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Autore: nes_sie    06/04/2013    11 recensioni
[Olicity]
Così, fece quello che avrebbe fatto con una qualunque persona a lei cara e fu se stessa.
Si sporse dalla poltrona girevole e appoggiò la mano sul braccio di Oliver; avvertì una scossa, ma allo stesso tempo si rese conto di quanto naturale e familiare fosse quel gesto nei confronti di quell'uomo complesso e impenetrabile che le aveva sconvolto la vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Nuovo personaggio, Oliver Queen, Tommy Merlyn
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Prendersi una cotta per il capo non è professionale


 



07:45 a.m.
Il buongiorno si vede dal mattino.


A Felicity occorsero un paio di minuti per comprendere che un tornado si era appena scatenato nella sua camera da letto... perché era ancora la sua camera da letto, giusto? La fase di sonnambulismo era trascorsa da un bel pezzo – sua madre teneva chiuse a chiave porte e finestre, perché non le fosse venuto in mente di uscire fuori casa o lanciarsi nel vuoto – ed era sicura di essersi addormentata tra le sue lenzuola, nel suo lettone, con un fastidioso King accucciato dietro la schiena e la tv accesa. Peccato che in sottofondo non si sentisse alcuna televendita su attrezzi fantascientifici che ti facevano perdere 15 kg in una settimana o sull'ultimo modello di batteria di pentole acciaio inox assolutamente imperdibile. In realtà, l'unica cosa che percepiva era lo spostamento d'aria che le solleticava le palpebre appena socchiuse e un borbottio – “Madre de Dios, che confusione in questa casa!” – che si era insinuato nella sua mente come un martello pneumatico. «...Wanda?» disse flebile, dopo essersi stropicciata gli occhi con entrambe le mani.  
La citata vicina di casa, che evidentemente non aveva ben chiaro cosa significasse “usare la copia delle chiavi di casa solo per le emergenze”, si posizionò di fronte a lei, mani sui fianchi, espressione tra il compassionevole e l'irritato (come diavolo ci riusciva?) e, ah, bigodini sui capelli rosso Rihanna – “vanno così di moda, di questi tempi, e dire che sono stata io a scoprirlo per prima!” – che ballonzolavano al ritmo del picchettare del suo piede sinistro.
«Pasticcino, questa casa è una giungla!»
Felicity ebbe da obiettare, ma «È successo qualcosa di grave? Perché hai usato la copia delle chiavi? Un'altra volta?» volle la precedenza a qualunque altra domanda le affollasse la mente in quel momento.
Wanda la guardò un attimo disorientata, poi si riprese.
«Tesoro, dovresti fare qualcosa con quelle occhiaie, non ti donano. Ti lascerò sul frigo il post-it con scritto il nome del correttore che utilizzo io.» Felicity non seppe se esserle grata o meno. «Comunque, sì. È un'emergenza. Non ricordi che giorno è oggi?»
Felicity scostò le coperte e si mise seduta.
«Sabato? Oggi è il mio giorno libero,» affermò. Era tutta la settimana che agognava quel giorno, dopo i turni alla Queen Consolidated e gli “straordinari” massacranti alla vecchia fonderia Queen. Non che quest'ultimi li facesse controvoglia, anzi; era ogni giorno più che determinata a trovare Walter e allo stesso tempo si sentiva sempre più parte integrante di quello strano trio che componevano lei, Oliver e Dig. Le regalava una strana sensazione, che la faceva sentire... utile.
Dovette scendere dalle nuvole e accantonare quelle elucubrazioni, perché Wanda aveva cominciato a sproloquiare, e Felicity capì appena le ultime parole.
«...e quindi dovrai presentarti al meglio che puoi. Sii decente, quanto meno... Joaquìn non è poi così esigente. Sei fortunata.»
«Wanda, ho chiuso con i tuoi appuntamenti al buio. Sto benissimo così, grazie.» E Felicity lo pensava veramente. Checché ne dicessero Wanda e perfino quella pettegola di Ronda, una delle sue colleghe alla Queen Consolidated, lei non aveva bisogno di un uomo; o meglio non ne sentiva la necessità in quel particolare periodo della sua vita – che era diventata stressante di suo... 
Scusa, tesoro, ma l'Incappucciato Vigilante di Starling Cicy vuole che gli faccia un paio di ricerche all'Arrow Cav, ti dispiace se rimandiamo il nostro appuntamento?
Era uscita con qualcuno, ma niente di importante; tuttavia per Wanda era inammissibile che una ragazza di ventiquattro anni fosse felicemente single, e Felicity sapeva che non sarebbe riuscita mai a convincerla di quanto invece le piacesse, in fondo, avere la sua libertà e indipendenza. Beh, a meno che non le chiedesse di sposarla Johnny Depp...
«E va bene,» disse infine Wanda. «non aggiungerò altro, anche se Joaquìn ci rimarrà malissimo.»
Felicity aveva i suoi dubbi a riguardo.
«Ho fatto partire la lavatrice,» continuò la sua vicina, mentre si incamminava verso la porta d'ingresso – dopo essere passata in cucina a lasciare il post-it (Wanda non dimenticava mai nulla). «Quando imparerai a dividere i capi colorati da quelli bianchi?»
Felicity non la stava ascoltando, tutta impegnata a rimettersi a letto. «E comunque oggi è venerdì e tu sei in ritardo a lavoro!»
«COSA?» Felicity si alzò di scatto, buttò a terra le coperte e si mise in piedi, pronta a dirigersi in bagno – il tempo di lavarsi la faccia e pettinarsi (non aveva il tempo per il resto) –, ma rovinò a terra, con i piedi accuratamente aggrovigliati alle lenzuola. Imprecò e si maledisse, mentre strisciava verso la sua meta.

