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Autore: Dira_    08/03/2013    19 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XV

 
 


 
And the walls kept tumbling down in the city that we love
Great clouds roll over the hills bringing darkness from above
But if you close your eyes, does it almost feels like
Nothing changed at all?
(Pompeii, Bastille)
 
 
30 Giugno 2028
Farringdon, Magazzino Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche.
 
Il buio l’aveva fatta svegliare con un urlo bloccato in gola.
Con il cuore che le batteva come una grancassa, il respiro irregolare e brividi freddi come se fosse stata gettata nell’acqua gelida, Lily si svegliò dai propri incubi.
Ci mise più di qualche attimo a realizzare che erano tali, dato che prima dovette mettere a fuoco la stanzetta degli allievi guaritori in cui si era addormentata alle prime luci dell’alba, dopo un lungo e noiosissimo turno di notte.
È tutto a posto. È tutto a posto, sei al San Mungo, è giorno. È tutto a posto.
Si alzò a sedere sulla brandina, togliendosi ciocche fradice di sudore dal viso, pregando che nessuno oltre a lei fosse presente; ebbe fortuna, gli altri letti a castello erano vuoti come era vuoto quello sotto di lei.
Okay. Vatti a sciacquare il viso, ora.
Scese con gambe malferme e si diresse verso i bagni al lato opposto del corridoio tenendo gli occhi bassi ed ignorando l’ambiente circostante. Fu solo con il viso rinfrescato e la bacchetta sicura nella sua presa che riuscì finalmente a respirare e a non aver voglia di rimettere la colazione che aveva fatto prima di addormentarsi.
Sapeva benissimo cos’era accaduto ed era una paura totalizzante, che per quanto irrazionale le faceva venir voglia di scappare il più lontano possibile.
Incubi. Incubi di quel che è successo cinque anni fa … di quel che è successo con il Sergente Flannery.

Pensava di averli superati. Pensava che con il tempo, la terapia e la certezza di vivere in un mondo tranquillo e ovattato non sarebbe più tornato niente di quello che aveva vissuto dopo il rapimento.
Sbagliato.
Era probabile che fosse stato l’episodio al San Mungo ad averle innescato quella reazione dato che il cocktail delle sue peggiori paure si era realizzato alla perfezione.
Buio, incantesimi e un’aggressione. Non ci siamo fatti mancare niente, eh Rossa?
Chiuse gli occhi e li riaprì cercando di tornare alla realtà, una realtà di una luminosa mattina estiva in un ospedale sorvegliato e sicuro.
Non funzionava.
Non lo è. Nessun posto è sicuro.
Per un attimo sentì il respiro bloccarsi in gola e desiderò con tutta se stessa Smaterializzarsi in un posto aperto, più luminoso, persino accecante.
Il buio. Odio il buio, lo odio … lo…
Quasi saltò in aria quando sentì la porta del bagno aprirsi. Si ricompose al meglio, voltandosi per incontrare le iridi d’ossidiana della Psicomaga Patil.
“Potter.” La apostrofò con aria sorpresa. “Va tutto bene?”
Ti sei ricomposta una meraviglia, direi.

“Sì … io. Sì.” Balbettò con un’incoerenza che avrebbe rivaleggiato con quella della povera Alice Paciock. “Cioè … no.” Buttò fuori riluttante. “… per niente.”
“Vedo.” La strega le si avvicinò con la stessa accortezza che avrebbe usato per un paziente e questo la rasserenò e inquietò al tempo stesso. Le mise poi una mano sulla spalla stringendo, facendole sentire che c’era e che il tocco era reale. “Hai fatto il turno di notte.” Ricordò pensierosa. “Ti sei svegliata adesso?”
“Se svegliarsi è il termine giusto…” Mormorò. “… avere un infarto e quasi cadere dal letto direi che è più adeguato.”
“Incubo?”
“Peggio.”
“Uno dei tuoi.” Stimò la Psicomaga scandagliandole il viso con l’espressione acuta con cui l’aveva conosciuta e imparata a stimare. Era stata proprio lei a curarla, quando al Sesto anno aveva cominciato a temere il sonno come il suo peggior nemico. 

E quando sono collassata a colazione perché erano giorni che bevevo Pozione Stimolante mischiata al succo di zucca per non addormentarmi mamma e papà mi hanno spedito da lei.  
Certo, mi era piaciuto il suo articolo, ma non avrei mai pensato che mi avrebbe aiutata davvero.
E invece…
“Credo sia per quel che è successo la settimana scorsa… il black-out.” Si passò una mano trai capelli sentendosi un pochino più stabile. Parlarne con qualcuno che trattava quei problemi di mestiere la faceva sentire meglio.
La strega annuì, guardando il suo orologio da polso. “Ho una lectio magistralis a Madrid tra venti minuti, ma tornerò con la Passaporta di mezzogiorno. Ad ora di pranzo vieni nel mio ufficio.”

“Non è…”  
“Non voglio sentire scuse, Potter.” La redarguì, prima di concederle uno dei suoi rari sorrisi. “Non devo fare la ramanzina ad una mia allieva sull’importanza di non sottovalutare un disturbo da stress post-traumatico, spero.” A volte le ricordava sua cugina Roxanne ed era questo ad averle sempre reso facile parlare con lei.
Vado d’accordo con chi parla poco e ascolta tanto.
“Adesso però mi sta parlando come ad una paziente.” Osservò ricambiando debolmente il sorriso.
“Allora sai che non ha senso obbiettare. Sciacquati il viso e prenditi il tuo tempo. Se ti fai vedere dai nostri pazienti con quella faccia si preoccuperanno per te.”
Lily annuì, cercando di sorridere finché l’altra non fu uscita dal bagno, poi tornò al lavabo e si schiaffeggiò di nuovo con l’acqua gelata del rubinetto.

 
****
 
Ministero della Magia, Ufficio Auror.
Mattina.
 
Harry aveva pensato ad uno scherzo di cattivo gusto.
Ci aveva pensato, poi aveva realizzato che Ron, per quanto fosse un tipo facile all’ironia, non avrebbe mai portato alla ribalta quell’argomento in una battuta.
John Doe.
Il braccio destro di Von Hohenheim non solo era vivo e vegeto – ancora – ma era coinvolto in un caso sotto la giurisdizione dell’ufficio Auror, in collaborazione con niente meno che la nuova versione della task-force Anti-Thule.
Solo una coincidenza?
La materia era la stessa; Magia Oscura, della più disgustosa e moralmente raccapricciante.
Perché cambiare settore quando passi una vita sempre nello stesso?  
Ron di fronte a lui, a braccia incrociate e cipiglio d’occasione, aspettava una sua reazione. Nonostante gli anni, l’esperienza e il suo ruolo, Harry si trovò nella posizione di non sapere cosa dire.
“Cosa facciamo?” Lo incalzò; aveva ragione. Non c’era tempo da perdere.
“Informiamo la SAGITTA.” Rispose; Nora doveva essere la prima a sapere, sempre che Prince non avesse già pensato a spedire un Gufo Transcontinentale.
Già. Come se non bastasse è stato lui a riconoscerlo.
Ordinò alla propria segretaria un Camino Portatile e aspettò che la chiamata si connettesse, osservando le fiamme verdognole senza vederle veramente.
“Miseriaccia, come diavolo fa ad essere ancora vivo?” Sbottò l’amico dopo qualche attimo. “Ha nove vite come i gatti?!”
“Gli agenti tedeschi non hanno mai trovato il corpo.” Gli fece eco senza distogliere lo sguardo dal focolare in miniatura. “Hanno pensato fosse bruciato e sepolto sotto le rovine del castello dei Von Hohenheim e Sören stesso ha giurato di averlo lasciato esamine nelle segrete…”
“Ha mentito?” Scattò subito con sguardo allarmato.

Scosse la testa. “No, penso abbia detto la verità. Ma ci hai parlato tu, sembrava sorpreso dall’averlo riconosciuto?”
Ron ci rifletté, poi sospirò. “Sembrava essersi trovato un infero nel gabinetto. Era così pallido che pensavo stesse per sentirsi male.” Fece una pausa e poi aggiunse a voce più bassa. “Era sorpreso quanto noi. Non si può fingere fino a ‘sto punto.”
John Doe. Johannes. Il Camaleonte. Un mercenario e poi il braccio destro di Von Hohenheim … Per chi sta lavorando adesso?
Erano domande che non avevano ancora una risposta, ma ne suggerivano diverse, tutte con conseguenze  nefaste.
Un virus che modifica la capacità magica, John Doe, l’America coinvolta…
Avrebbe dovuto passare il caso ad una squadra più esperta, rifletté. Suo figlio e gli altri ragazzi erano in gamba, ma alle prime armi ad eccezione di Prince. Avrebbe dovuto e tuttavia c’era una parte di lui che non era convinta. Dare un caso simile a chi non conosceva il Camaleonte e non aveva vissuto sulla propria pelle i piani della Thule non sarebbe stata una mossa saggia.
Perché lasciarlo nelle mani di quattro ventenni sì?
Non si sentì affatto pronto quando la voce di Nora attraversò la cortina verdognola di fiamme.
“Ci sono novità…” Esordì e poi lasciò che fosse Ron a parlare e aggiornare la strega sulla situazione. In certi frangenti non era mai stato un bravo comunicatore. Quando il breve dialogo si concluse la voce di Nora era prossima allo zero assoluto, in completo assetto da battaglia. Fu stranamente consolante.

Non essere soli genericamente lo è.
“Potreste farmi parlare con il mio agente?”
“Certamente.” Convenne. Scrisse un Promemoria Ministeriale e lo fece librare con la bacchetta; il ragazzo doveva essere al piano di sotto con la squadra perché non ci mise che una manciata di attimi per bussare alla porta.

“Avanti.”
Prince entrò ed ogni espressione sembrava essergli sparita dal volto pallido; era la copia del Luzhin che era stato cinque anni prima, ma stavolta Harry non ne fu inquietato. Ne fu amareggiato.

John Doe è il suo molliccio personale. E come potrebbe essere diversamente? Incarna tutto ciò da cui è scappato.
“Sören.” Il tono di voce di Nora era formale, ma comunque tinto di un affetto che non voleva nascondersi e Harry, per la prima volta da quando conosceva il ragazzo, fu felice che la strega lo avesse preso a cuore.  
“Comandi, Capitano.”  Rispose questo, il tono di voce controllato e propositivo; quanto doveva Occludersi per avere ragione delle sue paure?
“Sei assolutamente certo di aver riconosciuto il Camaleonte?” Andrò dritta al punto.
“Sissignore.” Fu la replica priva di incertezza. “L’identikit è fedele, si tratta di Johannes.”

“Un tuo parere sulla questione?”  
Il ragazzo serrò le labbra come se non fosse sicuro di poter davvero dar voce ai suoi pensieri. Harry immaginò fosse una cosa a cui doveva ancora abituarsi. “Johannes è nato come Mercemago.” Disse infine. “È cresciuto in seno alla Thule, ma privo di un ruolo definito. Si occupava degli affari sporchi di mio zio … È diventato col tempo il suo principale sodale, ma questo perché mio zio gli assicurava grosse entrate finanziarie e libertà di azione.” 
“Pensi quindi che adesso si sia legato ad un’altra organizzazione? O un altro mago?” Chiese Harry.
“Non lo escludo.”

“Avevi detto che era morto.” Esordì Ron, rimasto in silenzio fino a quel momento. “L’hai detto agli agenti tedeschi, no?”
C’era un’accusa dietro, e neppure troppo velata. Prince dovette coglierla perché il tendine della mascella scattò violento.

