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Autore: _CodA_    10/03/2013    6 recensioni
E per rendere omaggio allo spirito natalizio, pubblico una long-fic BRITTANA in tema (il fatto di averla iniziata il 6 giugno sono dettagli...)
Vedrete che ci sarà quasi sempre uno schema fisso di intro + personaggio in prima persona. Spero vi piaccia! :)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alle storie che creano Storie.
All'amore. A noi. 
Per te.


 
 


Spesso si fa l'errore di considerare un problema solo a metà.
E' come guardare una vetta dai piedi di una montagna e calcolare difficoltà, pericoli, rischi per poterla raggiungere, tralasciando però la fatica che faremo a percorrere la discesa, una volta consumate tutte le forze per arrivare in cima.
Il problema è nel suo insieme: è l'intera montagna fatta di salita, ma anche di discesa, facilitata, ma pur sempre faticosa.
Bisogna calibrare le forze per non andare troppo veloci e rischiare di rotolare giù, ma nemmeno troppo piano per evitare di fermarci del tutto.
E' necessario chiedersi sempre: cosa viene dopo? Cosa incontreremo? E come potremo affrontarlo?
La risposta non è semplice, a volte nemmeno esiste la soluzione.
Ciò che conta è avere qualcuno con cui scalare la montagna, ma, ancora di più, qualcuno che sia disposto a rimanere, dopo, per ridiscenderla insieme.








Santana's PoV


Aprì gli occhi e il biondo chiaro dei suoi capelli, illuminati dalla tenue luce dell'alba, mi colpì in pieno viso.
Brittany era coricata sul fianco sinistro e dormiva beatamente, donando a me l'opportunità di tenere gli occhi sui suoi capelli perfetti, sulla sua schiena che stringevo col mio corpo per tenere lei al sicuro, attaccata a me.
E pensare che lo stesso corpo, che dormiva beato tra le mie braccia adesso, poche ore prima era stato agitato da un animo inquieto, malinconico e disperato, che aveva dovuto lottare contro la caparbietà della madre.
Meritava un po' di riposo, soprattutto dopo i recenti e repentini avvenimenti.
Il suo ritorno in città, io e lei, sua madre, i parenti...
Quegli ultimi due giorni erano parsi davvero un'eternità.
Eppure lei non si era lamentata, non aveva osato lagnarsi di niente.
Semplicemente il suo corpo era crollato sotto il peso dello stress, parlando meglio di mille parole.
Serviva ad entrambe un po' di riposo, un po' di calma, un po' di chiarezza.
Avevo bisogno di capire, io come lei, cosa significava tutto questo: essersi dichiarate pubblicamente davanti ai parenti, aver deciso di restare a Lima, aver confermato il reciproco amore.
Sembravano decisioni indiscutibili. Quasi già concrete.
Ma io, scettica a causa del pessimismo che mi aveva accompagnato per anni, stentavo a crederci.
Frullavano nella mia mente una miriade di problemi, tante domande e tante risposte messe in attesa.


“Che succede?”

La sua voce mi fece trasalire. Ero convinta stesse ancora dormendo.

“Che vuoi dire?” risposi con un tremito nella voce che non riuscì a controllare.

Lentamente la osservai voltarsi, cambiare fianco d’appoggio per guardarmi negli occhi.
Adagiò le mani sotto la testa sistemata sul cuscino e mi attese con gli occhi preoccupati per me, eppure generalmente sereni.

“Ho sentito il tuo respiro farsi più veloce... a che pensi?”

Era lì tranquilla e pronta ad ascoltarmi, a sentire qualsiasi paranoia mi stessi facendo, pronta a risolvere qualsiasi problema fosse sorto.

Chiusi gli occhi e poi li riaprì alzandoli al cielo.
“Niente di importante” risposi con un sorriso che tentò di essere convincente.

“Tu sei importante. Parlami…”

La sua prontezza mi spiazzò. E crollò ogni barriera, come il mio sorriso.

“Ho paura.”

Si mosse leggermente, come se avesse sistemato l’orecchio per ascoltarmi meglio.

“Di cosa hai paura?”

Tirai un sospiro profondo, chiudendo gli occhi, incerta se continuare.
Temevo fortemente di spaventare anche lei, di farla fuggire ancor prima di quanto pensassi e per i motivi sbagliati.

