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Autore: Trick    26/03/2013    18 recensioni
«Ahi» si lamentò appena Remus. «Screanzata».
«Idiota» ribatté svelta. «Bevi il tè, fai le parole crociate sul giornale e porti la cravatta. Sei un Lupo Mannaro di serie B, rassegnati: Judy Garland nella terra di Oz era più spaventosa di te. È ovvio che io mi stupisca di scoprire che sei andato a letto con una Vampira».
«E scurrile. Screanzata e scurrile».

Pre-Remus/Tonks da infilarsi nel Natale del 1995 - quello fortunato in cui Arthur viene quasi mangiato da Nagini, in pratica.
Prima classificata al contest "The Canon Lovers" indetto da @orny@.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Note dell'Autrice: Che questa volta non ha niente da dire. Signori e signori, sì, capita anche ai migliori.
  1. Durante la seconda visita di Harry al San Mungo, ad accompagnare lui e gli altri ragazzi sono Moody e Remus. Tonks è assente. Mi sono presa una piccola licenza narrativa e ho cambiato questo particolare.
  2. Ci sono numerosi riferimenti alla cultura Babbana. Tonks, dopotutto, è figlia di un NatoBabbano e J.K. Rowling ha affermato che Remus è un Mezzosangue.
  3. Partecipa al contest The Canon Lovers indetto da ornylumi.


*
Bicchieri di carta e bottiglie di vetro

«Ehilà».
Remus sollevò gli occhi dalla punta delle proprie scarpe. Tonks era appoggiata allo stipite della porta della stanza di Arthur con le braccia incrociate e un cipiglio vagamente preoccupato. Le sue labbra sottili si arricciarono in un sorriso consolatorio.
«Cos'è successo?».
Lui distolse lo sguardo e iniziò a scrutare distratto le pareti di quercia del Reparto Dai “Pernicioso” Llewellyn. La luce soffusa di quel posto e l'esubero di ritratti appesi lo aveva sempre infastidito – o forse era solo il San Mungo, forse era tutta una convinzione dovuta alle decine di volte in cui suo padre ce lo aveva portato in braccio, sanguinolento o privo di conoscenza, e l'unico aiuto che aveva ricevuto era stato: “Signor Lupin, suo figlio è un Lupo Mannaro. Qui non possiamo curarlo”.
«Nulla».
«Sai che succede quando qualcuno si ostina a tenersi tutto dentro? Esplode. Bum!». Il suo urlo attirò l'attenzione di un Guaritore dalla faccia cavallina che rivolse loro una torva occhiataccia. «Signori e signore, affrettatevi ad assistere a Remus Lupin, l'uomo d'artificio. Bum! Bum!».
Remus cercò di sorridere, ma tutto ciò che ottenne fu una smorfia cupa. Sul suo volto era calata un'ombra altrettanto penosa. Tonks si agitò esasperata, gli piantò le unghie nel avambraccio e lo scosse con veemenza.
«Ehi, non fare quella faccia o ti prendo a calci».
«Buon Dio, e quale faccia starei facendo?».
«La faccia da “ehilà, sono un famelico Lupo Mannaro e sto digerendo un bambino di nome Chuck Banks”.
Remus aprì la bocca per replicare al suo sfrontato umorismo, ma poi si immobilizzò con aria assente e la fissò in silenzio. Il suono roco che risalì la sua gola si trasformò rapido in un'irrefrenabile risatina. Si coprì il volto con una mano e si appoggiò alla parete, mentre Tonks lo scrutava confusa.
«Chuck... Chuck Banks?» le chiese divertito. «Che razza di nome è Chuck Banks?».
Comprendendo il motivo di quell'inaspettata ilarità, Tonks scoppiò in una risata cristallina talmente fragorosa da far sobbalzare il Guaritore. Quello si volse con un grugno arcigno e sollevò un dito con aria minacciosa.
«Questo è un reperto di malati» intimò seriamente loro. «Abbiate rispetto».
«Siamo costernati. Ci perdoni» si scusò con tono contrito Remus, ma sfoggiava un sogghigno malandrino per nulla credibile. «Ce ne andiamo immediatamente».
Appoggiò la mano sulla schiena di Tonks e la sospinse con delicatezza lontano dal reparto Llewellyn, con gli occhiacci del Guaritore puntati addosso. La gente rivolgeva loro sguardi perplessi, così affrettarono il passo.
«Tu sapevi che c'era gente malata, qui?» commentò vivacemente Tonks. «Accidenti, io ero venuta per vedere gli Unicorni».
Remus scoppiò nuovamente a ridere.
«Sei incorreggibile».
«Io? Eh, no. Qua c'è gente malata. Checché possa dire il dottor Frankenstein là dietro, la gente malata ha bisogno di ridere. Ha capito, signora?» apostrofò a una strega depressa con una mano incastrata in una grossa teiera. «Rida della sua sventura, suvvia. Se a mangiarle un braccio fosse stato... non saprei, diciamo una scarpiera? Ecco, in quel caso capirei la sua espressione funerea. Al Quartier Generale degli Auror stiamo diventando matti per arrestare tutte le scarpiere cannibali ancora in circolazione».
Le sopracciglia della donna schizzarono verso l'alto. Assunse improvvisamente un'aria piuttosto intimorita. Remus si morse il labbro inferiore per non ridere ancora, afferrò Tonks per le spalle e la sospinse con più decisione verso l'ingresso.
«Non riescono a far svanire gli effetti dell'Incanto Confundus» spiegò accorato, enfatizzando le proprie parole con un eloquente gesto dell'indice sulla tempia. «Sarà mia premura accertarmi che venga internata a vita, non si preoccupi».
Le loro risate non si placarono fin quando non furono usciti dall'ospedale. Tonks si accasciò sul marciapiede accanto alla vetrina di Purge & Dowse e affondò le mani nei capelli.
«Oh, Tosca... ma l'hai vista? Una teiera! Si è fatta mangiare la mano da una teiera!».
«Non è educato ridere delle disgrazie altrui».
«Ma quella si è fatta mangiare la mano dalla teiera!».
Remus inarcò un sopracciglio con un sorrisetto scaltro.
«Beh, tu continui a inciampare imperterrita nel portaombrelli di Grimmauld Place. Dovresti iniziare a valutare la possibilità che un giorno possa azzannarti una gamba».
Tonks si finse risentita e gli sferrò un calcio al polpaccio destro. Remus si lasciò sfuggire un'esclamazione sorpresa e rise di nuovo. Poi si sedette accanto a lei, intrecciò fra loro le dita ed entrambi rimasero in silenzio per qualche secondo.
«Ti va un caffè?» propose d'un tratto Tonks. «C'è un chiosco ambulante proprio dall'altra parte della strada».
«Volentieri».
Il proprietario era un grosso omone con due possenti baffi neri e la pelle scura. Indossava una sformata t-shirt unta, ma a giudicare dall'espressione estasiata che comparve sul volto di Tonks, la stampa era il simbolo di una band musicale di suo gradimento.
«Ascolta i Judas Priest!» declamò con un sorriso smagliante. «Porca miseria, Remus, il signore che ci fa i caffè ascolta i Judas Priest! Signore del caffè, le hanno mai detto che ha un sacco di buon gusto?».
L'uomo sbatté le palpebre un paio di volte, poi si diede una forte manata sulla pancia e scoppiò in un grassa risata.
«È una vecchia maglietta di mio figlio».
Tonks parve un poco delusa, ma non abbastanza da perdere la voglia di chiacchierare a ruota libera. Schioccò le dita a mezz'aria e gli fece l'occhiolino.
«Il padre di un figlio così mitico da ascoltare i Judas Priest deve comunque avere un sacco di buon gusto. Scommetto che a casa ha almeno un paio di calzettoni dei Rolling Stones. E una bella borraccia piena di lustrini dei Kiss, magari».
Incapace di soffocare il centesimo risolino della mattinata, Remus si massaggiò le palpebre e indicò un gigantesco thermos.