Ron, dannazione.
“Lo pensavo.”
“Non hai controllato?”
“Ero più occupato a salvare la vita di sua nipote.” Ribatté con uno scatto rabbioso che Harry si era aspettato, ma non Ron che lo squadrò come se gli avesse appena rivolto un affronto personale.
“E di chissà…” Iniziò. 
No, non riusciremo mai ad andare avanti così…
“Il punto è che è vivo.” Lo interruppe lanciandogli un’occhiata ammonitrice. “Per qualsiasi lavoro sia stato ingaggiato, chi l’ha fatto non dev’essere un mago da pochi galeoni, è corretto?”
Prince annuì. “Pochi maghi possono permettersi i suoi servizi.”
“Quindi chiunque lo abbia assoldato ha mezzi finanziari notevoli.”
“Se posso…” Aspettò un suo cenno prima di continuare. “Stilerò una lista degli alias usati da Johannes. Per i pagamenti potrebbe aver usato una banca magica.”
“Faremo controlli anche noi.” Gli fece eco Nora. “È una buona idea Sören, mettiti subito al lavoro.”
“Sissignore.” Rispose pronto il ragazzo. Sembrava che l’idea gli avesse dato forza perché uscì dalla stanza con un po’ più di colore addosso e l’aria meno stravolta. Quando si fu congedato, Harry si massaggiò la fronte, sentendo il lieve rilievo della cicatrice. Non avrebbe mai pensato che quella gestualità potesse diventare confortante.

“Questa non ci voleva.” Ron diede voce ai suoi pensieri. “Se è coinvolto quello psicopatico … Quant’è grave la situazione?”
La risposta di Nora non si fece attendere.

“Molto.”
 
 
Era come se qualcuno gli avesse costretto la testa sott’acqua. I rumori, le voci, i suoni tutti attorno a lui rimanevano un rumore sfuocato.
Johannes era ancora vivo; il braccio armato di suo zio, il mago con cui aveva lavorato per anni, rubando e uccidendo in nome della Thule, l’uomo che più di tutti aveva capito e sfruttato i suoi punti deboli … era vivo.
Se scoprono che mi crea problemi … il Capitano, Harry Potter … Mi considererebbero ancora una persona affidabile?
Dubitava che la risposta sarebbe stata affermativa.
“Ehi!” La voce di Malfoy che lo chiamava dallo stipite della porta lo riscosse bruscamente. “Sei qui allora.”
“Mi sto preparando del the. Ne vuoi?” Ottimo, il tono era fermo come avrebbe dovuto.

“No, grazie. Se ne bevo più di due tazze mi agito e comincio a diventare molesto, secondo l’opinione comune.” Gli sorrise avvicinandosi e saltando sul ripiano accanto a lui con l’agilità di un gatto.
Rimasero brevemente in silenzio, ma alla fine l’altro lo ruppe per chiedergli quello che voleva evidentemente sapere da quando era entrato nella stanza. “I Capi ti hanno fatto il terzo grado?”
“Mi hanno chiesto di confermare l’identità del ladro.” Replicò ma poi vedendo che l’altro non era soddisfatto dalla sua risposta, soggiunse. “Devo stilare una lista di tutti gli alias di John Doe, può aver aperto un conto a nome di uno di essi per farsi pagare la … prestazione.”
“Cioè il furto?”
“Il furto.” Confermò.
“Pensi abbia aperto un conto alla Gringott?” Malfoy aveva tutte le ragioni a fare domande, tuttavia dovette reprimere l’irritazione.

Non può aspettare che lo dica davanti agli altri?
Ignorarlo sarebbe però stato scortese, e non gli sembrava il caso dato che era l’unico che si fosse sempre comportato in modo corretto ed amichevole con lui. Non voleva rischiare di rovinare tutto con uno scatto di nervi. “Forse una banca straniera …” Ipotizzò. “Forse addirittura Babbana.”
“Mai cose semplici.” Commentò l’altro schioccando la lingua. Gli lanciò poi un’occhiata di traverso. “Tu … stai bene?”

La domanda lo spiazzò. Era sincera però e gli doveva dunque una risposta. “No.” Tolse il bollitore dal fuoco e si versò una generosa tazza di Earl Grey, unico the presente nella dispensa. Non gli piaceva granché. “Johannes … o come lo chiamate voi, John Doe … è un mago che avrei preferito saper morto.”
“Come non darti ragione.” Sospirò. “Hai … lavorato …” Apprezzò il tentativo di farla sembrare una cosa normale. “… con lui, vero?”

“Da quando ero bambino.” C’era un modo per non provare quella nausea feroce all’idea di aver aiutato Johannes a compiere la triste serie di atti per cui era famoso in tutto il Mondo Magico?
Temo di no.
“Lo conosci bene allora.”
“Come si può conoscere un uomo che finge di esserne dieci.” Replicò con un sorrisetto amaro; nessuno sapeva davvero chi era Johannes, neppure la famiglia che gli aveva dato i natali. “Non abbiamo nessun vantaggio su di lui, se è questo che speri. Saprà già che stiamo conducendo le indagini.”

“Intendi proprio noi?” Soffocò un’imprecazione. “Ne sei sicuro?”
“Conosco il suo modus operandi. Sa sempre chi è il suo antagonista.”
Malfoy gli lanciò una lunga occhiata valutativa. “Sei pallido come uno straccio.” Stimò estemporaneo ma neppure troppo; sembrava che la sua capacità di osservazione andasse oltre i suoi doveri di auror. “Dovresti prenderti la giornata libera.”

Ha capito come mi sento?
Era un Occlumante come lui dopotutto. “È quel che mi è stato detto di fare.” Posò la tazza sul ripiano ancora piena di the bollente. Davvero, non gli piaceva quell’Earl Grey. “Sai dove posso trovare un Accademia di Duello?”
“C’è quella a Diagon Alley, e come agente di Polizia Magica puoi entrare senza bisogno di iscriverti, perché?”
Provò sollievo a quella notizia; svuotarsi la testa dai brutti pensieri attraverso la bacchetta era ciò di cui aveva bisogno in quel momento. “Voglio andarci. Puoi darmi l’indirizzo?”

L’auror parve capire al volo, perché non commentò. “Non serve è proprio accanto al Paiolo Magico. Però stasera ci vediamo alla mia festa?”
Non era affatto dell’umore, ma Milo gli aveva detto che certe manifestazioni sociali non potevano essere accantonate, neppure quando si aveva il profondo desiderio di rimanere soli. “Certo.”
Il biondo gli diede una pacca sulla spalla che si impose di non vanificare spostandosi o irrigidendosi.
È un gesto amichevole, idiota. Non vuole farti del male.
“Sta’ tranquillo Sören.” Disse con un tono che doveva essergli valso l’appellativo di persona affidabile. “Prenderemo quel bastardo.”
Non credo.

Non espresse parere, limitandosi a lasciare la stanza: l’Occlumanzia non bastava più.
 
****
 
San Mungo. Ora di pranzo.
 
“Pensavo fossero passati.”
Esordire con un tono lamentoso e debole era l’ultima cosa che voleva, tuttavia l’unica che le riusciva di fare; aveva passato la mattinata a rifugiarsi sul terrazzo – il punto più luminoso dell’ospedale - senza riuscire ad avere un solo pensiero sensato in testa.

Non possono ricominciare. Non adesso. Non adesso che sto bene.
La Guaritrice Patil si limitò a lanciarle un’occhiata da dietro la sua scrivania. “Sai bene quanto me che non esiste cura, per quanto efficace, che dia effetti definitivi. Non la abbiamo noi maghi, non la hanno i Babbani.”
“Lo so.” Serrò appena le labbra. “Ma avevo fatto progressi. Ne ero fuori!”
“E lo sei.” Convenne pacata. “Sei una persona molto diversa dalla ragazza che ho incontrato nel mio studio quattro anni fa… Spero che tu ne sia cosciente.”

“… Certo.” Guardò fuori dalla vetrata; era un ufficio arioso, quello della Guaritrice Patil, pieno di luce e mobili chiari. L’aveva fatta sentire a suo agio sin dalla loro prima seduta. “È solo … è trascorsa una settimana e pensavo …”
“La mente umana non ha scadenze. Ha tempi di reazione che variano da persona a persona.” Le fece notare passandosi le dita sul vezzo di perle che aveva al collo, l’unico gioiello che la natura austera della sua personalità le aveva concesso. “Parlami di quello che è successo.”
“Lo sa cos’è successo. A Londra non si parla d’altro!” Ritorse bruscamente. Arrossì quando capì che non era un resoconto giornalistico quello che le chiedeva, ma quello che era successo a lei.  

“Quando c’è stato il black-out … Mi sono controllata.” Esordì. “C’era … mio fratello, c’era Al. Stavo per andare nel panico quando è arrivato. E poi dovevo badare ai pazienti. Mi sono tenuta occupata, in quel momento non pensavo … Non pensavo a me.” Spiegò precipitosamente, mangiandosi le parole, ma non importava. Con una Psicomaga per fortuna non importava mai.
“Pensavi ai pazienti e a tuo fratello.” Ripeté la donna. “E poi?”
“Poi sono arrivati gli auror e…” Si bloccò. L’altra sapeva di Sören, ne avevano parlato a lungo dato che era stato spesso parte dei suoi incubi e inevitabile personaggio recitante dei suoi traumi.

Solo che non le ho dato l’ultimo aggiornamento.
“… e Sören.” Mormorò.
“Sören Prince?” L’espressione di sorpresa fu comprensibile ma non vide nient’altro. Una delle cose che più apprezzava della sua mentore era il non gettarle mai addosso i suoi sentimenti. Riusciva a tenerli per sé non con l’Occlumanzia, ma con una predisposizione naturale a non lasciar trapelare niente di ciò pensava: era un pregio nel loro lavoro.
Un’Occlumante Naturale, in un certo senso. Se esistessero, sarebbe una di loro.
“Adesso collabora con l’ufficio Auror per un'indagine.” Spiegò stringendosi nelle spalle. “Non sapevo fosse qui finché non me lo sono trovato di fronte, in pratica, ma…”
“E come ti senti?”

Lily esitò, poi scosse la testa optando per la brutale verità. Non aveva mai avuto paura di offendere o turbare i sentimenti di nessuno in quell’ufficio. Neppure i suoi. “Confusa. Preoccupata e … spaventata, anche.” Si passò le dita trai capelli, chiudendo gli occhi e sentendoli bruciare. Nei suoi piani avrebbe dovuto passare la mattinata a dormire, ma così non era stato. “Sono contenta di vederlo, certo, ma non so come comportarmi. Abbiamo mantenuto i rapporti, ma finché erano su carta era … semplice.”
“Era una giusta distanza?”

“Era l’unica che pensavo di poter sopportare.” Confessò. “Adesso non posso permettermi il lusso di scegliere. È qui e mi ha chiesto di vederci ancora.”
“Vuoi vederlo?” Erano le stesse domande che si era fatta e che le erano state fatte. La differenza era che nel tono della Guaritrice non c’era pregiudizio o morbosa curiosità.

Sono solo domande.
“Sì. Ma non è solo questione di volontà, credo…” Aggrottò le sopracciglia, mentre un pensiero orribile, sbagliato le si affacciava alla mente. Non era la prima volta che usciva fuori, durante quella lunga mattinata, ma stavolta aveva qualcuno con cui affrontarlo quindi lo tirò fuori, all’impietosa luce del sole. “Pensa che Sören possa essere la causa scatenante?”

