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Autore: AsfodeloSpirito17662    05/04/2013    6 recensioni
"Oh Merlino, Paciock...”
“Ho toccato il fondo Draco, sono alla deriva”
“Eh, me ne sono accorto”
“Vaffanculo”
“Senti, di certo tutto mi aspettavo tranne che Paciock. Ovvio, sempre meglio di Sfregiato. Credo che in quel caso ti avrei sbattuto fuori di qui a calci nel culo”
[...]
Uno sbuffo di risata, che durò troppo poco perché fosse reale. Incrociò le braccia al petto e si voltò verso il divano. Ora Blaise era in piedi e lo osservava con un’espressione comprensiva. Stava ancora condividendo il suo dolore, non aveva mai smesso di farlo.
“Te ne sei innamorato?”
“Credo che sia un termine azzardato”
“Ti consiglio di capirlo più in fretta che puoi Blaise, perché anche se lo pensiamo, non abbiamo tutto il tempo del mondo a nostra disposizione. Non chiederti perché proprio adesso. Sii grato che sia successo abbastanza presto”
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Blaise Zabini, Neville Paciock, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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VENTIDUESIMO CAPITOLO


So I haven't given up,

But all my choices, my good luck...

Appear to go and get me stuck,

In an open prison.

Now I am tryin' to break free,

Be in a state of empathy.

Find the true and inner me,

Eradicate the schism.


No-one can take it away from me,

And no-one can tear it apart.

Because a heart that hurts,

Is a heart that works.

A heart that hurts,

Is a heart that works.

(Bright lights, Placebo)


Constance, in tutta franchezza, non riusciva a capire dove diavolo fosse il problema. Non era come adottare sul serio un bambino, insomma... Blaise non se ne sarebbe di certo dovuto occupare ventiquattro ore su ventiquattro. Lui e quella lì, quella Mary, avrebbero potuto tenerlo un mese per uno o qualcosa del genere. Si potevano organizzare! Tra l'altro, sarebbe stata una custodia condivisa non ufficiale; per legge il bambino, com'era ovvio che fosse, poteva essere affidato ad una sola famiglia, quindi Blaise sarebbe stato vincolato da un semplice accordo verbale a quella sorta di... patto.

Facilmente eludibile, dunque.

Forse il problema era proprio quello, rifletté Constance osservando il profilo di suo figlio seduto composto al tavolino. Forse Blaise non aveva preso neanche in considerazione la prospettiva di uno svincolo; se avesse accettato la proposta di Mary, l'avrebbe fatto con tutte le conseguenze del caso.

Avrebbe preso quell'impegno per tutta la vita.

La donna sospirò silenziosamente, appoggiando la schiena contro la sedia.

L'appartamento di Blaise era immerso nella penombra ed un quieto silenzio sembrava voler rispettare la moltitudine di pensieri che in quel momento sconvolgevano la mente del suo unico erede.

Constance lo osservò con attenzione, come tante volte aveva fatto da quando la vita glielo aveva donato: quella serietà, quel quieto e sottile senso del dovere, quel particolare rispetto che mostrava verso determinate situazioni... non aveva ereditato da lei quelle qualità (ma neanche dal padre, visto il modo in cui se l'era svignata, lasciandola da sola con una moltitudine di problemi sulle spalle). Blaise gli ricordava piuttosto Elemia Zabini, suo padre, nonché defunto nonno del giovane. Avrebbe dovuto immaginare, che suo figlio non sarebbe mai stato in grado di affrontare quella scelta con la serenità che invece avrebbe avuto lei; non riusciva a capacitarsi di come potesse sentirsi minacciato dal peso di una promessa che non richiedeva nessuna firma, di una promessa che poteva essere infranta in qualsiasi momento.

Eppure...

Eppure Constance era maledettamente orgogliosa di quella consapevolezza. Era orgogliosa perché Blaise continuava a darle motivazioni che glielo facevano amare sempre di più.


"Bé... pensa anche alla tua povera mamma, Blaise caro"


Lui sollevò gli occhi dalla tazza di caffè quasi vuota, per studiare il volto di sua madre che, dal canto suo, non voleva saperne di lasciarsi seppellire dall'austerità e dall'aura depressa che emanava suo figlio.