 

02:45 p.m.
L'amore è cieco, ma vede lontano.


141
L'ingresso del seminterrato della vecchia Fabbrica Queen si aprì e Felicity, hamburger con insalata, cipolle, formaggio e maionese in una mano (aveva cominciato a mangiarlo per strada) e borsa nell'altra, si diresse verso le scale. Quel pomeriggio, c'era uno strano silenzio e a parte i bip dei computer sempre a lavoro non si avvertiva la presenza di alcuno.
Meglio così
, pensò Felicity, potrò lavorare senza distrazioni...
Lasciò la borsa su di uno sgabello, si sfilò il cappotto e con l'hamburger stretto saldamente tra i denti si sedette sulla sedia girevole di fronte al suo tavolo da lavoro.
«Ehm, tu saresti...»
La voce del tutto sconosciuta alle sue spalle fece sobbalzare Felicity, l'hamburger finì sopra la tastiera e non ebbe il tempo di guardare lo spettacolo disgustoso della maionese che trovava spazio tra un tasto e l'altro, perché si voltò immediatamente verso la fonte del suo imminente infarto.
«Oddio! Lei non dovrebbe trovarsi qui! Cioè, sì, dovrebbe perché in fondo è lei a gestire il locale per Oliver, ma il locale si trova di sopra, non qui, e forse si sarà fatto un'idea sbagliata ma non è così...»
Tommy Merlyn – un paio di jeans, una camicia bianca sotto ad una giacca blu – la guardava perplesso, tuttavia decise di toglierla da quella situazione orribile perché disse: «Tu sei Felicity.» Felicity era così sconvolta che si limitò ad annuire meccanicamente. «Oliver mi aveva detto che con molta probabilità ti avrei trovata qui. Così... beh, piacere di conoscerti.»
Le sorrise e le allungò una mano; Felicity la fissò come se fosse un piranha pronto a staccarle un braccio.
Merlyn dovette aver interpretato la sua espressione. «Qualcosa mi dice che Oliver non ti ha aggiornata.»
«Tommy, cos-... ah, Felicity. Vi siete già presentati?»
Oliver era apparso senza che Felicity se ne accorgesse e ora si trovava accanto al suo amico.
«Oliver, credo le sia venuto un attacco di cuore,» spiegò Merlyn. «Non gliel'hai detto?»
Oliver la guardò, visibilmente mortificato. «Felicity, mi dispiace, credo non ci sia stato modo di avvertirti in tempo. Non volevo che lo sapessi così, di sicuro avrai preso un bello spavento,» ridacchiò appena per sciogliere l'imbarazzo che si era creato.
«Non che tu sia tenuto ad informarmi di tutto ciò che ti riguarda, ci mancherebbe, ma la prossima volta che hai intenzione di fare coming out, avvertimi.» Tommy si lasciò andare ad una risata secca. «Potrebbe farlo Dig, o un sms, o potresti mandarmi un piccione viaggiatore...»
«Felicity, mi dispiace.»
E lei decise che la questione poteva chiudersi, perché davanti a quegli occhi era diventato particolarmente difficile resistere. Scosse la testa.
«Argomento chiuso.» Porse la mano a Tommy. «Piacere di conscer-ti...» chiese dubbiosa.
«Tommy. Siamo entrambi dentro a questa... cosa, giusto?»
Felicity annuì con un sorriso di cortesia, mentre osservava gli occhi di Tommy guardare da un'altra parte, come se si trovasse a disagio lì dentro. Decise di mettere a tacere la sua mente impicciona.
«Tommy ed io avevamo intenzione di pranzare insieme, ti dispiace se...?» le chiese Oliver con tono sommesso.
«Nessun problema, ho della roba da sistemare, quelle ricerche...» Gesticolava come se mani e braccia potessero aiutarla a blaterare qualcosa di più intelligente. Continuò ad ignorare la pozza di maionese sulla tastiera che teneva nascosta dietro la schiena.
«Ahem, in realtà, Oliver, mi sono ricordato di avere un impegno. Questioni dell'ultimo minuto. Scusa, ci... ci mettiamo d'accordo per un'altra volta, okay?»