La strega inarcò le sopracciglia. “Tu cosa pensi?”
“Lo sto chiedendo a lei!”
“Ed io non ho risposte a questa domanda.” Fu la replica inevitabile. Lily lo sapeva, studiava la Psicomagia e conosceva la strega di fronte a lei, eppure fu comunque frustrante.
Sarebbe bello se qualcuno avesse sempre la risposta che cerchi.
Quella giusta però.
“Beh, neanche io.” Mormorò guardando il London Eye stagliarsi nel familiare profilo della città. “O forse non voglio cercarla…” Dire certe cose ad alta voce faceva più male che Maledirsi con la propria bacchetta.
“Hai paura di Sören?”
La domanda la colpì come un pugno allo stomaco. Una parte di sé le imponeva di protestare e gridare con tutte le forze che no, non avrebbe mai avuto paura di quel ragazzo dagli occhi intensi e il cuore gentile, perché conosceva la sua anima e la apprezzava come poche. Un’altra parte di sé, la patetica ragazzina spaventata che era stata, non riusciva invece a chiarirsi le idee in merito senza aver voglia di raggomitolarsi da qualche parte e piangere.
“Ho paura … di quello che mi ricorda.” Mormorò infine, perché era un buon compromesso ed in fondo era vero.  
“Hai paura che Sören possa farti del male?”
“Non fisicamente, ma lo ha già fatto.” Abbassò lo sguardo, vergognandosi dei suoi stessi pensieri. “Voglio solo sbagliarmi.”
 
****
 
Diagon Alley, Appartamento Thomas Dursley e Albus Potter.
Sera.

 
Tom non apprezzava l’atmosfera che precedeva una festa.
Che la festa in questione si tenesse a casa sua – mai successo per fortuna – o che dovesse presenziare la sostanza non cambiava; detestava la prospettiva di passare un’intera serata lontano dai suoi libri e dalla sua musica in favore di un ipersocialità che non sarebbe mai stata nelle sue corde.
“Ma Mutti non è ancora pronto? Sono ore che è barricato in bagno!” Si lamentò Meike, in tenuta da concerto e dunque con troppa pelle esposta e troppo trucco. “Non è che ci è morto lì dentro?”
“L’unica cosa morta ce l’ha in testa.” Replicò facendola sghignazzare. Si sistemò la sottile cravatta nera allo specchio e considerò meditabondo l’idea di cambiare la camicia grigio fumo di Londra in una ancora più scura, per dimostrare cromaticamente il suo stato d’animo.

Il compleanno di Malfoy … Esploderanno cose e la gente finirà per togliersi i vestiti di dosso.
Se c’è una cosa che odio più dei grifondoro sono gli ex-grifondoro. Non c’è cura.
Meike lo distolse dalla tragica deriva dei suoi pensieri voltandolo e allentandogli senza troppe cerimonie la cravatta. “Guarda che non è mica un funerale, Ian Curtis.” Lo prese in giro ricordando ad entrambi il falso nome con cui si era presentato a lei e Cordula. “Lo sanno tutti che alla fine non ti fa poi schifo.”
Tutti si sbagliano.” Non vacillò, tirandole uno schiaffetto per liberarsi dalla sua presa spiegazzante. Si sistemò la camicia e chiuse i polsini che gli aveva dispettosamente sganciato. “E smettila di starmi attorno.”
“Ingrato… Cercavo di non farti sembrare un manichino.” Roteò gli occhi al cielo. “Ma dimentico sempre che solo Mutti può osare sfiorare la tua nobile pelle.”
“E anche altro.” Sogghignò facendola avvampare orripilata.

“Troppe informazioni!” Sbuffò buttandosi sul letto e dondolando le gambe. Sospirò: il suo folletto di Rügen era cresciuto per diventare una teppistella linguacciuta e con troppo kajal.
Poteva andare peggio. Poteva diventare come Lily.
“Anche se …” Esitò aggrottando le sopracciglia su cui brillavano i più lustri dei suoi piercing. “Lo sei più del solito.” Osservò.  
“Non direi, mi sento disgustato dall’umanità come sempre.” Motteggiò sedendosi sul davanzale per godere della poca brezza che quella serata aveva loro concesso.
Da quando fa così disgustosamente caldo in Inghilterra?
“Ed è affascinante, davvero.” Celiò Meike arricciando il naso. “Non è che tu e Al avete litigato? Devo preoccuparmi che i miei mutti e vati divorzino?” Sgranò gli occhi in un’imitazione passabile di cerbiatto ferito, sebbene in quella casa fosse Al il campione. “Mi farete passare un’adolescenza tormentata!”
“Mi pare tu faccia un’eccellente lavoro già da sola.”
“Quello che tu chiami periodo turbolento io lo chiamo avere una vita sociale.” Ritorse con una boccaccia, prima di tornare seria. “Va tutto bene, vero? Cioè … Al sta bene, no? Perché anche lui mi è sembrato un po’ fuori fase in questi giorni. È per quel che è successo al San Mungo?” 
Tom guardò fuori dalla finestra; da lì si vedeva un angolo di strada e persino il Finnigan’s: nei pochi secondi che lo fissò la porta dipinta di un acceso color verde questa si aprì per lasciar entrare almeno una mezza dozzina di persone.
Grandioso.
“Al sta bene. È abituato a rompersi la testa per mano di maghi psicotici.”
Sono io che non mi abituerò mai.
“Non pagherò per le tue consumazioni selvagge stasera.” Stornò il discorso. “Quindi vedi di non dimenticarti il portafoglio.”
“Ci pensa Scorpius a pagarci, bacchettone! Noi suoniamo, lui sgancia. Accordo vecchio come il mondo.”

Il campanello della porta le evitò per un soffio uno scappellotto, dato che si precipitò ad afferrare chiodo di pelle e custodia del basso per raggiungere Louis e il resto degli amici venuti a prenderla. “Ci vediamo dopo, Signor Misantropia!” Gli gridò prima di sbattersi rumorosamente la porta di casa dietro.
Quindicenni.
Tom tornò alla finestra, lasciando che Zorba gli saltasse in grembo e pretendesse la sua quotidiana dose di vezzeggiamenti.
Al sta benissimo, sì. Ha un obbiettivo. Sono io che vorrei Maledirlo per le sue idee imbecilli.
Non poteva mostrarsi però apertamente contrario; cinque anni prima aveva imparato che scontrarsi in campo aperto con l’altro era una partita persa in partenza.
Come ogni Potter che si rispetti odia sentirsi dire che sta sbagliando.
Se Al avesse fiutato il suo opporsi avrebbe finito per nascondergli delle cose e cercare di minimizzarne altre. La sola idea era sufficiente a farlo infuriare.
Non fasciarti la testa prima di essertela rotta. Non ha trovato ancora il momento giusto per parlare il Capo Guaritore ma quando lo farà, dovrai solo lasciare che l’antipatia di quell’uomo faccia il suo corso.
La porta del bagno si aprì e Albus, neppure i suoi pensieri l’avessero richiamato, uscì.
Due ore e mezzo. Neppure Alicia ci mette tanto.
Sentì però un sorriso premere sulle labbra, perché il ragazzo stupendo che gli sorrideva di rimando era suo ed era una considerazione capace di soddisfarlo ogni singola volta, non importava quanto pessimo fosse il suo umore.
È mio.
“Due ore e mezzo.” Trovò giusto notificare.
“Colpa dei capelli corti.” Fu la spiegazione serena. “È sempre un inferno cercare di dargli un senso!” Gli si avvicinò e gli mise le mani sulle ginocchia, chinandosi per un bacio languido e spodestando così il gatto che miagolò infastidito. “Non è personale, Zorba. A giudicare dalla faccia del tuo padrone devo farmi perdonare.” Scherzò.
“Tu e il gatto conversate abitualmente?”

“Solo quando devo sottolineare chi appartiene a chi.” Tom gli passò una mano sulla stoffa sottile della maglietta che si tendeva su un fisico armonioso e asciutto. Mal sopportava il Quidditch che l’altro si ostinava a praticare nei fine settimana con i vecchi compagni di squadra, ma ne apprezzava gli effetti.
Al sospirò deliziato quando gli baciò la curva del collo. “Ehi, se è arrivato Lou a prendere Mei siamo davvero in ritardo.”
“Nessuno noterà la nostra assenza in quella bolgia dantesca. Abbiamo del margine ed io ti ho aspettato.” Mormorò tirandoselo contro per avere un accesso migliore a tutta quella pelle morbida e profumata di doccia.  

“Come se potessi affrontare da solo la temibile folla …” Sogghignò l’altro passandogli le dita trai capelli e serrando appena la presa, tra il fastidio e il piacere. Tom dovette ingoiare quelle che sarebbero sembrate impropriamente fusa.  
“Infatti eviterei. È un favore che faccio a te … e mi aspetto sia ripagato.” Sussurrò contro la pelle della sua clavicola nuda.
Tom sapeva bene di essere sistematicamente manovrato, con uno sguardo, un tocco o un
incresparsi malizioso delle labbra; Al non era mai troppo manifesto nei suoi desideri, per un irrisolto desiderio di essere studiato, investigato e infine scoperto – crescere in nel clan Weasley ti dava la malata idea di essere parte di un gruppo a scapito della tua unicità.
E Al è un individualista. Come me.
“Cos’è che vuoi?” Gli chiese infatti con un desiderio vorace annidato negli occhi verdi.
Indovina.
“Te.” Disse semplicemente tirandolo contro di sé. “Da sempre.”
Se doveva farlo desistere nell’insana idea di seguire il caso Flannery doveva iniziare colpendo i punti deboli. Sarebbe stato un compagno supportivo, sì. Ma alle sue condizioni.
 
 
****
 
 
Diagon Alley, Finnigan’s Wake.
Sera.
 
And this is me trying to be kind I want you to know
You seem to pardon all my favours now
Sometimes!


Le feste magiche inglesi ci provavano, bisognava dar loro credito di questo; si sforzavano di assomigliare a quelle Babbane, sia nella musica che nelle bevande dai nomi estrosi, ma mancavano sempre di qualcosa. Di stile, solitamente.
Milo dovette ammettere però che il compleanno a cui il principino era stato invitato – trascinandoci di riflesso anche lui – prometteva di esser decente. Se eri un tipo che amava scolarsi pinte su pinte ululando il ritornello di qualche canzone in compagnia di gente ubriaca quanto te, era la festa perfetta.
Posso essere quel tipo stasera.  
Il principino d’altro canto non sembrava pensarla come lui; era vestito e pettinato a dovere, ma aveva il viso grigiastro tipico dei suoi peggiori umori umbratili. Quel pomeriggio era tornato alla locanda sudaticcio e con gli occhi vuoti e non gli ci era voluto molto per capire che qualcosa era andato terribilmente storto.
Solo che quando sono riuscito a cavarglielo finalmente di bocca…
 
“Allora avevo visto bene.” Aveva commentato quando Sören, dopo essere tornato da una doccia gelida vista la pelle illividita, aveva vuota il sacco.
L’altro ci aveva messo qualche attimo per capire il significato della frase. “Sapevi di Johannes?”
“Non ne ero sicuro!” Aveva messo le mani avanti vedendo i lineamenti dell’altro accendersi di rabbia. “Ho fatto un paio di domande in giro e nessuno sembrava aver notato gente strana girare per i bassifondi, e quel tipo è un tipo da bassifondi, quindi…”
“Perché non me l’hai detto? Lavori per me, devi dirmi tutto!”

Tutto?” Aveva inarcato le sopracciglia. “Anche chi mi porto a letto?”
Con orrore aveva visto il braccio dell’altro emettere inquietanti scintille rosse. “
Non prendermi in giro.” Aveva ringhiato. “Rispondi. Perché non me l’hai detto?”

