Finalmente ho trovato il coraggio di uscire di notte, da solo, da casa mia, ma non sapevo dove andare.”

Xemnas non sapeva bene cosa dire. “Una birra da soli è triste, di notte.”

“Perché, vuoi invitarmi a berla con te la prossima volta?” ribatté Saïx.

“Eh? No, no, figurati!” Xemnas conosceva Saïx ancora troppo poco per capire che aveva appena fatto una battuta. “Davvero, Saïx, non volevo altro da te, anzi, ti sono molto riconoscente e mi scuso molto per il disturbo…”

Lo sguardo di Xemnas era rammaricato e Saïx lo colse. “Figurati, Xemmy, questa sarà l’ultima volta che ti trovi da solo, credo.” Eppure nella sua voce c’era una leggera nota di disprezzo. Si erano appena fermati davanti a una palina del bus. D’altro canto, Xemnas trovava abbastanza sgradevole quel riferimento alla sua popolarità, ma non disse niente.

Si sedette sopra al gradino davanti a un negozio, stravaccandosi. Si sentiva un ubriacone senzatetto, e ora avrebbe dovuto aspettare in mezzo alla strada un’altra oretta, un’oretta e mezzo.

“Vuoi aspettare con me?” propose Xemnas, con un mezzo sorriso rassegnato.

“Perché?”

“Non ho niente da fare… Possiamo parlare un altro po’.”

“No, credo che torno a casa.”

“Se stai sempre sveglio tutta la notte così, ci credo che ti vengono quelle occhiaia” lo stuzzicò Xemnas.

Quello però non fece una piega e si allontanò. “Vado a casa.”

Xemnas appoggiò il volto alle braccia ancora una volta e annuì. “Ok, Saïx.” Lo salutò. “Grazie mille, allora.”

Saïx si diresse verso casa sua, e Xemnas segretamente lo invidiava. Lo aspettava più di un’ora da solo; avrebbe voluto essere Saïx, per poter allontanarsi anche lui da Xemnas -da se stesso.
 
  
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