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Autore: Loberlin    07/04/2013    1 recensioni
Storia che riflette ironicamente sulla truffa ai danni dei più "deboli", attuabile da chi meno te lo aspetti. Scritta in una giornata di Aprile e rivista da poco, spero che diverta chiunque la legga. E sicuramente è la mia prima storia, siate buoni.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La Vernice
“Si deve dire, se permette che quella che mi ha consegnato non è per nulla una vernice!” diceva, quasi gridando, il giudice Romani al negoziante, nascosto dagli spessi  occhiali posti sul naso acuminato. Il negozio, in cui si svolgeva il curioso e stravagante discorso, era gremito di barattoli e altre cianfrusaglie incuranti dello sguardo sprezzante di coloro che vi entravano. “Lei la sa la differenza tra una comunissima pittura e della vernice?” “No a dirla tutta” disse con voce sommessa il poverino che guardava un foglio posto sulla scrivania mentre il suo corpo era scosso da piccoli tremiti di paura. “La vernice, checché se ne possa affermare, è lucida, la pittura comune NO!” disse il rispettabile, accentuando con rabbia il no. E fu in quel momento che il giudice Francesco della Scala Romani perse le staffe e con un gesto d’impulso e prettamente istintivo si voltò e usci con rabbia dalla porta vetro, facendola sbattere rumorosamente e facendo tentennare furiosamente il campanellino attaccato poco sopra l’architrave, in modo da scuotersi ogni qual volta qualche cristiano entrasse nella merceria.
L’aria settembrina aleggiava intorno alla città, rendendo ogni cosa azzurrina e un po’ appannata, come se si stesse guardando attraverso un vetro bluastro e un leggermente appannato. Trieste, in quel periodo, era particolarmente fresca, ma quell’anno faceva freddo un freddo boe.  Il giudice, strettosi nel cappotto di cammello e posatosi la coppola sul capo deciduo,  incominciò a camminare. Ad ogni alito o parola di un qualsiasi individuo, una nuvoletta bianchignola si formava e si dissolveva nell’aria. Tipico!
Il giudice, c’è da dire con assoluta sicurezza, era tipo assai preciso e faceva tutto con metodica rigorosità. Camminava sempre seguendo un ritmo specifico, quasi militare e non usciva mai senza la sua coppola e il suo cappotto di cammello, puro cammello mongolo. Il rispettabile aveva bisogno con urgenza di della vernice rossa per ricolorare un mobile che teneva a casa in un angolo, vicino alla piccola cucina. Non poteva attendere per molto, o i suoi poveri nervi sarebbero saltati del tutto.
Una cosa alla quale non poteva assolutamente rinunciare, tuttavia, era il suo caffè alle 8:47 minuti nel “Gran Bar di Castel Fiorito” un grazioso baretto in riva al mare che faceva larghi sconti al gentil signore. Entrato dalla piccola porta verde con delle vetratine decorate, vide la situazione di sempre: al bancone a forma di esse tre signori vestiti da iettatori, ai tavoli due vecchietti che giocavano a carte e un giovincello vestito da muratore con l’abito sporco di vernice. Appena il giudice si sedette al tavolino e ordinò un caffè a Gino, il suo cameriere di fiducia, il giovincello gridò al cameriere “Un caffè, Cristo! Quanto devo aspettare per un caffè, can boe?” e quando il cameriere portò il caffè al giovane, egli gridò “Là a cagà te vergis! Me soy scottato!*” “E’ perfetto!” pensò il giudice. Dopo aver bevuto il suo caffè, il signore dal cappotto di cammello si avvicinò all’aitante giovincello e disse: “Mi perdoni, carissimo, ma quella che macchia la vostra seppur indistinta tuta è vernice rossa?” “Certo, vernice di ottima qualità, può aggiungere senza alcuna ombra di dubbio” “Sarebbe disposto a vendermene un barattolo?” “Certamente! Posso anche dipingere io se più vi aggrada” “Sarebbe magnificente! Quanto verrebbe a costarmi?” “Un barattolo pieno? Vediamo… 500.000,00 lire andrebbero bene..” “Siete pazzo? Quella somma per un barattolo pieno di lucido fluido?” “Non sono pazzo. Se vuole la pittura, sborsi il danaro.” “ Accetterò, in questo caso, can boe!” Esclamò il giudice con aria soddisfatta e si avviò verso la porta seguendo il giovincello, ignaro di ciò che sarebbe capitato. Presero il tram e arrivarono a casa del muratore, dove ritirarono la vernice e poi, presone un altro, arrivarono nel palazzo in cui vi si trovava la dimora del signore.
L’appartamento, al avual tiere, aveva i muri color grigio e mobili di ebano nero, perfetto per rendere elegante una dimora. Il cuatir, era decorato con mobili preziosi e quadri di inestimabile valore, compresa una libreria contenente vari tomoni e libri di epoche lontane. Il mobile da ricolorare era lì, vicino alla cucina. Il muratore si mise subito all’opera e in poco tempo ebbe finito. Quando il lavoro fu portato a termine il muratore “I miei soldi per il barattolo di vernice, rispettabile signore.” “Quale barattolo pieno di vernice se quello in mani vostre è vuoto?” Chiese con un sorrisino il giudice. E fu così che il rispettabile Romani, giudice d’alta professionalità e fama, truffo senza molto garbo il giovane muratore, che cadde come un merluzzo nella rete del pescatore.
 

Boe, Can Boe= espressione friulana per dire "boia, cane boia"
* Là a cagà te vergis! Me soy scottato= Va a defecare tra le verze (Va a fart bendire)! Mi sono scottato
avual tiere= piano terra
cuatir= appartamento

                                                                                                         

  
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