Tommy si voltò, pronto a raggiungere le scale. Rifilò a Felicity un saluto veloce, poi si sentì il rumore della porta blindata che veniva chiusa.
«Quindi... uhm, simpatico, il tuo amico.»
Felicity ruppe il silenzio durante il quale Oliver era rimasto a fissare, pensieroso, il punto in cui Tommy era scomparso alla loro vista.
«Si direbbe l'abbia presa piuttosto bene. Che il suo migliore amico vada in giro la notte a minacciare i ricchi corrotti della città invece di essersi trovato un hobby. Che so, l'ippica o-»
«Felicity.» Il tono della voce di Oliver fu tagliente. Felicity sentì un brivido lungo la schiena. E non fu affatto piacevole, ma non aveva alcuna intenzione di farglielo notare; aveva capito che si voleva interagire con lui il modo migliore per farlo era non lasciarsi intimidire dai suoi modi bruschi, perché in fondo era solo una messinscena, un modo per tenere lontane le persone. Non lo avrebbe fatto con lei, però...
«Messaggio ricevuto.»
Con disinvoltura, si sedette al suo tavolo di lavoro.
Uh, che schifo, devo pulire questo casin
«Felicity.»
«Sì?» Felicity si voltò verso Oliver, dietro di lei.
Oliver sospirò. «Dig?»
«Uhm, credo sia da Carly. Fanno una bella coppia, vero? Sono così carini... certo, Diggle dovrebbe rilassarsi un po'.» Si morse la lingua. Quello non avrebbe dovuto dirlo. Se fosse stata un po' fortunata, Oliver non avrebbe fatto il sospettoso. Lui si mise accanto a lei, si appoggiò al bordo del tavolo. Le braccia erano conserte (su una rivista aveva letto fosse la tipica posizione di difesa in cui le braccia sono una barriera verso l'esterno), ma le spalle erano rilassate.
«Forse mi sono illuso che per una volta avrebbe funzionato. Che una delle persone a cui tengo avrebbe accettato quello che sono diventato.»
Lei non disse nulla, ma era lì, e Oliver le parlava e si apriva come non aveva fatto prima di allora.
«Forse.» Fu più forte di lei.
Oliver ridacchiò e la guardò negli occhi. «Felicity, tu sì che sai come consolare qualcuno.»
«Si fa quel che si può.» Si fermò e si sistemò gli occhiali sul naso.
«Mi piace la tua schiettezza.»
Felicity rimase ancora una volta in silenzio. Quella discussione si era addentrata in un territorio a lei sconosciuto e ne aveva quasi timore. Di tutto ciò che le sarebbe potuto capitare fino a quel giorno – finire nel bel mezzo di una sparatoria, un super cattivone ti punta il coltello sulla gola, o ti lega una bomba al collo –, quella fu la situazione alla quale non era preparata; era divisa in due dal volergli porgere una pacca sulla spalla e dirgli che tutto si sarebbe sistemato e starsene zitta (cosa inusuale, per lei), con la speranza che avvertisse comunque il suo sostegno. Perché superare un confine che era diventato labile, certo, ma che c'era ancora tra loro, la disorientava e sapeva che avrebbe portato ad una svolta nel loro rapporto.
Così, fece quello che avrebbe fatto con una qualunque persona a lei cara e fu se stessa.
Si sporse dalla poltrona girevole e appoggiò la mano sul braccio di Oliver; avvertì una scossa, ma allo stesso tempo si rese conto di quanto naturale e familiare fosse quel gesto nei confronti di quell'uomo complesso e impenetrabile che le aveva sconvolto la vita.
Sentì Oliver dapprima sorpreso, ma non si scansò né sembrò disturbato da quel contatto; la guardò con quel suo modo particolare di scrutare le persone, come se volesse comprenderne appieno ogni sfaccettatura, e il sorriso che rivolgeva solo a lei.
Felicity sperò di non arrossire come una ragazzina.
«Felicity...?»
«Sì?»
«Quella sulla tastiera è maionese?»