“Ho paura della tua scelta. Che mi rinfaccerai di essere tornata qui, per me. Ho paura che te ne pentirai e proverai rancore e mi abbandonerai; e io non potrei sopportarlo, non di nuovo.”

Mi guardava negli occhi e io non riuscivo a decifrare la sua espressione e i suoi pensieri e questo mi spaventava tantissimo.

“Lo sapevo, non avrei dovuto dir-“
“Basta.” mi interruppe amorevolmente decisa, con un nuovo sguardo commosso e innamorato.
“Non sei stata tu a chiedermi di restare. E’ stata una mia decisione, presa col cuore. E non potrei mai provare rancore o rimorso nei tuoi confronti. Non rimpiangerei mai la mia scelta di amarti fino in fondo.”

Sorrisi, felice ed imbarazzata.
E lei fece lo stesso. Silenziosamente alzò la mano sinistra e ne approfittò per accarezzarmi il viso e capì, nei suoi occhi adoranti e nella sua mano delicata, che non c’era nulla da temere. Sarebbe rimasta lì con me fin quando mi avesse amato e a me bastava.
“Sai… si dice che la felicità si stenti a riconoscere, che se ne colga il senso solo una volta passata… eppure io credo che sia questa la felicità.”
Non ero riuscita a dirglielo guardandola negli occhi, improvvisamente timida, mentre mettevo in gioco tutto e mi mettevo a nudo coi miei sentimenti.
Ma lei strinse la guancia che mi stava accarezzando, si protese verso di me e mi baciò.
E capì.
Era tutto racchiuso in quell’urgenza, in quella necessità che sentivo fremere nel mio corpo e nel battito rapido del mio cuore e del suo.
Avevo bisogno di lei come dell’ossigeno.
E quel bacio, quel bacio che si andava intensificando, che ci accaldava sempre più, rappresentava la mia disperazione, quell’implacabile desiderio di farla mia, quel richiamo impellente di due anime che si cercano.
Infrangevo le mie labbra contro le sue, lasciavo scorrere le mani sul suo corpo, che lentamente scoprivo; cercavo di placare quella mancanza che sentivo nel cuore e nel corpo, la mancanza che avevo avuto di lei negli anni, la mancanza di lei nella vita.
Lei era parte di me, io lo sapevo e lei lo sapeva; e mi sarebbe mancata sempre, come un braccio o una gamba, come il cuore.
Mi sarebbe mancata, l’avrei desiderata, avrei tentato di appagare quella bramosia di lei, quella voglia di ricongiungermi alla mia metà, ma non sarebbe stato mai abbastanza;
non sarebbe bastata una vita per accontentarmi, e nemmeno altre mille.
Mi sarebbe mancata, l’avrei desiderata e l’avrei cercata per sempre.
L’avrei amata per sempre.
E ogni volta che avremmo fatto l’amore, come quella prima, ci saremmo finalmente unite, in modo unico e raro.
Avrei venerato il suo corpo, chiuso gli occhi solo se necessario, per ricordare con tutti i sensi quella magia che stavamo creando.
Avrei sentito il piacere del corpo come il piacere della mia anima che smetteva di urlare, che smetteva per un secondo di rincorrere quella metà che era il suo destino.
E lei con me. Lei con me.
Lei con me per un momento sarebbe stata sazia. Per qualche secondo.
E ripreso il respiro, mi avrebbe cercato ancora, mentre io ero già tesa nuovamente verso di lei.
L’amavo. Non poteva essere altrimenti.

“Credi che ce la faremo?” le chiesi tra i nostri respiri silenziosi, una volta che lei fu tra le mie braccia, nuda sul mio corpo, mentre l’accarezzavo dolcemente e ci cullavamo in quel calore e in quel silenzio perfetti.
“Io credo che ce la stiamo già facendo…”
Sorrisi. Sentivo il solletico delle sue dita sulle mie braccia, il calore dei nostri corpi uniti, i suoi capelli biondi che mi coprivano il seno.
Fino a quel momento mi ero sentita perduta perché lei non era stata con me.
Ora che era mia, ed io sua, ogni problema sembrava sostenibile;
sapevo che ci sarebbero state difficoltà, tante paure ancora da affrontare, ma con lei al mio fianco tutto era meno buio, sapevo di poter superare gli ostacoli, perché avrei avuto una mano che mi avrebbe aiutato ad alzarmi, se non fosse riuscita prima ad impedirmi di cadere.
Adesso avevo lei da cui tornare a casa, lei a cui raccontare la mia giornata, anche la minima sciocchezza, lei a cui affidare la mia vita e il senso di essa.
 