Merda. Okay. Momento verità. 
“Perché avevo paura di questa reazione!” Aveva sbuffato cercando di ignorare i campanelli d’allarme. Se fossero stati spaventati in due non sarebbe finita bene. “Avevo paura che tu perdessi la testa … e per qualcosa che non ero certo di aver visto. Volevo avere delle certezze prima di far rapporto, fammi causa!”
Il mago aveva serrato le labbra, prima di afferrare l’asciugamano che gli porgeva e strofinarselo violentemente sui capelli ancora stillanti acqua. Era una resa e Milo aveva tratto un sospiro di sollievo.
“Non ho perso la testa.”
Sì, certo.
Infrangendo una delle sue regole d’oro che recitava di non iniziare mai contatti fisici con gente che non voleva scoparsi, afferrò l’asciugamano e glielo strattonò via di mano. “Calmati.” Aveva detto. “Johannes è ancora vivo, e allora? L’hai preso a calci in culo una volta. Puoi farlo ancora.”
La linea tesa delle spalle di Sören era sembrata cedere leggermente. “Cosa ci fa qui?” Aveva sussurrato. “Perché è in Inghilterra?”

“Che ne so.” Si era stretto le spalle. “Lo scoprirete. Non è il vostro lavoro?”
“Sì.” Gli aveva scoccato un’occhiata valutativa. “Hai detto che hai chiesto in giro … A chi?”
“Gente.” Non si era sbilanciato. “Ho qualche contatto. Ce l’ho sempre, lo sai.”
“Continua a farlo.” Gli aveva ordinato prima di indossare i vestiti che gli aveva accuratamente preparato sul letto. Li aveva messi con furia, quasi fossero una punizione contro un crimine. “Continua a chiedere. Chiedi anche ai morti, se necessario. Devo sapere perché è qui.”
Non gli era restato che annuire.   

 
Poteva capire l’ansia, ma rompersi la testa in quel modo non gli avrebbe giovato.
Pensare ad altro invece sì.
Non era riuscito però a farsi dar retta e mentre entravano nel locale, Milo si chiese se non fosse il caso di riportarlo a casa.
Con un umore così è pronto per un funerale. E poi chi la regge la sua sbronza triste?
“Chi è il festeggiato?” Chiese lanciando un’occhiata complessiva; erano nel classico pub inglese, legno appiccicoso ovunque, musica assordante e bicchieri pieni di birra in dirittura di rovesciarsi. La fauna maschile però era passabile.
Abbastanza jeans stretti e bei sederi … Sì, c’è un buon margine di manovra anche per me.
“Scorpius Hyperion Malfoy.” Gli fu risposto con tono assente. “È l’ultimo erede dei Malfoy … una delle famiglie magiche più influenti d’Inghilterra.”
“Purosangue?” Indovinò. “Com’è allora che tutto qua grida Amiamo i Babbani?”

“È un tipo particolare.” Riassunse cominciando finalmente a guardarsi intorno. Era ovvio chi cercasse, dato che quel genere di evento attirava sempre un tipo particolare di ragazza.
E la sua Rossa è un animaletto da party tanto quanto me.
Lasciò quindi perdere la sua caccia per aiutare quella dell’altro, perché era un bravo ragazzo e perché soprattutto non vedeva l’ora di potersi sganciare. Non ci misero molto a trovarla; Lily Potter era in mezzo alla pista da ballo con un vestito che avrebbe seccato le ghiandole salivari a qualsiasi maschio eterosessuale dotato di occhi.
 
I'm a sober boy, you're a lonely girl
So let's give it up and stay out of each other's worlds!

 
Milo cercò di non ridere quando vide ogni tragicità eroica cancellarsi dalla faccia del mago, rimpiazzata dalla classica espressione ebete del ragazzo a cui era partito l’ormone.
Potrà dire a destra e a manca che la considera solo un amica, ma qui si tratta di chimica, di desiderio sessuale. E quella ragazzina è una calamita per la bava.
Grazie Rossa.
La ragazzina in questione ballava però allacciata ad una montagna di muscoli.
Mmh … dev’essere il ragazzo.
La cosa doveva averla notata anche Sören da come si irrigidì distogliendo lo sguardo.  “Ah, ecco Zenzero.” Indicò girando il dito nella piaga.
Ma ehi, è divertente.
“Zenzero?” Il tono di voce uscì strozzato, prima che si ricomponesse. “Di chi stai parlando?”
“Di Lily Potter.” Ghignò. “Trovo sia un nomignolo appropriato. Ragazze come quella … beh, pizzicano.”
“Non dire cose insensate.” Lo redarguì brusco mentre le guance sembravano prendergli fuoco. “Cercami piuttosto un tavolo.”
“La fai facile tu!” Sbuffò guardandosi attorno. “Non so se hai notato, ma sarà un miracolo se riusciremo ad arrivare al bancone per prendere da bere.” Si passò le dita trai capelli e sospirò. “Non possiamo aggregarci a qualcuno?”

“No.” Fu la risposta immediata, prima che facesse una smorfia rendendosi conto esser stato forse troppo tranciante. “Malfoy mi ha invitato, ma non sono in buoni termini con nessuno qui, lo sai bene.”
“E con Lily?”

Lo sguardo dell’altro scivolò di nuovo sulla pista da ballo, dove l’inglesina sembrava divertirsi un mondo a volteggiare tra le braccia del suo cavaliere. “Sta ballando, non voglio disturbarla…”
“Sei scemo?” Gli uscì naturale. “Dobbiamo passare l’intera serata a fare da tappezzeria perché non hai il coraggio di andarla a salutare e chiederle se possiamo sederci con lei e i suoi amici?”

Sören aggrottò le sopracciglia, serrando le labbra. “Tu non capisci.”
“Non rifilarmi lo sguardo da adolescente incompreso, perché hai venticinque anni, principino. Sei un po’ fuori fascia.”

“Ne ho ventitré.” Lo corresse sostenuto, come se dovesse passare i suoi giorni a contare quelli dell’altro.
“Quello che è. Vai a salutarla.”
“No.”
Dodici anni. Lavoro per un ragazzino di dodici anni che pensa che le ragazze abbiano appena smesso di avere i pidocchi per diventare santuari irraggiungibili. A meno che non gli si buttino addosso, ma non è il caso della Potter.

… quanto mi manchi, Boston.
“Allora sei da solo, bello.” Comunicò. “No…” Lo bloccò prima che potesse partire con la storiella che era compito suo occuparsi di quelle cose. “… non posso sempre pararti il culo. Mi paghi per lavarti le mutande, non per farti fare amicizia.” Ignorò l’espressione sconvolta dell’altro e si tuffò tra la calca.
Un giorno mi ringrazierai principino. Una statua. Davvero, sarò materiale da statua di bronzo.
 
Cause if I take your words in the song I sing,
Like the rock the paper, the scissors that sort of thing
The question is how long has it been since you've fell in love with a boy like me?


“Katy Perry.”
“Come scusa?”

“Prima … hanno messo Katy Perry. Oltre il tollerabile, me ne torno a casa.”
“Non ho idea di chi diavolo sia, Tom. Falla finita e dammi una mano a trovare Scorpius.”

A volte portarlo alla feste equivale a trascinarci un ippogrifo morto. Stessa verve.
“Ehiii!” Sentirono una voce squillante alle loro spalle, e Al dovette reprimere una risata quando vide l’espressione del proprio ragazzo mutare da morente a morente patibolare. A quanto sembrava Scorpius aveva trovato loro. “Ci sono i miei Serpeverde preferiti!”
Albus venne così strizzato in un abbraccio che lo staccò di qualche centimetro da terra. Si sarebbe arrabbiato per essere maneggiato come un pupazzo, se non fosse provenuto da quel ragazzone innocuo come un labrador. Lo ricambiò affettuosamente. “Buon compleanno Sy.” Lo salutò dandogli una pacchetta sulla testa. “Grazie per i preferiti.”

“Oh, in realtà lo siete tutti, voi verde-argento. Genetica!” Sogghignò mollando la presa e mostrando così la maglietta che indossava, recitante un ovvio ‘baciate il festeggiato’. Meno ovvia era la frase aggiunta sotto a pennarello ‘e sfidate l’ira della mia promessa sposa.
“Carino.” Commentò divertito. “È stata un’aggiunta tua o di Rosie?”
“Comune accordo!” Replicò  con un gran sorriso; Al ricordava come non avesse festeggiato fino al Sesto anno quindi non trovava esagerata quell’euforia alcolica.
Per anni ha avuto solo una cena formale con i suoi, Mike e Lo. È in debito.
“Rendi utili le tue feste imbarazzanti e trovaci un tavolo, Malfoy.” Lo apostrofò Tom, tenendolo fisicamente a distanza con una mano dato che l’altro sembrava intenzionato ad abbracciarlo. “E non toccarmi.”
“Un tavolo?” Ridacchiò l’altro scuotendo la testa. “Chiedi troppo, Dursley. Continua ad entrare gente e credo anche di aver calpestato qualche quindicenne mentre andavo in bagno. Sul serio, non è tutto meravigliosamente fuori controllo?” Cinguettò con gli occhi che gli brillavano.
“E non sono ancora le dieci. Meriti la palma per sobillatore dell’ordine comune.” Si inserì la voce di sua cugina, già sgocciolante via pazienza. “Violet ti sta cercando per darti il suo regalo da mezz’ora. Tra poco te lo lancerà in testa e considerando che è dall’altra parte della sala potrebbe uccidere qualcuno. Vieni?”
L’altro le passò un braccio attorno alla vita e le baciò la fronte. “Ricevuto, non vogliamo morti stasera.”
“Non li vogliamo.” Confermò sorridendo loro con aria falsamente esasperata; come tutti gli Weasley era cresciuta nel caos e quel genere di eventi non la sconvolgevano più di tanto.
Lo fa solo per farsi coccolare da Sy.
“È troppo chiedere un posto a sedere?” Le chiese vedendo che Tom cominciava a spazientirsi, e lui purtroppo non fingeva.
“Direi.” Convenne la cugina con aria dispiaciuta. “Credo che finirò io per sedermi sul registratore di cassa se continua con questo ritmo. Quanta gente hai invitato, demente?” Si rivolse al fidanzato che comunicava ad ampi gesti di prendergli da bere a qualcuno nei pressi del bancone; a giudicare dall’aggiunta di gesti osceni doveva trattarsi di James.
“Mah, chiunque.” Scrollò le spalle disinteressato, allungando una pacca ad un tizio che nessuno di loro aveva mai visto. “Ehi, non so chi sei, ma penso che tu voglia sapere che sono il festeggiato!”
“Tanti auguri amico!”
“Oh mio Dio…” Sussurrò Tom ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

Rose dovette intuire lo stato d’animo di quest’ultimo, perché sbuffò indicando con un cenno verso il fondo della sala, dove i Banshees stavano finendo di cenare prima di montare la propria attrezzatura. “Provate a chiedere a Lily, ha un tavolo enorme vicino al palco.” Gli si rivolse. “Ha sempre la capacità di trovarsi uno scranno da cui fare la regina, quella stronzetta.” 
“Ricevuto.” Intrecciò le dita a quelle gelate del suo misantropo e gli sorrise incoraggiante. “Andiamo a vedere?”
“E chiuderci così ogni via di fuga? Un piano brillante.” Borbottò malmostoso. Quando però strinse la presa sulle dita fece una smorfia ed annuì.
Da quando è così accomodante? È sospetto.
Ignorò quel pensiero: al momento la cosa più sensata da fare era approfittarne senza farsi troppe domande.
Stasera voglio rilassarmi. Me lo merito. Ce lo meritiamo tutti.
“Ancora buon compleanno Malfoy!”
 
Take me with you when you go, I don't want to stay here alone
Remember when we were golden? Well, that was a long time ago…

 
“Stasera non ti fermi un attimo, eh?”
Lily rivolse un sorriso al suo ragazzo, che era dovuto rimanere in canottiera per evitare di avere un colpo di calore in mezzo alla pista da ballo.