«Ce ne servirebbe gentilmente due? E se non è chiedere troppo, potrebbe aggiungere un goccio di latte in uno di loro?».
«Tu prendi il caffè con il latte?» domandò stupefatta Tonks. «E da quando?».
«È il tuo, quello con il latte».
«Oh... ma tu lo hai ordinato».
«Sì...» rispose piano Remus. «Perché tu lo prendi sempre con il latte».
«Come lo sai?».
Le mostrò i palmi con aria incredula.
«Facciamo colazione insieme da almeno sei mesi».
«Giusto» disse semplicemente Tonks, scuotendo pensierosa il capo. «Cavolo, Remus, che capacità di osservazione. Io ti ho visto un sacco di volte bere il tè, ma non ricordo cosa tu ci metta dentro».
«Non ci metto dentro niente».
«Ed ecco spiegato perché non ricordassi cosa ci metti dentro» esclamò vittoriosa. Afferrò il bicchiere che l'uomo del chiosco le stava tendendo, infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans e poi fece una smorfia. Guardò Remus di sottecchi e tossicchiò imbarazzata: «Ho solo falci e zellini...».
Remus pagò i caffè tre sterline e le propose di accomodarsi su una panchina rivolta verso Purge & Dowse, in attesa che la signora Weasley e i ragazzi uscissero dal San Mungo. Tonks si sedette sul bordo dello schienale e iniziò a picchiettare i grossi anfibi neri l'uno con l'altro. Remus la guardò di sottecchi e portò il bicchiere di carta alle labbra per nascondere un sogghigno inopportuno.
Quel giorno i suoi capelli erano di un comunissimo castano scuro, ma indossava un paio di jeans stracciati sulle ginocchia (aveva perfino le calze spaiate) e un paio di scarponi di pelle di drago; lui aveva dovuto rattoppare i gomiti del vecchio completo da uomo appartenuto a suo padre. Gli orli dei polsini erano ormai del tutto sfilacciati. Dovevano apparire davvero una buffa fotografia: due emisferi completamente diversi che bevevano caffè nei bicchieri di carta.
«Chi è Chuck Banks?» le chiese con istintiva curiosità.
Colta alla sprovvista, Tonks rischiò di soffocare con il caffè. Le sue gote si tinsero di un acceso rossore che fece apparire ancora più chiara la sua carnagione.
«Nessuno» negò con troppa rapidità.
Remus sogghignò.
«Davvero?».
«Giuro».
«Come non crederti?».
«Lo giuro sui Judas Priest».
«Sei una tremenda bugiarda» la derise.
Tonks si mordicchiò l'interno della guancia. Il tono della sua voce ricordava quello di una rea confessa per omicidio.
«Era un ragazzo di Corvonero. Un abissale idiota di Corvonero. Siamo... usciti insieme per qualche tempo dopo i M.A.G.O.».
«“Usciti insieme” è un resoconto letterale o è solo un tentativo di nascondere il fatto di essere stata fidanzata con un – perdona la testuale citazione – abissale idiota di Corvonero?».
Tonks strinse le labbra, chinò il capo e ridacchiò appena.
«Va' al diavolo, Remus».
«“Tonks e Banks”» continuò lui imperterrito. «Sembra il nome di un discount di articoli da pesca».
Lei gli colpì la spalla con un pugno leggero, ma sembrava particolarmente divertita.
«Senti chi parla. Scommetto che nascondi un sacco di relazioni sentimentali finite nel cesso».
«Cose te lo fa credere?».
«Non so...» si finse pensierosa. «Forse una storia che ho sentito su una tizia di nome Lavinia».
Remus trasalì come se lei avesse brandito una frusta incendiata contro di lui. La scrutò sconcertato, scuotendo impercettibilmente il capo. Poi sul suo volto comparve una luce di comprensione.
«Te l'ha detto Sirius».
Tonks sghignazzò sotto i baffi.
«Per cortesia, ricordarmi di ucciderlo» aggiunse tetro. «Quanti particolari imbarazzanti ha infilato in mezzo a questa penosa storia del mio passato?».
«Centinaia, Remus, centinaia...».
«Gli sono grato di averne omesso qualcuno».
Lei lo studiò con profondo interesse e appoggiò il mento al palmo della mano.
«A giudicare dalle smorfie che stai facendo, questa Lavinia era peggiore di Chuck “Ravanello” Banks».
«Primo: Lavinia è stata l'equivalente femminile della decima piaga d'Egitto, del disastro di Sodoma e Gomorra e dell'Apocalisse. Contemporaneamente». Tonks ridacchiò e lui proseguì: «Secondo: non ho la minima intenzione di dirti oltre, perché preferisco conservare quel poco di dignità che quell'esperienza mi ha lasciato. E terzo: non desidero in alcun modo sapere cosa mai possa aver portato il simpatico Chuck Banks a meritarsi l'appellativo di “Ravanello”».
«Non è vero, stai morendo dalla voglia di scoprirlo».
«Nemmeno per sogno».
«E invece sì» lo stuzzicò Tonks. «Te lo dico solo se tu mi dici che fine ha fatto Lavinia».
Remus inarcò un sopracciglio.
«Sirius non te l'ha detto?».
«No» si lamentò lei. «Molly lo ha interrotto perché in cucina c'era anche Ginny».
«Ginny era...?» pigolò sconfortato, passandosi una mano sul volto. «Questo lo aggiungerò all'infinita lista dei buoni motivi per cui Sirius Black dovrebbe rimanere fuori dalla mia vita: “Si diverte a raccontare le mie umiliazioni sentimentali in presenza di un'ex-studentessa”».
«E di Molly. Non puoi immaginare quanto fossero divertenti le sue facce. “Per la gorgiera di Merlino, Sirius! Non posso credere che il caro Remus abbia fatto una cosa del genere!”. La tua buona reputazione è perduta per sempre, Remus, mi spiace».
«Sono cresciuto con Sirius Black e James Potter: l'unica reputazione che mi hanno lasciato è una reputazione cattiva, fidati».
«È a causa della tua mancata buona reputazione che ti sei infilato in relazioni autodistruttive con donne dai nomi discutibili?».
Remus sorseggiò lentamente dal proprio bicchiere e osservò con fare distratto l'andirivieni di gente che attraversava la strada. Un allampanato mago con un paio di scarponi da sci e uno scolapasta in testa si affrettò a svanire oltre la vetrina magica.
«Lavinia non era autodistruttiva» commentò vago. «Era solo un po'... complicata».
«Sirius ha detto che era una Vampira».
«Questo, in effetti, era ciò che la rendeva complicata».
Tonks lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca dischiusa in una muta esclamazione di sorpresa.
«Credevo fosse uno scherzo di Sirius».
«Ah... no, temo non lo sia».
«Sei andato...?» biascicò confusa. Poi iniziò a ridacchiare. «Porca miseria! Sei stato davvero con una Vampira!?».
«Devo confessarti una cosa, Ninfadora, ma devi giurarmi che manterrai il segreto» replicò lui, nascondendo un sogghigno divertito fra le dita. Le fece cenno di chinarsi e avvicinò la bocca al suo orecchio. «Io sono un Lupo Mannaro».
Lei si morse le labbra nel tentativo di soffocare una risata, si rialzò e gli sferrò un pugno un po' più forte del precedente.
«Ahi» si lamentò appena Remus. «Screanzata».
«Idiota» ribatté svelta. «Bevi il tè, fai le parole crociate sul giornale e porti la cravatta. Sei un Lupo Mannaro di serie B, rassegnati: Judy Garland nella terra di Oz era più spaventosa di te. È ovvio che io mi stupisca di scoprire che sei andato a letto con una Vampira».
«E scurrile. Screanzata e scurrile».
Tonks inclinò pensierosa il capo e iniziò a picchiettare i polpastrelli sul bicchiere di carta. Remus scorse una luce pericolosamente maliziosa nei suoi occhi scuri.
«Ehi, cosa si prova ad andare a letto con un Vampiro?».
