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Autore: Amy Tennant    29/03/2013    16 recensioni
Un uomo sfortunato non lo sarà del tutto se singolarmente eccezionale.
John Smith sfida il destino per Rose Tyler.
Perché il Dottore mente ed è un bugiardo. Ma non con Rose.
E le ha fatto una solenne promessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10 (human), Donna Noble, Jackie Tyler, Rose Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei anni. Era stato straordinario ma c’era da aspettarselo: lui era il Dottore.
In meno di due anni era riuscito ad allevare il suo TARDIS, capito come fare. In realtà avrebbe dovuto impiegarne dieci ma non faceva che ripetere che aveva fretta di riportarla tra le stelle.
Avevano quindi ripreso a viaggiare, proprio come facevano prima. E sebbene lui considerasse quella la sua casa, dopo qualche tempo aveva compreso il desiderio di Rose di tornare su quella Terra per lunghi periodi, di vivere la vita in modo appena più regolare. Timidamente gli aveva espresso il desiderio di avere una casa comune, simile ad altre e che fosse semplicemente in una via.  
-          Fantastico! Mi piacciono le avventure, soprattutto quelle insieme a te – aveva sorriso davanti al suo timore che non lo accettasse o che fosse deluso da lei.
Ricordava quelle parole del passato: una casa, un mutuo, sempre la stessa vita. Orribile.
Perché doveva esserlo? In fondo gli chiedeva qualcosa che desiderava anche lui. E non sarebbe stata una vita comune; ma una nuova soluzione. Non bisognava rinunciare a nulla.
Lui glielo disse molto chiaramente, perché non avesse dubbi.
-          Umano e Signore del Tempo insieme – aveva pensato Rose. Forse era anche logico che fosse così.
Fu logico anche il fatto che fosse migliore che in passato.
Rose si era innamorata di lui ogni giorno e sempre di più, perché era lui e non un altro;
lui le aveva spiegato nei fatti che era sempre lo stesso ma che ora non temeva di perderla.
Avevano trovato il coraggio di ballare di nuovo insieme, Rose e il Dottore nel TARDIS; Rose e il Dottore ad una festa di capodanno a casa Tyler, in mezzo ad altre persone. Rose e il Dottore.
Che finalmente erano stati come dovevano essere ed avevano fatto l’amore.
 
Erano tornati in posti conosciuti trovandoli diversi, ritrovato ciò che avevano perduto ma in modo nuovo. Correvano insieme per prendere al volo un autobus, proprio come correvano inseguiti da qualche malintenzionato su un altro pianeta qualche giorno dopo. Camminavano per i giardini più incredibili dell’universo, dove lui l’aveva portata a vedere tante varietà di nuove rose del futuro ed insieme per la strada di quartiere, sotto la pioggia e con la spesa, entrambi tremando dello stesso freddo e quindi stringendosi e comprendendosi d’istinto per ogni cosa al di là di quella.
Il Dottore la portava in enormi librerie e alle fiere dell’antiquariato, non solo sulla Terra, ed aveva invaso la casa di oggetti strani e senza senso, come in secoli il suo primo TARDIS. Rose si sforzava di fargli apprezzare i suoi gusti musicali ma invano. Le contrapponeva ragioni compositive che lei non comprendeva.
In realtà non capiva spesso, cosa facesse. O come lo facesse. Ma era il suo bello.
Quando aveva comprato un vecchio pianoforte, aveva riso del suo modo assurdo di accordarlo.
-          Dovrai prendere un diapason, per lo meno… - aveva detto perplessa mentre lo aveva visto rovistare tra le corde con il suo cacciavite sonico. Certo aveva fatto cose più complicate di quella, anche costruire da capo quel suo immancabile strumento, ciò nonostante Rose aveva sempre il dubbio che quel qualcosa non fosse più possibile, per lui. Lui lo sapeva e ogni volta doveva ricordarle con pazienza che non era come pensava.  
-          Rose Tyler, io non ho bisogno di un diapason. Mi basta tenere a mente il “La” della scala temperata…
-          Cosa? Ma… Sei umano, ora…!
-          In parte, umano – aveva ripetuto.
Ed infatti era riuscito a fare come diceva. E poi suonato per sfida ogni cosa che le venisse in mente, a richiesta, per ore. Anche le pessime canzoni che le piacevano tanto.
Era terribile, il Dottore. Con quel sorriso ironico per quasi tutto e il suo modo di guardare le cose con superiorità e meraviglia insieme. Era strano come nei suoi occhi potesse a volte scorgere abissi di fuoco affacciati in mari di solitudine passata ed allo stesso tempo la calma di un cielo stellato visto da terra, senza altre luci attorno.
Rose non si preoccupava delle sue stranezze, del suo sparire improvviso e riapparire giusto in tempo, la maggior parte delle volte. Del suo fermarsi all'improvviso, come per ascoltare qualcosa che nessuno sentiva.
Lui era il Dottore. Esisteva a suo modo da molto tempo ed era meraviglioso. Semplicemente era LUI.
 
Poi si era ammalato.
 
Qualcosa di ironico: il Dottore, in parte umano, aveva un cuore troppo debole. In un certo senso Rose non se n’era meravigliata. Gliene mancava uno, lo diceva sempre. Come se quello che aveva non gli bastasse, come la sua corsa fosse più veloce di quella degli altri sempre.  Lo era stata.
Si era spento una sera, mentre guardava le scintille del fuoco perdersi nella penombra della stanza. L’albero di Natale appena fatto, i biscotti caldi sul tavolo. Il tè pronto. Si era avvicinata a lui, steso sul divano come altre volte e il Dottore l’aveva guardata in modo strano. I suoi occhi scurissimi sembravano tristi. Rose gli aveva dato un bacio e sorriso, scostandogli i capelli dalla fronte. Sembrava così bello in quel momento ma così debole insieme. Aveva avuto un lungo brivido davanti al suo sguardo e lui le aveva preso la mano nella sua stringendola e poi chiuso gli occhi.
Rose l’aveva sentito sospirare piano ma non aveva capito fosse finita così, silenziosamente. Sembrava solo stanco. Lo era. Lo era il suo cuore che si era fermato.
 
