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Autore: Mary Black    07/03/2013    8 recensioni
Al diavolo i Doni, sono stati soltanto in grado di rovinarci, Gellert. Al diavolo la fama, che è una carceriera spietata. Al diavolo il potere, che non mi ha salvato da un cuore spezzato.
Al diavolo tutti quei sogni crudeli che avevamo, che ci hanno uniti come due amanti e poi ci hanno separati come i nemici che non avremmo mai voluto essere.
Al diavolo i tuoi occhi stupendi, Gellert, a cui avrei volentieri consacrato la mia vita.
Al diavolo lo Specchio delle Brame, che non mi ha mai mostrato la mia redenzione, i miei errori finalmente riparati, i miei sbagli cancellati uno ad uno. Al diavolo, non vi ho mai nemmeno scorto Ariana fragrante di vita, in salute, tra le braccia amorevoli dei miei genitori, di nuovo insieme. Non vi ho trovato il perdono di Aberforth, non l'ho mai cercato né in quell'inganno né nella realtà.
Lì dentro, in quella lastra scura, io ho sempre e soltanto visto te, Gellert.
La storia si è classificata prima al "Flash Contest - Le storie del cuore" di TheHeartIsALonelyHunter.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Tom O. Riddle | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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La storia si è classifica prima al "Flash contest - Le storie del cuore" di TheHeartIsALonelyHunter.

Specchio, servo delle mie brame

1942


Lo Specchio delle Brame troneggia dinanzi a me, scintillante di mille illusioni.
Ancora lontano dal suo incantesimo, lo vedo per quel che è: un altare su cui si immolano soltanto gli sciocchi, macchiato di sangue, infestato di spettri. Una landa in cui si smarriscono i deboli.
La cornice dorata intarsiata, la superficie scura eppure lucente, l’avvertimento vergato in una lingua oramai perduta.
Perché l’essere umano non potrà mai redimersi. Sbaglierà sempre, di fronte ai propri desideri.
Mi avvicino lentamente. Irresistibilmente attratto, acutamente consapevole di star sbagliando.
Scorgo la mia figura longilinea, i capelli lunghi e ramati striati d’argento, il naso adunco. Ho un’espressione febbrile che mi disgusta subito.
Eppure, mio malgrado, le iridi cerulee scorrono sulla superficie vetrosa, che pare quasi liquida alla luce della luna, cercando con infallibile precisione quello che sanno di poter trovare.
Un palpito verde acceso, l’eco di una risata lontana.
Il cuore batte sempre più forte contro le costole, una patina di sudore mi impiastra le mani. Sono così teso da sobbalzare ad ogni minimo rumore.
“Specchio, servo delle mie brame...”.
Il sussurro si perde nel mio stesso respiro. Il ventre torturato dai crampi, attendo con ansia spasmodica la mia illusione.
Forse pensavo di essere immune alle delizie di quest’oggetto, grazie alla mia stimata intelligenza o alla mia saggezza. Non mi sono mai considerato né uno sciocco né un debole, eppure sono la vittima ideale.
Perché io ho un animo oscuro, peccati sulla coscienza, errori mortali che, per un buffo gioco della sorte, mi hanno portato al trionfo, e non alla tomba con la maggior parte della mia famiglia.
Albus Silente non è incorrotto.
Sono sempre stato così facile da adescare, da circuire. Persino adesso, mentre offro implorante tutti i miei sbagli, non posso fare a meno di fermarmi.
Non hai carpito nessun segreto stanotte, Specchio.

Nel vetro, il mio splendido Gellert si alza in piedi.
Giovane, irridente, plateale. Riccioli d’oro puro sul volto fragile, su quel sorriso sfacciato.
Acuminati occhi verdi, crudeli come l’amore che mi ha sempre negato.
« Mio Albus ».
Nessuna dolcezza, soltanto trionfo.
