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Autore: Sisya    23/10/2007    11 recensioni
Era strano vedersela comparire davanti così, ogni giorno.
Ritrovarsi una Riza Hawkeye che ciabattava in cucina, ancora avvolta nella sua camicia da notte, con qualche ciocca dorata sfuggita al fermaglio, e quell’espressione tranquilla, quasi ingenua … era una cosa fin troppo impensabile per potercisi semplicemente abituare {...} Piccola raccolta senza pretese, ripiena di miele, cioccolato, e tanta tanta dolcezza.
Un colonnello. Un tenente. Una famiglia perfetta. O quasi.
Genere: Romantico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: What if? (E se ...), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sweet (?) Awakening *O*



La sveglia trillò allegramente sul comodino, come ogni mattina. Roy sbadigliò, sfregandosi una mano sugli occhi ancora assonnati, e come al solito dovette fare un enorme nonché sovrumano sforzo per trattenersi dal carbonizzare all’istante quel malefico apparecchio disturbatore. Sette e mezza. Se non si sbrigava, con ogni probabilità avrebbe fatto tardi. Dopo circa un nanosecondo di profonda meditazione, nel quale rifletté a lungo sulla solerzia e sull’efficienza che un colonnello era tenuto a mostrare costantemente, e sui propri doveri nei confronti dei suoi sottoposti, Roy Mustang si rigirò pigramente dal lato opposto del letto, portandosi il lenzuolo fin sopra la testa. Sorrise brevemente e fece per affondare di nuovo la faccia nel cuscino, quando un insolito e sospetto click a distanza molto ravvicinata gli fece capire che quella mattina avrebbe davvero fatto meglio a darsi una mossa.
- Signore, le do cinque minuti - sussurrò lei, con la voce calma di sempre, come se gli stesse soltanto augurando il buongiorno come una mogliettina qualunque, e non minacciandolo con la sua calibro nove puntata alla tempia. Sospirò, arrendendosi agli ottimi e
convincenti argomenti del suo tenente. Si tirò a sedere, mugugnando qualcosa di imprecisato; ma bastavano un soffio leggero vicino al suo orecchio, due labbra morbide a sfioragli la fronte, e già l’impresa di scendere dal letto non gli sembrava più così utopistica. Sentirla ridere poi, lo metteva sempre di buonumore. Ancora mezzo addormentato, recuperò la divisa da un cassetto dell’armadio e si diresse in tipico stile zombie verso il bagno, evitando per un pelo di inciampare nel tappeto e ritrovarsi per terra con il naso spappolato.

Riza aveva già preparato la colazione.
L’odorino invitante di toast caldi, brioche e caffelatte lo raggiunse dalla cucina. Si fermò un attimo sulla soglia della porta, con le dita strette intorno alla maniglia. Si ritrovò di nuovo a sorridere al pensiero che fino a poco tempo prima, se riusciva a bersi il caffè putrido della macchinetta era già tanto. Ma adesso Riza sarebbe stata capace di rincorrerlo sul pianerottolo in pigiama se solo si fosse azzardato a uscire di casa senza aver mangiato. Erano cambiate tante cose, da quando Riza Hawkeye era diventata la sua donna. Per esempio, ora godeva del privilegio di stare in sua compagnia molto più spesso, e anche solo questo era da considerarsi un evento grandioso. Inoltre aveva chiuso con i vari appuntamenti notturni - su esplicito e
cordiale suggerimento di un revolver appena caricato - anche se ogni tanto, era capitato che ricevesse ancora delle telefonate di qualche sua vecchia conoscenza che gli proponeva di ricordare insieme i bei tempi passati. Ovviamente, essendo lui un uomo di indubbia integrità morale, era sempre stato ben lungi dall’accettare simili sconvenienti proposte, soprattutto da quando la sua dolce metà aveva chissà come intercettato una chiamata, facendogli sperimentare l’ebbrezza di dormire per due mesi sul divano, per la gioia della sua povera schiena. Per di più aveva scoperto che avere una palla pelosa - meglio conosciuta come Black Hayate - che gli gironzolava per casa divorando una scatola di croccantini dietro l’altra - e non solo quelle, visto l’aspetto pietoso che ormai avevano raggiunto le sue pantofole da camera - non era esattamente ciò che si aspettava da parte di un cane ben ammaestrato.