 


7:45 p.m.
Chi tace acconsente.



Nonguardarenonguardarenonguardare
«Felicity?»
Beccata.

Oliver si lasciò cadere di fronte a lei, dopo aver terminato la sua sessione di esercizi alla sbarra sopra la testa di Felicity, rigorosamente senza maglietta; il tutto per la gioia di ogni essere vivente sulla faccia della terra (le era sempre piaciuto il drago sulla spalla sinistra...).
Per lei, però, era diventata una tortura e più passava il tempo e più tutto il suo autocontrollo andava a farsi benedire. Non si sarebbe meravigliata se un giorno si fosse presentata con un catino per la bava da mettere accanto alla sedia... sperò che quel giorno arrivasse il più tardi possibile.
«Novità?» Oliver prese l'asciugamano poggiato su una sedia lì vicino. «Quelle informazioni sul Glades ci servono a qualunque costo.»
«Ce la sto mettendo tutta,» rispose Felicity un po' risentita.
Oliver annuì senza dare alcun segno che avesse colto la frecciatina. «Vado a cambiarmi. Puoi tornare a casa, non serve che tu rimanga qui sotto.»
«Andrò tra cinque minuti, devo finire una-una cosa...»
Oliver la lasciò sola. Ovviamente, non poteva dirgli che Diggle le aveva chiesto di cercare ancora informazioni su Deadshoot, pregandola di lasciare Oliver fuori da quella storia. Aveva rispetto per Diggle e capiva le sue ragioni, ma una vocina le ricordava che le vendette personali erano pericolose e poi non le andava di nascondere qualcosa a Oliver.

 

Rimase concentrata davanti allo schermo tanto a lungo da non accorgersi che lui era tornato indietro.
«Sei ancora qui?» Sì avvicinò a lei. «Spero tu non lo faccia per avere qualche straordinario,» scherzò.
Felicity, accortasi della vicinanza, chiuse in fretta tutti i file. «Se ti chiedessi gli straordinari, potrei diventare miliardaria.»
Oliver rise e Felicity fu contenta di vederlo così rilassato.
Spense i computer e indossò il cappotto; Oliver era ancora lì e seguiva i suoi movimenti con espressione assorta.
«Ehm, così... io vado a casa. Ci si vede.» Fece segno alla porta e girò i tacchi.
«Ti va di mangiare qualcosa insieme?»
Felicity rimase ferma con un piede sollevato sullo scalino e la mano poggiata sul corrimano, il tutto accompagnato da espressione sorpresa sul viso.
Forse Oliver vide un cenno di assenso (che lei non ricordò neanche dopo di aver fatto), o forse era così abituato a non ricevere un rifiuto da una donna che dava per scontato una risposta di assenso, perché le fece solo segno di precederlo e Felicity come un automa mise un piede davanti all'altro.
Chi era, lei, per contraddirlo?