L’orrore più grande, mio Gellert, è che non ti ho mai voluto diverso da quello che sei.
Persino adesso, mentre distruggi il tuo paese, mentre stronchi vite su vite, mentre tutto il Mondo Magico mi implora di fermarti, io... Io ti trovo magnetico, nonostante il sangue innocente che hai preteso come mantello.
Non dovrei nemmeno pensarlo, ma io ti ammiro perché hai il coraggio d’essere te stesso.
Sei stato incoronato dalla gloria più nera, Gellert, l’hai scelta come tua sposa... Quella gloria da cui io sono fuggito, in frantumi, sul cadavere di mia sorella.
« Sempre così sentimentale, Albus... ».
Il suo tono indolente stride nella mia testa, le sue iridi di smeraldo mi scrutano senza alcuna pietà.
Lo guardo, e mi consumo.
È disgustoso che dopo tutti questi anni, dopo quello che mi ha fatto, dopo la follia verso la quale mi ha spinto in quei mesi terribili, io non possa fare a meno di lui.
E non di una persona creata dalla mia fantasia, non da qualcuno di migliore che ho coltivato e inventato di sana pianta, solo per non impazzire di dolore.
No, io ho potuto scegliere, ed ho scelto di nuovo la bestia.
Ma lo Specchio non sbaglia mai, e forse non sono poi tanto migliore di te, Gellert.
« Mi annoia quando ti compiangi, Albus. Dovresti saperlo... » inclina il capo di lato, il movimento dei riccioli mi incanta, so che sta per dire qualcosa di terribile eppure non faccio nulla per impedirglielo, « Altrimenti non ti avrei abbandonato sul cadavere della piccola storpia ».
Sfoggia un ghigno aguzzo, lucente come un coltello.
Vorrei fermarlo, ma non ne ho il potere. Non l’ho mai avuto.
E quando ci affronteremo a duello, Gellert, sarai tu che vincerai.

All’improvviso, alle mie spalle si leva una voce piena. Impeccabilmente cortese.
“Splendido artefatto, professor Silente.”
Per nulla sorpreso, mi volto lentamente verso Tom Riddle, l’allievo più stupefacente che mi sia mai capitato di istruire. Sembra versato in ogni arte magica: brillante, eccezionalmente curioso, talentuoso in tutto ciò in cui si cimenta.
Per non parlare del volto meraviglioso, dell’intrigante falsa modestia, del fascino morboso.
Una tentazione che non mi si presenta da molti anni...
“Dovresti essere a letto, Tom” osservo tranquillamente.
Il Prefetto mi rimanda un’occhiata imperturbabile, senza mostrare nessuna traccia di emozione al mio velato rimprovero. China appena il capo in un gesto di moderato pentimento, eppure non si muove.
Continua a guardare affascinato lo specchio, le iridi blu oltremare sgranate e quasi... quasi voraci.
Corrugo appena la fronte, infastidito dai miei stessi pensieri. Ma con la coda dell’occhio scorgo Gellert che sorride canzonatorio, lascivamente appoggiato alla cornice, come se potesse saltarne fuori con uno dei suoi soliti balzi felini.
Mi sto facendo condizionare da lui, senza dubbio. Il ragazzo ha alcuni comportamenti preoccupanti e un’indole votata alla segretezza, alla cospirazione e alla smania di controllo, e certo non guasta che io lo tenga d’occhio, ma a volte credo di esagerare. Sono sempre sospettoso più del dovuto, non lo idolatro come gli altri insegnanti, e lui lo sa, è perfettamente consapevole che le lusinghe con me non funzionano.
« Ma davvero non hanno effetto su di te, mio Albus, le lusinghe? ».
“Professore, la prego... Mi può spiegare cos’è?”.
Tom mi distoglie da quella voce setosa, che mi sbrana dal mio passato, dalla superficie lucida in cui s’infrange il suo riflesso.