Guardai fuori dalla finestra e vidi che la luce chiara del giorno si era fatta intensa.
C’era sicuramente ancora aria di neve, ma erano oramai quasi due giorni che aveva smesso di nevicare e quella mattina iniziava a filtrare un po’ di sole.

“Che ne dici? E’ ora di palesarsi di sotto?”
Brittany non sembrò nemmeno avermi sentito. Continuava pacificamente a coccolarmi, a godersi il nostro momento fino all’ultimo.
“Probabile… Non so chi sia rimasto da ieri, ma dovremmo salutare per educazione.”
Rispose alla fine, ma non accennò a muoversi.

“Facciamo così” presi iniziativa “Io vado a farmi una doccia e poi vado a prepararti la colazione, così tu potrai riposare ancora un po’… ti va?”
E, senza aver atteso la sua risposta, iniziai ad aiutarla a stendersi sul cuscino e scesi dal letto.
“Non mi va mai quando devo separarmi da te…” sussurrò teneramente, mentre io infilavo velocemente una maglia e degli slip.
“Hai ragione, nemmeno a me…” risposi dirigendomi verso la porta.
“Allora che fai?” le chiesi voltandomi di nuovo verso la stanza, una volta che ebbi la mano sulla maniglia. “Vieni con me?”
Lei mi fissò per un momento: osservò il mio sopracciglio inarcato, il mio sorriso provocatorio; e lo ricambiò ampiamente, mentre io scappavo in bagno e lei correva ridendo per raggiungermi.
 
 
 
 

Entrai in cucina e, con mio sommo dispiacere, riconobbi subito le spalle ed i capelli della persona che era vicino ai fuochi, persona che mai avrei voluto incontrare in quel momento, da sola per giunta.

“Buongiorno… Dawn!”
Lei sobbalzò e poi si girò verso di me.
Io mi avvicinai a lei sorridendo, compiaciuta per averla spaventata; adoravo sentirmi potente nei suoi confronti, anche se per uno scherzetto del genere.
“Santana…”
Tornò a voltarsi verso il bollitore che aveva davanti e che non accennava a riscaldarsi.
Il suo abbassare la guardia così velocemente, senza avermi sfidato nemmeno con lo sguardo, senza aver imprecato per lo spavento o aver detto qualcosa di cattivo ora che ne aveva l’occasione, mi colse alla sprovvista.
Credevo fosse simile a me e che per questo Brittany si fosse invaghita di lei a suo tempo.
Iniziai a cercare nella credenza ciò che mi serviva per la colazione di Britt, ma quello strano silenzio che c’era mi infastidiva.
Non ero mai stata brava con le parole e di certo non ero tipa da conversazione e convenevoli, ma la sua presenza e il suo silenzio mi stavano innervosendo più delle frecciatine a cui mi ero ben presto abituata.
Notai tre o quattro pancake su un piatto che aspettavano solo di essere mangiati.
“Vedendoti avrei dovuto immaginare che non ci tenessi alla linea…”
E d’improvviso rimpiansi il silenzio che avevo tanto detestato.
Si voltò rapidamente verso di me con uno sguardo glaciale e le labbra increspate.
“Santana, cosa vuoi?”
Pensavo sarebbe esplosa di rabbia, pensavo che mi avrebbe risposto a tono, tirato uno di quei pancake addosso, pensavo che avrebbe urlato.
E invece quel suo contenersi, quella rabbia compressa, quella frustrazione che leggevo nelle sue labbra e nei suoi occhi, mi spiazzò.
Soffriva, era chiaro; non sapevo bene il perché, eppure uno strano senso di colpa mi attanagliò.
Pensai che fosse per le mie provocazioni idiote fuori luogo.
Quindi mi ricomposi.
“Niente, sono qui solo per la colazione di Brittany. Tu, piuttosto, che fai ancora qua?”
“Non torno a casa senza di lei.” rispose secca e con un tono fin troppo protettivo che mi fece saltare i nervi.
“Beh faresti bene ad avviarti, mia cara, perché lei non va da nessuna parte!” chiarì avvicinandomi a lei come se volessi sfidarla, dimostrare che anche se mingherlina ero forte e avrei potuto battermi.
Ma dall’altra parte non avevo capito che non c’erano sfidanti.
“Che vuoi dire?” chiese sbalordita.
“Hai capito bene, lei resta qui con me. E non potrai fare niente per impedirlo.”
Mi sentivo molto forte, vincente, ma non capivo che da fuori rasentavo il ridicolo.
Compresi di star esagerando quando lei, senza pensarci due volte, sminuendo la tensione che solo io credevo si fosse creata, tornò a girarsi verso il piano cottura, abbassando lo sguardo, ignorando completamente la mia presenza, tutta presa dai suoi pensieri.

