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Autore: Dira_    07/04/2013    13 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XVIII


 
 
Oh and if there's any love in me, Don't let it show.
Oh and if there's any love in me, Don't let it grow.
(Shape of my heart, Noah & The Whale)
 
 
2 Luglio 2028
Londra, Diagon Alley.
Il Paiolo Magico. Mattina.
 
Era un grigio lunedì mattina, umidiccio e piovoso come poteva essere solo in un’isola flagellata da un clima orrendo.
Milo, che in un’isola ben più grande e variegata adesso viveva, si stiracchiò, varcando l’ingresso fumoso del Paiolo Magico.
Cosa c’è di meglio dell’odore di uova e birra stantia la mattina? Ti rimette a posto con il mondo.
Se vivi in un cassonetto.
Con una lieve smorfia alzò gli occhiali da sole per non vagare nella penombra del locale – erano scomodi anche fuori, con quel tempo, ma era una questione di immagine -  e andò alla ricerca del motivo per cui era tornato in quella bettola sudicia; il principino, che consumava la colazione con la solita aria da eroe tragico, ma con il tovagliolo sulle ginocchia e ogni singola posata disposta.
“Ti manca una cappa che ti nasconde il viso e una candela e sei un perfetto cospiratore.” Lo salutò stravaccandosi sulla sedia di fronte a lui. “Buon lunedì, padrone.”
Sören alzò appena lo sguardo dal suo piatto di porridge – Merlino, davvero? “Dov’eri finito?”
“Dici sabato sera o tutta questa domenica? A prendermi il mio giorno libero.”
“Non hai giorni liberi.”
“Curioso, mi sembrava di sì.” Ghignò agganciandosi i Ray-Ban al taschino e tirando una sigaretta fuori dal pacchetto sgualcito. “Sentito la mia mancanza?” Lo guardò attentamente e registrò i cerchi attorno agli occhi e l’aria tirata. “Delle mie pozioni post-sbronza?” Suggerì ignorando l’occhiata luciferina che gli venne scoccata. “Qualcuno ha passato un’alba del giorno dopo niente male, vedo.”
“Non pensavo di aver bevuto così tanto.” Mormorò rimestando nella poltiglia grigiastra che aveva di fronte con aria assente. “Non penso di aver mai bevuto così tanto.” Si corresse. “Perché ne sento ancora gli effetti?”

“Perché è la tua prima vera ciucca!” Ridacchiò accendendosi la sigaretta e passandogliela magnanimo; era certo che non fosse strisciato a comprarsele in quei due giorni. L’altro la prese con un guizzo grato negli occhi arrossati. “Complimenti, sei diventato un ometto!”
“Ti prego di evitare inadeguata ironia.” Borbottò con il tono di un bambino con il mal di pancia. “Penso di aver contratto un virus. La promiscuità a quella festa…” Avvampò quando notò come lo stava guardando. “… intendevo lo scambio di bicchieri.”
“Sì, certo.” Convenne facendo aderire la schiena contro la sedia; con un guizzo schifato si accorse che vi aderiva fin troppo. “Non ti sei ammalato, è che non sei abituato alle bombe che confezionano i tuoi amici maghetti durante le feste. Alcool magico con quello babbano? Senza una Pozione Anti-Sbronza ti senti un cadavere per le trentasei ore successive.”
“Te ne intendi.”
“Ehi, io so divertirmi.”
Sören fece una smorfia infilandosi una coraggiosa cucchiaiata di quella sbobba in bocca. Inghiottì con la fermezza di un soldato con il proprio rancio. “Mi servirebbe quella pozione.” Mormorò con un sospiro.

“Sì, sì ricevuto.” Convenne godendosi il semplice fatto che si sentiva da urlo mentre il maghetto si sentiva uno straccio.
Per una volta, lunedì i ruoli sono invertiti. Ah!
Aveva passato una domenica niente male, in giro per una città che si era dimostrata piuttosto interessante. Aveva dormito nel letto di un architetto Babbano che si era poi offerto di accompagnarlo in giro e di pagargli ogni singolo pasto, commosso dalla sua storia strappalacrime di modello la cui fortuna aveva smesso di baciarlo. Era stata una buona domenica sì, ma soprattutto era stato un grandioso sabato sera.
Ho smerdato quel coglione di Purosangue. Ho chiuso la storia, garantito.
Meglio di una scopata!
Ora però era il momento di rientrare nei panni della balia. Batté le mani, facendo sobbalzare l’altro con una smorfia di dolore. “Allora, raccontami com’è andata.”
Sören distolse prontamente lo sguardo, in una ritrosia adorabile se non fosse stato per il tono da piccolo dittatore che ne seguì. “Non sono affari che ti riguardino.”
Per favore.” Alzò gli occhi al cielo. “Parliamoci chiaro, principino … Mi hai trascinato a quella stupida festa di bambocci magici. Il minimo è dirmi se sei riuscito finalmente a mettere le mani addosso…”
“Ti avverto.” Ringhiò, ed era talmente teso che sembrava una frusta pronta a schioccare. “Se osi mettere in mezzo…”
“… Insomma, hai scopato o no?” Stornò perché aveva capito l’antifona e non aveva intenzione di farsi Maledire, non di lunedì mattina. Meglio dunque tenersi sul generale.

Sören si rilassò visibilmente. “No.” Scosse la testa, imbarazzato ma non più aggressivo. “Come ho detto, non ero in me e preferisco essere nel pieno possesso delle mie facoltà mentali…”
“… e fisiche…” Lo stuzzicò e per un momento pensò che gli avrebbe tirato un calcio.

Questa faccenda londinese ci sta avvicinando? Ugh. No.
“… delle mie facoltà mentali quando mi approccio ad una donna.” Concluse pieno di sussiego. “E comunque ho passato la serata a chiacchierare con Lily e il suo ragazzo.”
… Merlino, che fesso.

“Ah, sì?” Interloquì diplomatico. Fare battute sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. “Beh, che tipo è? A parte avere un culo da sogno ma molto etero, si intende.”
“Ha una cultura notevole.” Non si sbilanciò ed era chiaro non volesse parlare di quello. Diede infatti un sorso al proprio caffè – un po’ inquietantemente color inchiostro – e serrò le labbra. “Ad ogni buon conto questo ho fatto. Poi sono tornato alla locanda.”
“Ti sei divertito?” Un’ombra di sorriso passò negli occhi dell’altro e Milo si trovò a sorridergli di rimando. “Che t’avevo detto? Questi britannici non sono poi tanto male.”

“Non ho mai sostenuto il contrario. Non di tutti, almeno.” Ammise con un sorrisetto che gli cancellava dalla faccia almeno dieci anni. Quando si ricordava di fare battute sembrava finalmente avere vent’anni e non cinquanta. “Scorpius è stato un ospite eccellente.”
Ah, ora lo chiama per nome. Buon segno.

Si sentiva tremendamente una bambinaia apprensiva. “E Zenzero?”
Sören sbuffò al nomignolo, ma non lo corresse. “Lilian è stata meravigliosa.” Ed era una constatazione che veniva così naturale da far tenerezza.

“Ci mancherebbe.” Si passò una mano trai capelli, che li sentiva già appiccicarsi sgradevolmente sulle tempie.
Questo posto fa schifo. Se dobbiamo star qui più di una settimana conviene trasferirsi.
“E tu invece?”
Milo batté le palpebre sorpreso; era raro che l’altro si informasse circa i suoi spostamenti, informasse sul serio, e non per dar aria alla bocca o colmare un silenzio. Dallo sguardo però sembrava sinceramente incuriosito. “Non ti ho visto tornare, sei andato via con qualcuno?”
“Sì e no.” Si strinse nelle spalle. “Diciamo che ho fatto un po’ di guai a Notturn Alley e poi sono andato a fare il bravo nel letto di qualche Babbano non impegnativo.”
Sören inarcò le sopracciglia con aria divertita. “Come al solito insomma.”
“Ho anche fatto il turista.” Aggiunse sulla difensiva, perché  di fronte allo sguardo dell’altro realizzò che la sua domenica non era stata poi tanto esaltante.

Al diavolo, lui l’ha passata sulla tazza del cesso. Almeno io ho scopato.
Sören annuì. “Ho capito.” Dietro l’aria stordita sembrava diverso dal solito, lo registrò incuriosito. Meno ombre nello sguardo, più vita.
Qualcuno finalmente ha avuto un sabato sera autentico.
Ne era contento, il che fu un po’ spiazzante. Accantonò quell’anelito filantropo e lo classificò come l’opportunità di potersi fare i fatti propri.
Se non rimane chiuso in se stesso a rimuginare io ho più giornate libere. Semplice.
“Allora … pozione!” Si alzò in piedi. “Vado a preparartela. Per quando ti serve?”
“Subito.” Tornò in modalità padroncino pretenzioso. “Io lavoro.”
Fece schioccare la lingua, trattenendosi per non mandarlo al diavolo. Ecco, quello era il botta-e-risposta che ricordava e che lo metteva a suo agio. “Stessa situazione qui, Prince. E credimi, non è un lavoro part-time.”