Cerco di vedere in lui quello che non ho... che non ho visto in te, Gellert. Non in tempo.
Riddle mi si avvicina, un sorriso scintillante in viso, i capelli scuri e morbidi che gli vezzeggiano le tempie. Accarezza la cornice con dita sottili, un anello antico ne spezza il seducente pallore.
Osserva senza poterlo vedere Grindelwald, i grandi occhi blu, spietati e freddi come un mare in tempesta, che scivolano con grazia in quelli di smeraldo del mio antico tormento.
Senza sapere a chi è tanto vicino.
« Sedici anni, bellissimo, talentuoso, sempre pronto a distinguersi dalla massa... Non è proprio il tuo tipo, Albus? ».
Gellert lo studia con sufficienza, ondeggiando sulle gambe lunghe. Cerco di non dargli retta, di non badare alla precisione con cui la mia disperazione ha ricreato ogni aspetto di lui, anche il più spregevole.
Appoggia il volto bianco su quelle mani che tanti anni fa mi hanno strappato e portato via ogni traccia di ragionevolezza. Mi guarda, ed è pieno di veleno.
« Da corrompere, da sbranare ».
Una fitta di panico aleggia nella mia anima, il mio prolungato silenzio ha attirato anche l’attenzione di Tom, che mi scruta a caccia di qualche debolezza con insopportabile cortesia.
Gellert prosegue, inarrestabile.
« E così ambizioso... credi che non si getterebbe nel tuo letto, se tu soltanto glielo chiedessi? Rispondi, Albus, non essere timido ».
Le sue iridi velate mi sorridono. Si sta divertendo a farmi male, a farmi a pezzi.
Cosa vuoi vedere, Gellert? Cosa? Io che mi umilio davanti a questo incanto brunito? Ci vuoi guardare mentre ci rotoliamo per terra?
Storce la bocca rossa con disappunto. Brucia di gelosia, di possesso.
Mi rivolgo di nuovo al giovane Riddle, educatamente teso a cogliere ogni mia espressione, ogni sfumatura.
“È lo Specchio delle Brame, Tom. Vuoi provare le sue... meraviglie?”.
« Oh, sono sicuro che puoi offrirgli di meglio, Albus ».
Mi scosto dallo specchio e Gellert, finalmente, tace. Eppure già la sua mancanza mi rode l’animo come una malattia incurabile, un cancro che si sazierà sempre della mia carne, che mi divorerà dall’interno senza mai, mai, fermarsi.
Il Serpeverde, comunque, si studia per alcuni minuti nella superficie liscia. Mantiene un’aria indecifrabile, non fa trasparire nulla. Il suo viso altero resta impassibile, gli zigomi alti, le labbra schiuse, la fronte d’avorio appena aggrottata.
E quando si scosta, sazio, mi sembra che i suoi occhi siano logorati dalle fiamme, increspati di rosso, zuppi di sangue... Ma in fondo dev’essere stato soltanto un riverbero, uno scintillio fasullo.
Mi riporto all’istante a portata di incanto, come se la malia potesse lenire i turbamenti di cui sono preda, eppure dovrei saperlo che Grindelwald non è mai stato un granché come consolatore.
« Non puoi sopportare di vedere il male anche in lui, non è così? ».
“Oggetto pericoloso e interessante” lo interrompe Tom, a cui non è certo sfuggito il mio movimento né il mio sguardo inquieto in direzione dello specchio.
Gellert è ancora lì, perfettamente visibile e altero, come un gatto a pelo ritto.
Mi osserva diffidente, con quegli occhi enormi che mi avevano tanto affascinato nella calura di quell’estate da incubo. Quegli occhi che avevo sempre voluto credere innocenti.
Eppure oggi mi chiedo se abbiano mai conosciuto qualcosa di diverso dalla solitudine e dal dolore.
“Professore...”
Tom ha una strana espressione: è come se cercasse di contenersi, ma non riuscisse a prevalere sulla propria bestiale curiosità.
