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Autore: Bittersteel    07/04/2013    3 recensioni
Il campanile della chiesa vicina batte la mezzanotte, con rintocchi secchi, freddi. La bottiglia di vino è quasi vuota, resta un ultimo sorso, poi lo Scrittore si trascinerà sul letto sfatto, ancora vestito coi quattro stracci logori della giornata. Chiuderà gli occhi e pregherà - un santo, un demonio? - che lei torni, che gli faccia visita, che lo molesti con il suo sorriso languido, da puttana tentatrice.
Genere: Erotico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Agli amori consumati in sogno,
a chi conosce la fatica dello sceglier le parole.


Cantami, o Musa

Ci sono notti che non accadono mai
A. Merini


Eccolo, il nostro scrittore, guardatelo bene. Siede su una sedia scomoda, di quelle che non conciliano il sonno; ha le guance chiazzate di blu, lì dove la barba mal fatta cresce ispida; davanti a lui, sul tavolo malfermo, un ingombro di carta stracciata, informe; penne dall’inchiostro ormai asciutto, avanzi di cibo, una bottiglia di vino appena stappata.
Eccolo, lo scrittore. Si dà pena come un condannato all’inferno, dentro le fauci dello stesso Lucifero. Eppure  quest’ultimo, quale maestro di menzogne, dovrebbe proteggerlo dalla dannazione eterna.
Lo scrittore è lì, seduto su quell’unica sedia rosa dai tarli, appena illuminato dal vecchio lume muffito: provate a scovarne il contorno nel buio. Una mano stringe spasmodicamente una penna, la cui punta sfiora il foglio con delicatezza estrema; l’altra ha appena afferrato la bottiglia per il collo. Stacca un sorso poderoso, il nostro scrittore, un sorso di quelli che potrebbero prosciugare il mare e tutti i suoi pesci. Un sorso di vino per affogare la disperazione di un sogno che non si avvera.
Guardategli gli occhi, a questo scrittore: è febbre il velo traslucido che li copre, è passione, intensa, vorace. Un fuoco cova nel suo petto, la pelle rovinata che emerge dal cono d’ombra freme d’impazienza, la bestia morde il freno, scalpita. La penna traccia frasi insensate, lorda i fogli immacolati con parole sciocche.
Aspetta, lo scrittore. Aspetta una donna, l’unica donna della sua misera, cedevole vita.

  
Il campanile della chiesa vicina batte la mezzanotte, con rintocchi secchi, freddi. La bottiglia di vino è quasi vuota, resta un ultimo sorso, poi lo Scrittore si trascinerà sul letto sfatto, ancora vestito coi quattro stracci logori della giornata. Chiuderà gli occhi e pregherà - un santo, un demonio? - che lei torni, che gli faccia visita, che lo molesti con il suo sorriso languido, da puttana tentatrice.
Lo Scrittore beve il fondo in un unico sorso. Tossisce, sputacchia minuscole gocce scarlatte, si alza, incerto; la sedia che si sposta provoca uno stridio dolente che quasi mette i brividi. Anche questa sera ha imbrattato inutilmente carta che costa troppo. Toglie le scarpe, l’alluce sinistro fa capolino dalla calza scucita - un monito a questa vita deprecabile; si butta a peso morto sul materasso sfasciato. Chiude gli occhi.

  Mezzanotte, si dice, è l’ora delle streghe.

 
Un toc-toc aggraziato lo sveglia di colpo. Lo Scrittore bestemmia a pieni polmoni, agguanta la bottiglia, vuota. Ha gli occhi appannati, i movimenti sono lenti; tentenna sull’uscio nel silenzio ovattato, scruta il legno come se vi potesse vedere attraverso. Poggia la mano sinistra sul pomello, pronto a redarguire il visitatore inatteso, ma, aprendo la porta, la bottiglia che ancora regge nell’altra mano precipita a terra, e si rompe in schegge di luce tagliente.
Lo Scrittore spalanca gli occhi, già velati di lacrime, risucchia aria dalla bocca ora secca.
Sulla porta si staglia una figura femminile, d’aspetto trascendente. Sorride, di un sorriso che promette bellezza, ma gli occhi rivelano altre cose.
  