Lei roteò gli occhi di fronte alla sua espressione interrogativa e sbuffò una risata.


"Non vuoi regalarmi un nipotino? La gioia di essere chiamata nonna?" sfarfallò le ciglia con ben architettata affabilità. Lui aggrottò la fronte, gli occhi che trasudavano scetticismo a secchiate.

"Non ti faresti chiamare nonna neanche se ti offrissero un premio in denaro" commentò, schioccando seccamente la lingua sul palato. Constance sventolò una mano per aria con leggerezza.

"Dipende dalla cifra di cui stiamo parlando, figlio mio. Ognuno ha il suo prezzo!"


Blaise fece una smorfia, ma non replicò, perché sua madre aveva ragione.


"Non prenderebbe comunque il nostro cognome"

"Non è il cognome che farebbe di lui uno di famiglia!"


Di nuovo, il ragazzo si zittì, perché sua madre stava abbattendo, senza pietà, tutti i paletti che si erano posti sulla strada dell'accettare la proposta di Mary Moore.

Penserò io a sistemare Benjamin, Blaise. Devi solo dire di sì gli aveva detto, con uno strano sguardo da girl power celato negli occhi verdi.

Certe volte le femmine riuscivano ad inquietarlo; potevano sembrare candide ed innocenti, ma sotto lo strato di purezza che sbattevano in faccia agli altri come un biglietto da visita, erano tutte delle sporche calcolatrici.


"Il mio lavoro mi tiene molto impegnato" riprese poi, rigirandosi la tazza tra le mani con aria distratta.

"Ne sono certa. Per fortuna hai me e quel tuo simpaticissimo amico Neville, che sicuramente sarebbe disposto ad aiutarti come lo sono io!"

"Non esserne troppo sicura"

"Piacerebbe a te, non esserlo, così avresti un motivo in più per rifiutare" Constance disintegrò il suo insulso borbottio con una sentenza da tribunale.


Blaise si morse l'interno della guancia, consapevole di star perdendo miseramente la guerra.

Dio, perché sua madre doveva essere così sua madre? Un po' come quando Neville certe volte si chiedeva perché Blaise dovesse essere così Blaise.

Evidentemente era una caratteristica della genetica Zabini essere sempre così così.


"Anche lui lavora e comunque non capisco cosa possa entrarci in tutta questa faccenda"

Sua madre arcuò le sopracciglia e lo guardò con un'occhiata che da sola sembrava dire fai sul serio?

"Io, invece, campo di rendita” rispose con una serenità diabolica, “ Ed ho un sacco di tempo libero. Per quanto riguarda il tuo amico, non credo ci voglia una magia per capire che si è affezionato al bambino quanto Mathias si è affezionato a lui"

"Come verrebbe trattato se venisse associato ad uno come me?!" Blaise si mosse nervosamente sulla sedia, facendo scorrere una mano tra i corti capelli neri.

"Non mi sembra ti sia mai importato qualcosa di quello che pensano gli altri"

"Non importa a me, ma potrebbe importare a lui!"

Constance schioccò le dita affusolate ed un sorriso accattivante le piegò le labbra piene.

"Ma guardati! Pensi già in funzione a cosa possa essere meglio per Mathias! Ti sei praticamente calato nel ruolo da solo, non ti resta che mandare un gufo a quella Mary e dirle di sì!"

"Non ho risposto ai suoi gufi, non credo proprio voglia rivedermi così presto"

"Mio figlio: un vero prodigio! Perché non mi hai mai parlato delle tue capacità divinatorie, Blaise caro? O forse hai avuto un sogno premonitore che ti ha permesso di darlo per certo?"

Il ragazzo le lanciò un'occhiatina, aveva l'aria di uno che era stato messo alle strette contro la sua volontà.

In effetti, era proprio ciò che sua madre stava facendo.

"Ho venticinque anni!" tentò, non sapendo a cos'altro diavolo aggrapparsi.

"Io ne avevo venti quando sei nato tu"

"Sono stato voluto!"

"E tu vuoi Mathias altrimenti non staremmo qui a parlarne né mi staresti costringendo a calpestare ogni tua sentenza. Perché è questo che vuoi da me, Blaise. Tu vuoi che io riduca ogni tua considerazione ad un livello talmente irrilevante, da convincerti che non valga neanche la pensa starci a pensare. Vuoi forse prendere in giro la tua mamma adorata e devota, osando negare questa ovvietà?"