“Avrei dovuto immaginarlo…” sussurrò.

Poi tornò alla realtà, sentì il bollitore fare rumore e versò il latte riscaldato in una tazza.
Osservai attentamente cosa faceva, perché qualcosa mi era familiare:
due cucchiaini di zucchero, una spruzzata di cacao e…
“Aspetta un attimo!” esclamai, puntando un dito accusatorio verso di lei.
Ma dal canto suo mi porse tazza e piatto con un viso impenetrabile e mi spiazzò ancora una volta.
“Sono per Britt. I suoi preferiti.”
Non riuscì a pronunciare altro che un flebile –grazie-.
E lei sorrise tristemente.
“So di non potertela portare via. Ho capito che vi appartenevate da una foto, dagli occhi che ha solo per te, dal modo in cui non ha smesso mai di pensarti. Non è mai stata mia.
Ma io la amo, lo capisci?”

Non sapevo assolutamente cosa fare o dire.
Le mani occupate, il senso di colpa che assumeva un perché, la gelosia.
Eppure quella donna, pressappoco una sconosciuta, quella che fino a pochi secondi prima avevo considerato una rivale, si stava esponendo a me in tutta la sua fragilità.
Mi confessava di aver perso in partenza e potevo capire la sua disperazione.
Sapevo perfettamente cosa volesse dire essere distrutti dalla consapevolezza di aver perso l’amore.

E, probabilmente, se non fosse stata la mia donna quella di cui parlava, avrei fatto il tifo per lei.
Sembrava sincera.
Io potei solo annuire in silenzio.
Avevo vinto, sì, ma non mi sentivo più tanto forte e superiore come prima.

“Sarai pure una tipa strana e odiosa, ma chissà come Britt ci ha visto del buono in te, e lei non sbaglia mai su queste cose.”
Al fatto che mi avesse offeso reagì con un semplice sbuffo e la lasciai continuare.
In fondo era la sua piccola rivincita, tutto quello con cui si poteva consolare.

“E so che ti prenderai cura di lei. Ma non farla soffrire! Altrimenti-“
“Ne morirei io per prima.” risposi incredibilmente pronta e seria.
E a lei bastò.
 “Sei fortunata.”
Ancora quel suo sorriso triste e poi mi superò per uscire e tornare di sopra, nella sua camera degli ospiti.

Appena se ne fu andata ripresi a respirare regolarmente, cercando di assimilare cosa fosse appena accaduto.
Mi sentivo stupida, in colpa per aver preso in giro un cuore spezzato.
Ma sentivo anche di meritare il cuore di Britt.
Mi diedi coraggio, lasciai la cucina e prima di salire le scale lanciai uno sguardo al salone dove vidi il signore e la signora Pierce seduti sul divano, probabilmente addormentati lì dalla sera prima.
Lui le stringeva le spalle con un braccio e lei si era abbandonata con la testa sulla sua spalla.
E capì che era quello che esattamente volevo.
Invecchiare dolcemente con Brittany, amarci fino alla fine.


Salì le scale combattuta tra la frenesia e il voler impedire che la colazione si rovesciasse sul pavimento.
Entrai in camera e Britt, coi capelli umidi e pochi vestiti indosso, sembrava essersi appisolata di nuovo, cosa che smorzò un po’ la mia agitazione, la mia euforia.
Posai piatto e tazza sulla scrivania e guardai fuori: di nuovo giorno, di nuovo sole.