Sapeva di esserne la responsabile, ma perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Gli allacciò le mani dietro la nuca, puntellandosi sugli stiletto per baciarlo. “È quello che si fa di solito ad una festa, Scotty!”
L’ex-tassorosso sbuffò divertito, stringendosela contro. “È difficile starti dietro quando salti come un grillo, Lils.”
“Sei stanco?” Lei non lo era; si sentiva elettrica, come sempre le succedeva quando era in mezzo ad un caos di luci, suoni, colori e persone. Se non era il suo ambiente naturale quello, beh, ci andava maledettamente vicino.

Ne avevo bisogno. Bel tempismo, Sy.
“Non sono mai stanco di averti tra le braccia.” Rispose preparato. Era un ragazzo sveglio. “E devo ammetterlo…” Si guardò attorno. “… Malfoy sa come organizzare una festa. Di questa se ne parlerà per settimane.”
“Oh, ha imparato dai migliori. E con migliori intendo la mia famiglia.” Gli strizzò l’occhio. “Vuoi tornare al tavolo e bere qualcosa? Reintegrare liquidi?” Lo punzecchiò.

“Idea meravigliosa.” Convenne passandole un braccio attorno alla vita per allontanarla gentilmente dall’ennesima canzone trascinante. “Speriamo di averlo ancora, il tavolo…”
“Ho messo a presidio Hughie, morderà chiunque si avvicini … Andiamo al bancone ad ordinare!” Lo rassicurò, guardandosi attorno per trovare il passaggio migliore per arrivare a destinazione.
E poi il mondo diede una brusca frenata.

Sören era appoggiato alla balaustra del piano superiore, quello dell’ingresso e del bancone. Era lui, nessun dubbio persino in mezzo a tutti quei volti; fumava una sigaretta assorto nei suoi pensieri e sembrava impermeabile all’atmosfera che lo circondava, come un ritaglio incollato in un quadro che non gli apparteneva.
Ren? Cosa ci fa … oh, certo. Malfoy ha invitato tutta l’Inghilterra magica e non. Perché non lui?
Ciao Ren.
A quel punto i loro sguardi si incrociarono, perché lo facevano sempre, indipendentemente da quante persone ci fossero tra loro a far muro. L’altro fece un cenno impacciato con la mano e tentò un sorriso. Ricambiò automaticamente. “Scott?” Chiamò il suo ragazzo. “Ci vediamo al tavolo, devo andare a salutare una persona.”
“Mh?” L’altro parve cogliere qualcosa nella sua espressione perché aggrottò le sopracciglia. “Chi?”

“Sören.” Disse semplicemente perché era semplice, non importava l’espressione che aveva appena messo su l’altro.
“È qui?”
“Sy l’avrà invitato, lavorano assieme.” Rispose stringendosi nelle spalle. Vedendo che non dava segno di allontanarsi capì. “Vuoi che te lo presenti?”
“Sì, mi piacerebbe.” Il tono dell’altro era gentile come sempre ma era anche macchiato di evidente desiderio di fare l’uomo della situazione.

Gli diede un bacio sulla guancia. “È tutto a posto ragazzone. Ren è uno dei buoni adesso.” Inarcò le sopracciglia. “Te lo presento, ma tu devi fare il bravo… Ha ricevuto già troppi pesci in faccia.”
“Sarò bravissimo.” Confermò poco convincente ma era comprensibile, quindi non protestò e lo portò verso l’argomento di conversazione in persona.  Si incontrarono a metà strada dato che Sören si mosse verso di loro.

“Ciao Lilian.” La salutò, trincerato dietro il muro di Occlumanzia più massiccio che avesse mai visto.
Come mai adesso? È per la festa, la gente? Ho capito solo che il vestito ha fatto colpo, ma grazie tante, è fatto apposta.
“Ehi.” Salutò sentendo la presenza massiccia di Scott alle sue spalle mentre le posava le mani sui fianchi. Era come avere una specie di orso bruno che la considerava una delle sua cucciolata. Sarebbe stato esilarante se non si fosse sentita così stupidamente nervosa. “Precettato per la festa anche tu?”
“Malfoy mi ha invitato, quindi sì.” Convenne lanciando un’occhiata alle sua spalle e dunque allo scozzese. “Scott Ross immagino.” Gli tese la mano con la cortesia un po’ fuori moda che Lily ricordava usasse quando si sentiva a disagio. Più era convincente più era sulle spine.

Occlumanzia … cortesia … Molto a disagio.
“Sì, il suo ragazzo.” Sottolineò e forse non era necessario, ma Lily glissò. Erano rivendicazioni testosteroniche e la sapeva più lunga che defletterle. “E tu devi essere Sören. Lily mi ha parlato di te.” L’aspetto che più apprezzava del suo ragazzo era la capacità di essere cordiale con chiunque, indipendentemente dai suoi sentimenti personali. Scott rispose infatti alla stretta di mano come se fosse un autentico piacere aver a che fare con lui e Sören, che vi credesse o meno, si rilassò visibilmente. “Stavamo andando a prenderci qualcosa da bere … Com’è al bancone?”
… Troppo dialetto, troppe metafore.
“Come scusa?” Sören lo guardò perplesso prima di lanciarle un’occhiata confusa e desiderosa di spiegazioni.
“Si riesce ad ordinare al bancone o c’è troppa gente?” Tradusse divertita. “Scotty, non lasciarti ingannare dal suo ottimo inglese, il ragazzo è tedesco fino alla punta dei capelli!”
“Non si direbbe, non dai capelli. I tedeschi non sono tutti biondi?” Replicò ironico. “Scusa comunque, mi scordo sempre che il mio inglese non è esattamente quello della Regina.”
Sören tentò un mezzo sorriso nervoso. “Non è un problema. Vivo in America, ho sentito di peggio.” Si voltò verso il bancone, tornando alla domanda che gli era stata posta. “Ho mandato Milo a prendermi da bere quindi non saprei.”
“C’è anche Milo?” Fu contenta che non fosse venuto lì da solo. Non aveva mai capito con esattezza la natura dei rapporti trai due, ma sapeva che il Magonò si occupava dell’altro abbastanza per essere un punto di riferimento.

“Potevo portare una persona … La scelta non poteva cadere molto lontana.” Si strinse nelle spalle. Calò quindi il silenzio, fortunatamente ovattato dalla musica e dal rumore delle chiacchiere altrui. “Vi lascio alla vostra serata. È stato un piacere, Scott.” E prima che potesse avere il tempo di dire o fare qualcosa, l’amico si accomiatò e sparì tra la calca di persone.
Ma che cavolo …
Inspirò quando sentì le labbra del suo ragazzo sulla fronte. Dovette frenarsi per non scostarsi. “Va tutto bene?” Le chiese con aria preoccupata.
“Sì, certo. È stato … strano, tutto qui.” Sospirò. “Devo ancora abituarmi a trovarmelo davanti.”
“Ti ha dato fastidio?”
“No!” Lo guardò confusa prima di realizzare il motivo della domanda. “Perchè, ho dato quest’impressione?”
Scott si strinse nelle spalle. “Sei stata un po’ fredda.”
… ecco perché se n’è andato. Come riesce a sentirsi indesiderato lui…

Dannazione.
 
Excuse me if I spoke too soon
My eyes have already followed you around the room
I'm holding on and waiting for the moment to find me

 
La faccenda aveva del ridicolo. Se era stata fredda, non era stato perché la presenza del vecchio amico l’aveva infastidita, tutt’altro. Era stato perché, per l’ennesima volta, non aveva saputo cosa fare di tutte le sensazioni che l’avevano travolta come un Centauro infuriato.
“Scotty?” Richiamò l’altro. “Ti secca se vado a cercarlo?”
L’altro fece un mezzo sorriso e scosse la testa. “No che non mi dispiace … Solo non passare tutta la serata a preoccuparti di averlo fatto restar male.” Fermò le sue proteste. “È un mago adulto e a quanto mi hai detto ti conosce. Capirà.”
No che non capirà. Non ti sei reso conto che era solo? È sempre così, e io l’ho mandato via.
Non lo disse però perché a dare spiegazioni quando aveva l’urgenza di far altro non era mai stata brava.
Preferì invece ringraziarlo con un bacio. “Ci vediamo dopo.”
 
I know you didn’t realize that the city was gone
You thought there would be advertisements
To give you something to go on

 
“Ho finito le sigarette.”
Dirlo a Loki era come parlare ad un muro. L’altro ragazzo infatti si voltò a malapena, ridacchiando di qualcosa che la tizia sulle sue ginocchia gli aveva detto. “Mio buon Mike, vuoi il mio tabacco?” Chiese togliendosi la pipa di corno dalle labbra.
“Il tuo tabacco ha un gusto atroce.” Sbuffò Michel. “No, vado a comprarle. Non mi va di elemosinarle in giro.”
“Bel problema quando a fumare quella roba orribile siete solo tu e i Nati Babbani, non è vero?” Ghignò Violet sorseggiando il suo Melatini con una certa, femminea perfidia. Era questo il lato che più apprezzava di lei, oltre all’occhio che aveva per la moda; dubitava che esistessero altre Purosangue educate come tali capaci di indossare un mini-abito di Alexander MacQueen come se fosse una cosa che facevano da tutta la vita.

Mi fa quasi dimenticare il suo cattivo gusto in fatto di donne, cioè la … cosa … che tiene nel letto.
La suddetta Cosa, che aveva invaso il tavolo di boccali di birra dozzinale, gli rivolse un ghigno. “Sei assurdo, lo sai cioccolatino?” Disse. “Fai tanto il sang-pur e poi ti incatrami i polmoni con roba Babbana!”
“Nicky, tais-toi…” La riprese blandamente Violet. “Lascialo nei suoi controsensi ipocriti.”
Michel roteò gli occhi  al cielo, rifiutandosi di registrare il commento come un’offesa.
Però ha ragione. Fumi sigarette Babbane e ti porti a letto Magonò.
… Sì, ma quest’ultimo non era previsto.
“Tenetemi il posto.” Raccomandò sperando che il messaggio fosse chiaro alle due, se non a Nott.
Scivolò in mezzo alle persone, registrando visi sconosciuti e poi, perché una serata al Finnigan’s non poteva esser altro che foriera di malessere, vide Albus nei pressi del bancone, ridacchiare con la fronte reclinata sulla spalla ossuta di Dursley: da come lo tirava sembrava cercare di portarlo a ballare.
Dieci Galeoni che alla fine ci riesce.
 