Il Serpeverde ebbe l'impulso di vomitare davanti alle ciglia sfarfallanti di Constance che, in un modo davvero crudele, riuscivano sempre a farlo sentire in colpa. Lo sapeva che lo stava facendo apposta, tuttavia non riusciva a resisterle, non era mai stato in grado di farlo. E lei lo sapeva.

Strega!


"E comunque ci saremmo anche noi, eh"


Blaise neanche si voltò, anzi: sperò ardentemente che ignorare sin dal principio quell'intervento non richiesto, potesse salvarlo dall'ennesima sceneggiata.

Ah!

Povero illuso.


"Sta zitta Morgana, non riesci neanche ad evitare che ti schiaccino contro la cornice, come pensi di poter aiutare Blaise a badare ad un bambino?"

"A parte questo, dovresti parlare al singolare Morg, perché io non ho intenzione di fare da balia proprio a nessuno!"

"Ah, è così? Se proprio vuoi saperlo, Bacco, con quello stomaco enorme che ti ritrovi è un po' difficile non lasciarsi schiacciare contro la cornice. Magari se chiudessi la bocca, oltre ad attivare il cervello perderesti anche un po' di ciccia. In quanto a te, meravigliosa Ginevra, se Ser Lancillotto ha smesso di farti la corte è proprio per questo tuo acidume!"

"Disse quella che tradì il sangue del suo sangue!"

"Come osi? Il passato è passato, parlo di nuovo con Artù se non te ne sei accorta, quello stesso Artù che hai ben pensato di cornificare come una sciacquetta da taverna!"

"Sciacquetta a chi, strega? Per lo meno io non morirò zitella e con le ragnatele nelle mutande!"

Quando la situazione iniziò a farsi preoccupante, Don Chisciotte balzò in mezzo alle due cercando di calmare gli animi, che già stavano per prendersi per i capelli.


Blaise passò stancamente una mano sul volto, mentre sua madre rise di gusto.

Certe volte la sua vita gli pareva una barzelletta!


*


Mathias guardava il cielo nuvoloso al di là del vetro della finestra, mentre Dennis, il fratellastro di cinque anni, giocava con i modellini di alcune scope seduto sul tappetto della sua stanza: era tutto intento ad inscenare un'avvincente partita di Quidditch, con mostri e draghi annessi (non si faceva mancare niente).

Da quando Mathias aveva messo piede in casa Moore, Dennis era diventato la sua ombra. Lo seguiva ovunque, pretendeva di fare le cose che faceva lui e, certe volte, cercava di parlare come lui. Gli occhioni verdi del bambino lo scrutavano capeggiando sotto una zazzera di capelli castani, il visetto a forma di cuore come quello della sua mamma.

Mathias non apprezzava essere costantemente osservato da qualcuno, che fosse un individuo di cinque o trenta anni aveva poca importanza: trattava Dennis con distacco, cercando di farsi odiare; lo stesso distacco, lo propinava senza tante cerimonie anche ai due coniugi che lo avevano adottato, ma il fallimento continuo dei suoi tentativi non faceva altro che alimentare la sua rabbia.

Mary e Benjamin con lui erano stati fin dall'inizio maledettamente gentili, premurosi ed attenti ad ogni suo bisogno. Gli sorridevano e lo trattavano allo stesso modo in cui Dennis veniva trattato e, davvero, ci stava ancora provando a farsi odiare, ma i suoi tentativi diminuivano di intensità e determinazione di giorno in giorno. Non ce la faceva proprio a comportarsi male con quella gente che gli stava dimostrando affetto senza chiedere nulla in cambio, quella era una cosa al di fuori delle sue capacità! E poi, se sua madre fosse stata ancora viva, sicuramente non avrebbe benvisto quel modo di fare, quell'irriconoscenza. I suoi genitori non gli avevano insegnato ad essere un bambino maleducato ed ingrato, quindi si era detto una buona volta che doveva piantarla di sbattere i piedi e ringhiare a chiunque gli rivolgesse la parola, perché così facendo avrebbe dato un dispiacere anche a loro.