Il Dottore mentiva. Era stato un breve “per sempre”.
Non aveva mantenuto la promessa di invecchiare con lei e starle per sempre vicino. Era un bugiardo ed era il Dottore.
Rose sapeva che doveva averlo capito prima di tutti gli altri, che sarebbe stato a quel modo.
 
**
 
Rose era sfiorita di colpo. Appassita dentro. Era morta con lui. Sembrava uno spettro alla ricerca di un altro spettro che però non si manifestava.
Donna non sapeva cosa fare e anche lei sentiva la sua mancanza in modo lacerante. Quando l’aveva conosciuto era stato piuttosto come riconoscerlo.
Lo aveva amato moltissimo ed ora le sembrava di aver perso parte di sé, con la sua morte. Era così, sapeva la storia. Anche se non la riguardava del tutto; anche se a volte lui, quando la abbracciava per incoraggiarla le diceva spesso che era la donna più importante dell’universo.
Non lo era. Non poteva esserlo; ma quando lui la prendeva per mano e glielo ripeteva dolcemente, come per consolarla di qualcosa…
Lei ci credeva. Lei credeva nel Dottore come in nient’altro.
Aveva viaggiato con lui e Rose ed era stato stupendo e terrorizzante insieme. Le era parso perfetto, come dovesse essere così. Tempo dopo lui le aveva raccontato la sua storia e come fossero legati, e Donna l’aveva accettata certo più facilmente di quando, prendendola alla sprovvista, era uscito da una cabina telefonica blu apparsa nel giardino della sua casa e tendendole la mano con un sorriso le aveva proposto di fare un giro come su una macchina. L’aveva incontrato appena qualche giorno prima e pensato fosse irritante e strambo. Irresistibile e pauroso insieme.
Era stato il fratello che non aveva avuto. Un amore perduto, sebbene in senso diverso che per Rose.
E proprio Rose era quello che le restava di lui.
Desiderava restarle vicino. E Rose la cercava, cercava da lei e dentro lei qualcosa che trovava e che la teneva appena un po’ più quieta a volte, quando la disperazione diventava buio pesto dell’anima, qualcosa che divorava ogni cosa che ancora aveva dentro.
 
Le diceva sempre che doveva essere bruciato, il suo corpo andava distrutto. In fondo una tomba non era qualcosa di adatto ad un viaggiatore estremo, come lui era stato. Rose pensò che non sarebbe stata adatta neanche per lei, a quel punto. L’aveva riportato quindi dove l’aveva conosciuto, dove tutto era finito e iniziato insieme, in quel luogo dal nome strano: la baia del lupo cattivo.
Tra le pietre d’argento in quella freddissima giornata, Rose aveva sparso sul mare ciò che restava di un signore del tempo, purtroppo, diventato umano. Donna, su quella spiaggia, aveva avuto la netta impressione che non fossero sole: lei e Rose. Lontano, un uomo con un cappotto nero sembrava guardarle o guardare il mare immerso nei suoi pensieri. Non poteva vederlo in viso ma il vento aveva portato per l’ennesima volta, l’eco di quel suono strano, del TARDIS. Lo sentivano spesso entrambe.
Rose le disse che in quel posto forse c’era la memoria di quell’ultimo incontro, che forse qualche eco era rimasto incastrato nel tempo e lo si poteva sentire, se si sapeva cosa ascoltare.
Ma qualunque cosa avesse a che fare con quello era dolore, disperazione, per Rose.
L’altro TARDIS, il loro, era immobile e spento dopo la morte di John.
 
***
Smistando la posta, Donna si accorse di una lettera. Una lettera il cui indirizzo era vergato a mano. La scrittura era elegante, sicura ma molto strana. Sembrava “antica”. Incuriosita la porse a Rose che come sempre, stava sdraiata su quel divano dove lui si era addormentato, e poggiata con la guancia sul bracciolo come spesso aveva fatto contro il petto di lui quando stavano abbracciati insieme davanti al fuoco. Erano trascorse due settimane da quando il Dottore era morto.
-          Rose… - le porse la lettera. Lei neanche la guardò. Donna sospirò scuotendo il capo – Rose…! – insistette. La guardò, con occhi umidi e gonfi – guarda…
-          Una lettera di condoglianze? L’ennesima…? – Rose sorrise amaramente.
-          No, non sembra qualcosa del genere – insistette nel porgerle la busta. Rose allora la prese, svogliatamente. Ma appena vide la scrittura l’espressione cambiò. Si irrigidì e si mise seduta sul divano. Donna inclinò lo sguardo stupita e si avvicinò a lei – riconosci questa strana scrittura?
-          Sì… - mormorò Rose accarezzando la lettera con le dita – è di John. E’… del mio Dottore.
Aprì la busta con mani tremanti. Un foglio, un solo foglio. E una riga, scritta decisamente. Immaginò la sua espressione mentre scriveva. Immaginò i suoi occhi, rivide le sue mani. Lo rivide davanti a sé. Lui.
Io sarò per sempre con te. Credimi.
Rose piegò il capo e iniziò a piangere amaramente lasciandolo cadere a terra. Donna lo prese tra le mani ma non lesse. Abbracciò Rose e la consolò stringendola a sé con un gesto deciso. Era in quei momenti che Rose capiva quanto il suo Dottore somigliasse e lei.  
 