 
Quando Milo l’ebbe lasciato solo, Sören si permise di emettere un basso lamento, passandosi una mano sul viso; l’emicrania non gli dava tregua da ormai quarantotto ore e non aveva la minima idea di come sarebbe riuscito a presentarsi all’ufficio Auror in quelle condizioni.
Se non mi riprendo sarò facile vittima per Potter.
Non era pentito però; per quanto male si sentisse, quello che aveva vissuto e provato era qualcosa di annoverabile trai suoi pochi, buoni ricordi.
Lily mi ha accettato. Perdonato forse non ancora. Ma mi ha accettato.
Normalmente non si sarebbe spinto in considerazioni così audaci, ma l’amica aveva passato un’intera serata con lui e non c’era stato momento in cui, alzando lo sguardo, non l’aveva vista sorridergli. Non si era sentito lasciato a sé stesso o alle sue paure neppure una volta. Lily era una LeNa: aveva avuto modo di mostrargli la sua vicinanza anche senza parlare.
E poi…
Ficcò il cucchiaio nella zuppa di avena ormai fredda: poi c’era stato un episodio che non sapeva come classificare e che aveva semplicemente accantonato come effetto dell’alcool.
 
La vista aveva cominciato a sfuocarglisi ed aveva dunque lasciato il bicchiere ancora colmo di whisky al suo destino, preferendo concentrarsi sulle parole di Scott Ross. Non aveva idea di come fosse finito a parlare di linguistica indoeuropea con il fidanzato di Lily, ma era una conversazione interessante e gli dispiaceva intenderne che pochi sprazzi.
“Amico, sei cotto.” Gli aveva detto ad un certo punto lo scozzese di fronte a lui, con un sorriso storto. “Mi segui?”
“Temo di no.” Aveva confessato, sentendo il peso di Lily appoggiarglisi alla spalla; quel contatto aveva smesso di turbarlo almeno un paio di bicchieri prima. La ragazza si era fatta insolitamente silenziosa, limitandosi ad ascoltarli con un pigro sorriso dipinto sulle labbra rosse.

“Vado a prenderti un bicchiere d’acqua.” Lo scozzese si era alzato un po’ scoordinato, appoggiandosi alle sua spalla per tirarsi dritto. “Oops!”
“Nessun problema.” Aveva trovato giusto notificare, che il contatto fisico davvero non gli stava dando problemi, ed era fantastico, meraviglioso. Non gli era mai successo. “Sei sicuro?”

“Credo di averne bisogno anch’io.” Aveva scrollato le spalle. “Tienila d’occhio, okay?” Aveva indicato Lily che profumava di gigli esattamente come quando aveva quindici anni.
Non ha mai cambiato profumo… Perché dovrebbe? Le sta bene.
Quando Scott se n’era andato aveva abbassato lo sguardo sull’altra. “Come ti senti?” Aveva chiesto, perché era il genere di cose che si supponeva si dovesse chiedere.  Aveva sentito Scorpius domandarlo alla propria fidanzata mentre la suddetta aveva la testa ficcata fuori dalla finestra ‘per prendere aria’. “Hai bisogno di un bicchier d’acqua?”
Lily per tutta risposta gli era scivolata addosso: non c’era stato termine migliore per descrivere l’evento, dato che un momento prima gli era accanto e quello dopo sulle sue ginocchia a cingergli il collo con le braccia mentre nascondeva il viso contro il suo petto.
Un lontano, lontanissimo campanello d’allarme era risuonato nella sua testa. Avrebbe dovuto preoccuparsene? Forse no. “Ho sonno.” Aveva bofonchiato. “Ho bisogno di dormire.”
“Credo non sia opportuno che tu ti addormenti…”
“Ren, chi era la ragazza da party di noi due? Chi se ne intende?” Aveva argomentato con un sospiro che gli aveva solleticato il collo, caldo come il vento del Messico. Da ubriachi – perché lo erano, nessun dubbio su questo – i paragoni venivano così facili…

Da qualche parte l’impianto stereo suonava imperterrito ed era tutto perfetto.
 
Memories fade, like looking through a fogged mirror
Decisions too, decisions are made and not bought…

 
“Tu. Sei tu l’esperta.” Aveva convenuto. Il campanello continuava a trillare, e doveva dargli un senso. Andò a tentativi. “Vuoi che chiami Scott?”
“Perché? È conciato peggio di noi due messi assieme, starà con la testa sotto il rubinetto adesso, lascialo perdere.”

“Allora…” C’era sicuramente una risposta alla domanda che aleggiava tra di loro, ma non l’aveva e quindi aveva aspettato che fosse l’altra a trovarla: era sempre stata più brava di lui in quelle cose.
Come un tempo, Lily non l’aveva deluso. “Portami a letto.”
Il campanello aveva cominciato trillare insistentemente ma l’aveva ignorato, perché aveva un ordine ed era un agente e quello che facevano gli agenti era obbedire. “Ce la fai a stare in piedi?”

“Domanda stupida, Ren. Se fossi in grado, credi che te l’avrei chiesto?”
C’era un metodo nell’ebbrezza di Lilian, molto più che nella sua, quindi vi si era affidato, passandole un braccio sotto le gambe e tirandola su. L’aveva sentita ridacchiare, deserto del Messico contro la sua pelle. “Come una principessa, eh Ren? Un principe e una principessa!”
“Nessuno di noi due è di sangue reale.”
“Non mi freghi, con il cognome che ti ritrovi.”

Era parsa ad entrambi una battuta molto divertente, perché avevano ridacchiato salendo le scale. Avevano così incrociato la ex-Campionessa di Beaux Batons nonché una delle innumerevoli cugine che aveva ghignato loro facendoli passare mentre cercava di aiutare una brunetta a tirarsi in piedi. “Ehi Rossa, ti sei trovata un altro cavalier servente?”
“Sono una principessa, vero Ren?” Aveva ribadito l’altra con una felicità così alcolica, ma tenera che Sören si era trovato ad annuire.
“Sì, lo sei.”
“Ed eccone un altro. Convinci proprio tutti i maschietti a stendere il mantello per farti saltare la pozzanghera, ah?” Aveva ribattuto la francese strizzandogli l’occhio. “Buona fortuna mangiapatate!”
Lo sono. Sono fortunato.
L’aveva poi portata nella prima camera indicatagli e Lily si era lasciata posare sul letto per poi rannicchiarsi tra le coperte. “Lilian?” L’aveva chiamata. “Non puoi dormire con i vestiti addosso, devi cambiarti.”

Non vi era stata risposta e dubitava che l’avrebbe avuta a giudicare dal respiro denso e regolare dell’altra. Aveva quindi sospirato, sedendosi sul ciglio del letto sia per far smettere la testa di vorticare impazzita sia per …
Per guardarla.
Non aveva ancora avuto modo di farlo adeguatamente, sempre preso a non esagerare, a non mostrare, a non far capire quanto e come gli fosse mancata in quei cinque anni.
Ti può mancare una cosa che non dovresti avere?
Forse persino più di quanto dovrebbe.
Era bella Lily. E non era solo il suo aspetto a renderla tale, ma l’aura luminosa che emanava, il raggio di luce che aveva bucato l’oscurità in cui era stato immerso dalla morte di suo padre.
Era molto ubriaco per fare considerazioni simili, se ne rendeva conto. Era molto ubriaco o non le avrebbe mai tolto una ciocca di capelli dalla fronte per sfiorarle lo zigomo, sentendo le lacrime pungergli gli occhi per il semplice fatto che l’altra fosse lì, con lui. Che fosse venuta al mondo.
Grazie.
Si riscosse quando la vide battere le palpebre. “Ehi, soldatino…” Gli sorrise cercandogli la mano per stringergliela. “Mi fai la guardia?”
“Pensavo più che altro a come farti stare comoda.” Aveva risposto, schiarendosi la voce e ringraziando le luci soffuse della camera.

“Sto benissimo.” Aveva sbadigliato, cercando di calciare via i tacchi elaborati e dall’aria scomoda che indossava. “È più semplice di quel che sembra.” Motteggiò scoccando loro un’occhiata frustrata, prima di premere di nuovo il viso sul cuscino. “Puoi andare Ren, non devo essere uno spettacolo esaltante…”
Non c’è altro posto in cui vorrei stare.
Non lo disse però, limitandosi a sfilarle quelle che ormai avevano assunto le dimensioni di trappole per piedi, cercando di non rimanere turbato dal gesto. Non aveva calcolato quanto potesse essere intimo sfiorarle le caviglie e la pelle morbida delle gambe nude, quasi …
Erotico?
Le posò a terra, dove la mattina dopo l’altra avrebbe potuto trovarle e si passò una mano sul viso.
Alzati e vattene. Hai assolto al tuo compito soldato, adesso va’.
Non voleva.
 
“Ah, siete qui!”


