Fece
una giravolta, poi un salto. Raccolse le braccia e la
spada angelica al petto e fece una capriola a terra avvicinandosi al
nemico.
Senza perdere tempo affondò la spada nel suo cuore e quello
scomparve.
Un applauso leggero lo distrasse. Sapeva già chi era, era
sempre lì quando si allenava. Si avvicinò a lei
con passi lunghi e lenti,
fermandosi a pochi centimetri dalla più bella ragazza che
vivesse
nell’Istituto.
« Piaciuto lo spettacolo? » le chiese, con un
sorriso
spavaldo e il cuore che batteva appena più velocemente del
normale. Per la
vicinanza di lei, non per l’allenamento.
« Se non fossi certa di sapere chi ho davanti penserei di
parlare con mio fratello, » gli rispose, con la stessa aria
divertita di
sempre, scostandogli dalla fronte un ciuffo di capelli che era ricaduto
lì
durante le acrobazie.
« Non so se prenderla come un complimento o
un’offesa, »
scherzò lui.
Era una routine, la loro. Lei lo osservava allenarsi per
ore, fino a quando non si stancava di stare a guardare il suo
allenamento solitario
e decideva di interromperlo. Alcune volte per allenarsi con lui,
altre… ecco,
era meglio se non pensava alle altre
volte, altrimenti la sua reputazione di Shadowhunter tutto
d’un pezzo sarebbe
andata a farsi benedire. Insieme a qualche pezzo del suo corpo, se
William
avesse saputo qualcosa delle altre
volte.
« Non so, io lo prenderei come complimento. In fondo a soli
diciotto anni era a capo di un Istituto. E non di un Istituto
qualsiasi. »
« Hai ragione, » disse, voltandosi. Raccolse la
spada dal
pavimento e iniziò a riordinare la stanza, convinto che
quella sarebbe stata
una delle altre
volte. Cecily stava
parlando troppo, di solito se voleva allenarsi si buttava subito nella
mischia.
« Perché riordini? » gli chiese.
Gabriel si bloccò in mezzo alla stanza con i giochi
in braccio.
« È dovere di ogni buon Shadowhunter prendersi
cura delle
proprie armi, Cecily. È la lezione numero uno, e vale tanto
per l’allenamento
quanto per il combattimento, » rispose, continuando a
sistemare.
« E tu sei uno Shadowhunter perfetto, no? » il
sussurro che
gli sfiorò l’orecchio lo fece rabbrividire.
Sorrise.
Era silenziosa, la sua Cecily. Una Shadowhunter con i
fiocchi. E pensare che ricordava ancora quando aveva cominciato ad
allenarla,
tre anni prima.
« Non così tanto, se mi lascio cogliere di
sorpresa da te. »
Lasciò andare le armi e si girò velocemente.
Cecily non si
spostò. Avrebbe potuto farlo, ma non aveva voluto .
Ovviamente.
La strinse tra le sue braccia, mentre lei gli circondava la
vita con le sue, più sottili, ma allo stesso tempo solide e
muscolose. Le braccia di
una guerriera, non più quelle di una elegante signorina di
buona famiglia, come
quando l’aveva conosciuta.
« Sei perfetto per me » gli sussurrò lei
contro la spalla.
Gabriel sentì il sorriso sul volto allargarsi ancora di
più,
mentre scioglieva l’abbraccio quel tanto che bastava per
poter posare una mano
sul collo di lei, farle sollevare il viso verso il suo e finalmente
posare le
labbra su quella bocca dolcissima che oramai conosceva come una
qualsiasi parte
di se stesso, ma che non si stancava mai di assaggiare ed esplorare.
Sentì le mani di lei risalirgli lungo la schiena e
allacciarsi dietro il collo, mentre la sua mano, quella che non era
impegnata a
tenere la bocca di Cecily il più vicino possibile alla sua,
trovava posto
proprio nell’incavo della schiena di lei.