****
 
Donna ricevette nella posta un’altra lettera. La busta era blu e senza guardare la scrittura, accigliando la fronte, la aprì trovando un foglio. La scrittura era quella. Non se ne meravigliò.
… Rose è incinta. Sono sicuro che tu sarai per lei e nostra figlia, meravigliosa. La mia Donna Noble… Ti ho mai detto che sei bellissima? No, sicuramente no. Ah, meravigliosi capelli rossi… ! Te li ho sempre invidiati. Ma la cosa più bella sono i tuoi occhi gentili, luminosi.
Compassionevole, sensibile e dannatamente insopportabile. Io ti amo!
Mi hai reso umano e migliore.
E più brillante. Perché tu lo sei, lo sei stata e lo sarai ancora una volta.
Quanto ti manco? Lo so, sono andato via senza salutare.
Stai vicino a Rose.
Donna chiuse il foglio con espressione immobile. Nessun timbro postale. Come fosse stata depositata a mano nella cassetta.
Conosceva il Dottore.
Rose diceva persino che l’umano che chiamavano John Smith era decisamente più folle di colui che aveva due cuori. Non stentava a crederci.
Donna ripensò a quelle parole arrivate da chissà dove.
Rose non mangiava, dava di stomaco dalla mattina alla sera, era magrissima. Non poteva essere incinta.
Ma… dava davvero di stomaco in continuazione!
Donna piegò il foglio e lo mise in un cassetto. Prese le chiavi della macchina e si precipitò da Rose. Passando dalla farmacia prese un test di gravidanza. Se le avesse chiesto come mai lo aveva dietro, le avrebbe rivolto uno sguardo tale da non farle fare altre domande per non sentirsi in imbarazzo. In fondo sapeva piangere a comando; fingere di avere uno straccio di relazione non sarebbe stato difficile per lei. L’aveva, in fondo. Con il ricordo di un uomo meravigliosamente strano.
 
*****
Jackie, Pete e Donna erano all’ospedale. Si erano dati il cambio, con alcuni amici, e ora andava tutto bene. Rose aveva avuto un’emorragia improvvisa ma la bambina stava bene e Rose non aveva avuto grossi problemi, solo un enorme spavento. La sua gravidanza era stata difficile e le era stato persino suggerito di interromperla, viste le continue minacce d’aborto e la nausea continuativa per tutto il periodo della gestazione. Ma Rose si era attaccata a quella bambina per non morire. E questo lo avevano compreso tutti.
Jackie le era stata vicino ma la persona che aveva quasi sostituito John era stata Donna, che si era persino trasferita in casa con lei per assisterla. La bambina era viva perché lei era lì. Poi era andato tutto bene, anche se in fondo quella nascita si portava dietro lo strascico dell’assenza del Dottore.
Per tutto il tempo dell’attesa, Rose aveva sempre ripetuto che avrebbe voluto che almeno avesse i suoi occhi per rivederlo in lei. Per poterlo rivedere ancora.
Era stata accontentata. La prima volta che l’aveva avuta tra le braccia aveva pianto.
Non di felicità.
 