Lui si coprì il volto con una mano e sbuffò esasperato.
«Questa conversazione sta degenerando. Non ho intenzione di parteciparvi oltre».
«Ma sono curiosa».
«Posso ben capirti, ma non parlerò delle mie...» roteò una mano a mezz'aria alla ricerca delle parole più adatte.
«Delle tue perverse storie di sesso? Che peccato, non vedevo l'ora di scoprire come funziona fra i Vampiri. Ehi, mordono anche mentre...?».
«Basta».
«E cosa si prova a fare sesso con un Lupo Mannaro?».
Remus iniziava ad avvertire un imbarazzante rossore in volto.
«Ho giurato molti anni fa che non avrei mai risposto a simili quesiti».
Esalò un sospiro di sollievo nel vedere Molly e Moody comparire d'un tratto davanti alla vetrina di Purdge & Dowse in compagnia dei ragazzi. Stava per sollevare un mano per attirare i loro sguardi, quando Tonks portò l'indice e il pollice alle labbra ed emise un fischio acuto che lo fece sobbalzare.
«È una fortuna che Alastor ti abbia rimproverato giusto questa mattina di non attirare troppo l'attenzione».
«Ehi, ho i capelli marroni» tagliò corto lei con aria disgustata. «Non esageriamo con la vigilanza costante».
Saltò giù dallo schienale della panchina con un guizzo agile, ma appoggiò male il piede sinistro. Con uno slancio altrettanto repentino, Remus la afferrò al volo per un braccio e la tenne stretta qualche secondo.
«Sai, Ninfadora...» mormorò con voce roca nel suo orecchio. «Non sono abituato alle donne che cadono ai miei piedi dopo un solo caffè».
Lei gli piantò il gomito in un fianco.
«Fottiti, professor Lupin» sibilò con un sorriso allegro. «Il mio nome è Tonks».
Furono entrambi molto lieti di scoprire che i tentativi di Arthur e del giovane Guaritore Tirocinante Pye di sfruttare la medicina Babbana non avevano causato problemi insanabili al tremendo morso di Nagini. Nonostante ciò, Molly era ancora furibonda con il marito e nessuno fu in grado di placarne lo spirito battagliero fino a quando l'automobile guidata da Mundungus non si fermò davanti al numero dodici di Grimmauld Place.
I ragazzi si dileguarono nelle loro stanze e Remus e Tonks seguirono Molly nella cucina. Di Sirius si riuscivano a vedere solo le mani che stringevano la Gazzetta del Profeta e i piedi appoggiati sulla tavola.
«Sirius! Giù!» lo ammonì Molly con piglio deciso.
Mentre Remus e Tonks gli si sedevano accanto, lui abbassò appena il giornale e sfoggiò un sorrisetto sfrontato.
«Bau bau» scherzò, ma si mise comunque a sedere in una posizione più composta. «Come sta Arthur?».
«Non abbastanza bene da poterlo strangolare» replicò secca lei, appoggiando la borsetta al tavolo. «Bill è ancora qui?».
«Ti aspettava. Credo sia in soggiorno insieme alle planimetrie del Ministero. Parola mia, Molly, quel ragazzo si sta innamorando di quelle cartacce. Sospetto che ci nasconda in mezzo riviste pornografiche».
La donna gli lanciò un'occhiata incendiaria, ma c'era un blando sorriso sul suo volto paffuto. Quando se ne fu andata, Sirius abbandonò la Gazzetta del Profeta, intrecciò le braccia dietro la testa e guardò il proprio amico con aria interrogativa.
«Che ha combinato Arthur? Si è fatto sfilare gli intestini per farsi una corda da saltare Babbana?».
«Ha cercato di farsi ricucire».
«Ricucire?» ripeté Sirius con la fronte aggrottata. Poi guardò Tonks. «Ricucire... con cosa?».
«Punti di sutura» spiegò tetramente lei. «È un espediente Babbano per risanare le ferite più gravi: ti staccano la carne da una chiappa, la stendono su un pezzo di legno, la allungano con un mattarello e poi ti fanno un adorabile berrettino. Il pon pon è fatto di peli umani. A volte ti fanno scegliere da quale parte del tuo corpo preferisci vengano presi» si interruppe per grattarsi distratta la nuca. «Avevo un zio di nome Abraham che si fece fare una bombetta di soli peli ascellari. Non puoi immaginare quanto gli costasse mantenerlo a deodorante».
Sirius assottigliò gli occhi e si voltò nuovamente verso Remus, che ridacchiava sotto i baffi.
«Qualcuno gradisce del tè?» propose vago.
«Aggiungici un vassoio di biscottini appena sfornati e sarai declassato a Lupo Mannaro di serie C» ridacchiò Tonks.
«Declassato a serie C? E quando mai Remus è stato un Lupo Mannaro di serie B?» rincarò Sirius. «Oggi mi sento caritatevole: lo propongo per la serie D».
«Credi abbia mai azzannato le gambe di qualcuno?».
«Sì, quelle del tavolo della Stamberga Strillante».
«Niente particolari sanguinosi, niente storie truculente...» elencò lei. «Porca miseria, Remus. Sei veramente noioso».
Sbuffando sonoramente, Remus accese la fiamma sotto il bollitore e fissò entrambi con le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
«Se siete tanto interessati all'argomento, vi suggerisco di attendere un paio di settimane: sarò lieto di mostrarvi la dinamica di un Lupo Mannaro che sbrana due sciocchi pettegoli».
«E usa vocaboli come “lieto” e “dinamica”» riprese Sirius con foga crescente. Scosse la testa e rivolse a Remus uno sguardo deluso. «Ma quale Creatura Oscura è mai questa?».
«È non è tutto» gli fece eco Tonks. «Ci ha chiamato “sciocchi pettegoli”. Altroché zanne, di questo passo lo vedremo scendere a colazione con un cappellino floreale, una sottogonna di pizzo e uno stupido Yorkshire in braccio».
Sirius scoppiò in una rimbombante risata.
«Diavolo, te lo immagini!? “Felice mattinata a voi tutti, cari amici miei”» disse, arrangiando una ridicola voce in falsetto e fingendo di salutare un pubblico invisibile come una nobildonna d'altri tempi. «“Non riuscirete mai a credere cos'ho potuto fare quest'oggi al punto croce”».
«“Oh, caro, questa tua nuova acconciatura alla coda a ciuffo è sublime”». Tonks rideva così tanto che i capelli avevano preso a cambiare colore da soli. Ora erano di un vivace arancione. «“Ti slancia come una principessa!”».
Remus benedisse l'improvviso bussare alla porta che interruppe il loro demenziale teatrino. Harry si affacciò sull'uscio e li scrutò con leggero imbarazzo.
«Disturbo?».
«Non dirlo nemmeno per scherzo» lo rassicurò con un sorriso incoraggiante Remus, mentre spostava il bollitore dalla fiamma. «Si stavano solo divertendo alle mie spalle».
«Alle sue spalle?» ripeté perplesso il ragazzo.
«Beh, Harry, hai mai sentito di un Lupo Mannaro che beve tè e porta la cravatta?» puntualizzò sfacciato Sirius.
Sul viso di Harry comparve un'espressione insolitamente malandrina. Si grattò pensieroso il mento e rispose divertito:
«Beh, Sirius, c'è il professor Lupin che sta facendo il tè nella tua cucina. Fra l'altro, professore: bella cravatta».
Tonks scoppiò a ridere con un ululato dirompente e affondò la testa fra le braccia incrociate. Remus, altrettanto divertito, fu costretto ad appoggiare il bollitore per evitare di rovesciarlo. Sirius sghignazzava con affetto verso Harry.
«Sei proprio il degno figlio di Prongs, non c'è che dire».
«Di Prongs?» s'intromise dubbioso Remus, mentre afferrava un paio di tazze dalla mensola. «Temo di dover dissentire. Metterti a tacere con sagacia lo rende il degno figlio di Lily. Gradisci del tè, Harry?».
Il giovane sorrise appena, infilò nella meni nelle tasche e fece un cenno di diniego con la testa.