 

10:37 p.m.
Prendersi una cotta per il capo non è professionale.

 

«...e oggi tutto il reparto era senza caffè. Credo che Benny – sai, è il tizio che ci rifornisce di caffeina –, beh, abbia ancora problemi con sua moglie, perché oggi in ufficio non è venuto. Una volta lo trovavo inquietante, Benny, invece è una persona molto piacevole. Mi ha anche offerto il caffé, la settimana scorsa.» Felicity annuì al ricordo del giorno in cui aveva fatto amicizia con l'uomo possente e rude ma dal cuore tenero. «Aspetta. Io non c'entro nulla con in problemi con sua moglie! Non vorrei fraintendessi...»
Oliver Queen passeggiava accanto a lei – si trovavano a pochi metri dal palazzo in cui abitava Felicity (lui si era messo in testa di accompagnarla fino a casa, e Felicity si chiese come avrebbe fatto a tornarsene alla sua, di casa) –, le mani nelle tasche del giubbotto nero e il sorriso divertito sulle labbra che non l'aveva abbandonato neppure un secondo, da quando avevano lasciato lo scantinato del Verdant per andare a mangiare cinese in un ristorante sempre nei paraggi.
Era stata una serata piacevole, come Felicity non avrebbe mai immaginato; avevano parlato (più che altro era stata lei a farlo), Oliver sembrava veramente interessato a quello che lei raccontava – Se senti il bisogno di parlare con qualcuno della tua giornata... puoi parlarne con me.  e lei aveva scoperto una vena ironica, in Oliver, che pensava fosse morta soffocata sotto quella tutina in pelle sintetica con cappuccio. Non erano mai finiti sul personale, eppure adesso sentiva di conoscerlo ancora di più.

«Eccoci.» Felicity si fermò davanti ad un vecchio palazzo dal tetto spiovente e i muri rossi sbiaditi dal tempo (e dalla poca manutenzione – gli altri condomini e il suo padrone di casa ripetevano sempre “Non ci sono soldi” come una filastrocca); ciò nonostante era confortevole e lei adorava il suo appartamento al quarto piano senza ascensore.
Salì uno dei gradini prima dell'entrata dell'edificio e si affaccendò a cercare dentro la borsa il mazzo di chiavi.
«Okay... grazie della serata. Quel ristorante era molto carino, non ci ero mai andata,» cominciò, mentre richiudeva la borsa. «E grazie per non aver insistito più di due volte a pagare la mia parte.» Sorrise.
«Ho imparato a mie spese che con te è inutile discutere. Anche se avrei voluto offrire io.»
«Oliver Queen, uomo d'altri tempi... magari un'altra volta.» Felicity si era già voltata verso il portone, ma tornò sui suoi passi dopo essersi resa conto di quello che aveva detto.
«Volevo dire... sì. No. Non ti sto chiedendo un secondo appuntamento.» Prese a gesticolare. «Cioè, non che questo fosse un primo appuntamento, certo che no. Voglio dire...»
Un angolo della bocca di Oliver si piegò all'insù. «So cosa vuoi dire, Felicity.» E non aggiunse altro.
Poteva finire in un modo più atroce, quella serata?
«O-okay.» Si raddrizzò gli occhiali sul naso. «Quindi, buonanotte.» Cercò di dimenticare la figuraccia di poco prima.
«Buonanotte, Felicity.» Le accarezzò distrattamente una spalla, poi proseguì la strada fino a svoltare l'angolo.
Felicity rimase ancora per qualche minuto ferma sul ciglio dello scalino, il mazzo di chiavi era diventato scivoloso a contatto con la mano insolitamente sudata. Un soffio gelido di vento le ricordò fosse il caso di andarsene a casa, mise la chiave nel buco della serratura, una spinta ed entrò, lasciando la porta richiudersi alle sue spalle.
Mentre saliva gli scalini (e si metteva a contarli, perché i numeri la calmavano), pensò anche a come l'avrebbe accolto King, con la speranza che Wanda avesse usato (di nuovo, ma almeno per una giusta causa) la copia delle sue chiavi e dato da mangiare al suo gattone.