Rose si svegliò di colpo. Nella sua stanza era da sola ormai e fuori era notte. Fece un lungo sospiro tristissimo, sconfitto; gli occhi le si riempirono di lacrime mentre con la mano istintivamente si toccava il ventre. Le mancava la bambina dentro. La bambina le faceva compagnia, non la faceva sentire sola. Iniziò a piangere pensando che lui non aveva neanche saputo che stesse per avere un figlio.
L’angoscia la strozzava, si sentiva vuota. Si sentiva finita.
Non era più niente. Non serviva a nulla. Lui era altrove. Non poteva raggiungerlo. Solo in un modo.
-          Rose Tyler… ti prego… non piangere… – un sussurro dolce, gentile. Vicinissimo. Rose si scosse e spalancò gli occhi. Dalla penombra della stanza, verso di lei, quella figura. E lei avrebbe riconosciuto la sua ombra ma soprattutto la sua voce tra tutte quelle del mondo. O dell’universo intero – ciao, Rose…
Una scintilla di gioia estrema ma che durò un attimo appena, spenta in una fitta dolorosa.
Comprese. Non del tutto perché aveva detto che gli universi erano sigillati e quindi impossibili da raggiungere. Ma che fosse anche quella, l’ultima bugia?
Era quindi possibile che fosse tornato da lei e soprattutto…
… sapesse…?
-          Dottore… - mormorò Rose soffocando un singhiozzo – tu… sei qui… - lui annuì – ma come hai fatto?
-          Sono un signore del Tempo – i suoi bellissimi occhi brillavano - ho deciso di mentire.
-          Mentire…?
-          Non a te ma al tempo – il suo sorriso. Un sorriso dolce. Venne verso di lei e si sedette sulla sponda del letto. Era vicinissimo. Rose lo sentiva. Era inconfondibile anche ciò che si portava dietro, quel qualcosa di terribilmente commovente, qualcosa che sentiva su di lui ogni volta che lo stringeva ed era fortissimo sulle sue labbra. Era una coltellata nell’animo, a quel punto.
Perché sul suo Dottore l’aveva sentito fino in fondo quando stavano insieme. Ed era qualcosa che dividevano, ormai. Deglutì amaramente una saliva densa di pianto, mentre le lacrime le rigavano il viso.
-          Io credevo che tu… fossi cambiato – disse in un sussurro appena percepibile. Lui accigliò lo sguardo incuriosito – lui, John…. Lo aveva sentito, era stato male, quando è successo o meglio… a questo punto dovrei dire quando… pensava fosse successo  – lo vide piegare il capo e fare un leggero sorriso e poi rivolgerle uno sguardo quasi divertito. Rose si irrigidì e vide gli occhi di lui brillare come stelle. La sua espressione quieta.
-          Tu chi pensi che io sia? – le chiese dolcemente.
-          Tu… sei il Dottore…!
-          Sì, sono il Dottore, Rose – le prese la mano. La sua mano era calda, non fredda. La portò al suo petto inclinando lo sguardo su di lei. Lei sentì.
Un solo cuore.
La sua mano si aprì in una carezza incredula e tremante. Lui le sorrise.
-          Ciao, Rose… - ripeté.
-          John…! – lui annuì, si alzò e chinò su di lei per prenderla tra le braccia. Rose lo attirò a sé furiosamente, lo strinse fortissimo e iniziò a piangere, piangere a dirotto. Lui le baciò i capelli e la accarezzò con tenerezza infinita mentre lei lo teneva come dovesse fuggire da un momento all’altro. Dopo qualche momento Rose sollevò lo sguardo sul suo e il Dottore la lasciò per sedersi accanto a lei di nuovo, la mano stretta alla sua. Come molte altre volte.
Era lì. Sempre il solito, sempre il bellissimo strano uomo che si era addormentato per sempre nove mesi prima. Rose lo stringeva incredula.
-          Tu… stai… bene… - lui sorrise ma più tristemente.
-          Io sto sempre bene – le disse e aggiunse una carezza sui suoi capelli.
-          No… non è vero, non è più vero. Tu… - il Dottore le rivolse uno sguardo fermo e Rose non riuscì a finire la frase. Non era triste ma molto consapevole. Comprese  – per te allora non…
-          So che succederà – le rispose – so che per te è già successo.
-          Allora tu sai…?
-          Io sono il Dottore, Rose Tyler. Ho già… sentito qualcosa. Ho capito. Sarà doloroso, temo. Di questo ho un po’ paura ma… Ho deciso di imbrogliare. Per l’ennesima volta ma con altri mezzi. Sono… diventato più creativo – Rose non sapeva se ridere o se piangere. Tremava inconsapevolmente. Lui la accarezzò.
-          Sei quindi venuto dal passato… per vedere per una volta tua figlia? – lui abbassò lo sguardo e sorrise.
-          Non ci sarebbe nulla di creativo in questo. Sarebbe solo molto triste, Rose.
-          L’hai vista…? – lo vide illuminarsi.
-          Oh, sì… sì, decisamente… sì! – Rose portò una mano alla bocca soffocando una strana risata, gli occhi ancora gonfi di pianto – ha degli occhi molto grandi e molto belli – disse scherzosamente.
-          Come il padre – lo beccò Rose come se parlasse di un altro e lui rispose con un sorrisetto ironico.
-          Mi somiglierà molto, povera la mia Rose Tyler…!
-          Dottore… - gli strinse più forte la mano intrecciando le dita nelle sue – John… ora ti prego, spiegami cosa vuol dire tutto questo se non è un addio… - lui piegò il capo ed annuì.
-          Due volte al mese, per tutta la tua vita. Un’intera giornata ogni volta, Rose Tyler. E’ il massimo che posso fare ed è tutto il tempo che mi resta – Rose lo fissò incredula. Lui sorrise.
-          Tu… potresti…?
-          L’ho già fatto – le sorrise e poi si chinò su di lei e sfiorò le sue labbra come faceva sempre prima di chiuderle in un bacio dolcissimo e familiare. Rose lo strinse a sé incredula perché lui era lì, era reale. Il suo respiro, il suo profumo. Le sue mani sottili. E sentiva, poggiata al suo petto, il battito dell’unico cuore che l’avrebbe tradito. Il Dottore si sentì accarezzare da lei.
Tornato a casa l’avrebbe trovata. Lei invece lo avrebbe aspettato fino alla prossima volta.
Doveva dirglielo, doveva ricordarglielo.
-          Ma…sappi che… io tornerò in ogni caso, anche dovessi innamorarti ancora, anche dovessi vivere la tua vita diversamente – le disse baciandole i capelli e stringendola, con gli occhi lucidi - io non posso chiederti di restare con me così, non sarebbe giusto…
-          Io resterò insieme a te per sempre – gli disse lei convinta, fissandolo negli occhi profondamente.
Non c’era bisogno di dire altro.
Sarebbe stato come doveva.
 
Rimase con lei fino a quando l’ospedale non riaprì alle visite. Riuscì incredibilmente ad uscire e rientrare giusto in tempo per vedere la bambina e stringerla tra le braccia fino a commuoversi. Rose e lui rimasero vicini per un’altra ora nella luce calda dell’autunno alle porte, poi si salutarono con un sorriso fiducioso.
Quando arrivarono i genitori, Rose li accolse raggiante.
Sembrava che le ombre si fossero annullate nel suo animo e Jackie pensò ingenuamente che dipendesse dalla bambina. Pensò lei invece, malinconicamente, a quanto mancasse l’umorismo indisponente del Dottore, in quel momento. Mancava anche a lei che diceva di non sopportarlo. E più di quanto non si pensasse.
 
Donna Noble aveva parcheggiato la macchina più lontano e davanti all’ingresso dell’ospedale lo vide. Lui le sorrise luminoso e lei si irrigidì istintivamente perché davanti ad un fantasma alla luce del sole.
Quasi lasciò cadere i fiori che aveva portato a Rose ma lui la sostenne tra le braccia perché non arrivasse a terra, visto che le sue gambe avevano ceduto. Le rivolse uno sguardo allegro, commosso. Donna non ebbe la forza di dire una parola ma mise una mano sulla sua spalla e lo accarezzò stringendolo quasi con paura ma tremando per l’emozione. Socchiuse gli occhi un attimo, contro il suo corpo. Reale, lui. Era lì.
-          Non è l’ultima volta che ci vediamo, Donna – le sussurrò e le fece l’occhiolino. Poi la lasciò delicatamente e andò via con un sorriso.
Donna lo guardò spiazzata e poi sorrise anche lei a quell’uomo impossibile mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Il Dottore umano era davvero folle. Se ne andava in giro per la strada fischiettando, a nove mesi dalla sua morte.
Quando entrando nella stanza di Rose la vide sorridere capì che era stato da lei e non dubitava potesse essere stato diversamente.
-          L’hai visto anche tu, non è vero? – le chiese vedendola sconvolta. Donna annuì.
-          È un uomo impossibile.
-          È il Dottore – sussurrò Rose e le disse che sarebbe tornato da lei.
 