Tuttavia, nonostante le sue buone intenzioni, non poté fare a meno di sentirsi uno schifo mentre il cielo plumbeo si rifletteva nei suoi occhi scuri.

Si sentiva solo, non capito e non aveva voglia di parlarne. A cosa sarebbe servito ricominciare tutto da capo? L'aveva fatto con Blaise e com'era finita? Ignorava i gufi che gli spediva!

Mathias aveva smesso di scrivergli una settimana prima; i sentimenti stracciati dall'indifferenza che il Serpeverde aveva mostrato nei suoi confronti, gli avevano fatto perdere il coraggio di continuare a farlo.

Mary se ne era accorta, ma non gli aveva chiesto niente e continuando a sorridere gli aveva accarezzato i capelli e ficcato tra le mani una cioccolata calda con una montagna di panna sopra. Mathias era arrossito, perché se c'era una cosa cui non sapeva resistere era proprio la panna e senza dire niente, vi si era praticamente affogato, evitando di incrociare gli occhi verdi della donna, inteneriti forse da qualcosa che solo lei poteva vedere.

Ovviamente Dennis aveva preteso la stessa identica quantità di cioccolata con la stessa identica quantità di panna; Mary, roteando gli occhi verso il soffitto, lo aveva accontentato con un'espressione divertita ad illuminarle il volto gentile.

Mathias avrebbe definito la vita in casa Moore soffice.

Entrare lì dentro, era come sentire una coperta calda che ti avvolgeva nelle fredde giornate invernali e c'era da dire che sia Mary che Benjamin avevano fatto veramente di tutto, per metterlo a proprio agio. Il fatto che continuasse a pensare a Neville e Blaise, quindi, lo faceva sentire ancora di più in colpa; quanti di quei sentimenti avrebbe potuto ancora sopportare un bambino di otto anni come lui?

Mathias distolse gli occhi dal cielo scuro perché Dennis lo stava tirando per una manica, chiedendogli di giocare con lui. Con uno sbuffo, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e si rigirò tra le dita uno dei modellini di scopa appartenenti al fratellastro; gli venne quindi naturale lanciare un'occhiatina al muro della sua stanza, al quale era appesa la scopa che Constance gli aveva regalato per Natale. Piegò le labbra in un debole sorriso, ricordando la domenica in cui era stato portato a provarla ed un piacevole calore gli invase il petto.


"Mathias il mio drago sta mangiando la tua scopa!"


Dennis riportò la sua attenzione sul gioco che aveva deciso di fare; notò così che il modellino della sua scopa. veniva gradualmente e magicamente inghiottito dalle fauci di un drago di plastica, dalle discrete dimensioni.


"Non vale, non stavo guardando!" replicò, senza nemmeno tentare di salvare la scopa.

"E perché non stavi guardando?" la voce del suo fratellastro risuonava sempre con un tono di tale candore ed innocenza da minare spesso alla salute del suo cipiglio perennemente irritato.


"Perché stavo pensando"

"Perché stavi pensando?"

"Perché la gente pensa!"

"E tu che cosa pensi?"

"Penso a... penso alle scope!"

"Alla tua scopa?"

"Sì, alla mia"

"Perché non mi fai mai giocare con la tua scopa?"

"Perché sei piccolo!"

"E quando divento grande?"


Mathias venne investito dagli occhi chiari del fratello, che lo guardarono con una sorta di aspettativa e speranza. Realizzò in quel momento che avrebbe davvero vissuto per sempre con i Moore e che quindi sarebbe giunto davvero il momento in cui Dennis sarebbe diventato abbastanza grande per poter giocare con la sua scopa.

E lui sarebbe stato lì ad assistere a quel processo, a quella crescita.

Ed avrebbero anche frequentato alcuni degli anni ad Hogwarts insieme!

Schiuse le labbra con espressione piuttosto babbea, fissando Dennis come non lo vedesse realmente.

Il suo futuro, tutta la sua vita sarebbe stata con i Moore!

Gettando il modellino della scopa (o ciò che ne restava) sul tappeto, si alzò boccheggiando.

Come aveva fatto a non pensarci prima? Aria, gli serviva aria, immediatamente!