We can’t escape the basic facts how cold it can get
There’s nothing to protect ourselves  when the rain gets us wet

 
Per quanto non avesse mai smesso di pensare che Albus era sprecato con Thomas, non poteva non notare la spontaneità con la quale si toccavano e come il viso torvo di quest’ultimo si addolcisse quando posava lo sguardo sul compagno. Sin da quando erano bambini si erano ronzati attorno, cercati e ancor prima che lo sapessero, amati. Chi meglio di lui, che era stato spettatore della loro storia, poteva saperlo?
Qualcuno ti ha mai guardato così? Non con lussuria, desiderio o passione … ma con amore.
Fece una smorfia, scacciando quella deriva di pensieri. Sarebbe stato più semplice se i suoi sentimenti verso Albus si fossero spenti anni prima, di fronte all’evidenza che non avrebbe mai potuto averlo.
Non come lo ha Dursley almeno.
Era innamorato di Al? Naturalmente lo era, lo era sempre stato. Gli era chiaro di non avere speranze? Certo, dallo stesso lasso di tempo, da quando aveva capito che dove c’era il secondogenito dei Potter c’era inevitabilmente anche un ragazzino torvo che gli stava dietro come un’ombra.
C’erano teorie secondo cui per ogni persona al mondo ne esisteva un'altra, sua esatto complemento.
Ed io non sono quella di Albus Severus Potter.
Si infilò le mani in tasca ed uscì dal locale prendendo un grosso e grato respiro, dato che l’aria calda della sera estiva era un venticello fresco rispetto al magma bollente all’interno del pub.
Sigarette.
Gli era stato detto come ci fosse una sorta di emporio Babbano a Notturn Alley, messo su dal niente ma con una vasta selezione di vizi, dall’alcool ai tabacchi.
Meglio che mi sbrighi. Se mi perdo il taglio della torta Scorpius sarebbe capace di mettersi a piangere.
È talmente sentimentale…
Ci mise una manciata di minuti irritanti per trovare il posto, incuneato tra una taverna e un palazzo in rovina. Entrando si coprì il viso con un fazzoletto; il tanfo di miseria aleggiava su tutto dandogli la nausea, anche a causa della massaccia dose di shots che si era fatto in compagnia di Violet e la Weasley.
“Buonasera.” Apostrofò il ragazzetto brufoloso a presidio del posto. “Un pacchetto di Davidoff Light.”
“Come?” Chiese quello squadrandolo con grossi occhi bovini. Notò anche l’occhiata che lanciò al suo abbigliamento ma decise di ignorarla. “Che hai detto?”

“Sigarette.” Indicò lo scaffale. Vedendo che non recepiva sospirò. “Un pacchetto di B&H allora, sono quelle col pacchetto color oro.” Specificò vedendolo rovistare dietro al bancone senza speranza di trovarle.
Quando finalmente uscì la prima cosa che fece fu cercare l’accendino per accendersene una. Con sconforto si accorse di non averlo.
Deve avermelo sfilato Loki mentre ero seduto. Lo fa sempre.
Considerò di tornare dentro il negozio per acquistarne uno quando accanto a lui apparve un tipo coperto da un mantello estivo che sembrava però servire per ogni stagione a giudicare dall’usura. “Serve da accendere amico?” Indovinò, anche se il balletto di cercarselo nelle tasche doveva essere stato abbastanza esplicativo.
“No, grazie.” Non era così sciocco da fermarsi in quel genere di posto, specialmente con chi si prendeva troppa confidenza. Non era mai un buon segno. Fece per allontanarsi quando la strada venne sbarrata da un altro tipo, altrettanto cencioso.
Oh, fantastico.
“Non ho denaro con me.” Doveva trovare un modo per cavarsi d’impaccio da quella situazione senza tirare fuori la bacchetta; se suo padre avesse saputo che aveva duellato con gli amabili residenti di Notturn Alley non gli avrebbe dato pace per settimane.
Pensa al buon nome della nostra famiglia, Michel. Che diavolo ci facevi a Notturn Alley poi?
Il cencioso numero uno fece una smorfia derisoria mostrando carenze igenico-dentarie preoccupanti. “Ci prendi per il culo? Sei appena uscito dalla bottega di Swill!”
“E lasciatemi indovinare, vi ha avvertito il vostro amico Swill che sono pieno di grana?” Replicò sarcastico scimmiottando il cockney strascicato dell’altro. “Potrei far chiudere quella bettola fetida con un Gufo entro domani. Lasciatemi passare.”

Il cencioso numero due tirò fuori la bacchetta, puntandogliela contro e rendendo la cosa immediatamente più preoccupante. “Tira fuori la borsa frocetto, o l’ultima cosa che potrai fare domani sarà scrivere un Gufo.”
Michel lanciò uno sguardo dietro di sé e vide che anche l’altro mago aveva tirato fuori la sua. L’idea di perdere tempo  con quei due lo riempiva di rabbia, ma supponeva di non avere scelta. Fece per infilare la mano dentro la giacca, quando sentì un dolore lancinante ai reni. Si piegò in due, realizzando che il cencioso numero uno l’aveva colpito con un pugno ben piazzato, un colpo che non si era aspettato.
“Voi Nati Babbani del cazzo siete tutti uguali, sembrate cascarci tra le braccia! Non te l’hanno detto che Notturn Alley è un postaccio per quelli come voi?”
Come?!
L’equivoco doveva esser stato dato dai suoi vestiti, Babbani fino all’ultima fibra di cotone costoso. Non fece in tempo a protestare che il cencioso numero due gettò la bacchetta a terra; con sorpresa Michel si rese conto che era falsa come l’oro dei Leprecauni; era un prodotto dei Tiri Vispi, riconoscibile dal marchio sull’impugnatura.
Una bacchetta giocattolo? Ma allora sono Magonò!
Era caduto nel trucco come un idiota. I due lo afferrarono di malagrazia, trascinandolo nell’ombra di un vicoletto parallelo. Si divincolò cercando di sferrare pugni alla cieca, ma il risultato fu di farsi bloccare da quello più corpulento dei due. “Sta’ fermo stronzo!” Lo apostrofò rudemente mentre qualcosa di freddo, metallico e appuntito gli si appoggiò sulla guancia. Si immobilizzò, agghiacciato: quello di fronte a lui gli stava puntando addosso un maledetto coltello. “Scommetto che ci tieni ad avere la faccia che non sembra una grata metallica, ah?” Indovinò questo, forse il cervello del duo.
“Vi farò pentire di avermi toccato, feccia!” Gli sputò addosso, umiliato perché terrorizzato. Capì subito di aver fatto un grosso errore quando il coltello dalla guancia si sposto sul collo, premendo talmente forte che sentì il dolore del taglio in prossimità della giugulare.
“Mi sa che ti sgozzo come un maiale.” Ringhiò questo furioso e la puzza di whiskey incendiario nel fiato lo identificò come piuttosto sbronzo. “Le lingue lunghe non mi sono mai…”
Non riuscì a terminare la frase che qualcosa lo colpì alla testa, facendolo chinare con un’imprecazione roboante. Michel vide con la coda dell’occhio qualcuno entrare nelle vicolo; capelli biondi e fisico ben piazzato. Ci mise più di qualche attimo a riconoscerlo.

E lui che diavolo ci fa qui?
“Ehi.” Sogghignò la sua ex-conquista di una sera, nonché Magonò. Lanciava e riprendeva quello che sembrava un ciottolo di ghiaia sottile e appuntita. Doveva averla presa dalla piazza poco distante. “Perché non lo lasciate in pace, eh?” Si rivolse al Cencioso Capo che non ci mise molto per decidere che la cosa migliora da fare era neutralizzarlo, caricandolo furiosamente a coltello spianato. L’altro però doveva esserselo aspettato perché schivò con facilità il fendente diretto orribilmente allo stomaco. Michel vide poi brillare un lampo argentato e il Cencioso soffocò un grido crollando in ginocchio, tenendosi la coscia.
È armato anche lui. Certo, ovvio, quale Magonò non lo è? Loro non possono usare la magia come arma di offesa.
Il tedesco si allontanò di qualche passo, con la lama in pugno, prima di farla rientrare nel manico con uno scatto. Gli lanciò un’occhiata spazientita. “Devo salvarti per caso, signorina?”
Come?
Realizzò di colpo che la presa sulle sue braccia si era allentata perché il Cencioso numero due aveva abbassato la guardia quando il primo si era accasciato a terra. Doveva approfittarne, subito. Sfilò quindi la bacchetta dalla giacca e si voltò quel tanto che bastava per puntargliela al petto.
Stupeficium!
Un lampo rosso dopo c’erano due corpi accasciati nel vicolo.
“Figlio di puttana!” Gridò l’accoltellato, ancora cosciente, in direzione del tedesco. “Sei uno di noi! Da che parte-”
Michel lo schiantò con autentica soddisfazione.
Il Magonò in compenso inarcò le sopracciglia. “Wow.” Commentò. “Ti eri accorto che non poteva muoversi, sì?”
“Sì.” Replicò rinfoderando la bacchetta. “E quindi?” Prese da terra il suo borsello, spazzolandolo dalla sporcizia. L’avrebbe potuto fare anche con la magia ma non si fidava delle sue mani in quel momento: tremavano troppo.
Dannazione. Potevo morire.
Realizzarlo gli fece girare la testa e dovette appoggiarsi al muro dietro di sé per non crollare vergognosamente con il sedere a terra. “Ehi.” Si sentì apostrofare e poi la mano dell’altro fu sotto il suo braccio a sorreggerlo. “Va tutto…”
Svicolò dalla presa. “Non ho bisogno d’aiuto!” Sibilò sentendo il viso accendersi di vergogna. 

Lo fissò perplesso, prima di fare una smorfia. “Non hai bisogno d’aiuto … da me?” Indovinò con un tono di voce che grondava sarcasmo. “Certo che sei proprio stronzo. Avrei dovuto farti riempire di legnate da quei due, sarebbe stata giustizia karmica!”
Michel si morse le labbra. “Avrei potuto cavarmela da solo.” Replicò sostenuto ma rimpiangendo al tempo stesso il tocco gentile di poco prima. Aveva paura di staccarsi da quel muro in autonomia.
Credo non mi reggerebbero le gambe.
L’altro si strinse nelle spalle, mentre l’espressione sarcastica non mutava di una virgola. Doveva in effetti offrire un ben misero spettacolo, pallido e tremante com’era. “Se lo dici tu.”
“Cosa…” Si passò la lingua tra le labbra, sentendole aride. “… cosa ti ha fatto cambiare idea?”
Perché mi hai aiutato se ti ho trattato come spazzatura?
“A differenza loro e tua, io sono un essere umano decente.” Persino alla luce malaticcia e lattiginosa delle lampade all’acetilene il biondo dei capelli dell’altro sembrava brillare, enfatizzato dalla t-shirt scura e dai pantaloni dello stesso colore.

“Io…” Era la prima volta si trovava in una posizione di debolezza così smaccata di fronte ad uno sconosciuto ed era frustrante; la sua solita sicurezza elegante sembrava essere stata sovrastata dalla sensazione orribile di un coltello alla gola. “ … volevo ringraziarti.” Terminò, perché andava detto. C’era un codice preciso quando qualcuno rischiava la vita per salvare la tua, ed intendeva rispettarlo.
Il biondo batté le palpebre sorpreso, prima di ghignare. “Allora quella bocca non serve solo per sparare stronzate razziste!” Gli si avvicinò di nuovo, fino a che non furono a pochi centimetri di distanza. Profumava di colonia costosa e di bucato pulito. La sua pelle aveva un odore inebriante.
Non ha senso. Lo ha?
“Che ci facevi qui?” Gli uscì poco intelligentemente, ma era l’unica cosa sensata a cui era riuscito a pensare, avendo quel corpo vibrante e caldo premuto contro il suo.  
 “La stessa cosa che ci facevi tu, avevo finito le sigarette.” Si voltò verso l’emporio. “Se è per questo ero anche alla festa di quel tizio matto.”
“Non ti ho visto.” Deglutì quando si specchiò nelle iridi dell’altro; erano castane, ma c’era qualcosa di dorato all’interno, qualcosa che aveva già visto, e non in un letto.