******
 
Tornava. Sempre. Come aveva detto: due volte al mese, ma casualmente. A volte i giorni erano vicini, certe volte invece estremi. Non gli chiese il perché e non era importante.
Con il passare del tempo iniziò a collegare apparenti stranezze del passato con quel che accadeva nel suo presente. L’odore di fumo che facevano i suoi vestiti una volta che era tornato a casa esausto dopo essere stato chissà dove.
In giro con il TARDIS aveva detto. Era evidentemente così.
Ripensò che erano gli stessi vestiti che aveva abbandonato davanti al camino spento in quella baita dove si erano rifugiati un intero giorno per stare insieme. Era un posto dove Rose era stata con lui, tempo prima.
Un posto speciale perché era lì che lui le aveva detto il suo nome.
Come allora si erano amati con passione e dimentichi del fatto che fosse un paradosso. Era stato bellissimo, giocoso, svagato. Erano stati come ragazzini allegri, come sempre, come prima.
Come la morte non fosse mai esistita, come se non se ne fosse andato.
L’aveva salutata con un bacio e un sorriso e lei guardato sparire il TARDIS certa che l’avrebbe rivisto.
 
La bambina lo aveva vicino, sempre. Due volte al mese, era con lei. Sarah Jane sentiva d’istinto di essergli legata e fu più che mai evidente che non era esattamente una bambina comune. La sua intelligenza era vivace, geniale. A volte Jackie diceva a Rose che sembrava di avere a che fare lui bambino.
Quando fu più grande, lui le spiegò chi era e come fosse lì. Donna e la madre le avevano raccontato del TARDIS, mostrato quella cabina blu spenta e nascosta in cantina. Sarah Jane aveva sempre sentito che il padre era lui, sebbene tutti dicessero che fosse morto. Fu naturale prendere atto che la figlia del Dottore era davvero tale in tutti i sensi.
Il comportamento di Rose aveva lasciato tutti sconvolti. Dopo la nascita di Sarah Jane, sembrava che il dolore senza fine per la morte di John si fosse del tutto annullato ma in modo irreale e innaturale. Tuttavia non sembrava avere intenzione di trovare un altro compagno. Rose era sola e decisamente felice.
Jackie e i loro amici iniziarono a pensare che avesse sviluppato una sorta di pazzia controllata, per sopravvivere al dolore della perdita.
Parlava sempre di lui come se non se ne fosse mai andato.
Sembrava a volte fosse lì, con lei.
 
Qualche tempo dopo il Dottore disse a Rose che la comprensione del tempo era davvero notevole nella bambina e decisamente in senso diverso dall'umano. Rose aveva imparato da tempo a soprassedere sul fatto che sembrava sottolinearlo per non sentirsi peggiore di prima ma in seguito aveva compreso che questo suo atteggiamento era a doppio taglio. A lui piaceva da matti essere umano in parte. Non lo ammetteva con le parole ma con i fatti. E un umano avrebbe potuto pilotare quella nave, glielo spiegò schiettamente. Certo, un umano un po’ speciale.
-          Tu hai viaggiato nel TARDIS, io vi sono nato a parte il resto. Penso che Sarah Jane potrebbe... salvarlo dalla morte. E viaggiare lei, per l’universo.
-          Sarebbe bellissimo ma…
-          Ma…?
-          Chi le insegnerà a pilotarlo, tu?
-          Conosci qualcun altro?
-          Magnifico insegnante saresti, davvero il migliore…! – gli aveva detto alzando un sopracciglio e fissandolo con finto disappunto.
-          Io lo sono davvero, Rose Tyler! – protestò con occhi spalancati nei suoi e poi rise.
Avrebbero ripreso il discorso per il sedicesimo compleanno di Sarah Jane.
Le insegnò come inserire i freni e atterrare quietamente e Rose si arrabbiò moltissimo scoprendo che tutte le volte che aveva rischiato di morire in una rovinosa caduta, era stato per uno strano vezzo del Dottore: l’amore per il suono che faceva il TARDIS prima di atterrare.
-          Era una scusa per ballare, Rose Tyler – le disse con il tono di chi voleva farsi perdonare – e poi speravo sempre mi cadessi addosso – aggiunse con un sorriso malizioso. Rose scosse il capo fissandolo, guardando lui e la figlia insieme, ridere praticamente allo stesso modo e comprendersi con uno sguardo d’intesa tra simili, qualcosa che spesso vedeva anche tra lui e Donna.
Che uomo improbabile, il Dottore umano.
Come avrebbe fatto a vivere, senza di lui?
 