Si catapultò verso la porta della sua stanza e dopo averla aperta, volò al pian terreno guadagnando l'uscita della villetta come un razzo.

Mary, che era in salotto a sistemare i panni puliti da poco ritirati, allargò gli occhi incredula, credendo di aver visto male, tanto Mathias era stato veloce; ma quando vide Dennis scendere le scale nel tentativo di andare come al solito dietro al fratellastro, capì invece di averci visto benissimo. Corrugò la fronte accantonando i suoi doveri di casalinga e si diresse verso la porta di ingresso mentre Dennis la affiancava.


"Mathias?" provò, cautamente, affacciandosi sull'uscio ed osservando il giardino curato che precedeva l'entrata della casa.


Nell'udire la sua voce, l'interpellato si girò verso di lei con uno sguardo perso ed il respiro inframmezzato.

Mary uscì di casa, preoccupata dalla confusione e dal turbamento che leggeva sul volto delicato di Mathias.

Dennis la seguì con un cipiglio curioso e passò le manine tra i capelli castani, cercando di incasinarli come lo erano quelli del suo fratellastro. Ciò che faceva Mathias gli sembrava sempre giusto, quindi voleva essere letteralmente come lui! Il più piccolo dei Moore rimase in silenzio, semi nascosto dietro le gambe di sua madre.


"Mathias, cos'hai?" domandò Mary, con tono di voce gentile che cercò di essere anche tranquillizzante. Ebbe l'istinto di allungare le mani per accarezzargli il viso, ma si trattenne: aveva capito che il più grande dei suoi figli non amava il contatto fisico. Non quello delle persone di cui non si fidava, per lo meno.


Mathias percepì una strana nota nel tono di voce della donna che aveva di fronte, ma era pur sempre un bambino e non poteva capire che lei gli stava chiedendo, ti prego, di lasciarsi aiutare.


"Voi mi avete adottato" esordì, incapace di tenere tutti quei pensieri per sé. Doveva parlare, doveva farlo o sarebbe letteralmente esploso, lo sentiva. Era un bambino, pretendeva di essere rassicurato ed aveva il sacrosanto diritto di fare tutte le domande del mondo perché sì.


"Sì Math..." rispose Mary, incerta, attendendo che il bambino continuasse a parlare. Che fosse arrivato il momento, si chiese con una sorta di magone speranzoso a stringerle la gola?


"Lo sapete che è per tutta la vita?"


Lei annuì senza parlare, ma cercò gli occhi scuri dell'altro con i suoi, perché voleva che capisse che lo sapevano, l'avevano sempre saputo e questo non li aveva mai distolti dai loro propositi.


"Lo sapete che non potrete ridarmi indietro se non vi piaccio più?"

"Sì, certo!"

"Lo sapete che tra vent'anni sarete ancora i miei genitori?"

"Sì!"

"Lo sapete che se per caso facessi dei guai poi dovrete pensarci insieme a me?"

"Lo sappiamo, Math!"

"Lo sapete che se vi stufate o ci ripensate non potrete cacciarmi via?"

"Buon Merlino, ma come ti vengono in mente certe cose?!"


Mathias unì le labbra, abbassando lo sguardo verso il terreno.

Era stato piuttosto schietto, ma aveva bisogno di parlare con sincerità e di sentire delle risposte altrettanto sincere. Voleva capire se i Moore erano davvero convinti di quello che avevano fatto.

Lui non era un giocattolo od un oggetto e ne aveva veramente abbastanza di cambiamenti drastici nella sua vita. Ne avrebbe avuto per molti, molti anni a venire!

Mary si avvicinò a lui e poggiò le mani sulle sue spalle in un contatto non troppo invasivo.