“Allora… per cos’era quel fracasso sulle scale?”

Mi voltai sorridendo, contenta che non dormisse.

“Perdonami, ti ho svegliato?”
“Non preoccuparti, riposavo solo gli occhi. Allora che mi hai portato?” chiese, illuminandosi, mentre si metteva a sedere su quel grande lettone.
Le porsi il piatto e sorrisi contenta di farla felice, di vederla radiosa e finalmente serena.
Addentò uno dei pancake, ma a metà si fermò contrariata.
“Non mangi con me?”
Feci segno di no con la testa e poi, approfittando che avesse la bocca piena, con un sospiro presi coraggio.

“Britt, ho bisogno di dirti una cosa…”

“Dimmi tutto.” rispose, mascherando una leggera agitazione masticando più velocemente.

Mi sedetti di fronte a lei con le gambe incrociate e abbassai gli occhi, non più tanto sicura di farcela, non essendo mai stata brava a conciliare sentimenti e parole.

“Lo so di non essere perfetta, di avere mille difetti e mille problemi, ma, non so come, ho questa fortuna di avere incontrato te che li sopporti tutti. Perché tu sei la mia buona qualità, sei il mio pregio. Con te sono la persona che mi piace essere.”

Presi ancora fiato, cercando di nascondere le lacrime che mi erano affiorate, senza che me ne accorgessi, agli angoli degli occhi.
 
“E voglio continuare ad essere questa persona per tanto, tanto tempo.”

Mentre le dicevo questo, mentre la guardavo in quegli occhi azzurro cielo e li osservavo arrossarsi per le lacrime di gioia, mi resi conto di quanto amore scorresse tra di noi: negli sguardi, nelle parole, nelle promesse.

“Quindi…” esitai un attimo, imbarazzata. “… non arrenderti mai con me, ok?”

“Non lo farò.”

Lei mi sorrise felice, tirando su col naso e lasciando scorrere qualche lacrima.
Il mio cuore si sollevò di mille metri; sentì il peso che avevo avuto pronunciando quelle parole svanire nel nulla.
Erano chiare le mie intenzioni, erano chiare le sue.
E ciò che importava era che fossimo disposte entrambe a sopravvivere, insieme.
Pronte a mettere da parte qualsiasi cosa per capirsi, e alla fine completarsi, naturalmente, come solo a noi riusciva.




“Allora noi andiamo.”
La signora Pierce si precipitò a stringerci entrambe in un forte abbraccio.
“Mamma, andiamo a qualche isolato da qui, non al patibolo!”
“Lo so, ma è così bello riavervi qui, insieme. E ora che state anche insieme insieme… non lo so, mi si riempie il cuore di gioia a vedervi così felici! Insomma Santana, sei sempre stata la mia preferita…”
Sorrisi imbarazzatissima alla madre di Britt che, scongelatasi, sembrava essere tornata l’affettuosissima donna che mi aveva fatto da madre acquisita.
“Grazie, signora Pierce”
“Tesoro, chiamami Margaret. Oramai sei ufficialmente di famiglia!”
Brittany sorrideva di quel ritorno alla normalità e della tranquillità con la quale la madre aveva accettato la nostra relazione.
Ed essere in parte motivo di quel sorriso che aveva sulle labbra, della sua felicità, rendeva me estremamente onorata.
“Andate, allora, o farete tardi! E poi non riuscirete ad essere qui per cena!”
Mi voltai assieme a Britt per aprire la porta.

“Santanaaaaa! Aspettate, aspettate, aspettate!”