***
Il Dottore sembrava sapere dove essere e in quale momento, come seguisse una complicata mappa, quella della sua vita e dei nodi che non poteva toccare. Fu con Rose nei momenti più tristi e in quelli più lieti.
E in quei giorni dove le mancava troppo e lo chiamava piangendo.
Lei ricordò le volte in cui, stanchissimo, tormentato da qualcosa e allo stesso tempo sostenuto da una strana risolutezza, la lasciava da sola nel letto e restava al buio nel salotto a pensare per ore.
Rose aveva creduto che fosse dovuto solo alla sua insonnia sofferta e pianto molto, ripensandoci. Anni dopo comprese che il Dottore pensava a lei, come sarebbe stata, e a chi ancora doveva nascere ma lui conosceva bene. Conduceva due vite intrecciate e pensava a come far quadrare i conti, come non distruggere ogni cosa.
Perché era il Dottore e un uomo molto sfortunato; ma aveva deciso di piegare il tempo alle sue ragioni.
Una volta Rose notò che per giocare con la piccola sulla spiaggia, si era riempito le tasche di sabbia e ricordò chiaramente quando, anni prima, prendendolo a braccetto per la strada, infilando la mano nel suo soprabito come spesso faceva quando c’era freddo, l’aveva trovato umido e appiccicoso.
-          Come fai ad avere la terra nelle tasche? – gli aveva chiesto ridendo.
-          Non è terra ma sabbia… - precisò lui.
-          Ma si può sapere che cosa è successo? – ricordava limpidamente come, con espressione molto dolce, le avesse detto di aver trascorso del tempo a fare castelli in riva al mare.
-          Un adulto che gioca…! Un signore del tempo che…
-          Giocherò sempre!
-          E dove hai giocato, su quale pianeta?
-          Un giorno ti porterò – le aveva detto allegro.
Lo aveva fatto. Barcellona.
 
***
Il tempo passava ma Rose non se ne accorgeva.
Ci pensava le volte in cui lui la baciava e allo specchio vedeva il suo riflesso accanto al suo. Lui, sempre giovane, lei… sempre più distante da lui. Eppure non era come avrebbe creduto.
-          Non cambi quanto credi e non lo fai ai miei occhi – le aveva detto una volta, quando stesi dopo aver fatto l’amore lei si era ricoperta subito davanti al suo sguardo, improvvisamente vergognosa del suo corpo, così diverso da quello della ragazza di cui si era innamorato, così poco adatto accanto a quello di quell’uomo giovane, con lei.
-          Potrei essere tua madre… - aveva detto rabbiosamente e lui si era messo a ridere.
-          Io un tuo antenato, sii seria…!
-          Sono serissima…
-          Seriamente… io ti amo. E credimi è una delle poche cose serie e belle insieme. Le cose serie sono noiose. Terribilmente!
Quando esitava nuovamente sull’argomento, lui finiva sempre per dimostrarle che l’amava, che la voleva. In tutti i sensi. E non cambiava.
Il tempo passava inesorabilmente ma non cambiava.
 
Una sera estiva, Donna gli aveva chiesto se era felice di quel che stava facendo. Il Dottore le aveva sorriso dicendo che era la sua certezza. E Rose allora aveva ricordato ancora qualcosa.
Delle parole strane.
-          Perché non vuoi provare a curarti? – gli aveva detto con rabbioso dolore.
-          Io sono pur sempre un medico, qualche volta – aveva detto scherzosamente –è… il mio cuore. E’ uno. Non mi basta. E’ debole, Rose. Non c’è nulla da fare - aveva preso atto di tutto con una freddezza impressionante ma non così Rose.
Pensava che avrebbe trovato una soluzione, che sarebbe andato altrove a farsi curare, sulla Nuova Terra o in altri mondi, nei luoghi che scopriva da solo nei brevi viaggi che continuamente faceva.
Le aveva risposto che in quell’universo era tutto un po’ diverso. Non avevano osato esperimenti su cavie, non avevano trovato soluzioni estreme e miracolose. Avrebbe dovuto scommettere su di sé e perdere tempo.
-          Non posso farlo per un tentativo quando posso avere una certezza – le aveva detto con un sorriso triste. Allora non aveva compreso a cosa si riferisse ma ancora una volta le aveva ripetuto: io resterò con te.
Gli aveva dato del bugiardo, piangendo rabbiosamente: quando lo aveva stretto a sé l’ultima volta. Ma già lui non la sentiva.
 
***
Aveva incontrato Donna da solo, qualche volta.
Lei non lo aveva detto a Rose perché accadeva in quel doloroso lasso di tempo tra una volta e l’altra per lei e stranamente le sembrava di rubarle il tempo strano che vivevano, lei e il Dottore.
Ma il Dottore era anche parte di Donna e non lo aveva mai dimenticato.
Anche quel giorno era giunto dal nulla. Lei aveva avuto la notizia e disperata si era ritrovata a piangere, sola, sul terrazzo del palazzo dove era l’ufficio nel quale lavorava.
-          Non è così che accadrà – le aveva detto avvicinandosi a lei con le mani sprofondate nelle tasche e a testa bassa.
-          Dicono che sia incurabile…!
-          Oh, si sbagliano! – disse con noncuranza - non morirai di questo, Donna Noble.
-          Hai visto la fine della mia vita, uomo dello spazio? Anche la mia, nei tuoi piani? – il tono aspro che aveva usato, lui lo comprendeva come nessuno. L’aveva quindi stretta a sé ed era rimasto immobile con lei tra le braccia fino a quando non si era calmata. Ad un tratto infatti Donna aveva sorriso tra le lacrime e lui con lei.
-          Parlami di nuovo di quella volta in cui ci siamo affacciati su Londra da un palazzo come questo ed io ero... vestita da sposa – lui alzò lo sguardo al cielo e poi rise.
-          Eri molto molto carina. E molto arrabbiata! – aggiunse con tono buffo e la fece ridere.
Non sarebbe morta come temeva, Donna Noble. Sarebbe stato molto dopo di quanto avrebbe potuto sperare con quella prognosi.
Un banale incidente d’auto provocato da una macchina che aveva svoltato a destra piuttosto che sinistra. Certo lui non le aveva detto che non avrebbe potuto salvarla perché la sua morte era un punto fisso. Ma morendo, Donna l’aveva visto accanto a sé. Lui era stato con lei, le aveva tenuto la mano finché i suoi occhi non si erano chiusi. Non aveva sofferto, era stato rapido.
Più di qualcuno ricordò quell’uomo alto e sottile chino su quell’anziana signora, poi sparito nel nulla come era sembrato apparire.
 