«Speravo di poter parlare con te, veramente» disse a Sirius. Parve d'un tratto molto a disagio. «Ecco... soli».
L'atmosfera allegra e frizzante della cucina si fece tesa. Sirius e Remus si scambiarono un'occhiata preoccupata. Tonks schioccò la lingua con aria battagliera.
«Ehi, Harry, non ci saranno mica ancora problemi con il Ministero? Quelli lasciali a me: mi piace prendere a calci nel sedere le autorità».
«Oh... no. Non è il Ministero».
Sirius si alzò in piedi e gli fece un rapido occhiolino.
«È ora dello spuntino di metà pomeriggio di Fierobecco, ti va di accompagnarmi?».
«Benissimo».
«Problemi di ragazze, eh?».
Harry arrossì fino alle orecchie come una barbabietola. Remus alzò la testa dalla tazza di tè sulla quale stava soffiando e disse:
«Buon Dio, Harry, so che Sirius è il tuo padrino, ma ti suggerisco di non ascoltare i suoi consigli per quanto concerne la sfera femminile. Fidati. Potresti pentirtene per tutta la vita».
«È colpa di Sirius se sei finito con una Vampira di nome Lavinia?» domandò con candore disarmante Tonks.
«Ehi, ehi, ehi» ribatté Sirius. «Diamo a Merlino quel che è di Merlino: nel mortale casino che passerà ai posteri come “la peggiore idea di sempre” quel genio ci si è infilato da solo. Io, e sottolineo io, fui il disgraziato che lo tirò fuori dai guai prima che quella folle lo dissanguasse. Se c'è una persona in questa stanza che non dovrebbe permettersi di dare consigli sulle donne, quella persona risponde al nome di Remus».
«C-cosa?» balbettò titubante Harry.
«Puoi giurarci, Harry, quell'uomo è una calamita per disastri amorosi. Devo forse ricordarti di Eloise?».
«Oh, e chi era Eloise?» chiese con morbosa curiosità Tonks. «Una Gnoma? Una Sirena? Una teiera?».
Remus sorseggiò placido un sorso di tè.
«Tralasciando il dettaglio che si chiamava Elmira, e non Eloise, vorrei ricordarti che è stato un tuo disastro amoroso. Non mio».
Sirius aprì la bocca per dire qualcosa, ma si interruppe. Si passò una mano sul mento e rimase con lo sguardo perso nel vuoto qualche secondo.
«Accidenti» commentò poi. «È vero. Usciva con me, non con te. Beh, aveva buon gusto».
Sirius sospinse Harry fuori dalla cucina e si richiuse la porta alla spalle. Remus afferrò la Gazzetta del Profeta e ne lesse distrattamente la prima pagina.
«Non mi hai ancora raccontato di Lavinia».
Le labbra dell'uomo si arricciarono attorno al bordo della tazza.
«E non lo farò».
«Vorrà dire che stasera ti porterò a bere qualcosa, ti farò ubriacare in modo subdolo e impietoso e ti strapperò ogni più sordido dettaglio».
«Sono onorato dall'offerta, ma temo di dover rifiutare».
«Per favore?».
Remus la guardò. Con quei capelli arancioni sembrava una lampadina, ma aveva la stessa espressione supplichevole di una bimba davanti a una vetrina di giocattoli. A modo suo, era innegabilmente adorabile.
«Oh, dai, Remus...» continuò con veemenza. «Stasera sono a cena dai miei genitori e questo significa che uscirò a pezzi da qualunque argomento verrà tirato in ballo da mia madre. Avrò bisogno di ridere, capisci?».
«Avrai bisogno di ridere delle mie disgrazie?».
«Oh, sì... sarò in lacrime».
Lui sospirò. L'idea di trascorrere la serata in compagnia di Tonks era allettante. Lei era una carica di dinamite piena di vivace umorismo e doveva ammettere di non aver mai riso nei precedenti quindici anni quanto negli ultimi sei mesi trascorsi in sua compagnia. Sapeva vedere il lato divertente anche negli aspetti più tetri e la sua risata era dirompente e coinvolgente. Tutto, in lei, era dirompente e coinvolgente.
«D'accordo» acconsentì d'impulso. «Ma non sarà facile per te convincermi a parlare di Lavinia e dei suoi canini».
Aveva la sensazione di aver appena commesso un tremendo errore, ma non riusciva a rendersi conto di quanto grosso fosse.

*

«E così...».
Remus alzò lo sguardo dalle pagine di una vecchia copia tascabile di Delitto e castigo e scrutò Sirius con un sopracciglio inarcato. Il rampollo della nobile casa dei Black era stravaccato su una delle poltroncine dell'elegante salotto, con le gambe accavallate l'una sull'altra e un calice raffinato pieno di vino elfico in mano. Sorrideva vago, ma Remus conosceva fin troppo bene quell'espressione ingannevole.
«Cosa c'è?».
«Niente» replicò in fretta lui. «C'è qualcosa in particolare di cui dovrei voler parlare stasera? Non saprei... i Cannoni sono riusciti a vincere una partita? Il Ministero Caramell è stato finalmente divorato dalla sua orrenda bombetta? Nemmeno, eh?». Fece un drammatico sospiro. «No, temo proprio di non aver niente da dire. Già... a meno che tu non abbia qualcosa da dire».
«Non ho niente da dire».
Sirius emise un verso che poteva voler dire solo una cosa: “va' a quel paese”. Remus lo ignorò e tornò a immergersi nella lettura.
«Oh, andiamo, Moony... parla con me».
«No».
«Gli anni trascorsi a bighellonare senza meta ti hanno reso un dannato bastardo».
«Probabilmente».
«Il fatto che tu non voglia confidarti con me mi rattrista molto».
«Me ne farò una ragione».
«Sei diventato mortalmente noioso».
«Me lo ripeti da anni».
«Non è vero» lo corresse Sirius. «Io ho sempre detto che eri “terribilmente noioso”. Ora ti sei evoluto al livello superiore: quello “mortale”».
Con un lungo sospiro rassegnato, Remus richiuse il libro e gli fece cenno di dire qualsiasi cosa volesse dire. Gli anni avevano logorato con durezza i ragazzi che erano stati un tempo, ma c'erano caratteristiche di entrambi che non avrebbero mai potuto scomparire. E Remus sapeva per esperienza che l'unico modo di vedere Sirius muto era che diventasse narcolettico e si addormentasse di colpo nel soggiorno.
«E così...».
«Hai già ottenuto la mia attenzione per sfinimento, non c'è bisogno di ricominciare dall'inizio».
«E così esci con Tonks, stasera».
Remus rimase impassibile. Se l'era aspettato – non avrebbe potuto aspettarsi diversamente. Non credeva tuttavia di potersi sentire ancora a disagio in compagnia delle mordaci allusioni di Sirius. Non avevano più sedici anni, eppure l'amico sembrava aver conservato l'abilità di metterlo immancabilmente nel sacco. Era sempre stato così, fra loro due: Sirius proponeva una follia, Remus cercava di convincerlo a desistere e alla fine era lui, quello responsabile e maturo del gruppo, il primo che metteva in atto i loro piani malandrini.
«Qualunque cosa tu stia pensando, Padfoot, è la cosa sbagliata».
«Come fai a sapere a cosa sto pensando?».
Remus gli rivolse un'occhiata eloquente.
«Oh, va bene, hai ragione» riprese Sirius. «Ma non è sbagliata».
«Certo che lo è».
«Bugiardo. Lei ti piace».
«Era questo, ciò a cui stavi pensando?» replicò Remus con teatrale stupore. «Davvero? Credevo fossimo in procinto di disquisire sulle controversie dell'Inquisizione spagnola del XV secolo».
«Quella risparmiala nel caso dovessi restare senza argomenti umani di cui parlare al tuo appuntamento con Tonks».
«Non è un appuntamento».
«La stai aspettando» commentò con tono inequivocabile Sirius, scolando di colpo il contenuto nel bicchiere e allungandosi verso il tavolino per afferrare la bottiglia.