- Roy Mustang sei stato avvertito! Cinque, quattro, tre, due - si sentì una specie di scatto metallico in sottofondo, e il colonnello giudicò quindi molto saggio catapultarsi dentro al bagno senza ulteriori ripensamenti. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era che Riza Hawkeye non bisognava farla arrabbiare, anche a costo di scivolare sulle mattonelle bagnate e perdere qualche dente nello scontro ravvicinato con il lavandino. Si infilò gli stivali saltellando, dopo aver passato una mezz’ora buona a prepararsi - o più che altro a chiacchierare con lo specchio - e appoggiandosi poi allo stipite della porta, si bloccò di colpo con una gamba a mezz’aria. Era strano vedersela comparire davanti così, ogni giorno.

Ritrovarsi una Riza Hawkeye che ciabattava in cucina, ancora avvolta nella sua camicia da notte, con qualche ciocca dorata sfuggita al fermaglio, e quell’espressione tranquilla, quasi ingenua era una cosa fin troppo impensabile per potercisi semplicemente abituare. Tutte le volte sentiva il tremendo impulso di fermarsi a spiarla senza essere visto, rubandole quei piccoli attimi di spontaneità che lo coglievano sempre di sorpresa. Non si era ancora accorta di lui. Stava addentando una mela con una voracità sconcertante, appollaiata sullo sgabello, mentre con la mano sinistra teneva un plico di documenti in bilico sulle ginocchia, chinata in avanti, leggermente - tanto - impedita dal pancione che spuntava nettamente da sotto la stoffa azzurrina. Roy inclinò la testa da un lato, incrociando le braccia sul petto e sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti ironici, senza smettere di fissarla. - Tenente Hawkeye, sei un caso irrecuperabile - fece ad un certo punto, scostandosi la frangia dagli occhi ed entrando a grandi falcate nella stanza, facendola trasalire - Non ti avevo forse detto di lasciar perdere quelle brutte scartoffie e riposare? -
Si chinò in avanti, accostando la fronte alla sua e accarezzandole gentilmente una guancia.
Le dita affusolate di lei si strinsero automaticamente intorno alla sua mano. Sorrise nel vederla arrossire ancora di più per quel gesto istintivo. Non si sarebbe mai immaginato di poterla vedere così. Anche se a volte non riusciva proprio a fare a meno di prenderla in giro, quando scomparivano
inspiegabilmente le barrette di cioccolato dal frigorifero, o quando non riusciva ad alzarsi da sola dal divano e sbuffava come una pentola a pressione perché costretta a chiedere il suo aiuto, sapeva comunque che non si sarebbe mai stancato di guardarla camminare con quell’andatura dondolante, adorabilmente impacciata, e quel sorriso un po’ sciocco sulle labbra. Riza Hawkeye, che per tanto tempo era stata per lui soltanto il suo braccio destro, il suo tenente perfetto. Quando l’aveva conosciuta, gli era sembrata una delle tante. Niente di speciale, insomma, aveva visto anche di meglio; eppure, chissà perché, il suo fascino irresistibile con lei sembrava sempre fare cilecca … Lui, che riusciva sempre ad ottenere ciò che desiderava, Lui semplicemente non poteva essere respinto! Era assurdo, inaccettabile!


Un giorno poi, Roy Mustang finalmente aveva capito.
Era l’orario di uscita, fuori stava nevicando e tutti quanti erano già andati via dal un bel pezzo per rifugiarsi al calduccio.
Riza stava ancora firmando i documenti al suo posto, così come ormai si era rassegnata a fare, vista la scarsa iniziativa del colonnello.
Roy si era appena alzato dalla scrivania, stiracchiandosi pigramente, aveva raccattato il cappotto e si era avviato verso la porta. Un leggero tonfo però lo aveva fatto voltare e tornare sui suoi passi. Il suo sottotenente a quanto pare si era addormentato, stravolto, con il capo appoggiato sul tavolo e alcune ciocche bionde che le ricadevano sul viso, la stilografica ancora in mano. Era stato in quel momento, che il colonnello Roy Mustang aveva realizzato che Riza Hawkeye non era proprio per niente
una delle tante, rendendosi conto con un certo sgomento che quella volta, con Lei sarebbe stato completamente diverso. Così si era chinato, le aveva coperto le spalle col proprio cappotto, scostandole gentilmente i capelli dalla guancia, ed era tornato alla scrivania, dove aveva passato il resto delle quattro ore seguenti firmando fogli su fogli, lanciandole ogni tanto delle occhiatine di sottecchi e sorridendo. Aveva cominciato ad osservarla sempre più spesso, in ufficio, seduto scomposto con il mento appoggiato al palmo della mano e i piedi sul tavolo, soprattutto mentre ascoltava le chiamate di noiosa routine, annuendo ogni tanto al monologo del suo superiore; e Hughes intanto lo teneva d’occhio con un sogghigno, spanciandosi poi letteralmente dal ridere quando, sbilanciatosi un po’ troppo, l’intrepido colonnello finiva per ribaltarsi con la sedia portandosi dietro tutto il telefono. Si era innamorato. E un sentimento del genere, così inaspettato e sconvolgente fin dal principio, aveva dato per scontato che non sarebbe stato semplice … ma poi tornava a guardarla. Sempre al suo fianco, discreta e silenziosa, di una bellezza tanto spontanea da risaltare persino sotto l’uniforme. E lui si diceva una volta di più che sì, valeva comunque la pena tentare.