A chiamarmi era la piccola Jenny rimasta la sera prima ospite degli zii Pierce.
Mi voltai rapidamente e mi accovacciai a terra per poterla guardare negli occhi.
“Cosa c’è, J?”
La bambina adorava che la chiamassi così, la faceva sentire grande; ne ebbi la conferma da quel suo grande sorriso che non riuscì a trattenere.
“I miei genitori mi vengono a prendere tra poco. Volevo salutarti!”
Spalancai le braccia e lei mi abbracciò senza riserve.
Era strano avere un corpicino così piccolo che si avvinghiasse a me.
Non ero mai stata capace di essere affettuosa, fuggivo da ogni contatto
fisico che non fosse strettamente necessario, almeno con le persone che non conoscevo bene. Ma sentivo nei confronti di Jenny un senso di protezione, un senso del dovere, che mi faceva comportare diversamente.
Sentivo di doverlo fare perché vedevo nei suoi occhi e nei suoi gesti quanto ci tenesse, quanto fosse affezionata, chissà poi perché, a me.
E tutto sommato non mi dispiaceva nemmeno che mi dedicasse tante attenzioni e che io potessi ricambiare senza paura di essere giudicata fragile o sdolcinata.
Le strinsi forte i capelli per tenerla attaccata a me e far in modo che solo lei sentisse, come se fosse il nostro segreto.
“Ma torno, sai!? Ci rivedremo!”
Lei si staccò velocemente per leggere il mio viso e capire se stessi mentendo.
“Dici sul serio? Stavolta tornerai?”
“Mi troverai qui molto più spesso di quanto tu possa immaginare…”
E, sapendo che ci stava ascoltando, alzai lo sguardo in alto per incontrare gli occhi azzurri di Britt e le sue incantevoli labbra che ci sorridevano.





“C’è qualcuno?”
Varcammo la soglia di casa Fabray dopo aver bussato alla porta per svariati minuti.
“Quinn???” esitai entrando in salotto, mentre Britt mi sorpassava e controllava in cucina.

“Oh mio Dio!”
L’urlo allarmato di Brittany mi spaventò e mi fece precipitare da lei.
“Britt, che-?” iniziai non appena la ebbi nel mio campo visivo.
“Trovata…” disse voltandosi verso di me ad occhi chiusi.
Guardai preoccupata e curiosa al di là della sua schiena e mi si presentò uno scenario rivoltante.
“Madre de Dios, Quinn!”

La “piccola” Quinn Fabray non aveva di certo una reputazione immacolata, ma non avrei mai immaginato di trovarla sul marmo della cucina, mezza svestita, schiacciata da Matt.
 
“Ehm… ragazze… già di ritorno?! Non vi aspettavo!” balbettò lei con due sciocche rosse in faccia e la fretta nelle mani di riabbottonare la camicetta.

Mi girai anch’io come Brittany per dare il tempo ad entrambi di ricomporsi.

“Q, hai pensato anche solo per un momento che potesse entrare tua madre da quella porta e beccarvi?”
“Santana, mi sembra ovvio che non stavo pensando!” rispose a tono lei, cercando di non essere calpestata dalle mie parole.
“Ah di questo sono sicura! Se avessi pensato per un secondo non ci avresti provato con questo scimmia!” la punzecchiai girandomi con le braccia incrociate al petto e guardandola con aria di sfida dritto negli occhi.
“Ehi!” s’offese lui.
“Hai la patta aperta, cretino…”
S’ ammutolì nuovamente imbarazzato, cercando di rimediare alla sua zip, mentre Quinn scuoteva il capo sconsolata, ricordandosi da che tipo d’uomo s’era sempre lasciata attrarre.

“San, posso girarmi adesso?”

Brittany era rimasta sconvolta e voltata, con gli occhi strizzati, probabilmente cercando di ignorare anche i nostri commenti.
Mi avvicinai a lei toccandola delicatamente sulla spalla per non farla sobbalzare.
“Sì, Britt, sono presentabili ora.”
Lei tirò un sospiro di sollievo e, diversamente dal silenzio che avrebbe aleggiato per ore tra persone normali, lei, la mia dolce biondina, risolse tutto con un “è stato imbarazzante!”
Il suo commento sincero e rapido fece scoppiare a ridere sia me che Quinn;
Matt ci seguì a ruota e in pochi secondi tutti e quattro ridevamo a crepapelle.
Era un po’ come essere tornati al liceo, con un Puck leggermente diverso, qualche esperienza alle spalle, maturati, ma gli stessi di sempre.


“Aggiungerò questo agli aneddoti -i momenti imbarazzanti di Quinn Fabray-” commentai sul finire della risata.
“Non credo la lista sia molto lunga.” cercò di rimediare Quinn.
“Oh puoi scommetterci…” ribattei io. “Ma non preoccuparti! La tirerò fuori solo quando i vostri figli avranno 15 o 16 anni.”
“Chiudi il becco, Lopez.”