«Certo che la sto aspettando».
«La stai aspettando perché avete intenzione di uscire».
«O forse perché la tua compagnia è seccante».
Sirius scoppiò in una risata profonda che rimbombò nella stanza come un feroce latrato.
«Vorrei ben vedere: io non ho le tette».
Remus chiuse stancamente gli occhi, ma Sirius incalzò subito:
«Inoltre sei vestito».
«Avrei forse dovuto presentarmi nudo?».
«Avrebbe generato un sacco di argomenti più allegri dell'Inquisizione spagnola» ghignò apertamente. «Quello che intendevo è che... beh, questa volta sei vestito... normale».
Sulla faccia di Remus comparve una smorfia infastidita.
«Normale... certo. Difatti è noto a tutti che sono solito andare in giro vestito come Freddy Mercury nel videoclip di “I want to break free”».
Sirius storse il naso senza capire.
«Di che diavolo stai parlando?».
«Lascia stare».
«Sai che ti odio quando citi dettagli Babbani con il solo intento di sviare la conversazione, vero? Dettagli Babbani che, fra l'altro, non hanno mai funzionato allo scopo» lo informò Sirius. «Tornando al punto principale della questione...».
«C'è un punto principale?».
«Certo che c'è: tu che esci con Tonks. Tu. Con Tonks. L'adorabile, affascinante e divertente Tonks. Tu. E non hai addosso nessun... beh, nessun giacchetto. Niente che possa ricordarle il guardaroba di sua nonna, in pratica. E non vuoi parlarne. Questo non è strano, perché tu non ti sei mai fidato del mio parere, ma se Tonks non ti piacesse sul serio, tu me l'avresti detto. “Ehi, Padfoot, stasera io e Tonks andiamo a bere qualcosa insieme”, e io avrei detto: “Ah, begli amici che mi ritrovo. Vanno a bersi un cuba libre mentre io faccio la muffa insieme ai mutandoni di mia madre”. Invece tu sei stato zitto. Tu nascondi qualcosa. Tu sei molto interessato a Tonks. Tu. Tu. Tu».
L'unico movimento di Remus fu un repentino battito delle ciglia.
«Sembri un telefono staccato».
Sirius spalancò scandalizzato la bocca, ma prima che potesse replicare all'indifferente reazione dell'amico, dal corridoio si levò lo strillo indemoniato della signora Black.
«Aberranti mostri! Luridume! Empie creature senza onore! Come osate infangare la casa dei miei padri!? Mezzosangue, ibridi e traditori!».
«Credo che la tua damigella sia in difficoltà con il portaombrelli».
Remus gli rivolse un'ultima occhiataccia e si diresse verso l'ingresso. La voce di Sirius lo fermò sulla soglia.
«Non fare le solite cavolate, Moony. Una come lei non la troveresti più».
«Un consiglio di cui ti sarei grato, se solo lei mi piacesse».
Sirius alzò drammatico il calice di vino.
«Ridi, ridi... ormai sei fregato. Un brindisi agli sposi».
«Sei un imbecille, Padfoot» lo salutò seccato.
La risata canina di Sirius continuò a risuonargli nelle orecchie perfino dopo essersi richiuso la porta alle spalle. Il ritratto della signora Black continuava a strillare improperi all'indirizzo di Tonks, che aveva afferrato la tenda con entrambe le mani e stava disperatamente cercando di richiuderla.
«Tu, sporca Mezzosangue! Feccia! Meretrice!».
«Meretrice sarà quella puttana di tua sorella!» ribatté con astio la ragazza, strattonando con forza. «E poi vaffanculo, brutta vecchia, sei morta da anni! I morti non urlano!».
Remus si avvicinò a lei e la aiutò a richiudere il rumoroso ritratto dietro la sua tenda. Una volta che il corridoio fu ripiombato nel silenzio, fece un sospiro stanco e disse:
«“Meretrice”... Walburga Black si sta facendo sempre più originale».
«Ieri mi ha chiamato “sediziosa concubina”».
«Può fare di meglio. Io sono un “mefistofelico quadrupede”».
Mentre si avviavano verso l'uscita, Remus si chinò per raddrizzare il pesante portaombrelli. Tonks si grattò imbarazzata la nuca.
«È sempre dove non dovrebbe stare, quell'affare».
«Ci serve per scongiurare l'arrivo dei Mangiamorte».
«Credi che i Mangiamorte ci inciamperebbero sopra?» le domandò interessata.
Remus soffocò una risata.
«Certo. Poi cadrebbero l'uno sull'altro e diventerebbero un grosso sandwich di Mangiamorte».
Tonks ridacchiò mentre superava la soglia. Era una serata gelida e la neve fresca si attaccava alle suole dello loro scarpe. Remus sollevò il bavero del cappotto e infilò le mani nelle tasche.
Lei sembrava particolarmente più graziosa del solito. I capelli rosa cicca spuntavano in ciuffi scarmigliati da un buffo berretto di lana variopinto e aveva rinunciato agli anfibi di pelle di drago per un paio di stretti stivaletti che le fasciavano metà polpaccio.
«Buon Dio, le tue scarpe hanno i tacchi».
Tonks fece una smorfia.
«Ero da mia madre».
«Sei...» iniziò incerto. “Carina” pensò d'istinto. “Incredibilmente carina”. «Stai benissimo».
Nonostante la luce soffusa dei lampioni fosse misera, Remus non poté fare a meno di notare un vago rossore diffondersi sulle sue gote.
«Grazie» mormorò sincera. «Dove preferisci andare?».
«Che ne dici di bere cuba libre?».
«Cosa?» esclamò sconcertata. «Tu vuoi un cuba libre?».
«No, ma sapere che l'ho bevuto irriterebbe notevolmente Sirius. Ad ogni modo, propongo una zona priva di maghi e streghe che potrebbero tentare di ucciderci».
Lei si finse delusa.
«Oh... ma volevo andare a Villa Malfoy a giocare con i pavoni di zio Lucius».
«Temo non si possa fare».
«Che vita ingiusta. Oh, aspetta: mi porti a lanciare uova di Doxy alle finestre della casa di Caramell? Ti prego...».
«Non si può fare nemmeno questo».
«Possiamo infilare dei Fuochi Forsennati nei calderoni di Piton?».
«Questo si può fare».
«Sul serio?».
Remus osservò la sua espressione ingenua e scoppiò a ridere.
«Certo che no». Si passò una mano fra i capelli e aggiunse: «Hai ideato qualche programma per la serata?».
«Sì, ho deciso che voglio un gelato».
Lui rimase per un lunghissimo istante in silenzio, con le palpebre socchiuse e l'aria perplessa.
«È Natale, Tonks».
«Già, quindi prenderò un gelato molto grande perché quest'anno sono stata molto buona».
«Perfetto. Speravo proprio che decidessi di farmi morire assiderato, stasera». Gli tese galantemente il braccio. «Dopotutto, chi non vorrebbe mangiare un freddo gelato in una fredda sera di un freddo inverno?».
«Ho come l'impressione che tu abbia freddo» ridacchiò Tonks. Si aggrappò a lui con una naturalezza sconcertante. «C'è una gelateria un po' più avanti».
S'incamminarono verso Stepney Road senza dire nient'altro. Erano all'aperto solo da pochi minuti, ma Remus iniziava già ad avvertire una spiacevole sensazione di intirizzimento alla punta del naso. Dalla sua bocca si levavano copiose nuvolette di vapore. Il gelo iniziava a entrargli fin dentro il cappotto. Si maledì di non aver voluto indossare un comodo maglione: non ne aveva nemmeno un paio senza toppe e alla fine pareva proprio che il suo raziocino avesse lasciato posto a un poco di amor proprio. La sola camicia che si era messo addosso era la più decente del suo miserevole armadio. Aveva rinunciato anche alla cravatta – e Sirius ne aveva riso fino a star male.
Fu Tonks la prima a parlare.