La voce di Scott Ross era stata una vera e propria doccia fredda. Sören aveva alzato la testa di scatto e aveva visto il ragazzo stagliarsi sulla porta con un bicchier d’acqua in mano.
È per me.
Si era sentito una carogna, e si era affrettato ad alzarsi. “L’ho portata a letto, aveva sonno.” Aveva accettato il bicchiere e ne aveva dato un grosso sorso. “Spero di non aver fatto male.”
“No, per niente. Quand’è così è l’unica cosa da fare…” Gli aveva sorriso: era un bravo ragazzo. Molti altri uomini l’avrebbero antagonizzato, trovando facile odiarlo per aver fatto soffrire la ragazza che amavano. Ross aveva voluto conoscerlo.

E tu hai desiderato rimanere con la sua donna.
Che razza di mago sei? Vergognati.
“È il caso che vada.” Si era scollato dal palato. “Se si sveglia dille che…”
“… che la saluti.” Lo aveva interrotto, dandogli una pacca sulla spalla.  “Grazie per esserti preso cura della mia ragazza.”
… Ah, ecco.
Era giusto. “Nessun problema, siamo amici.” Aveva chinato la testa in un saluto. Perché tutto quello aveva il sapore di una resa? Era ridicolo. “Buonanotte.”
Scendendo le scale aveva sentito uno schianto e un freddo dolore alla mano; era dovuto arrivare in cucina per rendersi conto che aveva spaccato il bicchiere tra le dita.
 
Il moto di invidia che aveva provato nei confronti dello scozzese era stupido, se ne rendeva conto. Doveva essere felice che Lily avesse trovato un ragazzo capace di amarla e rispettarla; sembrava serena ed era questo che doveva importargli, nient’altro.
Strinse la mano che aveva curato non appena era riuscito ad utilizzare la magia senza aver voglia di vomitarsi sulle scarpe.
Ti può mancare una cosa che non puoi avere?
Persino più di quanto dovrebbe.
 
 
****
 
Chelsea Embankment, Old Church Street.
Mattina.
 
Michel non riusciva a togliersi dalla mente il Magonò. Il che era umiliante.
Scacciò via per l’ennesima volta quel pensiero, arrotolando la Gazzetta del Profeta e mettendosela sottobraccio mentre entrava nel suo caffè preferito il quale, oltre avere il pregio di un proprietario che non mancava mai di offrirgli la colazione, era a due passi da casa sua. Fece scivolare il quotidiano magico nella borsa di pelle e individuò a colpo sicuro la massa di ricci mollemente acconciati del suo inquilino abusivo. Sorrise quando vide un’altrettanto familiare testa scura e spettinata.
È riuscito a farcela.
“Al, questo taglio sta andando fuori controllo…”  
Lo so!” Mugugnò l’interpellato riavviandosi i capelli corti con un delizioso rossore sulle guance. “È quella mezza lunghezza impossibile. Mi raserei se non dovessi affrontare gli sfottò di metà della mia famiglia!”
“Con che faccia osano? Metà di loro ha roba assolutamente riprovevole in testa.” Replicò facendolo sorridere con affetto. “I capelli rossi sono volgari.”

“No, sono deliziosi. Sapete cosa si dice delle donne coi capelli rossi, no? Rosse di capelli, rosse di pensieri.” Si intromise Loki con un sorriso lascivo, schivando un calcio dall’amico, la cui sorella era baluardo di quell’affermazione.
Credo anche che siano stati a letto assieme, lei e Loki. Ma francamente, chi non è stato a letto con la Potter? 
Al si spostò per fargli posto. “Abbiamo ordinato anche per te. Cappuccino di soia, giusto?”
“Sai come prendo il caffè, pulcino, sono commosso.” Ironizzò contento; la giornata, nonostante il tempo metifico, si prospettava rilassante. Al lavoro lo aspettava la solita pila di scartoffie ma la sua vicina di scrivania era ancora malata.

Potrò fumare come e quanto voglio. Accontentiamoci delle piccole cose.
“Abbiamo fatto colazione assieme per sette anni, avrei la memoria fallata se non fosse così.” Rispose Al scrollando le spalle. “Posso restar poco però … Ho da fare al San Mungo.”
“Il nostro scricciolo ambizioso!” Sogghignò Loki mettendosi una mano sul petto. “Ti ricordo timido e buono a nulla … Con la nostra paziente guida sei diventato un vero arrampicatore sociale.”

“Voglio solo fare bene il mio lavoro!”
“Non essere modesto. Dillo a zio Loki, quante persone hai calpestato fin’ora? Rendimi fiero di te.”
Lo!
Michel ridacchiò ascoltando il battibecco giocoso trai due e mentre consumavano le loro flagranti ordinazioni – il proprietario non si era smentito e aveva dato loro una dose extra di cornetti a testa, con gran gioia di Albus – il pensiero scivolò di nuovo nei lidi in cui era stazionato per tutto il finesettimana.
Il Magonò. Chi diavolo è? A parte … un Magonò, certo.

Al diavolo, sono sicuro, l’ho già incontrato.    
Non riusciva però a ricordare dove: non aveva mai frequentato senza-magia, neppure nelle sue spedizioni più sordide appena uscito dalla claustrofobia di Hogwarts.
Ho degli standard, grazie tante.
“Mike?” La voce di Al lo riscosse bruscamente. “Son dieci minuti che parliamo con te e non ci rispondi. Va tutto bene?”
“Sì, ero solo perso nei miei pensieri.”
“Voli pindarici dal mago più materialista di Londra? È sorprendente.” Gli diede manforte Loki sorseggiando il suo the con un piglio che gli stava valendo occhiate lussuriose da  tutta la popolazione femminile presente nel locale. Sarebbe probabilmente uscito di lì con almeno cinque o sei numeri scritti sul complicato smartphone Babbano che usava per andare a caccia di gonnelle.

“Hai conosciuto qualcuno?” Sorrise Al e normalmente sarebbe stato un fraintendimento grossolano.
“Forse.” Non si sbilanciò staccando un pezzo dal proprio croissant: l’idea di confidarsi con quelli che riteneva i suoi più cari amici doveva venirgli naturale, supponeva, ma Loki aveva la deprecabile tendenza alla presa in giro.
Ti chiederebbe sotto quale Pozione Stordente sei. Penserebbe ad uno scherzo.
E lo avrebbe pensato anche lui a ruoli invertiti. Al tempo stesso non poteva però smettere di pensare a quel corpo bollente, alle dita che tracciavano la sua pelle come se ne conoscessero la mappa e…
“Mike?” Albus sembrava estremamente divertito dalla situazione e ne aveva ben donde.
Ti stai comportando come un idiota.
“Nessuno di interessante, pensavo al lavoro.” Allungò un paio di sterline sul tavolo per chiudere la conversazione. Sperava non sembrasse una ritirata. “A questo proposito temo di dover scappare, sono in ritardo.”
“Lo sono anche io.” Fu lesto a ribattere il moretto, gettando alla rinfusa un paio di monete che valevano il doppio della sua consumazione. “Ti accompagno!”
No, non è finita qui per Albus Severus Potter.

Salutato Loki, già preso ad ammiccare fascinosamente ad un gruppo di studentesse del vicino Chelsea College, si incamminarono di buona lena in direzione della City; Albus avrebbe poi preso la metropolitana e proseguito per Farrindgon.
“Non ti Smaterializzi vicino alla fermata di South Kensington?”

“No, preferisco camminare con te.” Fu la risposta allegra, nonostante il piccolo diluvio che si stava scatenando sopra le loro teste.  Michel non poté frenare un moto di sciocca contentezza; passare del tempo con l’amico era sempre più difficile trai rispettivi impegni e passarlo da soli, senza l’ingerenza di Dursley, Mael e Nott era merce ancora più rara.
Fu Al a riprendere la conversazione. “Insomma, lui chi è?”
“Lui chi?” Tentò senza troppa convinzione. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, realizzò, e l’amico era la persona più indicata dato che aveva l’innata capacità di non giudicare mai le scelte di cuore altrui.
Con le sue non può permettersi giudizi.
“Si chiama Milo.”  
“È un nome carino.” Osservò dandogli di gomito. “È carino anche lui?”
“Non carino. Bollente.” Ammise suo malgrado facendolo ridacchiare di rimando. “Il genere che non ti fa venir voglia di alzarti dal letto.”
“Già mi piace!” Ammiccò. “L’hai conosciuto all’Heaven?”