E risi nuovamente. Di quell’amicizia spontanea, di nuovo solare, grazie alla fiducia ritrovata che solo Brittany poteva avermi restituito.

“Beh… eravamo tornate qui per recuperare la mia roba ed eventualmente Matt, pensando che ti stesse infastidendo, ma a quanto vedo…”

“Santana, sei tornata l’arpia di sempre?” chiese lui, quasi compiaciuto.
“Oh no, questa è la versione migliorata…” risposi lanciando uno sguardo alla donna al mio fianco.

Io sorridevo adorante alla mia bella e lei faceva altrettanto, isolate dal mondo.
E Matt e Quinn sorrisero per noi.
“Piccioncine, non perdete tempo qui e andate a recuperare le cose di sopra, su! A meno che non vogliate salutare anche mia madre ora che torna…” ci spronò Quinn, vedendoci troppo prese l’una dall’altra.
Io mi risvegliai leggermente dall’incanto.
“Non ci tengo. Tua madre mi dà i brividi!”
“San, non esagerare! E’ pur sempre la madre di Quinn!” mi ammonì Britt che guardò l’altra con uno sguardo rammaricato. “Perdonala. Noi andiamo di sopra e togliamo il disturbo!”
Mi sentì trascinare verso l’uscita della cucina e Quinn rise per come la prepotente e determinata Lopez fosse tornata ad essere mansueta e silenziosa al semplice contatto con Brittany.
Sembrava che mi rendesse debole, eppure quella fragilità, quell’amore, mi rendeva la donna più potente del mondo.

“Ma non ci metteremo molto, quindi non riprendete da dove avevate interrotto. Capito, Fabray!?” le urlai una volta sulle scale, sapendo di farla sbuffare e ridendone anche senza vederla.
 

Ma Quinn non sbuffava. Era silenziosa, rifletteva.
“Quindi? Questo è quanto? Si sono ritrovate, fine e tutti vissero felici e contenti?” chiese Matt leggermente disorientato ed imbarazzato.
Quinn sorrise.
“No, questa non è una fine.”


La sentì, prima di salire l’ultimo gradino, e raggiunsi sorridente la mia Brittany.
Aveva ragione Quinn.
Questa era stata la parte facile. Avevamo messo da parte orgoglio ed errori e avevamo ricominciato. Ma dovevamo superare altre mille difficoltà, pensare al bene l’una dell’altra, crescere.
Impossibile credere che da quel momento in poi non avremmo trovato ostacoli sul nostro cammino, ma poterlo definire nostro era già qualcosa.
Ero determinata a superare ogni scoglio con lei, fin quando mi avesse voluto.
E no, non era una fine; era il nostro inizio insieme.

Guardavo al futuro adesso e c’era lei al mio fianco, sempre, ne ero certa.
Guardavo al prossimo Natale, alla prossima vigilia e a tutte quelle a venire, che con un po’ di speranza, fiducia e sicuramente tanto amore avremmo passato insieme.
Una vita scandita dal Natale.
Una vita scandita da lei.



Piccola nota:

Vorrei scusarmi veramente tanto con chi ha seguito fino alla fine questa mia storia per l'attesa immensa di quest'ultimo capitolo.
Per fortuna o purtroppo, citando Gaber, la vita è piena di impegni e mi sembrava di non trovare mai tempo, spazio e ispirazione per questa fine, forse perché credevo che scrivendola dovessi mettere far finire troppe cose.
Invece, come hanno capito Santana e Quinn, mi sono resa conto che non mettevo fine a niente, se non ad una bella (si spera) storia che potrà continuare nella vostra immaginazione.
Sì, il finale è abbastanza aperto, ma, almeno nelle storie di fantasia, perché non godersi il lieto fine?

Insomma, spero vi sia piaciuta tutta, anche questo capitolo per cui ho sudato tanto.
Tanta attesa e poi l'ho scritto in due giorni... lo so, l'idiozia.
Fatemi sapere ancora una volta cosa ve n'è parso e, chissà, magari mi beccherete in una prossima storia.
Grazie mille a tutti!

_CodA_



  
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