"Io e Benjamin" esordì, con un tono di voce gentile ma fermo, di chi non aveva intenzione di essere contraddetto, "Abbiamo deciso di prendere in adozione un bambino dopo la nascita di Dennis, Mathias. Non prima. Non abbiamo nessun problema ad avere figli, ma il nostro desiderio di adottarne uno era grande. Sopratutto quello di Benjamin, che ha un cugino rimasto orfano ancora prima di te. Abbiamo visto con i nostri occhi la felicità che la sua famiglia adottiva è riuscita a donargli, lo abbiamo visto attraversare momenti veramente bui e difficili durante il corso della sua vita, ma i suoi genitori, perché io mi ritengo tua madre a dispetto di ciò che pensi, non l'hanno lasciato solo nemmeno per un secondo. Mai. Quando qualcuno adotta, Mathias, lo fa per tutta la vita ed è quello che abbiamo fatto con te. Ti abbiamo desiderato così tanto e, davvero, tu non puoi avere neanche la minima idea di quello che stai dicendo. Lo capisci? Io e Ben cercheremo di essere sempre tua madre e tuo padre anche se tu non ci permetterai di farlo"


A quelle parole, il bambino divenne paonazzo. Dalla rabbia.


"Voi non sarete mai mia madre e mio padre! Li ho già avuti e sono morti, non sarete mai come loro!" ribatté ad alta voce, incurante di poter attirare gli sguardi curiosi dei vicini rintanati nelle loro case.

Mary sospirò, conscia di essersi espressa solo a metà e tentò di rimediare.


"Nessuno vuole prendere il posto dei tuoi veri genitori Math, né io né Ben. Non vogliamo farlo e comunque non saremmo in grado. Tuttavia questo non mi impedirà di comportarmi con te come una madre farebbe, perché per me sei mio figlio. Lo sei diventato ancora prima che ti conoscessi quel giorno al Ministero. Lo sei diventato quando hanno accettato la nostra richiesta di adozione e ho sentito di amarti ancora prima di sapere il tuo nome"


Stava piangendo, ma non se ne era accorto. Credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime quel giorno al cimitero... Invece aveva pianto al Ministero, quando aveva dovuto separarsi da Blaise e lo stava facendo di nuovo.

Si sentiva così stanco, così stanco che quando Mary lo abbracciò teneramente avvolgendolo in un calore confortante, la lasciò fare.

Singhiozzò indecentemente sul suo cardigan verde pastello che arpionò con le mani, stringendolo tra le dita. Piangeva perché si sentiva effettivamente amato da quella famiglia e non sapeva se sarebbe mai stato in grado di ricambiare. Piangeva perché sentiva di avere come una zavorra che gli impediva di sbloccare il suo tormento. Piangeva perché Blaise l'aveva abbandonato, nonostante le sue tacite promesse. Piangeva perché avrebbe voluto sentire ancora l'odore di Neville, così simile a quello di suo padre. Piangeva perché forse, forse, voleva credere a quello che Mary gli aveva detto... Perché se non l'avesse fatto allora sarebbe stato perduto per sempre e non ci sarebbe stato nessun Blaise in grado di salvarlo da se stesso.

Mary continuò a stringerlo tra le braccia con un sorriso comprensivo sulle labbra, sussurrando gentilmente per cercare di calmarlo. A quel punto, entrambi si sentirono circondare le gambe da qualcosa. Abbassando gli occhi, videro Dennis che cercava di abbracciarli entrambi, per quanto nelle sue possibilità, tenendo il naso puntato all'insù con gli occhi verdi e lucidi.


"Perché piangi Mathias?" pigolò con tono di voce incerto, combattuto tra l'idea di farlo anche lui (per imitare il fratello) oppure no.

"Non vuoi stare con noi? Non ti piaccio?"

La sola idea sarebbe bastata come pretesto per piangere, ma Dennis non era in grado di capirlo.

"Giuro che non ti chiederò mai più di farmi giocare con la tua scopa, ti prego non te ne andare! Io voglio stare con te!"


La faccia devastata di Dennis sull'orlo delle lacrime, gli fece tremare le spalle nel tentativo di non mettersi a ridere. Aveva un'espressione troppo comica!

Incredibilmente la prima a cedere fu Mary che, meno sensibile di lui nei riguardi dei sentimenti del suo secondogenito, scoppiò in una fragorosa risata priva di ritegno.