“Sì, ma non è un Babbano…” Lì veniva la parte difficile e decise dunque di prenderla alla lontana. “Credo di averlo già incontrato.”
“Beh, noi maghi inglesi non siamo quella che definirei una popolazione numerosa.”
“È straniero, ma non è questo il punto. Non riesco a capire dove l’ho conosciuto, e di certo non l’ho fatto di recente … Mi sarei ricordato di un tipo simile, ho buona memoria tra le lenzuola.”
Al alzò gli occhi al cielo. “Magari non te lo sei portato a letto. Forse l’hai semplicemente visto in giro.”
“No.” Scosse la testa. “Non frequentiamo gli stessi ambienti.”
L’altro gli restituì un’occhiata confusa, tentando di schivare una pozzanghera e finendoci comunque dall’imprecazione che mormorò a mezza voce. “Ma scusa … se vi siete incontrati al club…”
“Pensavo fosse un Babbano.” Inspirò mentre la necessità di sfogarsi faceva a pugni con l’umiliazione e lo sconcerto. “È un Magonò.”
“Oh.” Se Albus era rimasto shockato non lo mostrò, limitandosi ad una blanda espressione sorpresa.

“Non assomiglia ad un Magonò.” Si ritenne in dovere di spiegare. “Non ne ha l’aria, o il linguaggio … Il cockney è il rifugio degli illetterati.”
“Michel…”  
“Avanti, dimmi che non è così.” Sbuffò. “Comunque neanche lui pensa bene dei Purosangue.”
“Allora…” Al si grattò una guancia. “… come diavolo siete finiti assieme?”
“La prima volta perché nessuno dei due aveva capito cos’era l’altro.” Dovette ammettere, perché riflettendoci era ovvio che il Magonò non l’aveva rimorchiato credendolo un mago. Gli aveva reso ben manifesto il fastidio che provava per la sua categoria. “La seconda…”
“C’è stata una seconda?” Gli occhi enormi di Al diventavano tali quando era sbalordito e Michel si chiese cosa ci fosse di così sorprendente prima di realizzare che probabilmente aveva frainteso.

“Non tra le lenzuola. L’ho incontrato a Notturn Alley, la sera della festa di Sy, mentre andavo a comprare le sigarette. Mi ha … salvato.”
Salvato?” Al fece quasi un saltello per evitare la seconda pozzanghera e stavolta si inzaccherò fino alle caviglie. Ignorò la cosa e lo strattonò leggermente. “Cavolo, racconta!”
Capitolò, un po’ per l’espressione avida sul volto dell’altro – era raro vederlo davvero interessato a qualcosa che non fosse il suo lavoro o Dursley – un po’ perché aveva ancora bisogno di metabolizzare.

Sai com’è, ti ha salvato il borsello … e la vita.
“Wow.” Commentò alla fine quando erano ormai nei pressi della fermata metro. “È stato una specie di principe azzurro!”
“Hai saltato la parte in cui mi ha insultato?” Ritorse sentendosi un po’ preso in giro, specie dall’occhiata paziente che gli venne rivolta.
Se solo sapesse l’erezione che ti ha lasciato per un’intera serata…

“Beh, tu hai fatto un po’ lo stronzo.”
Io?
“Dai, sei sei stato piuttosto sgradevole, e sono certo che non mi hai racconta tutto…” Inarcò le sopracciglia con un sorrisetto malizioso. “Comunque sembra un sacco sexy.”
“È un Magonò.” Ribatté fiacco perché lui, primo tra tutti, si era stufato di sottolinearlo. “Vorrei solo sapere perché mi sembra così familiare.”
“Beh, ma non tutti i Magonò nascono tali!”

Michel batté le palpebre, chiudendo l’ombrello e appendendoselo al braccio dato che si era affacciato un pallido sole. In estate era bene approfittarne. “Ovvero?”
Albus lo guardò come se fosse un po’ tardo. “Non tutti i Magonò nascono da Magonò! Molti nascono in famiglie interamente magiche … Anzi, l’incidenza statistica è maggiore.” Lo guardò pensieroso, prima di schioccare le dita. “Ehi, senti se ha senso … Puoi averlo incontrato prima degli undici anni. So per certo che, anche per legge, prima degli undici anni non puoi essere considerato Magonò.”
“Prima degli undici anni?” Aggrottò le sopracciglia; sì, aveva più senso di tante altre teorie che aveva vagliato in quelle quarantotto ore. “Ma prima di Hogwarts ho frequentato solo famiglie come i Nott o i Malfoy.”

“Appunto!”
“Pensi che sia un Purosangue?” In effetti c’era stato qualcosa nel tedesco che gli aveva fatto pensare ad un’infanzia agiata; il modo di parlare, farcito di colloquialismi ma comunque corretto, la postura dominante, il corpo curato e i vestiti impeccabili. Poteva essere cresciuto nel suo ambiente e dunque la sua avversione per i maghi poteva essere stata scatenata dal rifiuto per un mondo a cui era appartenuto.
Terribilmente romanzesco, ma aveva senso.
“Quindi vi siete incontrati da bambini?”  
“Se è successo non me lo ricordo.”
Ma a quel punto della faccenda era sua intenzione farlo.
 
****
 
Ministero della Magia, Ufficio Auror.
Metà mattina.
 
Scorpius sapeva che la chimica in un gruppo era cosa precaria. Certo, per anni era stato il paria di Grifondoro, ma nella primavera della sua età adulta poteva dire di avere amici veri e compagni a cui avrebbe affidato la vita – e visto che non voleva rendere Rose vedova ancor prima del matrimonio non era cosa da poco.
Erano riflessioni che l’avevano colto mentre consumava il primo the della sua giornata lavorativa seduto alla scrivania e, a giudicare dallo sguardo assorto di Jordan accanto a lui, erano condivise.
La mancanza del Sergente Flannery si faceva sentire; con il suo carisma innato e la capacità di trattarli tutti come cuccioli entusiasti era sempre riuscito a far funzionare le cose.
Il sergente Weasley era invece tutt’altro paio di maniche: non lo diceva solo perché sarebbe diventato suo suocero e perché era Ronald Weasley, ma perché non era il coordinatore giusto, non per loro almeno.
Vedendolo entrare in quel momento, scherzando con James come il nipote che era e non come l’auror che avrebbe dovuto essere, fu avere l’ennesima riprova. L’uomo non aveva capito che per tenere buono il figlio del capo bisognava tenerlo emotivamente a distanza.
Diavolo, James è un dannato maschio alfa. Come potrà pensare di tenerlo buono quando avrà uno dei suoi momenti di stronzaggine acuta?
Sul serio.
“Buongiorno.” Salutò comunque di buon grado. “Potty, devo comprarti una spazzola per vestiti? Sei pieno di cenere come un camino!”
“Oh, va’ al diavolo Malfuretto.” Scrollò le spalle questo dandosi comunque una veloce spazzolata al mantello. “Sono comunque uno schianto.”
“Seminando nugoli di cenere sulla nostra scrivania, certo.” Ribatté facendo un cenno di saluto all’auror più anziano. “Jordan è rimasto bloccato nel traffico.” Notificò. “Mi ha mandato un messaggio allo Specchio Comunicante qualche minuto fa.”
“Lui e quella sua macchina su strada … Gli ho detto mille volte che quelle volanti sono migliori!”
“Costano anche il triplo, Potty.”  

James si strinse nelle spalle. “Che ne sai tu, piccolo ereditiere?”
“Tra poco diventerò un capofamiglia, dovrò economizzare sulle mie enormi fortune.” Ghignò notando come le orecchie del futuro suocero fossero diventate paonazze.
Coprirò la mia rosellina di Galeoni e gioielli. Fammi causa.
“Qualcuno vuole un caffè?” Sorrise sentendosi molto ipocrita e molto soddisfatto.
“No, meglio iniziare subito.” Borbottò il mago quasi avesse letto nel suo empio cuore Malfoy. “Voglio fare il punto della situazione prima di lasciarvi. Ho un sopralluogo a Birmingham alle dieci, non voglio Smaterializzarmi all’ultimo momento.” Fece un cenno a Bobby che con il fiatone si stava dirigendo verso di loro, schivando sedie e auror.  “Dov’è Prince?”
Era un po’ la domanda che aleggiava tra di loro ma che nessuno, neppure James, aveva ancora formulato.
Si apra il vaso di Pandora.
“Non lo so, avrà avuto un contrattempo.” Suggerì notando la smorfia soddisfatta sul volto del migliore amico; anche se aveva tagliato sensibilmente le esternazioni rabbiosa e recriminatorie, nei confronti del tedesco continuava a tener vivo il ridicolo nonnismo da Accademia.
Ma non gli si può chieder di più, però. Potty è un bullo. Se la prende solo con quelli della sua stazza e con chi crede che se lo meriti …
Ma quello rimane.    
“Magari è stato bloccato a Cooperazione.” Gli diede manforte il buon Jordan. “Come agente di collegamento non deve fare un rapporto settimanale ogni lunedì?”
“Macché, secondo me non s’è svegliato. Del resto questo sabato ci ha dentro coi festeggiamenti.”
“In che senso?” Si informò il sergente e Scorpius sospirò interiormente; era ovvio che entrambi non vedessero l’ora di trovare una macchia nella perfetta corazza del poveretto.