Una verità terribile emerge dallo sguardo cangiante: l’eterna magnificenza del divino.

 
Avanza nella stanzetta sporca, e ad ogni passo l’ombra notturna si ritira, come se avanzasse la luna piena.
Lo Scrittore chiude la porta con uno scatto alieno, l’aria fredda del pianerottolo lo ha come rinvigorito. O forse è lei, la sua bellezza, la sua pelle pallida come l’avorio che spicca tra gli abiti stracciati, da puttana tentatrice.
 
(Quella notte aveva scelto quegli abiti, perché sapeva che lui la vedeva così. Era stata molte cose, molte donne, molti amori. Una volta gli aveva fatto visita vestita solo della sua pelle. Ricordava la bramosia degli occhi dello Scrittore, il desiderio con cui concupiva  i capezzoli scuri, i capelli che scendevano a nasconderli, le cosce tornite, il ciuffo di peli bruni che nascondeva la giunzione delle gambe. Un’altra volta era andata a trovarlo abbigliata di pizzi e gale, un ventaglio a coprirle la bocca, una piuma tra i capelli castani, raccolti in trecce spesse e fissati sulla nuca da un fermaglio luccicante. Ancora, si era fatta vedere nella veste primigenia, un peplo bianco, il profilo da cariatide, una lira d’argento da cui traeva suoni di meraviglia indicibile. Le labbra vermiglie che declamavano parole di miele, dolci e pericolose come il peccato. Ogni volta un diverso costume, un nome nuovo, una vita reinventata per l’occasione. Eppure, nelle pupille dello Scrittore si rifletteva sempre la stessa donna a cui aveva consacrato la vita.)
 
Lo Scrittore prova a parlare, scoprendo che non ha più voce. Lei sorride ancora, guardandosi attorno, come compiaciuta dello squallore che l’amante patisce in suo onore. Si avvicina, gli tende le mani. Lui, come inebetito da un incantesimo, si lascia attirare a quel petto fermo, si lascia cullare dal respiro pacato. Il fiato di lei, profumato come fiori di primavera, gli lambisce la mandibola, ma torna indietro come rose appassite, un odore di decomposizione e decadenza. La guarda negli occhi, vedendo il riflesso di una lapide nella gloria dell’eternità.
  

È un attimo, un battito del cuore.

 
Le passa le dita sporche di inchiostro sul viso, segnandone i contorni netti, come scolpiti nel marmo. Col pollice le sfiora le labbra – rosse, un invito al bacio. Le sue mani sussultano incontrollate mentre vagano su quel corpo sinuoso. Lo scrittore sente tremare la pelle, sotto la stoffa, al passaggio delle dita incerte. Il bacio che si scambiano arde loro le labbra, un’unica fiamma provoca loro ansiti incontrollati.
 
La carta, gli avanzi, finiscono sul pavimento con violenza, mentre lei è spinta a sedere sul tavolo, lasciandosi consumare di baci, mentre lo Scrittore si consuma di desiderio. Con un unico movimento le strappa i vestiti di dosso, la guarda abbacinato, sconvolto da un incanto, stregato dai riflessi che la luna regala alla donna, discinta, pronta, famelica al pari di lui.
  

Ogni cosa ceduta questa notte verrà ripagata a caro prezzo nelle notti a venire.

 
Lo Scrittore le percorre il corpo, da labbra a labbra, con la lingua, abbeverandosi alla fonte che dissipa ogni dispiacere, strappandole gemiti sommessi, stuzzicandola in profondità, succhiando piacere e bramosia, tormentandola di un dolce affanno.
  

Chiedi, prega, mezzanotte è l’ora del Diavolo.