***
 
Jackie era davvero molto in là con gli anni ed aveva resistito a due gravi malattie. Era una combattente. Il Dottore disse che probabilmente sarebbe stata adatta alla resistenza, più che all’attacco. Se non altro, averci a che fare sviluppava una resistenza notevole a qualunque altra cosa.
Nonostante l’ironia, Rose sapeva che le voleva bene.
-          Andrai da lei per salutarla, almeno? – il Dottore aveva annuito pensieroso. Voleva farlo ma doveva capire quando. Trovò una soluzione e si recò da lei quel pomeriggio, mentre era in cucina a guardare la televisione. Quando l’aveva visto non aveva fatto una piega e finito di sorseggiare il latte e menta che aveva davanti. Il Dottore aveva preso un bicchiere dalla credenza sopra il lavello e se n’era versato un po’.
Jackie lo aveva guardato pensierosa.
-          Ictus?... Sei uno spettro?
-          No, no... – le aveva sorriso bevendo un po’ di latte e prendendo atto che gli piaceva molto.
-          Santo cielo, Dottore…! E’ allora uno dei tuoi scherzi con il tempo?
-          Una specie…
-          Ma… aspetta…! – il suo sguardo dubbioso -  tu… sei…?
-          Sono il marito di tua figlia - aveva risposto con un sorrisetto perfido – quello che ti piaceva tanto, Jackie.
-          Oh, non mi sei mai piaciuto neanche prima, quando non eri umano...!
-          Tu andavi pazza per me – le disse con un sorriso ironico e Jackie allora aveva riso. Ma con gli occhi lucidi.
-          John… sei… così giovane…!
-          Non lo sono – Jackie aveva teso le mani verso di lui per poterlo toccare, come non si capacitasse del fatto che fosse lì, nonostante lo sentisse.
- Sì… decisamente sei tu. Decisamente tu… - lo accarezzò teneramente sul viso e lui le sorrise – dovevo aspettarmi qualcosa del genere da te.
-          Più di qualcuno credeva di no.
-          Ma tu sei il Dottore…! – lui aveva annuito e poi vi era stato del silenzio.
I bambini giocavano per la strada, il riverbero di quell’estate presente e futura insieme. Lui sentiva come tutto fosse in un equilibrio estremo e nelle sue mani un filo sottile passato in una trama fittissima e già completa.
-          Quando tu… quando sei morto, Rose è impazzita per il dolore. Neanche aspettare un bambino la consolava, piangeva sempre pensando che tu non l’avevi saputo. E ci pensavo tanto anche io – l’aveva detto spontaneamente. Per lui non era ancora successo ma lo sapeva.
E purtroppo anche altro.
-          Jackie, lei non lo sa… ma io ho fatto questo… per non farla morire – le disse piano, come in una confessione. Jackie rimase in silenzio.
Sarebbe successo quella sera che era andato da lei, proprio dopo aver dato alla luce Sarah Jane. Rose Tyler si sarebbe buttata dalla finestra dell’ospedale.
Perché dopo tanto combattere era debole, perché non sentiva niente, perché rivederlo nella figlia era straziante e non la consolava. Perché lo aveva perso troppe volte e quella volta per sempre.
La gravissima depressione di Rose, la perdita di ogni cosa. L’infelicità di tutti.
Sentendo il suo cuore diventare indeciso, aveva barato e voluto vedere cosa sarebbe stato dopo.
Non aveva potuto sopportare di essere la causa di tanto dolore e quindi aveva combattuto, a suo modo. Spiegò a Jackie, come avesse potuto capire, cosa aveva fatto, il tempo che gli restava. Incredibilmente Jackie parve aver chiaro tutto.
-          Tesoro, forse il tuo cuore si è consumato così in fretta per quello che hai fatto per lei… – lui aveva abbassato lo sguardo. In fretta, per lui. Lentamente, per Rose.
Il tempo non era un cerchio ma una spirale. Tutto tornava, tutto doveva tornare.
Il suo cuore però iniziava a dolere, perdere battiti. Era stanco e stava giungendo veloce la fine.
Jackie poi gli aveva chiesto scherzosamente se fosse venuto da lei perché stava per morire. Il Dottore aveva riso dicendole che era solo un momento come un altro, l’unico disponibile per non rovinare il suo piano.
-          Un momento avanzato dal tuo complicato conto, gentile come al solito.
-          Infatti io non sono gentile – le aveva sorriso e poi l’aveva abbracciata e lei, lui. Come mai prima e mai più.
Due ore dopo Jackie era morta. Improvvisamente, davanti alla tv che guardava.
Ancora una volta il Dottore aveva mentito.
 