“Nel senso ha fatto meno brindisi di quanti whiskey s’è scolato.”
“Non è stato l’unico. Era una festa in un pub irlandese.” Osservò blandamente. “Per esempio, domenica mattina io mi sono svegliato abbracciato ad un cane di peluche.” Quando vide che aveva l’attenzione di entrambi fece il suo miglior sorriso brillante. “Nessuna idea di come sia potuto succedere!”
L’espressione di James si ammorbidì, perché non riusciva a non capitolare quando si metteva in ridicolo a suo beneficio. “Coglione.” Ghignò divertito. “C’avrei scommesso.”
“Malfoy, non è il genere di cose che dovrei sapere.” Sbuffò l’uomo più anziano con aria scocciata. “Non farmi pentire di averti dato la mia benedizione.”
“Mai Signore, preferirei la morte.”  

“Va bene, adesso falla finita…” Scosse la testa rassegnato prima di arricciare le labbra in un evidente moto di insofferenza. “Ah, alla buon’ora!”
“Mi dispiace, ho avuto un contrattempo.” La voce del tedesco era spossata mentre compariva alle loro spalle; aveva l’aria di uno che aveva passato tutta la domenica con la testa dentro il gabinetto, al di là dell’uniforme impeccabile e i capelli in ordine.

Qualcuno non ha preso la pozione Anti-sbronza quando doveva…
Il Sergente Weasley gli scoccò un’occhiataccia ma per fortuna non infierì, preferendo schiarirsi la voce. “Ora che siete tutti, facciamo il  punto della situazione.” Esordì. “Se c’è un autorizzazione che va firmata per un sopralluogo è il momento di metterla sul banco.” Si voltò poi verso l’agente di collegamento. “A che punto siamo con la lista degli alias di John Doe?”
“Bastardo immortale…” Borbottò James riassumendo il sentimento comune. “Roba da pazzi, avrà un miliardo di pseudonimi!”
“Sono quarantadue.” Corresse l’interpellato. “Sto facendo un controllo incrociato con il mio ufficio. Abbiamo richiesto i movimenti  bancari di tutti i conti aperti a suo nome e tramite pseudonimo. Per ora nessun riscontro, non c’è attività.”
James inarcò le sopracciglia. “Quel tipo ha ancora delle camere blindate a suo nome? È un ricercato internazionale, come diavolo è possibile?”

“Una volta aperta è impossibile chiuderla.” Spiegò Scorpius, che sulle camere blindate e impossibilità di disfarsene si era fatto una discreta cultura sin dall’infanzia.
La camera della biszia Bella. Sono anni che papà cerca di liberarsene, anche solo per quanto ci tocca sborsare di manutenzione. Un giorno o l’altro la farà saltare in aria.
“Sono una specie di deposito per l’eternità. Scomodo, se non sei interessato.” Concluse mentre Prince annuiva a conferma.
“Usa un nuovo pseudonimo quindi.” Intuì il sergente Weasley aggrottando le sopracciglia. “Idee su quale potrebbero essere?”
“Posso lavorarci, dobbiamo comunque finire di controllare i movimenti bancari.” Il tedesco non si sbilanciò, ma a Scorpius non sfuggì la contrazione nervosa che gli attraversò le labbra; non pareva molto sicuro di poter venire a capo di quella pista.  
E come dargli torto. Quel tizio ha avuto quarantadue identità diverse. Inventarne di nuove dev’essere un gioco da ragazzi per lui.
“Fallo… A questo proposito, è uscito niente su Sam Howe, la prima vittima?” Il mago più anziano scorse con lo sguardo il taccuino che teneva tra le mani e Scorpius provò un moto di simpatia: seguire due squadre, la sua e la loro, non doveva essere facile, specie visto che il caso che avevano tra le mani era criptico, per eufemizzare. Dell’uomo poteva non piacergli l’attitudine a giudicare e il nepotismo smaccato di cui omaggiava James, ma non poteva dire che non si facesse in quattro per supervisionarli. 
Prince scosse la testa “Incensurato per il nostro Ministero, ma il SAGITTA sta scavando a fondo. Se c’è qualcosa, uscirà fuori.”
“Le registrazioni della video…video…”
“La videocamera montata di fronte alla stanza del Sergente Flannery?” Venne in soccorso Bobby che a giudicare dalla prontezza della risposta doveva essersi ingoiato il libretto delle istruzioni. “Le ho visionate io ieri sera, lo faccio giornalmente. Nulla di sospetto, Signore.”

Già, nulla di sospetto. Perché diavolo John Doe non ha ancora cercato di attaccare il Sergente Flannery?
Se lavora per qualcuno che vuole mettere a tacere tutta la faccenda del morbo, perché aspettare?
O forse sta solo studiando la situazione…
“Aggiornamenti dal San Mungo?”
Scorpius che era la persona preposta a quello scosse la testa. “Nessuno. Le condizioni del Sergente sono immutate. Stanno facendo una ricerca storica del morbo per poter risalire alle cause scatenanti. Pare che non ci sia storia medica, quindi è buona l’ipotesi secondo cui sia stata creata in laboratorio.”
“Il fatto che ci sia un tizio della Thule di mezzo lo rende quasi certo.” Sbuffò James. 
“Bene.” Concluse l’uomo con l’aria di non trovarsi affatto d’accordo con la sua affermazione; comprensibile dato che anche quel giorno era iniziato con un nulla di fatto. “Aggiornatemi se ci sono novità.” Fece un cenno al nipote. “Jamie, a te il comando.”  

Quando l’uomo se ne fu andato quest’ultimo si scrocchiò il collo, cercando di non dare a vedere quanto lo esaltasse essere stato considerato l’agente più anziano e dunque meritevole di comando ad interim; in sua difesa ci stava provando e si vedeva, ma il luccichio soddisfatto negli occhi era altrettanto evidente. “Mettiamoci al lavoro, abbiamo altri casi che ci aspettano.” Esordì afferrando un fascicolo dietro la scrivania su cui si era seduto. “Ci hanno affibbiato un’ispezione ad un ex burro birrificio a Reading. Da soffiata certa sappiamo che un paio di stronzi stanno usando i vecchi impianti per raffinare Pozione Corroborante di contrabbando.”
“Partiamo subito?”

“Subito.” Gli rispose lanciando un’occhiata di sbieco al tedesco per poi sfoderare un ghigno perfido. “Crucco, per te scartoffie!” Indicò una pila di fascicoli su cui fino a quel momento aveva posato il gomito per puntellarsi. Era mostruosa. “Dal tuo Ministero.”
“Le aspettavo. Sono i movimenti bancari delle camere blindate di Johannes.” Rispose questo senza tradire il minimo scoramento all’idea di dover seppellire il naso in quel mare di carta polverosa. Forse gli piaceva. “Ho pensato che potevo dare una mano nella ricerca anche da qui.”

Meglio che girarsi i pollici finché non torniamo, suppongo…
Scorpius trovò giusto fare la parte del poliziotto buono anche in quel caso. “Puoi usare la nostra scrivania.” Ignorò l’occhiata oltraggiata del partner e sorrise all’altro. “Per qualsiasi cosa puoi trovarci agli Specchi Comunicanti.”
“Ti ringrazio.”
“Non è la prima volta che lo lasciamo solo, non fare la chioccia!” Grugnì James con espressione tradita: c’erano momenti in cui, nonostante tutto l’affetto che provava per quella testa di Potter, la tentazione di tirargli un calcio negli stinchi era fortissima.

“Siamo una squadra, mi preoccupo dei miei compagni, che c’è di strano?” Replicò con un sorriso al tedesco che ricambiò con aria rassegnata.
Solo a me vien voglia di abbracciarlo? Mi ricorda papà, solo meno incazzato col mondo. Proiezione. Psicologicamente interessante.
James roteò gli occhi al cielo, ma si astenne da qualsiasi commento; per gli equilibri di una squadra, lo sapeva persino con tutta la sua tracotanza, sapere quando tacere era cosa importantissima.
 
****
 
Londra, Diagon Alley.
Primo pomeriggio.
 
“Questo è perfetto.”
“No, è osceno.”
“Non è osceno, ti lascia intravedere un po’ la scollatura, non fare l’esagerata!”
“Se intravedere vuol dire mostrare le mie tette al mondo…”
“Ora la ammazzo.”
“Violet, porta pazienza, è una bigotta. Hai un bel seno, mostralo!”

“Non sono te, razza di donna scarlatta!”
“Di capelli e di fatto, cocca.”
“Ragazze…”
“Mamma, dì loro qualcosa!”