 
Quando si rialza, lei è sazia, intorpidita. Chiedi, prega!
– Dimmi che sei mia.
Distoglie gli occhi, la puttana tentatrice. Muta, lei che sa ispirare ogni verbo.
– Dimmi che non mi lascerai mai più.
L’occhiata che gli regala è più eloquente di mille parole: lei è di tutti e di nessuno, di chi la sa cogliere, di chi la maltratta, di chi la scaccia e di chi la prega, in ginocchio, di tornare. È e  sarà mille e mille cose, ma mai possesso.
Invece spalanca le braccia, allarga le cosce umide. Lo Scrittore  si tuffa su di lei, in lei. Ogni spinta è fiato, è supplizio, è foglio di poesia, tempesta, bonaccia e uragano. Lei quasi grida, mentre lo Scrittore respira come se fosse affogato, e poi riportato in vita da qualche dio abissale, misericordioso e tuttavia crudele.
 
– La vita è fiato – dice lo Scrittore, ancora spezzato dal delirio dell’orgasmo. Ma forse avrebbe dovuto dire che, per lui, la parola è vita.
Ha il petto squassato dal respiro frenetico, mentre lei è già tornata l’algida statua dal profilo greco, baciata dalla luna, pronta a fuggire via come una gatta selvatica.
 
Lo Scrittore non prova nemmeno a chiederle di rimanere. La vede coprirsi col poco di tessuto integro che le resta, muovere due passi sensuali sui frammenti di vetro, come un fenomeno da circo, improvvisare una piroetta e scomparire dietro la porta, non prima di averlo guardato un’ultima volta con quegli occhi di colore indefinito, latori di certezze valide fino al mattino.
  

Uno sguardo che è una promessa, non vincolata al tempo dei mortali.

  

Lo Scrittore raccoglie un foglio e una penna. E’ stanco, le ossa scricchiolano sotto i vestiti rattoppati. La luce tenue di una bugia – che nome perfetto, per quel momento – illumina il tavolo. Non sa che ore sono, ma non ha importanza. L’alba è lontana, c’è ancora tempo per le creature della notte, per la loro imprudenza. Seduto al tavolo, contempla per un attimo l’astro che getta lampi luminosi attraverso la tenda strappata; inizia a scrivere, rinfrancato, dietro le palpebre ancora il ricordo di una piroetta su pezzi di vetro.

  
Eccolo, il nostro scrittore. Dorme avvolto da lenzuola sudice; puzza di vino, di sudore stantio. Sul tavolo una risma di fogli fa bella mostra di parole impeccabili. Se poteste leggerle, forse paragonereste lo scrittore ad Apollo, attirando su di lui la vendetta divina. Lasciatelo dormire. Il suo sonno è tranquillo, Morfeo ha sparso per lui solo tutta la sabbia del suo sacchetto, coprendone il capo come se fosse cenere: sa che questa pace svanirà presto, trascinata via  da nuova ambizione.
Sogna, il nostro scrittore? No, non più. 
L’alba è quasi alle porte, ma a quest’uomo, soggetto alle pretese di una Musa impudente, rimane ancora qualche stralcio di riposo.
Un uccello notturno canta la sua canzone, chiedendo compagnia anche per sé. Poi spicca il volo, in silenzio, dritto fino al mattino.



Note:
Lucifero, quale "Maestro di menzogne", è un cliché corrente in molte letterature.
"L'eterna magnificenza del divino", W. F. Otto, Theophania.
"La vita è fiato", A. Tabucchi, Tristano Muore.
"Morfeo ha sparso per lui solo tutta la sabbia del suo sacchetto" è ispirato al capolavoro di Neil Gaiman, The Sandman.
"Dritto fino al mattino", sì, esattamente verso l'isola che non c'è.
Ci sono poi vari riferimenti alla mitologia greca.

Questa storia non sarebbe nata senza il verso di Alda Merini, né senza la noiosa ora di analisi matematica della professoressa Gaeta; ma, a voler essere sinceri, nulla di tutto questo avrebbe mai avuto uno sviluppo senza Pessoa, che mi ha cullato tra le pagine de L'Ora del Diavolo. 

 

Grazie a poison spring per il betaggio e i consigli.

   
 
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