«Tre, due, uno... battuto!».
Remus la scrutò sconcertato.
«Cosa?».
«Il record del mondo di tempo trascorso fra i convenevoli e il silenzio imbarazzato in cui nessuno sa che cavolo dire».
Lui rise di cuore.
«Ti va di parlare dell'Inquisizione spagnola del XV secolo? È un argomento suggerito da Sirius».
«Neanche sotto tortura» replicò vivacemente Tonks. «Ehi, Sirius ti ha suggerito degli argomenti?».
«Un paio».
«Quali?».
«Stiamo parlando di Sirius Black. Che genere di argomenti supponi possa suggerire?».
«Sperando che l'Inquisizione non sia l'apice del divertimento, direi... tette?».
«Sei una strega perspicace» rispose lui con un sorriso. «Ti dispiace se non ne parliamo?».
«Di tette? Solo se l'alternativa è l'Inquisizione spagnola».
Stepney Road costeggiava un piccolo parco recintato. La neve avvolgeva le panchine e i muriccioli, e una lunga serie di impronte era rimasta impresse sul sentiero. Nonostante il marciapiede all'altro capo della strada fosse ben pulito, Tonks lo trascinò senza indugi sotto le fronde degli alberi. Pochi secondi dopo aveva l'orlo dei pantaloni fradicio, il fianco sinistro caldo a causa della stretta vicinanza della ragazza e una sensazione un po' ottenebrante nello stomaco.
«Ehi, guarda!» esclamò improvvisamente lei. «Un market Babbano. Ti va una birra?».
«Niente gelato?».
Negli occhi di Tonks si accese un bagliore malizioso.
«Se vendono birre al gelato o gelati alla birra, giuro che sposo il titolare».
«Possiamo trovare un pub».
Lei scosse la testa.
«Qua è figo. Ci sono gli alberelli, la neve e un sacco di cose carine».
«Fa freddo».
Tonks si mordicchiò il labbro inferiore e gli fece cenno di avvicinarsi a lei. Appoggiò la bocca al suo orecchio e sussurrò:
«Devo confessarti un segreto, Remus, ma devi giurarmi di non dirlo a nessuno... io sono una strega».
Lo lasciò a ridere da solo nel parco e sfrecciò di corsa verso il piccolo negozio, rischiando di scivolare su un gradino di pietra e restando in piedi per miracolo.
Ridacchiando ancora, Remus sfregò fra loro le mani infreddolite e si guardò attentamente attorno. Certo che non ci fossero Babbani nelle vicinanze, estrasse la bacchetta dalla tasca interna del cappotto e la puntò su un panchina a pochi passi da lui. La neve che la ricopriva iniziò a sciogliersi e formò una grossa pozza bagnata sul terriccio umido. Agitò il polso e fece un incantesimo Riscaldante per un raggio di qualche metro. La sensazione di calore lo colpì piacevolmente alla pancia. Era come ritrovarsi d'un tratto davanti a un camino scoppiettante.
Si sedette in un angolo ad aspettare il ritorno di Tonks.
Lei ti piace” gli aveva detto Sirius. Nessun giro di parole, nessun tentativo di indagare oltre. “Lei ti piace”, aveva detto. Tutto qui. Remus lo aveva negato in tronco, senza concedere a quell'insinuazione la più remota possibilità di attecchire nella tua testa. Sirius era in errore, di questo era certo. Tonks non gli piaceva – non in quel modo, perlomeno. Gli piaceva nello stesso modo in cui lei riusciva a piacere a tutti. Era genuina, era simpatica, era in gamba. Era impossibile non nutrire un debole per lei.
Tonks uscì dal negozio ridendo e salutando a gran voce il commesso con una piccola sporta di plastica trasparente in una mano. Quando fu tornata alla panchina sulla quale lui si era accomodato, non riuscì a contenere l'euforia.
«Indovina che t-shirt meravigliosa aveva il ragazzo del market».
«Judas Priest».
«Sei un mago perspicace» ridacchiò divertita. «Oh... che fantastico calduccio, Remus. Sei un mago perspicace e meravigliosamente accorto».
Si sedette accanto a lui, accavallò le gambe e gli tese una bottiglia di Beck's. Remus non riuscì a nascondere un sogghigno divertito.
«Tuo padre è rimasto molto legato al mondo Babbano, vero?».
«Già» annuì lei. Si accorse solo in quel momento che le bottiglie erano ancora chiuse. «Accidenti, mi sono scordata di farle aprire».
«Ci penso io».
Prese la sua bottiglia, la portò alla bocca e staccò con un morso deciso il tappo di alluminio. Tonks sgranò gli occhi e lo fissò stupefatto mentre ripeteva l'operazione con la propria.
«Ecco qua. Salute».
Il tintinnio del vetro risuonò flebile fra di loro.
«L'hai... stappata con i denti».
Lui ne sorseggiò un primo lungo sorso e sogghignò orgogliosa.
«Mi sono servite un sacco di bottiglie per imparare farlo. E anche un sacco di sbronze, in effetti, ma per ognuna di loro darò la colpa a Sirius Black finché campo».
Sul volto di Tonks era comparsa un'espressione di solenne ammirazione.
«Che figata. Con questo gesto da barbaro torni a essere un Lupo Mannaro di serie B».
Lui scoppiò a ridere e si lasciò scivolare lungo lo schienale di legno.
«A volte mio padre non sembra nemmeno un mago» commentò improvvisamente Tonks. «Sai, lui è un Nato Babbano. Quando gli arrivò la lettera ci mancò poco che a mia nonna partisse un embolo. Non è un gran mago, eh, a dirtela tutta. Se la cava abbastanza bene con le pozioni, ma la grande strega di casa è mia madre. Quando non ci sono io, almeno» aggiunse con un eloquente movimento della bottiglia. «Mio padre non ha mai scordato le sue origini. Non è un caso che lavori con i Babbani, adesso».
«Al Ministero?».
Tonks scoppiò in una vaga risata.
«Channel 4 News. L'ultimo telegiornale rimasto in Gran Bretagna a contrastare la BBC».
«Lavora in una televisione Babbana?» chiese stupito Remus. «Davvero?».
«Davvero. È bravo. È il buffone delle notizie, in pratica. L'unico speaker che riesce a fare battute stupide sulle leggi esattoriali del Parlamento». Tonks fece le spallucce. «E i tuoi? Che fanno? Scommetto che sono tipo due adorabili signori britannici che abitano dalle parti di Bath e hanno un'ordinata casetta piena di librerie».
Remus si umettò le labbra, poi abbassò la testa e sogghignò sotto i baffi.
«Non hai idea di quanto tu sia lontana dalla realtà» le disse. «Mia madre è Babbana. Villaggio di Kinsale, profondo sud dell'Irlanda... un posticino dimenticato da Dio in cui tutti si ricordano di Dio. Vive e litiga ogni giorno con le mie tre zie per motivazioni sostanzialmente inutili, come... il sale nel brodo di pecora. È un cosa molto irlandese».
«Non sembri irlandese».
Remus inarcò un sopracciglio.
«Questo perché non sono irlandese. Ho vissuto a Kinsale giusto il tempo di impazzire durante la pubertà e poi... beh, ho girato un po' qua, un po' là».
«Un po' su e un po' giù...» gli fece il verso lei con allegria. «Sembra una storia fighissima. E tuo padre?».
Lui arrangiò un'improvvisa smorfia sarcastica e si grattò la nuca. Tonks parve intuire di aver toccato un nervo scoperto e si affrettò a scuotere una mano.
«Lascia stare. Parlo tanto, ma so quando tacere. Parliamo dell'Inquisizione spagnola, okay? Scommetto che tu ne sai un sacco, di quella roba noiosa».
«Mio padre lavora all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche» la ignorò Remus, rigirandosi la bottiglia fra le dita. «Sei una ragazza sveglia. Non c'è bisogno che ti dica per quale motivo non andiamo molto d'accordo».