Avrebbe dovuto sapere che farsi accompagnare da Lily e Violet nella boutique da spose di Madame Yvette – dove tutte le streghe per bene andavano a cercare l’abito del Grande Giorno -  avrebbe significato uno stillicidio senza fine. Avrebbe dovuto saperlo, pensò Rose fissando scornata le sue tette balzare fuori dal corpetto, eppure anche sapendolo … avrebbe potuto fare qualcosa?
No, non se la prima è la mia damigella d’onore e la seconda è la rappresentanza sboccacciata di tutte le mie cugine. Oltre che un’impicciona.
Gli arbitri di quella disputa ad armi impari erano sua madre, che sorvegliava tutto con un sorriso divertito lanciando solo fugaci occhiate ad una cartellina di un caso che stava seguendo e Lady Astoria che per l’occasione aveva un inquietante brillio negli occhi, quasi fosse una bambina di fronte all’insegna di Mielandia.
“È già il ventesimo vestito da sposa che mi provo … A me piaceva…” Annaspò sotto lo sguardo di ben quattro donne. “… Boh.” Sussurrò affranta mentre Violet alzava gli occhi al cielo.
“Sei un disastro Weasley. Ma come scegli di solito nel tuo armadio, ad occhi chiusi?”
“Nel suo armadio trovi solo jeans, magliette a tinta unita e maglioni monocolore. Una precauzione visto la sua totale mancanza di senso estetico. Qui però è difficile, le sembreranno tutti uguali…” Ghignò Lily passando le dita su uno degli abiti accatastati tutti attorno a lei.
“Tesoro, l’abito nuziale è un passo importantissimo.” Rincarò la dose sua madre, mentre Lady Astoria annuiva con aria distratta; era l’unica che non l’aveva ancora subissata di pareri e le era molto grata per quello, se non fosse che sembrava una silenziosa sfinge ieratica.
Che tutti giudica dall’alto della sua eleganza.
“Non posso proprio mettermi il tuo, di vestito? Non è tipo una tradizione passarlo di madre in figlia?” Tentò per l’ennesima volta, cullandosi nell’idea di poter mettere fine a quel supplizio.
“Te l’ho già detto tesoro, non abbiamo la stessa altezza e proporzioni.”
Stupida spilungaggine Weasley!

Stava per avere un crollo di nervi, se lo sentiva. Voleva sposare il suo Malfoy, non vedeva l’ora, ma tutta la follia precedente al matrimonio se la sarebbe volentieri risparmiata. Non riusciva a capire come persone come Violet e Lily ne fossero così estasiate; per lei saltare da un negozio all’altro, scegliere il colore di fiori che non aveva mai sentito o indossare abiti che le prudevano da tutte le parti era un motivo di ansia non di gaudio.
Era ansia da prestazione sopratutto: al matrimonio avrebbero presenziato tutti i suoi parenti, sopportabili quando una mandria di Quintaped, più i Malfoy al gran completo – quelli non linciati dalla guerra o dalle loro scellerate scelte di vita. Riunire due famiglie del genere sotto lo stesso tendone continuava a sembrarle una follia.
Solo perché hanno accettato il fatto che mi sposerò Scorpius non vuol dire che ne siano contenti.
E sto parlando dei miei. 
La data si avvicinava e forse per questo le sue paranoie aumentavano in maniera esponenziale. Sospirò mentre Violet la volgeva bruscamente verso i camerini.
Scorpius, aiuto…
Il suo fidanzato, con quella sua meravigliosa capacità di sorvolare sui problemi e di aver sempre un sorriso in bocca, riusciva a calmarla. Ma non era lì; c’erano piuttosto quattro arpie pronte a farle provare l’intero assortimento del negozio, se necessario.
“Ho bisogno di una pausa.” Sussurrò terrificata quando la commessa entrò nell’area camerini con l’ennesima bracciata di vestiti.

“Ne hai fatta una mezz’ora fa!” Esclamò Violet, che aveva assunto egregiamente il ruolo di poliziotto cattivo. “Piantala di lamentarti tanto, devi solo entrare e uscire da dei vestiti!”
Solo?”
Lily sorrise scioccamente al suo cellulare raggomitolata su uno dei lezioso divanetti color crema. “Ti guarderanno tutti Rosie, non vuoi apparire al meglio? Penso di sì.”
Stronza.  

 
“Ehi, siete qua?”
 
Non c’era ma adesso c’è.
La voce del suo fidanzato era un balsamo per le orecchie, per quanto in realtà fosse una voce come un’altra. Rose fece appena in tempo a allentare la smorfia in un sorriso che fu schermata da Violet che si frappose tra lei e l’ingresso del ragazzo.
“Scorpius, levati dai piedi!” Sbottò. “Non devi vedere l’abito del matrimonio!”
“Vergogna Malfoy.” Replicò Lily, che dietro il tono serio certo se la stava sghignazzando perché non faceva altro da che era nata. Continuava a guardare quel dannato cellulare come se ne andasse della sua vita e Rose ricordò che Scott era più un tipo da chiamate, che da messaggi.

Non voglio sapere. Non. Voglio.
Alzò lo sguardo il tempo sufficiente per dire la cosa sbagliata. “Vuoi portare sfortuna alla tua promessa sposa?”
Gli occhi grigi di Scorpius si fece enormi, mentre faceva un passo indietro e se li copriva rapido con una mano. “No, mai!” Esclamò e Rose non capì se stesse scherzando o fosse serio. In ogni caso, era adorabile. “Volevo solo godermela un po’ dopo una lunga giornata di lavoro.” Fece una pausa. “Mi è uscita male … Non mi è parso di aver visto mia madre e la Signora Weasley all’ingresso, quando mi sono Materializzato, vero?”
“Invece sì, Scorpius.” Sospirò da qualche parte della stanza principale sua madre mentre il ragazzo diventava pallido come un lenzuolo. “Farò finta di non aver sentito.”
“Le sono mostruosamente grato!” Si era cambiato dall’uniforme da auror, indossando come al solito un accozzaglia di roba Babbana, da un gilet ad una camicia elegante ma manchevole di qualche bottone. Rose adorava quello stile sofisticatamente trasandato  perché Scorpius indossava ciò che si sentiva di essere, dai suoi sentimenti a roba recuperata da una bancarella. Era uno dei molti motivi per cui lo amava: riusciva ad infischiarsene dell’opinione altrui come mai lei sarebbe riuscita a fare.

Lo dimostra il fatto che mi sto facendo fare mobbing.
“Rosie?”
“Aiuto.” Si limitò a dire: una volta tanto fare la principessa in attesa di essere salvata non le pesava affatto. “Fammi uscire di qui.”
“Ma il vestito…”
“All’inferno il vestito.”
Scorpius allargò le dita per lanciarle un’occhiata valutativa. Dovette annusare disperazione perché fece un sorrisetto furbo. “Chiedo scusa in anticipo per rovinare questo momento di muliebre condivisione.” Esordì prima di Smaterializzarsi alle sue spalle. “Torniamo tra un po’, fate una pausa anche voi al caffè qui accanto, offro io!”
Prima che le due ragazze potessero protestare, Rose sentì la familiare compressione della Materializzazione e di colpo la boutique fu ben lontana. Quando riaprì gli occhi si trovò nel bel mezzo la campagna inglese, in un meraviglioso nulla geografico disseminato di enormi prati verdi, staccionate e alberi ombrosi.

“Dove siamo?”
Libertà!
“Da qualche parte vicino alla casa in campagna di Bobby. Oxford forse? Siamo ad un’ora di scopa da Londra, so solo questo.” Rispose l’altro sciogliendola dalla sua presa e stiracchiandosi con un lamento soddisfatto.  
Rose sorrise, assaporando a pieno l’odore d’erba e d’estate che le riempiva i polmoni. Era bello respirare dopo una giornata passata a strizzarsi in corpetti dalle dubbie capacità ortopediche.
Scorpius si guardò attorno. “Ombra?” Suggerì strizzando gli occhi al sole. “Mi sono dimenticato i tuoi occhiali da sole a casa.”
Rose guardò il voluminoso vestito che ancora indossava e le venne da ridere. “Forse avrei dovuto cambiarmi prima di farmi rapire.” Osservò. “Dici che si sporcherà da qui al primo albero?”
“Con quanto ha piovuto puoi giurarci rosellina, ma non ti giudicherò.” Fece un sorrisetto. “L’intera  Sorellanza del Perfetto Abito lo farà.”
Rose lasciò andare un lamento, prima di soffocare un’esclamazione sorpresa quando l’altro si chinò e la prese tra le braccia, come un perfetto, scoppiato gentiluomo di altri tempi. “Scorpius!
“Cosa?” La guardò con aria innocente. “Ti soccorro come mi hai chiesto.” Inarcò le sopracciglia incredulo. “Dovresti ringraziarmi.”
Rose alzò gli occhi al cielo. “E come pensi di portarmi fin laggiù?” Indicò la grossa quercia che distava ad almeno cinquanta metri da dov’erano.

“Con i miei possenti muscoli?”
“Se mi fai cadere nel fango ti ammazzo.”
La camminata fu più agevole di quanto non avesse previsto: spesso dimenticava che l’altro fosse, a conti fatti, un Auror e dunque prendesse parte settimanalmente ad un programma di esercitazioni fisiche non indifferente.
Senza contare il regime da soldato pazzo che ha avuto durante l’Accademia.
“Suppongo di doverti dare più fiducia.” Concesse quando la posò su una coperta che aveva Materializzato con un colpo di bacchetta. “Non sei inciampato nei tuoi piedi neppure una volta.”
“Mica faccio Weasley o Potter di cogno-ahu!” Si lamentò quando trovò giusto rifilargli un pugno sulla spalla. “Sono aggraziato, fammene una colpa!”