***
I suoi calcoli erano precisi, ogni cosa doveva chiudersi come aveva previsto. Ma correva, correva ancora più veloce per poter vedere di più e per poter avere altro. Sfidò il suo limite e passò oltre.
Sarah Jane aveva sempre viaggiato con lui e per essere certo di non trovarla sulla sua linea temporale, aveva privato il suo TARDIS di un pezzo fondamentale. Non avrebbe viaggiato se non dopo la sua morte e solo dopo avergli promesso che non avrebbe giocato troppo con il passato e il futuro. Non era infatti sicuro che riuscisse a sentire, come lui, il tempo. Non lo escludeva ma doveva essere certo.
Era però evidente quanto gli somigliasse e quindi era un po’ pericolosa. Che avesse preso anche la cocciutaggine della madre era preoccupante ma molto bello. Una catastrofe e una salvezza insieme. Sua figlia poteva essere entrambe le cose per l'universo. 
Il Dottore aspettò del tempo e vide la sua ragazza diventare una donna e venire travolta dalla sua vita umana. Non gli dispiacque vederla vivere più normalmente, alla fine.
La vide in vestito da sposa ed ebbe il suo ballo a parte, lontano da occhi indiscreti. Sarah Jane divenne madre e il Dottore prese atto che in quella generazione era stata la somiglianza con Rose ad avere la meglio.
E intanto che ciò accadeva, John Smith vide il suo grande amore invecchiare dolcemente e restare la stessa e il suo cuore sentire meno dolore sapendo che l’aveva tenuta sempre per mano.
La amò sempre di più, come lei non avrebbe sperato a quel punto. La amò anche se ormai il Dottore sembrava più giovane di sua figlia.
Rose ironicamente gli disse che la loro storia era stata come lui temeva, con lei a sfiorire e lui a restare lì a vederla sfaldarsi.
-          No… è tutto profondamente diverso, persino opposto – le aveva detto stringendola a sé davanti alle lune azzurre di un mondo calmo e tiepido nel quale l’aveva portata a passeggiare.
-          Sembri… molto stanco – gli sussurrò e il Dottore lo era. Senza farci caso spesso teneva la mano sul petto, la faceva scivolare distrattamente sulla spalla. Lo faceva con occhi tremolanti ma sempre in silenzio. Rose sapeva, non c’era bisogno che dicesse nulla. Ma non rinunciava ad essere allegro, nonostante tutto.
Tra luci come scintille aveva sorriso e detto che sembrava di stare davanti ad un camino acceso. L’aveva vista  rabbuiarsi e compreso che aveva a che fare con un brutto ricordo. Il Dottore non le chiese nulla ma la mano tremante di Rose si strinse alla sua con forza inaspettata.
Intanto stava per arrivare Natale. Insieme.
In entrambi i tempi.
 
***
 
Fu una cosa improvvisa. Aveva una salute di ferro ma Rose Tyler, quella sera, dopo aver preparato tutto per il ritorno a casa di Sarah Jane e dei nipoti, si sentì male. Capì d’istinto che quel mal di testa era altro e non l’effetto della stanchezza. Oramai era ora.
Ed infatti lo vide, era lì. L’aria stanca, profondamente angosciato.
Rose gli sorrise mentre lui la sorreggeva. Era pallido, pallidissimo e triste. Gli occhi terribilmente lucidi e scuri. Gli ricordò com’era quel giorno. Quell’ultimo giorno.
-          Hai… fatto un perfetto anello, Dottore – gli sussurrò accarezzando il suo viso e scostando ancora una volta le ciocche ribelli dei suoi impossibili capelli dalla fronte, per dargli un bacio. Ma lui le sorrise e volle le sue labbra, ancora una volta. Con dolcezza infinita.
Gli chiese di aiutarla a stendersi sul vecchio divano che era in salotto, davanti al fuoco. Lui la guardò ed annuì in silenzio, poi si sedette accanto a lei. Non avrebbe chiamato nessuno, era inutile.
Guardò le scintille nel camino e la luce dolce che la faceva sembrare più giovane di quanto non fosse.
Rose non avrebbe mai compreso quanto non fosse cambiata. Non avrebbe mai saputo come gli appariva, come la vedeva. Aveva capito lui, umano, che un signore del tempo avrebbe potuto amare un essere umano fino alla fine, senza vedere alcuna miseria in quel crudele mutare; a patto di non dover sopravvivere. E lui non lo avrebbe fatto.
-          Una cifra tonda, John. Come quelle che piacciono tanto a te – sussurrò Rose.
-          In realtà mi piacciono le cifre complesse… - osservò con tono ironico ma voce indecisa. Rose sorrise e poi rise.
-          Il numero esatto è stato…
-          Milleduecento volte, Rose Tyler.
-          Cinquanta dei miei anni, Dottore – lui sorrise indeciso abbassando lo sguardo ma lei vide che piangeva. Tese la mano verso di lui che la prese e baciò piano – sei… stato meraviglioso, sei… meraviglioso, John Smith. Tu che hai vissuto solo… sei anni…! – con pena lo sentì gemere, gemere di dolore. Un doppio dolore lancinante.
Era preparato a tutto ma non lo era insieme. Lei stava morendo e lo trovava atroce. E nonostante sapesse esattamente dove la storia sarebbe finita, il suo cuore si stava spezzando. Rose allora capì.
Quando era successo, quella sera. Lui tornava da lei. L’aveva vista morire ed esausto, finito, si era trascinato davanti al fuoco perché aveva freddo, perché sentiva che stava arrivando il momento. Il suo cuore debole si era fermato subito dopo il suo e non prima. O forse entrambe le cose e Rose non avrebbe mai potuto capire fino a che punto non fosse lo stesso.
Il Dottore umano era un folle, un pazzo meraviglioso.
Persino più pazzo di quanto non fosse il Dottore e questo Rose lo aveva capito.
Non ci fu bisogno che gli dicesse ancora una volta che lo amava. Lo sapevano entrambi.
Rose si limitò a fissare i suoi occhi scuri ed aspettare che il sonno che sentiva facesse spegnere del tutto il fuoco e lui rimase ad accarezzarla fino a vederla addormentarsi. E quando Rose se ne fu andata, il Dottore pensò che fosse giunto il momento di fare lo stesso. Lo sentì dentro, glielo disse il suo cuore stanco che stava per fermarsi.
Sarebbe tornato indietro da Rose appena in tempo.
L’avrebbe vista bellissima, l’avrebbe ritrovata all’inizio ironicamente nella fine. Ma in pace perché sapeva che sarebbe riuscito a restare con lei per sempre: c’era già riuscito.
Pianse e sorrise insieme perché tutto era stato perfetto, anche se non doveva.
Non aveva toccato punti fissi, rispettato i nodi. Solo barato, barato fino ad un certo punto.
Era un giocatore di valore, era il migliore. Aveva fregato la morte ancora una volta.
Aveva rubato una vita intera, pensò che fosse davvero la ricompensa che gli spettava, dopo tutto.
Lui era il Dottore.
  
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