«Mi dispiace» mormorò Tonks con incredibile sincerità. «Ora che ci penso, Remus, tu hai davvero passato una cazzo di vita piena di merda».
Fu incapace di trattenersi e scoppiò in una risata dirompente. Si piegò in avanti e affondò il volto in una mano, incapace di fermarsi. Tonks parve turbata dalla sua inspiegabile reazione.
«Remus, cosa...?».
«“Una cazzo di vita piena di merda”» ripeté lui con le lacrime agli occhi. «Giuro, Tonks, sei straordinaria: erano trent'anni che cercavo le parole giuste per spiegare alla gente che mestiere facessi. Ora posso rispondere loro: “Faccio una cazzo di vita piena di merda”».
Lei rise con lui e lo colpì al braccio.
«Beh, è vero! La tua vita fa schifo! Si può sapere per quale fottuta ragione non sei scappato in una dannata isola caraibica a stordirti di droghe vegetali?».
«In che casa sono stato Smistato a Hogwarts?» fu la sua retorica replica. «Ecco, hai già capito tutto. La Casa degli audaci a cui piace la sofferenza perpetua. Piacere, sono Remus Lupin, e conduco una cazzo di vita piena di merda».
Rise ancora. Era un avvenimento di cui non serbava nemmeno ricordo. Tutta quell'ironia sulla sua situazione, sul suo passato, su tutta la sventura con cui aveva dovuto convivere, su ciò che aveva perduto... era dai tempi di Hogwarts che non riusciva a trasformare quel vuoto nel petto in una risata. Sirius e James trattavano i suoi problemi come uno scherzo spigliato, come un gioco, come un nonnulla di cui andare perfino fieri... e lo convincevano a ridere di ogni plenilunio.
Erano trascorsi quasi vent'anni da quel tempo. E ora era seduto su una panchina di un misero giardinetto di Londra a bere una Beck's con una strega che conosceva da sei mesi e con cui, d'un tratto, credeva di aver condiviso una vita intera. Aveva dimenticato quanto fosse meravigliosa la sensazione di poter essere liberi.
Quando le loro risate si furono finalmente affievolite, si sentiva talmente ebbro di felicità da dire:
«Cercò di azzannarmi la gola».
Colta alla sprovvista, Tonks sputò a terra un po' di birra e sgranò gli occhi.
«Cosa?».
«Lavinia. La Vampira con cui sono stato da ragazzo» spiegò con ovvietà lui. «Avevo diciotto anni e c'erano almeno una cinquantina di Mangiamorte che mi volevano uccidere. Uno si era perfino appostato dietro la mia buchetta delle lettere... un'organizzazione criminale molto originale, se non altro» s'interruppe per lasciarle il tempo di ridacchiare un'altra volta. «E io ero avventato. Incauto. E tragicamente vergine».
La risata di Tonks iniziava a trasformarsi in un irrefrenabile ululato.
«Non ci posso credere!».
«Ti assicuro che Lavinia era adorabile. So che è difficile pensarla in questi termini ora che ti ho detto che ha tentato di dissanguarmi, ma nonostante ciò, era davvero adorabile. E aveva quasi centoquarantasei anni».
«Remus!» esclamò con tono falsamente scandalizzato. «Avrebbe potuto essere la tua bis-bis-nonna!».
«Grazie al cielo non le assomigliava» rispose lui con un sorriso. «E questo drammatico capitolo del mio passato si è concluso quando a lei è venuta sete e c'ero solo io. Nudo. Nel suo letto. Il che significa che sono fuggito così com'ero nel primo posto che mi è venuto in mente».
«Ovvero?».
«Nel soggiorno di James e Lily Potter. Credevo che Sirius sarebbe morto dal ridere sul loro sofà, ma forse in realtà l'ho solo sperato troppo vivamente».
Tonks si strinse ridendo al suo braccio.
«Ehm... Ninfadora?».
«Non chiamarmi Ninfadora, maledetto» si lamentò piccata.
«Va bene. Ma dovrai raccontarmi comunque la storia di Chuck “Ravanello” Banks».
«Non è divertente come la tua» confessò.
«Un patto è un patto».
Lei sollevò un palmo in segno di resa. Aveva le gote arrossate e gli occhi brillanti, e Remus si chiese se le fosse parsa tanto graziosa anche prima, quando l'aveva osservata sotto i lampioni di Grimmauld Place.
«“Ravanello” è un aggettivo...».
«È un sostantivo».
Tonks lo zittì con un'occhiataccia.
«Perdonami. Deformazione professionale».
«Grazie. “Ravanello” è un sostantivo che ho adottato come aggettivo per descrivere... beh, una particolare caratteristica di Chuck Banks». Si umettò le labbra e annuì fra sé, apparentemente fiera della scelta di parole. «In pratica aveva l'uccello a forma di ravanello».
Remus assottigliò le palpebre con una smorfia strana.
«A forma di... ravanello?».
«Sì, era uno spettacolo raccapricciante. Spero per te che tu possa sfoggiare un uccello a forma di zucchina, o di carota, o di qualunque altra cosa possa vagamente ricordare un uccello, porca miseria, perché Chuck Banks ce l'aveva a ravanello. Giuro. Io l'ho visto» aggiunse con espressione di nobile disgusto. «Tu ce l'hai a forma di zucchina o di carota?» domandò con improvvisa spigliatezza.
Remus schioccò la lingua.
«Di carota, naturalmente. Ci sono anche le foglioline sopra».
Si susseguì tutto con straordinaria naturalezza. Continuarono a ridacchiare saltando da un argomento leggero a uno ancora più leggero: discussero su quale fosse il condimento migliore per le patatine fritte, su cosa spingesse la gente a fare cose stupide nel periodo natalizio e su quale fosse il peggior album dei Bee Gees della storia. Risultò che il ketchup era la scelta più succulenta, che la gente era semplicemente stupida e che qualunque album dei Bee Gees sarebbe potuto essere il peggiore album dei Bee Gees.
«Ehi, il market sta chiudendo» commentò d'un tratto Tonks. «Che diavolo di ore sono?».
Remus infilò una mano nel cappotto e lanciò un'occhiata a un vecchio orologio da taschino dall'aria dismessa. Fece una smorfia stupita.
«È già passata la mezzanotte».
«Porca miseria, devo essere al Ministero alla sei o Kingsley mi appenderà come una bandiera al mio cubicolo».
«Saresti una bandierina molto graziosa».
Lei storse le labbra in un mezzo sorriso e si alzò dalla panchina. Remus gettò entrambe le bottiglie vuote in un cestino e s'incamminò al suo fianco verso il marciapiede. Il braccio di Tonks si intrufolò nuovamente sotto al suo. Fino a qualche ora prima, era stato solo il gesto di una ragazza spigliata; ma in quel momento era il gesto di una ragazza con cui aveva bevuto una birra in un parco pieno di neve, con cui aveva riso e le cui dita avevano iniziato a giocherellare distratte sulla sua mano.
Lei ti piace” ripeté Sirius nella sua testa. “E sei fregato”.
«Ehi, siamo già arrivati a Grimmauld Place» disse Tonks. «Abbiamo camminato in fretta. Sei così ansioso di liberarti di me?».
«Ovviamente no» replicò lui con troppa velocità, accorgendosi tardi che la ragazza lo stava prendendo in giro.
Tonks ridacchiò senza aggiungere altro. Si fermarono sul ciglio della strada e attesero che il numero dodici si facesse spazio fra i numeri undici e tredici, gonfiandosi come una grottesca palla di mattoni e sputando fuori finestre e finestrelle.
«Beh...» iniziò Remus. «Grazie per la birra».
«Grazie per avermela aperta».
«Dovere di gentiluomo... e un'insospettabile desiderio di apparire come John Travolta in Grease».
Lei piegò in avanti la testa e scoppiò a ridere. Quando sollevò lo sguardo su di lui, i suoi occhi scintillavano felici.
«Non avrei mai creduto che un professore potesse essere tanto divertente. Temo sia a causa dei tuoi cardigan».
Remus si umettò le labbra e le mostrò rassegnato i palmi.