Dennis lanciò un'occhiata di fuoco a sua madre, che avrebbe forse potuto incenerirla, offeso nel profondo orgoglio tipico dei bambini e cominciò a lagnarsi sul serio; a Mathias tremolavano le labbra, mentre si asciugava la faccia con la manica della maglietta, ma tentò comunque di trattenersi, per evitare che gli acuti del bambino arrivassero fino all'altro mondo. Si inginocchiò sull'erba e lo guardò con espressione esitante, gli occhi attraversati da un'ombra di incertezza. Le sue braccia sembrarono vacillare lungo i fianchi, ma le mantenne saldamente attaccate al corpo; questo non impedì a Dennis di capire cosa Mathias stesse per fare e togliendolo sia dall'imbarazzo che dall'impiccio, gli gettò le braccia al collo in una presa da boa constrictor.

Lo slancio fu talmente entusiasta che il più grande dei due crollò con il sedere per terra, reggendo il peso di entrambi con una mano, per evitare di finire distesi sull'erba umida; sfarfallò le ciglia con espressione perplessa, avvertendo Dennis cercare di mettere quanta più forza possibile in quell'abbraccio, come a volerlo costringere a portarlo con sé ovunque sarebbe andato.

Mathias non capiva, davvero non capiva cosa avesse fatto per guadagnarsi tutto quell'affetto da parte del fratellastro. Per una volta, però, prese a calci la sensazione di non meritarsi tutto quello; si lasciò avvolgere dalla famiglia Moore come non gli aveva mai permesso di fare e la sincera gioia che lesse sul volto di Mary gli fece capire che stava facendo la cosa giusta.


Si lasciava avvolgere dai Moore e lasciava scivolare via Blaise.


Quando si furono tutti rimessi in piedi e dopo aver cancellato ogni singola traccia di pianto dalle facce, fecero per tornare dentro casa.

Il cielo plumbeo aveva iniziato a buttar giù qualche goccia di pioggia e nel giro di qualche attimo si sarebbero trasformate in una sorta di diluvio universale, Mary poteva scommetterci la sua collezione di cardigan color pastello (in tutte le tonalità esistenti).

Dennis entrò per primo, seguito da un pacato Mathias, imbarazzato dalla scenata che aveva fatto in giardino.

Benedetto ragazzo, pensò Mary scuotendo la testa e promettendosi di riuscire a farlo comportare come un bambino normale, prima o poi. Prima di Hogwarts per lo meno, aggiunse mentalmente con un cipiglio battagliero.

Fece per chiudere la porta, quando nel cielo scorse un puntino nero, piccolo, ma in avvicinamento. Restò con la mano sulla maniglia, gli occhi verdi sempre diretti verso quello che capì essere un gufo. Il suo cuore perse un battito e lanciò così una veloce occhiata all'interno della casa, per assicurarsi che i suoi figli avessero già lasciato il salotto. Uscì nuovamente sull'uscio ed accostò la porta, attendendo con una certa impazienza l'arrivo del volatile.

No, Mary, non attivare il cervello. Non. Lo. Attivare. Aspetta prima, devi aspettare. Potrebbe essere di chissà chi, magari non è lui. Non iniziare a partire con i filmini mentali perché poi lo sai come va a finire. Non è sano!


Quando il gufo arrivò, la dolce, carina e pacata signora Moore quasi lo aggredì. Gli strappò la lettera dalle zampe con una foga eccessiva, tanto da guadagnarsi uno schiocco indignato del becco di Zeus (così c'era scritto sulla targhetta che portava intorno al collo) e ruppe il sigillo, estraendo la pergamena al suo interno.


Quando ebbe finito di leggere, le sue labbra si tesero in un sorriso.














NOTE DELL'AUTORE: ventiduesimo capitolo. Oddio, sto scrivendo davvero questa parola... ventiduesimo. Siamo a meno uno ragazze, oramai l'ufficiale fine di questa storia è alle porte. L'epilogo è lì che mi guarda, ma il pensiero di doverlo pubblicare venerdì prossimo mi fa sanguinare il cuore, sul serio. Comunque, pensando a cose ben più allegre: è venerdì, ciò vuol dire che domani è sabato! Evviva! Ringrazio moltissimo Mimiwitch per il betaggio, un grosso bacio a tutte quelle che mi scrivono su Twitter, per e-mail e per messaggistica privata, a chi legge e basta, a chi spende due minuti per farmi sapere cosa ne pensa, a chi aggiunge la storia nelle varie liste ed a chi vi si è affezionato! Offrirò a tutti da bere prima o poi, statene certi, ahahah :D buon weekend sweethearts!

   
 
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