 

11:07 p.m.
Gatta ci cova.



Il rumore della toppa a contatto con la chiave lo fece destare dal suo stato di dormiveglia. Nel buio, si avvicinò alla porta d'ingresso, per poi vedere la luce del pianerottolo diffondersi nel salotto e la sagoma della sua padrona entrare piano.
Una volta accesa la luce della stanza, Felicity non si accorse della presenza di King. In effetti, Felicity quando tornava la sera non si accorgeva mai di lui, negli ultimi tempi, troppo stanca o troppo impegnata con il lavoro per trascorrere il suo insignificante tempo a vezzeggiare il suo adorabile e splendido gatto. E King mal tollerava la presenza dell'oca giuliva Wanda, con la sua voce squillante – per nulla gradevole – ed i supplizi cui lo costringeva a sottostare, che aveva la faccia tosta di chiamare coccole piccine picciò. Sperò, per il bene della sua padrona, che quel periodo di smarrimento finisse quanto prima.


Entrò silenzioso nella camera da letto; Felicity scalciò le scarpe in malo modo e si buttò di peso sul letto, emettendo una specie di gemito. King, come se nulla fosse, le si mise accanto. L'annusò e gli parve di sentire odore di pesce (lui dovette accontentarsi di croccantini disgustosi) e un profumo maschile, che non sentiva sulla sua padrona da un po' di tempo. Le leccò la mano e Felicity (i cui occhi, rivolti verso l'alto, osservavano il nulla) si ridestò dal suo stato catatonico e per poco non finì a terra per lo spavento.

«King! Sei qui.» Dopo essersi seduta, lo prese in grembo. «Bel gattone, Wanda si è occupata di te, non è vero?»
King si sentì pervadere da una sensazione di tranquillità e pace: Felicity gli stava lisciando il pelo e a grattagli dietro le orecchie, come piaceva a lui... e continuò per molto.

Se non fosse stato troppo occupato a godere delle attenzioni della sua padrona, King si sarebbe preoccupato del motivetto improponibile canticchiato da Felicity e della sua espressione sognante.

 




Note: 
Ci ho messo meno del previsto a tornare. xD Pensavo non sarei riuscita a concludere nulla e invece eccomi... con l'ennesima Olicity (sono monotematica, che volete farci ^^'). 
La storia dovete pensarla senza tener conto dei fatti avvenuti nella puntata 1x19, perché quando cominciai a scriverla, la puntata non era ancora uscita. Avevo pensato a tutt'altro, quando cominciai, e alla fine è uscita fuori così, sperando che il risultato vi abbia soddisfatto. Volevo mostrare come Oliver e Felicity costruiscano a poco a poco, partendo dalle piccole cose, una loro "intimità" eheheheheh! Felicity è sicuramente l'unica donna, ora come ora, a riuscire ad avere un rapporto normale con lui e per Oliver conta molto, anche se non lo dimostra perché è un tontolone preferisce avere tutto sotto controllo e reprimere le sue emozioni (in questo è molto bravo).
Per chi se la fosse persa, Ronda è un personaggio di IoNarrante, invece Wanda-La-Vicina-Impicciona è un mio personaggio e la potete trovare qui e qui
La frase Se senti bisogno di parlare con qualcuno della tua giornata... puoi parlarne con me. è della puntata 1x18.
Benny-Il-Rifornitore-di-Caffeina è sempre un mio personaggio e se seguite l'ottava stagione di Supernatural sapete a chi è ispirato. *piange*
Mi scuso in anticipo per le probabili sviste e grazie a chi si è avventurato fino a questo punto! 
A presto!
 

   
 
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