“Se prendi in giro la mia famiglia di certo.”
“Solo la sua scarsa coordinazione motoria. Sai che vi adoro.” Ribatté stendendosi accanto a lei e facendosi aria con il cappello di feltro leggero che indossava d’estate per atteggiarsi, secondo James.

Assolutamente sì.
“Grazie per avermi salvato, non ne potevo più.”
Scorpius le sorrise disimpegnato, infilando una mano sotto la spessa gonna di tulle e ricevendone uno schiaffo. La guardò imbronciato. “Mi merito questo per essere stato un cavaliere?”

“Se lo sgualcisco lo pago, e vorrei evitare visto che è orrendo.” Guardò un paio di pecore che curiose brucavano nella loro direzione dietro la loro robusta staccionata di legno inglese. “Oggi sei uscito presto dal lavoro … Come mai?”
“Uscita premio, visto che abbiamo passato tutta la mattina ad inseguire due idioti che si erano asserragliati in un ex birro burrificio. Ci siamo dovuti cambiare perché finito l’arresto puzzavamo come … beh, come una burro birreria. Tuo padre quando ci ha visti ci ha dato il resto del pomeriggio libero. Credo gli facessimo pena.” Si puntellò su un gomito e Rose notò che nell’incavo del collo, poco discosta dal tatuaggio, aveva una scottatura da incantesimo piuttosto grossa.
Si morse le labbra, preoccupata. “Non vi siete fatti male, vero?”
Scorpius le accarezzò un fianco. “Nulla di grave fiorellino. Avevano una mira schifosa.” Rotolò con la testa sulle sue ginocchia. “Ma sono molto traumatizzato e voglio conforto.”
Rose represse una risata, passandogli le dita tra le ciocche sottili e sentendosi in pace con il mondo: non avrebbe potuto essere così ogni giorno prima del matrimonio?

Perché devo passare le mie giornate ad angosciarmi del fatto che le petunie non sono dei centrotavola adeguati?
Sul serio.
“Possiamo sposarci a Las Vegas?” Le uscì fuori prima che riuscisse a frenarsi, facendo sgranare gli occhi all’altro.
“Rosie? È una cosa che direi io!” La guardò divertito prima di leggere le intenzioni dietro la sparata. Aggrottò quindi le sopracciglia. “Va tutto bene?”
“Penso di non essere tagliata per i preparativi.” Sospirò scornata ed ammettere quella manchevolezza era un po’ umiliante.  
Non posso essere la sposa meno eccitata dal vestito e dai fiori della storia.
Scorpius fece spallucce. “L’importante è essere tagliati per il grande giorno, no?”
“E se combinassi un casino? O se uno dei nostri parenti decidesse che è una splendida occasione per lanciare una nuova faida familiare?”
“Ci penseremo a tempo debito.” Le passò una mano sulla guancia ed era fresca e confortante. “Ehi, non avrai dato retta alle frecciatine di quelle due streghette! Violet sbava su questa roba da quando era una nanerottola e Lily è una specie di organizzatrice di eventi mancata … Per loro è divertente, tu sei fatta diversa.”
Troppo diversa.”

“Ed è questo il motivo per cui mi sposo te, e non loro.”
Rose si chinò e nonostante il corpetto si stesse lamentando – quella stronza di Violet le aveva rifilato tutti abiti di una taglia inferiore, con un messaggio neanche troppo velato – baciò Scorpius a lungo e con soddisfazione. Probabilmente al dannato affare erano saltate delle cuciture ma se ne fregò.
“Comunque sai, sono stato un po’ egoista.” Riprese Scorpius dopo un paio di minuti di rinfrancante silenzioso interrotto solo dallo stormire delle fronde sopra di loro. “Anche io oggi ho avuto la mia buona dose di Puzzalinfa da ingoiare.”
“Sarebbe? Burrobirra sui vestiti?”

Scorpius sbuffò, scuotendo la testa. “James.” E il fatto che lo chiamasse per nome era indicativo. “Ha avuto una scopa piantata nel sedere per tutta l’ispezione.”
Era il momento di ricambiare il favore e farsi confidente. “Come mai?”
“Per Prince.” Si morse un labbro, aggrottando le sopracciglia. “Sto cercando solo di essere umano con il ragazzo, e lui non lo sopporta.” Emise un verso esasperato, strofinandosi le mani sul viso. “A volte capisco mio padre quando dice che i Potter sono le creature più irritanti dell’universo. Diamine, lo sono!”
Rimase in silenzio perché codice familiare le imponeva di non esprimere giudizi negativi su nessuno portante quel cognome. Era una specie di riflesso pavloviano.
Se lo faccio mi vien voglia di sbattere la testa contro uno spigolo come un Elfo.
Cattiva Rosie, cattiva.
“Prince ti piace?” Chiese invece, prendendola da un altro verso.
Scorpius ci rifletté, poi annuì. “È un tipo in gamba. È umile, lavora sodo e porta a casa la giornata senza un lamento, e t’assicuro che a volte James è una spina nel fianco. M’ero scordato quanto potesse esserlo…” Sospirò. “Rimane il fatto comunque. Mi vien voglia di picchiarlo con il manico della scopa.”
“Jam sa essere un vero stronzo.” Convenne perché quella era una verità condivisa. “E la sai la situazione con Prince … Fa fatica a venire a patti con il fatto che è dalla parte dei buoni adesso.”

Non è l’unico.
“Buoni, cattivi…” L’altro si alzò a sedere con una smorfia. “Il mondo non si divide così! C’è gente che fa scelte sbagliate e gente che cerca di rimediare. Prince è nella seconda categoria, e non riesco a capire perché quella capra non ci arrivi. Avremo tutti una situazione lavorativa migliore se lo facesse!”
“Lo farà.” Non ne era del tutto convinta, ma del resto suo cugino aveva cambiato idea su Scorpius al punto di farne il suo migliore amico: poteva farlo anche con il tedesco.
Certo, con quello che ha combinato con Lily non ne farà magari il suo testimone di nozze …  
“La situazione in squadra è tesa. Il Sergente Flannery è ancora al San Mungo e le indagini sul tizio americano sono in stallo.” L’altro si distese sulla coperta strizzando gli occhi. “È dura essere quello che vede sempre tutto positivo … specie quando non si ha granché materiale su cui lavorare.”
“Stanco di essere RaggioDiSole Malfoy?”   

L’altro fece un pallido sorriso. “Te l’ho detto, oggi non sei stata l’unica ad aver avuto voglia di scappare.”
Rose si stese accanto a lui, posandogli la testa sulla spalla. “L’ipotesi Vegas è sempre aperta.”

 
 
****
 
Diagon Alley, Accademia Magica di Duello.
Pomeriggio.
 
Finire le sue giornate all’Accademia Magica di Duelli stava diventando una routine.
Sören chinò la testa verso il ragazzo che si era offerto di fargli da compagno di allenamento in quelle due ore, stringendogli la mano. “Buon movimento della bacchetta.” Offrì anche se le barriere e i contro-incantesimi che gli erano stati lanciati non l’avevavano mai messo in seria difficoltà.

Ma almeno mi sono sfogato.
Il ragazzo fece un breve sorriso stanco e dopo aver eseguito l’inchino di commiato si slacciò il corpetto scarlatto che tutti gli allievi indossavano e si allontanò verso gli spogliatoi lasciandolo solo. 
Sören tornò quindi alla pedana, stirandosi il collo e le spalle per scacciare gli ultimi rimasugli di tensione rimasta. Era ancora presto; poteva spostarsi nella sala attigua dove, grazie ad una serie di manichini incantati da un Locomotor, avrebbe potuto allenarsi senza dover chiedere assistenza di nessuno.

Di solito preferisco avere qualcuno di vivo a parare i miei colpi…
Non gli andava però di disturbare uno dei maestri per chiedergli un incontro, dato che molti erano impegnati ad insegnare. Quello e il fatto che non gli andava di attirare troppo l’attenzione su di sé. Si rendeva infatti conto da solo che le sue tecniche di duello erano un po’ troppo avanzate, se non violente – come aveva sentito sussurrare ad uno dei ragazzi che aveva sfidato in quei giorni.
Non puoi biasimarli. Queste persone si allenano per diletto o per migliorare le proprie capacità magiche. Tu ti allenavi per uccidere.
Serrò le labbra: aveva bisogno di scaricare la tensione accumulata al lavoro e quello era l’unico modo che conosceva.
Per quanto possa spaventare gli allievi.
Venire a sapere che Johannes era ancora vivo e che le loro strade si erano di nuovo incrociate … no, non era ancora riuscito a metabolizzare la cosa; non avere punti fissi su cui indagare peggiorava solo la situazione.
“Sören!” Lo sorprese una voce accentata che conosceva bene. Voltandosi si trovò infatti di fronte al sorriso franco e sincero di Dionis che lo spinse a ricambiare; era raro essere accolto da un’espressione simile.
Per il lavoro che faccio e per chi sono, nessuno è mai troppo contento di vedermi.
“Dionis.” Gli strinse la mano. “Lieto di vederti.”
“Mi hanno detto che c’era un tedesco dalla bacchetta veloce e dalla tecnica impressionante che sfidava tutti i nostri allievi migliori … Ho subito pensato a te.” Inarcò le sopracciglia con aria di rimprovero. “Perché non mi hai detto che venivi ad allenarti qui?”
“Non volevo disturbarti, so che segui molte classi di pomeriggio.”
“Si trova sempre tempo per un amico.” Rispose l’altro con serietà facendogli sentire un discreto calore al petto. Doveva essere questa la sensazione di essere apprezzato da qualcuno che stimavi. “Ti sei battuto con Cooper, ho visto. È uno dei miei, che te ne sembra?”

