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Autore: Freya Crystal    29/03/2013    2 recensioni
"Ci aveva provato, a volergli bene. Ci aveva provato, a fare un passo verso di lui. Ma si era sempre trovato di fronte ad un catenaccio.
Un catenaccio, sì. Jecht non gli aveva mai permesso di sciogliere il suo cuore paterno. Ai suoi gesti affettuosi, aveva sempre contrapposto freddezza, sarcasmo, continue provocazioni, risa sguaiate."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jecht, Tidus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Se muore, non potrai mai dirgli quanto lo odi!"
Sua madre era la persona più dolce  e accondiscendente che avesse mai conosciuto. Ma quando si parlava di Jecht, cambiava completamente. Come se subisse una metamorfosi. I capelli le ardevano di un fuoco più vivo, accecante. Le pupille dardeggiavano ostinate, riflettendo la convinzione che le animava. Come un torrente di fuoco che non scorre, ma scoppia, riversandosi impaziente su tutto ciò che incontra.
Così appariva Delia, quando Tidus criticava suo padre. E più lei lo difendeva, più Tidus lo odiava.
Jecht.
Il solo nome lo irritava. Troppo breve, difficile da pronunciare, cacofonico. Tidus trovava che gli si addicesse. Riassumeva in poche lettere il carattere irruento e imprevedibile del padre.
Lo odiava.
Lo odiava a tal punto, che se fosse morto, avrebbe potuto dichiararsi libero.
Ci aveva provato, a volergli bene. Ci aveva provato, a fare un passo verso di lui. Ma si era sempre trovato di fronte ad un catenaccio.
Un catenaccio, sì. Jecht non gli aveva mai permesso di sciogliere il suo cuore paterno. Ai suoi gesti affettuosi, aveva sempre contrapposto freddezza, sarcasmo, continue provocazioni, risa sguaiate.
Ed ogni calcio mancato ad uno stupido pallone, per Tidus era stato un tirassegno allo stomaco.
Se pensava al sé bambino, ricordava lacrime, lacrime e lacrime. C'erano delle notti in cui si addormentava piangendo, soffocato dai suoi stessi singhiozzi, sudato e divorato dalla rabbia. Perché Delia, alla fine, dopo ogni lite, lo spediva a letto con un paio di carezze consolatorie.
Tidus odiava Jecht perché Jecht non sapeva fare il padre. Perché quando c'era Jecht, sua madre si dimenticava di lui.
"Meglio!"
Era stato liberatorio, soddisfacente, esclamare quella parola.
Quando Delia gli aveva detto che suo padre avrebbe potuto non fare ritorno, quella era stata la risposta.
Jecht faceva crollare tutto.
Viveva in una sferopiscina, trascurava la sua donna, eppure non appena tornava a casa per qualche oscuro motivo, Delia era pronta ad accoglierlo. Tutto ruotava intorno a lui, dentro e all'infuori della sferopiscina, dentro e all'infuori di quelle mura.
Tidus non avrebbe mai perdonato al padre il ricordo intaccato della madre che gli aveva lasciato. Se pensava al suo volto, un'immagine intrusa vi si sovrapponeva inevitabilmente.
Spalle girate. La schiena della madre, coperta da una camicietta inamidata, le sue mani posate su un braccio coperto di tatuaggi, il volto schermato dai capelli, interamente voltato verso l'uomo che le era di fianco.
Quando c'era Jecht, Tidus perdeva sua madre.
<< Apri la porta... Per favore, apri la porta!... >>
Il singhiozzo soffocato al di là della parete gli bucò il cuore. Ripiegarsi in se stesso avrebbero acuito il dolore. Ma lui non voleva saperne di risponderle.
<< Tidus, per favore... >>
Delia spinse la mangilia e constatò che il figlio non aveva chiuso a chiave. Entrò nella camera e lo vide accucciato in un angolino al buio, le ginocchia raccolte al petto e il viso nascosto dai pugnetti chiusi. Avanzò di qualche passo, accovacciandosi di fronte a lui. Lo abbracciò senza incontrare ostacolo alcuno.
<< Mi dispiace. >>
Tidus avrebbe compreso il significato di quelle parole solo a diciassette anni. Quando ormai non avrebbe potuto rivelarlo.
<< Non abbandonarmi. Ho bisogno di te. >>
In quel momento, il bambino piagnucolone si sentì fondamentale.
Desiderò che il padre non tornasse. Che morisse.
La sensazione di avere il destino di Jecht in pugno tramite quei pensieri lo fece sentire vincente. Si era vendicato del suo demone.
Jecht non doveva tornare. E con lui non sarebbero tornati i mostri gracchianti dei suoi incubi notturni.
Passarono i giorni. I vicini di casa portavano regali e ventate di conforto passeggere a Delia. Le loro parole lottavano inconsapevolmente contro i pensieri del bambino che li fissava astioso. Tidus tentava di esorcizzarle non appena esse prendevano vita.
"Vedrai che lo troveranno."
"Non lo troveranno. E' scomparso e basta."
"Sono sicuro che sta bene."
"Sbagli. E' morto."
" Sento che è vicino a Zanarkand."
"Non è vero. Zanarkand gli ha detto addio. Il mare lo ha inghiottito."
Più quei pensieri si concretizzarono esteriormente col passare dei gioni, più rivelarono la loro inconsistenza all'interno di chi li aveva concepiti.
Dieci giorni dopo la scomparsa di Jecht, Zanarkand sprofondò nel silenzio di un amaro lutto.
Quindici giorni dopo, Tidus prese in mano per la prima volta un pallone di sua spontanea volontà. Gli mancava assistere alle partite di blitzball, diceva.
Bugia. Non gli era mai interessato quello stupido sport.
Si sentiva vuoto. Bloccato nella sua infanzia incolore.
E l'unico modo per colmare quel vuoto, paradossalmente, era tirare calci al pallone. Sua madre recuperava alcuni lembi di vita scucita, quando guardava dalla finestra il figlio immerso nel tentativo di centrare la palla. Respirava attraverso il ricordo di Jecht che il suo bambino le regalava.
Ignaro, Tidus stava intraprendendo la strada di suo padre.
Ignaro, Tidus stava occupando le sue giornate con tutto ciò che aveva a che fare col padre.
Ignaro, Tidus sentiva la mancanza delle sfide alle quali nessuno l'avrebbe più sottoposto.
Jecht lo provocava, lo derideva, lo criticava. Voleva fare emergere il suo carattere.
Lui invece si era sempre lasciato affogare nelle sue stesse lacrime. E aveva sperato che anche il padre anneggasse tra i flutti.
Ci era riuscito.
Complimenti.Questo era l'eroe che avrebbe sempre voluto diventare. L'eroe che avrebbe visto morire sua madre per disperazione.
 
 
<< Che c'è? >>
Tidus fu risucchiato alla realtà, lontano dal vortice dei suoi ricordi, dalla voce di Yuna. L'invocatrice lo fissava con serietà, un misto di apprensione e di quell'immancabile dolcezza che la caratterizzava.
L'Oltremondo era immobile ad ascoltarli, il silenzio interrotto unicamente dai sospiri dei lunioli.
Tidus distolse lo sguardo, e nel farlo incontrò quello dei genitori di Yuna. Vicini nel ricordo di lei, vicini nella morte.
<< Niente. Mi sento uno stupido. >>
 
 
  
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