“Lei cosa vede quando si guarda?”.
È proprio da lui fare una domanda del genere senza perdere un briciolo di contegno. Non gliene importa niente di essere indiscreto né tantomeno maleducato. Sa di non poter osare, non è inconsapevole, e sa benissimo che tributo sta pretendendo... Eppure me lo chiede lo stesso, con quell’aria diligente, appena ribelle.
« La sua sfacciataggine ti piace perché ti ricorda me ».
Gellert mi richiama di nuovo a sé, più sprezzante e feroce che mai.
Ed eccola lì, la maledetta belva che si è sempre celata dietro il suo sorriso scintillante, dietro quella coltre di riccioli luminosi. Eccolo, finalmente, il suo controllo che va a brandelli per un niente, ecco la furia che ha ucciso mia sorella e il mio amore per lui.
Eccoti, Gellert. Di nuovo a me, mio tesoro.
« Ti piaceva, il mio essere tutto istinto. Ti piaceva quando diventavo l’animale che non avevi il coraggio d’essere tu stesso! ».
Mi aggredisce, Grindelwald, e non mente nemmeno una volta. Non ne ha bisogno, perché è soltanto l’immagine di uno specchio, si potrebbe dire, ma non è così. Anche se fosse davvero davanti a me, in carne ed ossa, non riuscirei a torcergli nemmeno un capello, lo sa lui e lo so io.
« Ti piaceva la mia follia, come ti piace la violenza nel cuore di questo ragazzino » sibila con furia, incapace di fermarsi, una luce folle nelle iridi altrimenti spente.
Scatta contro la superficie invisibile che divide la realtà dal regno delle brame, le sue unghie vi si piantano come se ci fosse soltanto una stola di seta a separarci.
Ha degli occhi talmente magnetici e brutali che mi è impossibile distogliere lo sguardo.
« Ti piaceva il mio buio » la sua voce si rompe, mi fissa con lascivia, con inclemente ironia, « Ti piaceva il fatto che ti ero pari, il potere che trasudava dalla mia pelle... Ti piaceva il mio marciume, ed è il motivo per cui lui ti affascina tanto ».
Rivolge un’occhiata glaciale a Riddle, lo valuta come potrebbe farlo un esteta.
« Quest’orfano solitario, con un bel visino e le ciglia lunghe... Credi che lo salverai? Non sei riuscito a salvare neanche te stesso ».
Ti prego, smettila.
« Non negare, Albus! Lui ti piace, lo vorresti, lo brami ».
Vorrei distogliere gli occhi dallo spettacolo indecente del suo trionfo, della sua esultanza, ma non posso. Non posso perché vorrebbe dire guardare il sedicenne impudico che ho davanti, e ammettere che Grindelwald ha ragione, su di me, come sempre.
Se i miei colleghi sapessero, che scandalo sarebbe! Un grande mago come me farsi corrompere dalle gambe snelle di un ragazzino...
Eppure non è esatto. Non sono un animale e non vedo affatto Tom come un potenziale amante, la differenza d’età è troppo elevata perché io possa gingillarmi con simili fantasie. Tuttavia c’è qualcosa in lui che mi attrae fatalmente, un’alchimia inspiegabile, l’eco di un coinvolgimento per cui in passato ho quasi perso il senno.
Eppure a volte provo orrore quando ne scruto i lineamenti squisiti, perché inconsapevolmente mi sto chiedendo che cosa diventerà questo ragazzino dagli occhi chiari.
Si farà insudiciare dal male? È l’inchiostro nella mia anima, che si ricongiunge ai nastri neri che colano dalla fiala spaccata, che me lo fa bramare?
Sarà una bestia come te, Gellert?

« Prenditi ciò che desideri, Albus ».
La sua voce nella mia testa torna a fare le fusa, a lusingarmi, a tentarmi come nessuno è mai riuscito a fare altrettanto bene in tutta la mia esistenza.