“Rapido negli attacchi, ma le sue barriere contro-incantesimo sono piene di sbavature, deboli. Si distrae quando pensa di aver messo a segno un punto.” Osservò, prima di registrare l’ultima frase. “Non intendevo dire…” Annaspò a disagio.
Dionis lo guardò divertito. “Hai perfettamente ragione. Si culla troppo del successo a breve termine e non capisce che ciò che conta è il risultato finale. Capita spesso, con questi inglesi …” Si strinse nelle spalle con una lieve smorfia. “Vengono da club di Duellanti dove insegnano che l’importante è partecipare e mettere a segno quanti più punti possibile. E sono delle vere teste dure, non riescono a capire che il principio su cui si basa il Duello magico è completamente diverso.”
Sören aggrottò le sopracciglia. “La vittoria dell’uno, la sconfitta e probabile morte dell’altro?”
Dionis annuì come se avesse detto una profonda verità sconosciuta ai più. “Purtroppo qui hanno smesso di duellare seriamente da così tanto tempo che se lo sono dimenticato.” Gli rivolse un nuovo sorriso. “Volevo offrirti un caffè, ma credo tu preferisca allenarti ancora. Mi sbaglio?”
Sören sorrise di rimando. “Non sbagli.” 

 
Battersi con Dionis era stato rinfrancante.
Con il fiato corto, i polmoni in fiamme e le ossa doloranti Sören si sentiva più vivo che mai. Si era già battuto con il rumeno, durante il suo soggiorno infausto ad Hogwarts, ma era felice di constatare che per l’altro quei cinque anni non erano stati d’ozio; aveva anzi lavorato su suoi punti deboli, migliorando i suoi talenti, soprattutto la capacità di attacco – quella che probabilmente insegnava come prima cosa ai suoi allievi. Lo aveva messo in serie difficoltà più di una volta e l’incontro si era concluso con un punteggio pari.
Sören si inchinò in un saluto rispettoso, per poi andare a stringere la mano dell’altro, sperando di trasmettere con quel gesto la gratitudine che sentiva.
Erano … giorni … che non mi sentivo così.
“Mi avevi promesso uno scontro ad armi pari.” Esordì. “Ti ringrazio.”
“Felice di non aver deluso le tue aspettative.” Rispose l’altro con aria soddisfatta. “Una birra?” Ridacchiò alla sua esitazione. “Non Burrobirra. Vicino a dove abito c’è un piccolo emporio che importa pilsner ceca artigianale, ne ho qualche bottiglia in fresco nel mio ufficio. Davvero pensavi ti avrei offerto quella roba dolciastra?”

“Confido che tu abbia gusti migliori.” Ironizzò accettando la pacca che gli venne data sulla spalla. Si sentiva meglio, indubbiamente.  
Ma almeno l’ho finita in compagnia di un amico.
Fu dopo una doccia e con un boccale di birra meravigliosamente gelata in mano che, seduto su una comoda poltrona di cuoio nell’ufficio del rumeno, sentì il proprio cellulare trillare allegramente. Tirandolo fuori dalla tasca ci mise più di qualche attimo a capire che aveva ricevuto un messaggio.  
Da Lily.
Si affrettò a leggerne il contenuto.

‘Buongiorno Ren! Sopravvissuto al fine settimana?’
Sorrise, ignorando l’espressione incuriosita del rumeno. “Scusa, un messaggio.” Borbottò cercando di premere sui tasti inesistenti per comporre una risposta.
‘Sì, ti ringrazio, e tu?’
Non sarebbe mai venuto a capo di quel genere di comunicazione, sarebbe sembrato sempre un ritardato,
ormai se ne era fatto una ragione. 
‘Direi di sì, visto che sto guardando Rose avere una crisi isterica sul proprio abito da sposa. La promessa sposa più divertente di Diagon Alley!’
Lanciò un’occhiata di scuse a Dionis. “È Lily.” Spiegò. “Una crisi familiare, credo.”
“Ah, sì … ce ne sono di continuo, ti ci abituerai.” Scrollò le spalle l’altro, dando un sorso al suo boccale. “Nulla di grave, spero.”
“Dal tono del messaggio non direi.”

‘Ho sentito parlare dell’agitazione tipica delle promesse spose. Sei lì per consigliarla?’
‘Ridere di lei, in realtà, ma la scusa ufficiale è che sono qui in veste di consulente, sì.’
‘Chissà perché, non lo mettevo in dubbio.’
‘Il mio vero ruolo o quello supposto?’
‘Entrambi.’
‘Cattivo Ren! Sono molto, molto offesa!’
“Le cose stanno andando bene tra di voi, mi sembra di capire.”
Sören oscurò lo schermo sentendosi stupidamente imbarazzato dalle parole dell’altro. Non c’era nessun motivo di temere un giudizio, tuttavia sentiva che proteggere quella neonata amicizia era suo dovere. “Sì, alla fine ha perdonato le mie … omissioni.” Non si sbilanciò. “Come hai visto alla festa, stiamo cercando di essere amici.”

Dionis annuì. “Sono contento, Lily Luna è una brava ragazza. A volte penso che molti degli atteggiamenti che ha servano per mascherare quelle che ritiene debolezze e che in realtà, a mio avviso, sono pregi.” Sorrise alla sua aria stupita. “Lei e Roxanne si somigliano molto.” Guardò una delle fotografie che teneva sulla scrivania, quella del suo matrimonio, a giudicare dalla preponderanza di bianco e gente coi capelli rossi presente nell’inquadratura. “Sono donne che vanno scoperte.” Gli lanciò un’occhiata strana. “Sono il genere di sfida di cui un mago ha bisogno.”
Sören non sapendo come rispondere senza rivelarsi drammaticamente, scrollò le spalle. “È una visione romantica.”
“Non la condividi?”

Sperò di non essersi messo a boccheggiare, perché sarebbe stato fin troppo palese.  
Non fece in tempo ad indagare che qualcuno bussò con forza alla porta. “Avanti.” Rispose l’altro guardando perplesso il ragazzo affannato che vi si affacciò. Era l’allievo con cui si era battuto prima, Cooper. “Dionis, mi chiedevo se … oh, perfetto!” Esclamò individuandolo. “Lei è un auror, vero?” Gli si rivolse.
“Non esattamente, in America non esistono…” Vedendo che non era il caso di lanciarsi in spiegazioni data l’aria agitata del mago, si alzò in piedi. “Cosa succede?”
“Uno degli allievi, Signore. È impazzito. Si stava battendo quando è crollato a terra, credevamo si stesse sentendo male, ma poi ha aggredito il suo compagno di allenamento e…” Si fermò, squadrandoli con aria confusa. “Non riusciamo a farlo ragionare, né a fermarlo.”
“Avete chiamato i Tiratori Scelti?” Che erano gli agenti che lì, in Inghilterra, gli sembrava di ricordase si occupassero dell’ordine e la sicurezza dei cittadini.
La polizia Babbana.
“Stanno arrivando.” Confermò. “Ma …”
“Ho capito.” Si lanciò uno sguardo di intesa con Dionis che gli si affiancò immediatamente, quasi gli avesse letto nel pensiero. “Fa’ strada.”
La situazione si prospettò grave nel momento stesso in cui mise piede nella sala che aveva lasciato solo mezz’ora prima; l’ambiente fortunatamente deserto era stato messo a soqquadro, come se un Incantesimo Esplosivo fosse stato scagliato dove ora era fermo il mago aggressore.

A Sören ci volle una semplice occhiata per capire cosa stava succedendo. Un’occhiata e con lo stomaco contratto e la bacchetta a portata di mano si voltò verso Dionis, alle sue spalle. “Chiama gli auror.” Disse. “Il caso è loro.”
E mio.

Perché l’allievo che stava in mezzo alla sala distrutta aveva la stessa, identica cosa di Howe e Flannery.
 
****
 
Note:

Capitolo un po’ di passaggio, ma dal prossimo si entra di nuovo nel vivo dell’azione.
La canzone della festa è questa mentre questa la canzone ad inizio capitolo.
  
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