Si sporse a baciarle la punta del naso, con un sorrisone innocente, per poi accostare un orecchio al suo ventre, passandoci sopra una mano e rimanendo in attesa - Come sta oggi la mia principessina? Scommetto che la mamma continua a farti fare indigestione, eh? - sussurrò alla pancia di Riza, ridacchiando - Pensa un po’ che ieri sera sono stato pure costretto ad uscire di casa alle tre di notte per andare alla ricerca di un pasticcere ancora aperto perché - Riza incrociò le braccia sul petto, un po’ offesa, e lui subito si affrettò a interrompersi, preoccupato. La gravidanza sembrava averle fornito la scusante perfetta per potersi concedere ogni tanto anche lei di mettere su il broncio e comportarsi da ragazzina permalosa, facendo letteralmente impazzire il povero Roy. - Davvero avresti preferito che tua figlia nascesse con un’enorme voglia a forma di plumcake sulla faccia? - borbottò lanciandogli un’occhiata di traverso.

- Mmh? … oh, beh … Sarebbe stata comunque bellissima come te - sussurrò sfregando la guancia contro la sua con un mugolio di scuse.
Lei fece per ribattere qualcosa a proposito di un
certo ruffiano di sua conoscenza, ma due labbra umide e invitanti non lasciarono spazio a ulteriori lamentele. Roy fece passare un braccio sotto alle sue gambe, l’altro dietro alla schiena, e sollevandola di peso dallo sgabello la appoggiò sul bordo del tavolo spostando non molto elegantemente da parte le scodelle del latte per farle posto. Riza si portò un indice sulle labbra, soffocando una risata mentre gli cingeva il collo con le braccia, accogliendo la bocca e intrecciando le gambe intorno ai suoi fianchi - Buongiorno anche a te, amore -


- Che cosa state facendo voi due? - domandò una vocina assonnata ma dal tono palesemente accusatorio.
Un bimbo sui cinque anni fece capolino da dietro la porta, con il pollice in bocca e gli occhioni scuri spalancati.
Sfoggiava un ridicolo pigiamino con degli orsetti ballerini - un capo d’abbigliamento all’ultima moda, secondo il Generale Grumman, che da qualche tempo aveva scoperto la gioia di dedicarsi allo shopping per il suo nipotino prediletto - ed era seguito fedelmente da Black Hayate, la personale guardia del corpo del piccolo Mustang. I due poveri genitori appena colti in flagrante si affrettarono ad allontanarsi, fingendo con molta nonchalance di non notare il tavolo disastrato e il colorito fosforescente delle loro guance - Non dovresti essere ancora a letto, tu? - borbottò Roy con tono scocciato, girando il cucchiaino a vuoto nel suo caffè. Il bambino acchiappò la scatola dei cereali sbadigliando, e nel riempirsi la tazza riuscì a versarne la metà sulla tovaglia.

- Tu russi -
- Che cosa
?? Io non russo affatto, marmocchio impertinente! - esclamò lui scandalizzato, e ricevendo una pernacchia come risposta. Il bambino mollò il cucchiaio nella ciotola, preoccupato, avendo notato l’occhiata per nulla rassicurante del padre che prometteva solletico fino alle lacrime. Riza, rossa in faccia come un pomodoro e ancora appollaiata sul tavolo, sospirò passandosi due dita sulla fronte.
Con quei due era troppo chiedere una colazione normale dove perlomeno non volassero fiocchi d’avena sul soffitto della cucina!
Racimolando ogni briciolo della sua proverbiale calma, bevve un lungo sorso di aranciata, accavallando le gambe.
Inarcò un sopracciglio. In fondo, si ricordò, la sua fondina non era poi molto lontana.
I due uomini di casa, bloccandosi nel bel mezzo di un inseguimento, si scambiarono un’occhiata nervosa.
Roy acchiappò il bambino da sotto le spalle posandolo velocemente sulla sedia, e assecondando un naturale istinto di conservazione, prese posto a sua volta. Riza allungò una mano per scompigliare i capelli del figlioletto, che le rivolse un sorrisetto con i baffi di latte ai lati della bocca. Erano un vero disastro come famiglia
… ma forse era proprio per questo che li amava così tanto.