«Sono comodi e pratici, ma, ahimè, non particolarmente indicati se chi li indossa vuole apparire un poco meno noioso di quanto non sia in realtà».
«Hermione e Ginny dicono che sei stato il loro migliore professore di Difesa Contro le Arti Oscure».
«Questo non significa che non fossi noioso».
Tonks sbuffò con aria esasperata.
«Hermione e Ginny sono due adolescenti! Certo che questo significa che non sei noioso». Osservò il sorriso imbarazzato sul viso dell'uomo e aggiunse: «Vedi? Faccio bene al tuo ego».
«Io possiedo un ego?».
«Sì, solo che lo soffochi perché sei un colossale idiota».
«I tuoi insulti stanno facendo soffrire il mio ego».
Lei sfilò il berretto di lana e si passò una mano fra i capelli. La sua espressione si fece improvvisamente seria.
«E il tuo ego ora ha voglia di parlare di questa mattina?».
Remus fu preso alla sprovvista.
«S-stamattina?».
«Al San Mungo». La sua voce era poco più di un sussurro accorato. «Hai scambiato qualche parola con l'uomo nel letto accanto a Arthur e poi la tua faccia è diventata una faccia da funerale. E non un funerale qualunque, ma il funerale di un gattino, di un coniglietto o di una di quelle bestiole carine che fanno tanta tenerezza alla gente».
Lui sorrise impercettibilmente.
«È stato aggredito da un Lupo Mannaro. Ho creduto potesse... ecco, speravo che potessi essere in grado di...».
«Confortarlo?» terminò Tonks con una punta d'ironia malcelata. «Tu? L'incontrastato leader dell'autocommiserazione? Avresti dovuto chiamare me».
«Mi ha chiesto se era vera la voce che il Ministero concede sussidi e agevolazioni ai Lupi Mannari registrati» riprese lui. «Se è vero che stanno scoprendo una cura, se è vero che la maledizione può essere facilmente controllata, se è vero che potrà avere una vita normale, se è vero che sua moglie ci ripenserà e tornerà da lui... sai, Ninfadora, a volte è meglio mentire».
«Lo hai fatto?».
«Gli ho detto che non c'era niente di vero».
Tonks rimase immobile davanti a lui e fece un respiro profondo. Poi si issò sul primo gradino, si alzò sulle punte dei piedi e appoggiò le proprie labbra alle sue prima che lui potesse impedirglielo. E addirittura prima che se ne rendesse conto, la stava già baciando.
«Forse hai mentito un po' e non te ne sei neanche accorto» mormorò Tonks dopo qualche secondo.
Lui deglutì a stento e per un attimo non ebbe più aria nei polmoni. Aveva una mano ancora appoggiata al suo fianco e uno stormo di cavallette impazzite nello stomaco. “Lei ti piace” si ripeté. “E sei fregato”. Strinse le labbra in una linea serrata e la allontanò gentilmente da sé.
«Non farlo».
«Cosa?».
«Questo» replicò con secca eloquenza. «Salire sul gradino e baciarmi. Non farlo».
Il suo tono imperioso parve ferirla. Intrecciò le braccia al petto e gli scoccò un'occhiata di sfida.
«Ti stai lamentando del mio bacio?».
«No, io non... Ninfadora, ti prego».
«Il mio nome è Tonks» lo corresse stancamente. «E tu stai per fare uno di quei discorsi molto nobili e stupidi sul fatto che dobbiamo lavorare insieme e che non vuoi rischiare di rovinare un'amicizia». Il suo tono aveva perduto del tutto la propria vivacità. «Lo conosco a memoria, quel discorso, quindi non farmelo: rischi davvero di diventare noioso».
«Sono un Lupo Mannaro».
Tonks sgranò comicamente gli occhi.
«Sul serio? Porca miseria, questo cambia ogni cosa. Come ho potuto non accorgermene?». Incrociò l'espressione seria di Remus e sollevò le mani in segno di resa. «Va bene, facciamo finta di niente. Dopotutto non mi pare un problema insormontabile come le scampagnate della creaturina di Tu-Sai-Chi nell'Ufficio Misteri. In fondo, mi hai sono baciato...».
«Io non ti ho baciato» contestò con improvvisa rapidità.
Tonks inarcò dubbiosa un sopracciglio. Sotto il suo sguardo inquisitorio, Remus esalò un sospiro affranto e si passò una mano fra i capelli.
«Non importa» le disse. «Non è comunque un'idea ragionevole».
«Era solo un bacio, Remus. Non mi sto per gettare ai tuoi piedi in un lago di lacrime disperate».
«Scelta della quale ti sono grato, ma... tutto ciò che rischia di seguirlo è sbagliato. Io e te siamo sbagliati». Ci pensò un po' e aggiunse: «Io sono sbagliato, principalmente».
Lei inclinò enigmatica il capo e si grattò distratta la punta del naso.
«Io ti piaccio, eh?» lo canzonò.
«N-non... no».
«Sì, solo che sei un idiota complessato». Si sistemò la sciarpa e gli fece l'occhiolino. «Rasserenati, la mia non era una dichiarazione d'amore. Beh, Remus... che ne dici di salutarci ed evitare altri imbarazzanti silenzi?».
«Con te non è possibile sperare in un imbarazzante silenzio» replicò con un sorriso storto.
Lei sorrise e gli sferrò un colpetto al braccio.
«Starò qui per tre secondi dopo che avrai chiuso la porta» gli disse. «Tre secondi, Remus, non uno di più. Ti suggerisco di pensare in fretta».
Lui fece un respiro profondo.
«Buona notte, Tonks».
Non gli sfuggì il lampo deluso che attraversò il suo sguardo nel sentirlo pronunciare il suo cognome, ma si voltò lo stesso e sprofondò nell'oscurità dell'ingresso del numero dodici di Grimmauld Place. Aveva ancora la mano sulla maniglia di ottone.
Tre secondi, Remus, non uno di più”.
Uno.
Lui chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. La sua risata era trillante come il suono di una campanella. Era qualcosa che strizzava le viscere e ribaltava il suo stomaco, era dirompente e meravigliosa, e aveva la sensazione di avere ancora le sue labbra sulle proprie.
Due.
Lei rideva come ridevano i bambini, rideva un po' per tutto e un po' per niente, ed ogni volta che la sentiva ridere Remus si sentiva sempre un poco più libero di quanto non fosse davvero. E faceva ridere, lei, faceva ridere di mostri e orrori con una sfrontatezza che lui aveva dimenticato di possedere. Era viva e rendeva vivo lui.
Tre.
Appoggiò la fronte alla porta e rimase immobile qualche istante. Poi abbassò la maniglia e sbirciò in strada. Aveva ripreso a nevicare, ma di Tonks non c'era più alcuna traccia. Si trascinò oltre lo stretto corridoio, raggiunse il soggiorno e bussò un paio di volte. Era quasi certo che Sirius fosse in attesa del suo ritorno.
«Entri da solo o vuoi un invito in carta vergata?» gli giunse la voce dell'amico.
Remus entrò nella stanza. Non fu affatto stupito di trovarlo immerso nella lettura dell'edizione di Delitto e castigo. Sirius richiuse il libro e lo guardò. Gli bastò una sola occhiata per commentare:
«Lei ti piace».
«Sì».
«E la cosa ti turba».
«Sì».
«E hai fatto una cazzata».
Remus storse appena le labbra.
«Forse».
«Ci avrei giurato». Gli indicò stancamente la poltrona su cui era solito sedere Remus. «Accomodati, amico mio. Illustrami i tuoi problemi. Non vedevo l'ora di ripetere per tutta la notte quanto tu sia idiota».
Con un ultimo sospiro sfinito, Remus si richiuse la porta alla spalle. Aveva la sensazione di aver appena commesso un tremendo errore, ma non riusciva a rendersi conto di quanto grosso fosse.
Forse hai mentito un po' e non te ne sei nemmeno accorto”.
Forse aveva mentito davvero.
   
 
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