Com’è possibile? Prima di portarmelo a letto non lo conoscevo, ne sono sicuro.
Dove l’ho visto?
“Io però ho visto te.” Ignaro dei suoi pensieri, il Magonò piegò le labbra in un sorrisetto indolente. “Sei un pezzo di merda, ma sei uno schianto. Avrei voluto metterti le mani addosso, sai…” Si chinò per lambirgli l’orecchio con le labbra. Bruciavano. “… anche là in mezzo, con tutta quella gente.”
Michel percepì un principio d’erezione premergli lungo i pantaloni e soffocò un sospiro. Non era un ragazzino alle prime esperienze eppure di fronte a quel tipo vi regrediva inesorabilmente. Avrebbe dovuto scostarsi, ringraziarlo formalmente e andarsene con una dolorosa erezione tra le gambe.
Proprio no.
Afferrò una manciata di stoffa dalla sua maglietta e lo tirò giù per un bacio violento e senza garbo. L’adrenalina, lo sapeva come sportivo, giocava brutti scherzi. L’altro soffocò un ghigno sulla sua bocca, prima di ricordargli quando fosse dolorosamente bravo a mandargli il cervello in panne con la lingua, con le labbra e con le mani che gli afferrarono il basso schiena premendoselo contro.
Come esplose quel bacio però finì. Di colpo il biondo si staccò da lui, tenendogli una mano sul petto. “Scusa.” Disse con il tono di voce di un ragazzino che stava combinando una marachella e se la godeva fino all’ultima goccia. “Non mi scopo i Purosangue.”
Cosa?
Non fece in tempo a capire che diavolo stava succedendo che l’altro gli aveva già dato le spalle, incamminandosi tranquillo in direzione di Diagon Alley. “Tu!” Gli uscì strozzato. “Fermati!” Il tono imperioso suonò ridicolo alle sue stesse orecchie.  
Il Magonò si voltò quanto bastava per fargli vedere che se la stava ridendo. “Ce l’ho un nome, sai?”

“Milo.” Ricordò. Come avrebbe potuto dimenticarselo? La sua erezione aveva una memoria fotografica. “Non puoi lasciarmi così!” Poteva eccome, quindi cercò di essere razionale. “Sei … lo vuoi anche tu!”
“Certo che lo voglio, sono un ragazzo di sana costituzione e tu sei provocante come l’inferno.” Fece spallucce. “Non è questo il problema.”

“Allora qual è, di grazia?!” Nessuno l’aveva rifiutato con quella tranquillità. Mai.
Beh, tranne Albus. Ma Albus non è mai venuto a letto con me.
“Il problema non è il tuo corpo, maghetto.” Milo si picchiettò la tempia. “È la tua testa che non mi tira neanche un po’. Buona erezione!” Soggiunse allegro prima di voltarsi e tirare dritto. 
Michel non credeva nelle voci interiori e, in generale, nella coscienza; ma per la prima volta in vita sua ebbe la distinta sensazione che la suddetta gli avesse dato del coglione.
 
****
 
“Tra poco dovremo usare una scacciacani.”
“Eddai, Rosie! Che festa è, se non si rischia il collasso della struttura che la ospita!”
“Tu hai passato troppo tempo con i miei cugini.”
Scorpius ridacchiò, perché sapeva che dietro il cipiglio sconfortato della sua fidanzata si nascondeva divertimento perché Rose Weasley amava le feste rumorose esattamente quanto lui. La strinse a sé, mentre i Banshees facevano ballare e cantare l’intero pub.

 
Would you write? Would you call back baby if I wrote you a song?
I been gone but you're still my lady and I need you at home

 
“Mia amata rosellina… Ho passato tanto tempo anche con te.” Le baciò la punta del naso facendola ridacchiare, cullandola e sentendola sua tra le braccia: sul serio, come diavolo potevano i novelli sposi aver paura dell’avvicinarsi della data del proprio matrimonio?
Okay, quel giorno vomiterò e vorrò morire, ma ehi, quella è ansia da prestazione, non c’entra niente.
L’altra fece un sorrisetto, posandogli la testa sul petto. “Mh, anche questo è vero. A sentire tuo padre ti ho irrimediabilmente rovinato.”
“Oh, sono sempre stato favoloso di mio.” Scrollò le spalle. “Ci voleva però, no?” Soggiunse. “Questa festa dico … Son successe cose un po’ orribili e destabilizzanti.”

Rose alzò il viso e fece una piccola smorfia. “È vero.” Confermò. “Anche Teddy … con tutta quella faccenda del Mannaro.” Guardarono verso quest’ultimo che chiacchierava con Bobby Jordan e fidanzata. I capelli erano settati su un tranquillo celeste pastello, ma forse era dovuto al fatto che James ci stava passando oziosamente le dita. “Perché ho l’impressione che si stiano profilando casini all’orizzonte?” Mugugnò stringendosi a lui.
Le appoggiò una guancia sulla testa, sapendo che l’altra aveva una capacità tutta particolare di fiutare i guai. “Ssh, fingiamo che non stia accadendo. Carpe diem, no? Godiamoci l’attimo o roba del genere.”
“Molto Grifondoro, ma poco pratico.” Scosse la testa.

“Aspettiamo il matrimonio e scappiamo a Honolulu?” Suggerì.
“Ancora, poco fattibile.” Sospirò alzando gli occhi al cielo con una tragicità assolutamente comica. “Sai che finiremo sempre per preoccuparci, io e te. E rimanere a raccogliere i cocci di questo branco di pazzi.”
“Siamo le uniche persone sane qui attorno.” Confermò. “Il che la dice lunga.”
“Lunghissima.”
Scorpius le diede un bacio grato e innamorato, perché era la festa dei suoi ventidue anni e stringeva tra le braccia la strega più favolosa della sala, anche se aveva una famiglia che attirava guai come una calamita gigante e sfigata. Quando si staccò vide con la coda dell’occhio un paio d’occhi bastonati e capelli neri.

Tho, parli di guai e spunta Prince.
Il ragazzo era a bordo della pista e beveva la sua consumazione come se non la sentisse neanche, immerso nei suoi pensieri. Sembrava esser lì più per dovere che per vero piacere.
Certo che come non sa godersi la vita lui…
“Rosie, ti abbandono un attimo.” Avvertì l’altra. “Vado a fare i miei doveri di padrone di casa.”
“Tralasciando che non è casa tua ma un pub…” Aggrottò le sopracciglia e seguì la direzione del suo sguardo. “Hai invitato Sören?” Inarcò le sopracciglia, mentre il pregiudizio le esplodeva nello sguardo. “Perché?” Preferì però chiedere invece di accusare.

Ah, la mia bambina sta imparando. Non la cambierei per niente al mondo … ma certe sue eredità paterne, per Merlino, sì.
“Perché c’è, ed ignorarlo mi sembra brutto tanto quanto avercela con lui.” Spiegò stringendosi nelle spalle. “Se ci perdi tempo due minuti capisci che è un bravo diavolo. Ha solo frequentati cattive compagnie, tutto qui.”
Rose esitò, avvertendo il pesante sottotesto che le aveva appena sbattuto addosso. Fece un sospiro, alzando le mani in segno di resa. “Vado a controllare che nessuno si spogli o spogli qualcuno. Lily potrebbe fare entrambi.” Sbuffò facendolo ridacchiare. “Mi devi ancora molti balli Malfoy! Ricordatelo!” Lo accusò puntandogli il dito addosso.

Scorpius non poté fare a meno di sorridere. “Tutta una vita di balli, mia Rosey.” Quando fu certo di averla fatta letteralmente sciogliere se ne trotterellò via.
Prince se parve sorpreso di trovarselo davanti fece del suo meglio per non mostrarlo. “Malfoy.” Sorrise alzando il bicchiere. “Buon compleanno.”
“Grazie!” Come faceva qualcuno ad essere la rappresentazione stessa della mestizia quando c’era alcool gratis e musica dal vivo, per lui rimaneva un mistero.

Ma del resto io sono un tipo che si fa trascinare dalle cose. Anche troppo.
“Dov’è la tua dama?” Chiese scherzoso. “Ti avevo detto che ne potevi portare una, ma ehi, tu hai esagerato!”
L’altro lo guardò preso in contropiede, prima di capire lo scherzo ed arrossire come avrebbe fatto un dodicenne ritroso. C’era qualcosa di dolorosamente tenero in quel tipo dall’aria rigorosa. “Ho portato il mio servi…” Si bloccò, scuotendo la testa. “… il mio assistente personale. Ma adesso non so dove sia.”
Scorpius a quel punto ritenne inevitabile passargli un braccio attorno alle spalle. Era un po’ brillo, quindi lo si poteva perdonare per la confidenza eccessiva, no? “Non si passa una serata del genere da soli! Hai preferenze?”
“Prego?”
“Sulla ragazza!” Squadernò un ghigno, sperando con ardore che nessuno del Clan Potter Weasley fosse in ascolto. Rose odiava che qualcuno le ricordasse che non gli si era votato sin da tenera età e che c’erano state altre prima di lei. “Ci sono un sacco di tipe che conosco che farebbero follie per il tuo sguardo che conquista! Te le faccio conoscere, ed ehi, nessuna pressione!”
“Il mio cosa…?” Mormorò il tedesco sconcertato. “Malfoy…” Tentò.
“Dai, è un momento di maschia condivisione, dammi retta!” Chiocciò querulo trascinandolo via dalla sua triste posizione di stasi. “Che tipo di ragazza ti piace? Bruna, Bionda, Castana, lentiggini, senza … alta, bassa?” Snocciolò cercando di non ridere all’aria disorientata dell’altro. “Dai, qual è il tuo ideale? Tutti ne abbiamo uno!”

Prince aggrottò le sopracciglia, come se ci stesse riflettendo. “Tu ce l’hai?”
“La mia fidanzata, mi pare ovvio.” Rispose a colpo sicuro. “Beh?”
“Ce l’ho, certo.” Alla sua espressione incalzante capitolò con un sospiro. “È …” Si immobilizzò e Scorpius sentì tutti i muscoli tendersi di colpo per poi rilassarsi. “… Lilian.”
Lilian? È la piccola Potter?
Poi realizzò che la suddetta ce l’avevano davanti, sorridente e con gli occhi brillanti e accaldati. Avendo passato la serata a saltellare sulla pista da ballo era uno spettacolo piuttosto ovvio, ma comunque notevole.
Non. Guardarle. Le. Tette.
“Ehi.” Sorrise loro, sfumando un ghigno nella sua direzione. Beccato. “Buonasera splendori. Festa da sballo Sy, i miei complimenti.”
“Sempre a disposizione del divertimento Piccola Potter.” Le diede il cinque. “Dove hai lasciato il tuo gigante delle Highlands?”
“A tenermi il posto, la borsa e da bere.” Replicò con nonchalance, prima di occhieggiare Sören con qualcosa che sembrava, incredibilmente data la persona, timidezza. “Hai un momento Ren?”

“Sì.” Fu svelto a rispondere l’altro. Era sollievo quello che sentiva nel suo tono di voce? “Malfoy, ti dispiace…”
“No, per niente!” Scosse la testa. “Devo comunque andare a sedare la mia ragazza. Credo di averla sentita urlare contro Dom a proposito di non lanciarsi da palco o qualcosa del genere.” 

Lily gli rivolse un sorriso radioso. “Grazie, a dopo!”
Vide i due andarsene e si grattò la nuca, perplesso.
Ma ha salutato la Piccola Potter o ha ammesso che è il suo ideale di ragazza?
O entrambi?
 
Romeo, Juliet, balcony in silhouette
Makin o's with her cigarette, it's Juliet

 
Non riusciva a capire perché Lily fosse venuta a cercarlo.
Non che non gli facesse piacere, tuttavia pensava che dopo il mortificante incontro di poco prima non l’avrebbe più rivista per l’intera serata, se non di sfuggita, un lampo di fiamme in un nugolo di volti senza importanza.
Una cosa è vedersi da soli. Un’altra è farmi interagire con i suoi amici. Forse non vuole.
Lily si chiuse la porta del locale alle spalle, appoggiandosi ad una delle vetrate coloratissime con la schiena. Si voltò nella sua direzione e gli sorrise. “Ehi.” Esordì. “Mi sa che ti devo delle scuse.” 
 