Ti è sempre piaciuto giocare con me.
“Ci vedo il mio passato, Tom.”
Il Serpeverde mi fissa critico, forse vorrebbe qualche informazione in più. Ma, dietro la facciata di civettuola curiosità, fiuto il pericolo e il calcolo, la ricerca spasmodica di un’arma da usare contro di me.
“Ci vedo una persona che ho amato, e che non sono riuscito a salvare...”.
È estremamente attento, diligente come se non fossimo in un’aula in disuso a mezzanotte inoltrata, ma a una delle solite lezioni di Trasfigurazione, eppure, appena le mie parole cominciano a tracciare un racconto d’amore, Riddle si irrigidisce scettico.
Ah, ci sono così tante cose che non capisci...
“E tu? Tu cosa vedi, Tom?”
« Si vede immortale ».
A rispondermi è Gellert, inarco involontariamente un sopracciglio.
Ma questo gesto non sfugge al giovane, la cui espressione cambia, all’improvviso ostile, come se gli avessi strappato il suo più bel segreto.
Non si scomoda nemmeno ad inventarsi la bugia che mi aspettavo né cerca di ricomporre la maschera di cortesia che indossa sempre. Mi rimanda soltanto un’occhiata secca, intelligente come quella di una volpe.
“Buonanotte, professor Silente.”
“Buonanotte, Tom.”
Si dilegua nella notte il giovane Lord Voldemort, lasciandomi solo con l’aguzzo sguardo di Grindelwald addosso e qualche generale considerazione su quanto poco piacevole sia il nuovo soprannome che si è scelto.
« Non hai paura di lui? » mi stuzzica il riflesso, che non sopporta di notare la mia attenzione rivolta a qualcuno che non sia lui, esattamente come il suo doppio nella vita reale.
“E perché dovrei?”.
Sospiro appena e lui sbotta sarcastico, chiaramente infastidito dalla mia attitudine a voler vedere sempre il meglio delle persone, a voler concedere in qualsiasi caso una seconda possibilità.
« Non ti capisco ».
Dev’essere sconvolgente sapere di poterlo ammettere.
“Ma davvero, Gellert? E dire che senza questa attitudine che tu tanto disprezzi io ora sarei soltanto un orfano infelice.”
Gli rivolgo un sorriso immensamente triste, velato di dolcezza.
« Come se adesso fossi qualcosa di diverso » sibila sprezzante, irrispettoso, « Cosa farai quando davanti a te non avrai me, quest’adolescente che conosci, ma un adulto che ti è estraneo? ».
La sua domanda mi spiazza, riportandomi alla cruda realtà.
Già, il duello che ci è così prossimo.
Tutti si aspettano che io affronti il perfido Grindelwald, che vinca e probabilmente anche che lo uccida. Nessuno sa che non posso farlo, e comunque a nessuno importerebbe. Ancora una volta, io ed io soltanto dovrò decidere quale strada seguire, se quella giusta o quella facile, con la consapevolezza che sarà una sconfitta in entrambi i casi.
Ma non farmici pensare, Gellert. Non adesso.
“Cercherò di redimerlo” mormoro con un filo di voce, e più che un’idea vera e propria è un desiderio.
A questo, nemmeno il mio spietato compagno sa trovare una risposta abbastanza svilente.
Cala il silenzio, sento il suo sguardo addosso per tutto il tempo, ma non lo incrocio neanche per un attimo. Dopo quelle che sembrano ore, lui riprende di nuovo la parola.
« Addio, Albus ».
Non posso fare a meno di guardarlo, nonostante non sia affatto sorpreso.
Nemmeno un’illusione è per sempre.
Eppure, per la prima volta dall’inizio di questa maledetta serata, Gellert non mi appare malvagio. È vagamente malinconico, con quegli occhi incandescenti, che un tempo mi irretivano al punto da non capire più nulla, fissi nei miei. Le palpebre per metà calate, le ciglia dorate come le sbarre di una gabbia.