Roy Mustang si chiuse la porta alle spalle e scese i gradini con passo ciondolante.
Prese un respiro profondo, godendosi la prospettiva di quella che si annunciava una tranquilla passeggiata.
I caldi raggi del sole s’infilavano tra gli alberi del viale, giocando a nascondino tra i rami e sgusciando qua e là nelle zone d’ombra.
Da qualche mese si era ormai abituato a fare la strada da solo, senza la presenza costante di Riza che lo seguiva.
E un pochino gli mancava, doveva ammetterlo. Un pochino tanto.
Soprattutto da quando in ufficio gli era stato assegnato come sostituto temporaneo un donnone con una particolare predisposizione per i begli ufficiali. Si calcò il cappello sulla testa, rabbrividendo al solo pensiero di cosa lo aspettava, e infilandosi subito le mani in tasca in cerca di calore. Ogni respiro si condensava nell’aria fredda del primo mattino. Dopo aver mosso qualche passo, controvoglia, non fece neanche in tempo a sospirare di disappunto che si sentì tirare per la manica e fu costretto a voltarsi, chinando il capo, e ritrovandosi il suo primogenito attaccato alla divisa, che lo fissava con occhioni imploranti.
Oh-Oh. Quello sguardo non prometteva mai niente di buono.
- Che cosa ci fai
tu qui? Ritorna subito dentro! - esclamò dopo un attimo di sorpresa, scuotendo l’indice con un tono che non ammetteva repliche. Il bimbo scosse la testa con decisione e incrociò le braccia sul petto, imbronciandosi. Si era infilato le scarpe e la sua giacca a vento preferita, ma sotto aveva ancora il buffo pigiama. I capelli neri un po’ arruffati gli ricadevano sulla fronte aggrottata, le manine si aggrappavano disperatamente alla stoffa dell’uniforme.
- Io vengo con te! -
Roy si passò una mano sulla faccia, sospirando.
Ancora! Si accovacciò sulle gambe per guardarlo fisso negli occhi.
- Non si può, lo sai. Ora torna dentro. Su, da bravo, obbedisci -
Il bimbo gonfiò le guanciotte, impuntandosi ancora di più e scuotendo di nuovo la testa.
- Se non mi fai venire
…! - esclamò ad un certo punto stringendo i pugnetti in segno di sfida. Roy inarcò un sopracciglio - Io vado a raccontare al nonno e alla mamma che sabato non sei venuto a prendermi a scuola per stare a dormire sul divano! -
-
C-che cosa …? - balbettò Roy preso in contropiede, strabuzzando gli occhi - Che stai dicendo? ma ma io sono venuto sì a …! - e qui poi realizzò cosa effettivamente stesse tramando quel piccolo ricattatore - Arrrgh! Ma da chi diavolo avrai preso?? E va bene, d’accordo! - Lo prese per mano, borbottando qualcosa di incomprensibile tra i denti, e cominciando a camminare mentre il bambino gli teneva dietro con un sorrisone vittorioso stampato sulla faccia. -
papà ? - chiamò dopo un po’ con voce cantilenante, scrollandolo per un braccio - Comprami una frittella -

- Eh? Come sarebbe a dire una …? -
Il bimbo sfoderò un'altra smorfietta eloquente, così simile alla sua, che Roy si ritrovò per la seconda volta zittito nel giro di pochi minuti.
Sbuffando come un bollitore del the, lo stratto
nò dall’altro lato della strada, nascondendo alla bell’è meglio un sorriso sfacciatamente orgoglioso dietro al giornale. Perché lo sapeva, non c’era altro luogo al mondo in cui avrebbe voluto essere, al di fuori di dove si trovava ora. La felicità in fondo è un concetto del tutto relativo. E una frittella caramellata gocciolante di cioccolato che si impiastriccia sulla faccia del tuo piccolo sgorbio, ci si avvicina parecchio, no?

  
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