She'll lie and steal and cheat, and beg you from her knees
Make you thinks she means it this time

 
Batté le palpebre, confuso, mentre pescava una sigaretta dal pacchetto. Dentro il locale la musica suonata dalla band stava sfumando in un’atmosfera intima, fatta per le coppie e per i discorsi a bassa voce.
“Per cosa?”
“Per … prima.” Esitò lanciandogli un’occhiata incerta. Stava tentando di leggerlo, riusciva a percepirlo anche senza tenere le difese dell’Occlumanzia alzate. “Scott mi ha fatto notare che sono stata un po’ fredda.”
Scott. Scott Ross, il tuo ragazzo.

Si sforzò di fare un sorriso disimpegnato, mentre sentiva i polmoni gonfiarsi di fumo. “Non mi è sembrato. A proposito, mi ha fatto piacere conoscerlo, state bene assieme.”
Scott Ross.
Era un uomo fortunato e sperava che se ne rendesse conto; perché riuscire ad arrivare alla confidenza di Lily, poterla tenere tra le braccia e farsi ammettere nel suo cuore doveva essere meraviglioso.
È meglio per lui che se ne renda conto.  
 
She'll tear a hole in you, the one you can't repair
But I still love her, I don't really care

 
“Grazie, ce lo dicono tutti. Anche se la differenza d’altezza secondo me è un po’ buffa.”
“Non ci ho fatto caso.” Aveva fatto caso ad altro; al modo in cui lo scozzese cingeva la vita morbida dell’altra, come le dita si posassero con sicurezza sullo stomaco piatto di lei.

Basta. Smettila.
Strizzò gli occhi, incolpando il fumo che l’aveva infastidito. “Lily, non devi preoccuparti … So che ci vorrà un po’ prima che tu ti senta a tuo agio con me. Lo accetto.” Fece una pausa, sforzandosi mantenere un tono neutro. “Se la mia presenza qui, stasera, ti ha in qualche modo turbato…”
“Ren, falla finita.” Tagliò corto brusca. “Hai il diritto di divertirti alla festa di Scorpius come ce l’ho io e mi fa piacere che tu sia qui, non è questo il punto.” Si passò una mano trai capelli, scoprendo il collo. Sören sentì la salivazione azzerarsi e si diede dell’imbecille. Quante volte l’aveva vista fare quel gesto cinque anni prima?

Cinque anni fa lei era una bambina e tu un disadattato. Non sapevi neanche cosa volesse dire approcciarti ad una donna. Starci assieme. Adesso è diverso. Adesso puoi immaginare come sarebbe chinarti e…
Inspirò, pregando Merlino che l’altra fosse troppo concentrata su di sé per badare a lui. Per fortuna sembrava di sì, perché si morse un labbro e lo guardò di traverso. “Tu soffri di incubi, vero?”
La domanda fu come una doccia fredda. “Sì.” Mormorò confuso. “Sì, ne soffro da anni purtroppo. Perché me lo chiedi?” Seppe la risposta non appena ebbe formulato la domanda. “Lily…”
“Sono tornati.” Buttò fuori stringendosi le braccia attorno al corpo, quasi l’aria tiepida della sera si fosse fatta gelida. “Stamattina … sono stata poco bene, mettiamola così.”

Fu come se qualcuno gli avesse tirato un pugno allo stomaco. “Per via del black-out?”
“Penso di sì.” Fece un sorriso nervoso. “Il buio … e poi come se non bastasse sono anche stata aggredita.” Si morse un labbro. “Scusa.” Scosse la testa, allontanandosi di qualche passo. “Merlino, scusa … Non so neanche perché te l’ho detto. Non sono affari tuoi, lo capisco e…” Cominciò a parlare come un fiume e persino dopo cinque anni ricordava come fosse il suo modo di mettere una barriera contro il mondo che le si stringeva addosso.
“Lilian.” Eliminò la distanza fisica tra di loro abbastanza per non essere invadente, ma neppure distante e gettò la sigaretta a terra perché forse l’odore poteva infastidirla. Quando fu certo che non sarebbe schizzata via, le posò una mano sulla spalla coperta dal leggero tessuto luccicante del suo abito. “Lily, guardami.”

 
It's better to feel pain, than nothing at all
The opposite of love's indifference


Altro pugno nello stomaco. Gli occhi della sua piccola amica erano grandi e spaventati. La sola idea di aver contribuito alla sostanza di quegli incubi gli faceva venir voglia di spaccare qualcosa a mani nude. “Stai dicendo delle sciocchezze.” Bisbigliò, perché certe cose andavano dette a bassa voce. “Sono affari miei. Sei mia amica, sei la prima amica che ho avuto al mondo.” Ed era vero, ed era una cosa che poteva dire, giusto? “Quello che ti fa star male sarà sempre una mia preoccupazione. Puoi dirmi tutto.”
Lily piegò le labbra in un sorriso piccolo e delicato, niente a che vedere con quelli che squadernava a beneficio delle masse. Amava quel sorriso, e pensava di averlo perso. “Ren il cavaliere…” Sospirò divertita. “È così che incanti le ragazze?”
Se dipendesse da me? Soltanto te. Ci sei sempre stata solo tu.
Era come avere un ferro incandescente ficcato nel cuore. Essere innamorati, per quanto ne sapeva lui, era tutto lì.
Per te, mio caro, sarà sempre tutto qui.
Perché l’amava. Cinque anni prima non l’aveva capito, non era arrivato a pensare che il grumo di sentimenti che gli si era incollato addosso come una febbre fosse amore. L’aveva realizzato quando aveva capito che nessuna donna, per quanto bella, intelligente e amorevole avrebbe mai potuto battere l’immagine di Lily che aveva scolpita nel cuore. L’aveva cercata nelle braccia di altre, le prime volte, prima di realizzare quanto non servisse a niente.
Nessuna è lei. E tu puoi avere chiunque … tranne lei.
Lily dovette leggere qualcosa nella sua espressione perché gli mise una mano sul braccio. “Scusa, dico un mucchio di sciocchezze quando sono nervosa. C’è qualcosa, vero? Anche tu stasera mi sembri un po’ fuori fase.” Per fortuna con i suoi poteri di LeNa non poteva arrivare fino a quel luogo nella sua testa. Quel posto segreto che aveva custodito per anni l’affetto di suo padre e che ora proteggeva anche lei. “È per il lavoro?”
“Non posso dirti come stanno andando le indagini, lo sai.”   
L’amica fece una smorfia amara. “Stanno diventando pericolose, vero?”  
“Lilian, non…”
“Io ti ho raccontato dei miei incubi, tu dimmi i tuoi.” Il tono era acciaio adesso, come lo era la sua espressione. “È questo che fanno gli amici, Ren.”

Vuotò il sacco. Non riuscì a frenare la corsa delle parole, del terrore che provava all’idea che la strada di Johannes fosse tornata ad incrociare la sua. Della paura che aveva di dover vedere il viso di un uomo che era il simbolo stesso dei suoi sbagli.
Se ne pentì nel momento stesso in cui finì di parlare; Lily era stata una vittima, e dai soprusi di quell’uomo orribile e di suo zio non si era ancora ripresa.
Te l’ha appena detto idiota. Perché le hai vomitato addosso i tuoi problemi?
Non ne ha abbastanza per colpa tua?
“Sören.” Si rese conto di aver abbassato lo sguardo solo quando mise di nuovo a fuoco il mondo. Lily gli aveva circondato il viso con le mani e premeva le dita fresche sulla sua pelle accaldata. “Va tutto bene.”
“Non va tutto bene.” Come poteva?
“No, è vero, va da schifo, ma ora sei tu che devi guardare me.” Obbedì e vide che non sembrava arrabbiata, paventata o tradita. Lo guardava … era compresione quella? Lo capiva?
Era sempre stata la più forte tra loro due.
 
Era uno schifo. Lily sentiva il cuore minacciarle di esploderle nel petto.
John Doe. 
Era spaventata, negarlo sarebbe stato stupido. Spaventata per James, Scorpius e Bobby … per Sören e chiunque avrebbe dovuto avere a che fare con quel mostro.  Ma non importava quello che provava lei, nella solitudine dei suoi pensieri.
“Siamo proprio messi male, io e te.” Sospirò passandogli le dita trai capelli: quando non erano imprigionati in un litro di brillantina Purosangue erano morbidi e lisci. L’altro socchiuse gli occhi, gradendo il contatto. Quando sembrava che il mondo ti crollasse addosso era un modo per stare meglio.“Se facciamo una prova, forse abbiamo paura anche delle nostre stesse ombre.”
“Lily…”
“Ma non importa.” Inspirò. “Non importa, perché siamo più forti di Johannes e di quello che ci succede quando ci addormentiamo, giusto? Abbiamo più coraggio di così.”
Aveva imparato in quei cinque anni che chiedere aiuto era sensato, mai stupido. Lasciare Sören a gestire da solo quel carico emotivo sarebbe stato crudele, insensato, quando l’altro pronto a farsi carico del suo.

Non ho paura di te. Non ho mai avuto paura di te. Ho paura delle stesse cose di cui hai paura tu.
Ho paura con te.
Realizzarlo faceva tutta la differenza del mondo. “Non … non lo so.” Le confessò. “Credo invece di essere un coda…”
“Non dirlo.” Lo fermò perché quella parola era orribile, era un insulto a tutto ciò che avevano passato. “Non azzarti a darti del codardo davanti a me. Non con quello che hai fatto.”
“Cos’ho fatto?” Fece una smorfia amara. “Cose orribili.”
“Mi hai salvata.” Sospirò. “Alla fine, Ren, mi ha salvata.”
Lasciò che le parole si depositassero tra di loro, che prendessero forma e importanza. Poi gli mise le mani sulle spalle, stringendo la presa. “Adesso ho bisogno di un abbraccio.” Lo avvertì perché era una cosa di cui in realtà avevano bisogno entrambi. Il modo in cui la strinse di rimando fu una risposta piuttosto ovvia.

“Grazie.” Lo sentì mormorare trai suoi capelli. Il respiro caldo le diede qualche brivido che classificò con certezza come logico. Era un abbraccio bello, saldo e Lily si trovò a inspirare l’odore della pelle dell’altro. Era assurdamente confortante.
“Siamo migliorati nel contatto fisico.” Lo prese in giro per stemperare l’atmosfera. “Una volta mi abbracciavi con le braccia ad un miglio di distanza l’una dall’altra!”
Sören riuscì persino a sorriderle quando si staccarono. “Non volevo fare brutta figura per quando ti avrei rivista.”
Morgana, è adorabile.

Stemperò il desiderio di abbracciarlo di nuovo – piccoli passi, era importante – con una scrollata di spalle. “Ti meriti un Oltre Ogni Previsione.” Si voltò verso l’entrata. “Per farmi perdonare di essere stata un’amica terrificante posso rimediare offrendoti una sedia, un drink e un po’ di chiacchiere assolutamente vuote?”
Sören stavolta sorrise sul serio e diavolo, se gli si illuminava lo sguardo.
 
So keep your head up, keep your love
Keep your head up, my love…

 
****
 
Note:

Non mi sembra vero, ho finito ‘sto capitolo! XD Devo ammettere che ci voleva, credo sia un buon punto di relax e anche di svolta.

La canzone che fa da apripista è questa.
Ho creato una playlist con le canzoni della festa, che comunque sono le seguenti.
Grace, The View
How Long, The View
Square Peg Round Hole, Wakey!Wakey!
If I Had a Gun, Noel Callagher’s High Flying Birds

Only The Horses, Scissors Sisters
Flapper Girl, The Lumineers
Stubborn Love, The Lumineers.
  
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