« Non tornerai ».
Non è una domanda, ma il tono implorante con cui mi si rivolge non mi lascia affatto indifferente.
Al mio silenzio, sospira e continua a parlare.
« Ci rivedremo quando verrai a fermare la mia ascesa al potere, immagino » la voce gli si incrina, si nasconde appena tra le ombre dei riccioli dorati, vagamente sfatti, « Buonanotte, Albus ».
Distolgo le iridi cerulee dal suo volto, serro le palpebre. Fa troppo male guardarlo mentre se ne va, anche se è soltanto un’illusione, anche se è soltanto un ragazzo di sedici anni che non esiste più, anche se là fuori c’è lui da adulto che, forse in questo stesso momento, sta compiendo una strage.
Fa male lo stesso, anche se non è giusto.
« Perdona la mia crudeltà, se puoi... È la mia natura » una pausa dolente, altre lame nel petto, « Mi mancherai ».
Quando riapro gli occhi di scatto, lo Specchio delle Brame è vuoto e placido come uno stagno senza vita.
Nessun palpito verde acceso, nessuna eco di una risata lontana.
Mi mancherai anche tu, Gellert.

1945


A duello finito, stordito e scosso, abbasso la bacchetta ed osservo il suo corpo magro riverso a terra.
I riccioli bianchissimi, il volto segnato dall’età. Quegli occhi sempre così vivi rovesciati all’indietro.
Non è morto, ovviamente.
Io non avrei mai potuto, non senza smettere di vivere.
Gli Auror si riversano all’improvviso nella radura gelata, urlano di gioia, si congratulano con me, sono davvero felici che io li abbia aiutati, che abbia vinto. Persino le mie lacrime appaiono appropriate.
“Andrà a Nurmengard” mi limito a ripetere, come una cantilena, come se fosse importante.
I maghi stranieri mi porgono la sua bacchetta, che tuttavia non è la stessa di quando l’ho conosciuto e, naturalmente, non mi ci vuole molto per capire che è uno dei Doni.
La Bacchetta di Sambuco, finalmente mia.
Nemmeno questo pensiero mi dona un minimo di contentezza, perché in fondo... In fondo, cosa importa?
Al diavolo i Doni, sono stati soltanto in grado di rovinarci, Gellert. Al diavolo la fama, che è una carceriera spietata. Al diavolo il potere, che non mi ha salvato da un cuore spezzato.
Al diavolo tutti quei sogni crudeli che avevamo, che ci hanno uniti come due amanti e poi ci hanno separati come i nemici che non avremmo mai voluto essere.
Al diavolo i tuoi occhi stupendi, Gellert, a cui avrei volentieri consacrato la mia vita.
Al diavolo lo Specchio delle Brame, che non mi ha mai mostrato la mia redenzione, i miei errori finalmente riparati, i miei sbagli cancellati uno ad uno. Al diavolo, non vi ho mai nemmeno scorto Ariana fragrante di vita, in salute, tra le braccia amorevoli dei miei genitori, di nuovo insieme. Non vi ho trovato il perdono di Aberforth, non l’ho mai cercato né in quell’inganno né nella realtà.
Lì dentro, in quella lastra scura, io ho sempre e soltanto visto te, Gellert.
Non ridevi, non mi ammaliavi.
Eri quello che eri.
Non hai idea di quanto mi sia disprezzato per questo, Gellert. Non sai quanto ho desiderato che tu non fossi la mia malia, la mia brama inconfessabile.
Davanti a quello specchio, il mio cuore ha scelto. Ha scelto te, non la mia famiglia.
Ed è come se li avessi ammazzati con le mie stesse mani.
Hai vinto, Gellert. Non di fatto, eppure su tutti i fronti.

 

  
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