Con Cecily era sempre così, non riusciva a trattenersi, ma
sapeva che non era giusto. Per lei, per lui, per quello che erano e
rappresentavano.
Non era giusto volere di più, perché, come gli
aveva ricordato,
lei era la sorella del capo dell’Istituto di Londra. Era una
Herondale, veniva
da una delle famiglie di Shadowhunters più importanti del
paese, mentre lui era
un Lightwood. La gente lo guardava con sospetto, aspettando che da un
momento
all’altro seguisse le orme di suo padre. Lo Shadowhunter
morto di sifilide
demoniaca. Una vergogna per i Nephilim di ogni tempo. A nulla era valso
il
fatto che avesse aiutato Charlotte e gli altri a uccidere suo padre, e
che anzi
fosse stato l’autore materiale della sua morte. A nulla era
servito combattere
contro Mortmain e il suo esercito di automi. Lui sarebbe stato sempre
il figlio
di suo padre. E non era giusto voler condannare Cecily a una vita di
sguardi e
battutine sottovoce.
Eppure lo voleva lo stesso. Voleva addormentarsi
stringendola tra le sue braccia dopo aver fatto l’amore con
lei, voleva
svegliarsi al mattino ritrovandola lì dov’era
quando si era addormentato. Non
voleva più accontentarsi delle briciole di tempo che
rubavano agli allenamenti,
gli unici momenti in cui, da quando avevano iniziato a uscire insieme
ufficialmente, era concesso loro di stare da soli all’interno
dell’Istituto. E
soltanto perché la porta non si chiudeva a chiave.
Cecily mise fine al bacio.
« Gab, cos’hai? » gli chiese,
accarezzandogli una guancia,
con il sorriso più dolce dell’intero globo
terrestre e quel lieve accento
gallese che non voleva andarsene.
In quel momento, davanti a quel sorriso, Gabriel non riuscì
a mettere un freno alle sue parole.
« Sposami » le disse. Non era una domanda, ma una
richiesta.
E se ci pensava bene non era neanche una richiesta, ma una
necessità. Aveva
bisogno di sapere che sarebbe stata sua per sempre, che non
l’avrebbe mai
lasciato. Che era sicura di lui come lui lo era di lei.
Sorrise, perché forse non era stata la proposta
più
romantica del mondo, con gli abiti da combattimento sudati addosso e
nella
stanza degli allenamenti, e sorrise anche per la tensione. Aveva
lanciato una
bomba e ora aspettava le conseguenze.
Azzardò uno sguardo e vide una luce birichina danzare negli
occhi blu che tanto amava.
« Anche domani » gli rispose, prima di sollevarsi
sulle
punte per baciarlo ancora. E ancora. E ancora.
***
Fu
solo dopo molti baci, quando quella fame era stata
placata ma non del tutto saziata, che si sedettero a parlare in un
angolo della
palestra.
« Mi dispiace non avertelo chiesto in un modo
più…
romantico, » le disse, con l’indice che continuava
a sfiorare quel naso
perfetto, i suoi zigomi alti, le sue guance e quelle labbra carnose ora
gonfie
per i baci.
« Mr Lightwood… » sospirò,
senza riuscire a trattenere una
risata. « Gabriel, era perfetto. Il momento era perfetto, tu
sei perfetto e io…
io mi sento perfetta, quando sono con te. »
« Sei tu che rendi il mio mondo perfetto, » disse
sorridendo.
« Ti amo, Mr Lightwood. »
« Ti amo anch’io, quasi-signora-Lightwood.
»
« Forse dovremmo pensare a chiamarti signor Herondale, con i
figli di Charlotte e Henry l’hanno fatto - » la
risata si spense sulle sue
labbra, probabilmente qualcosa nella sua espressione l’aveva
fatta desistere
dal continuare. Aveva toccato una delle sue paure più
grandi, quella che
neanche lei lo accettasse per quello che era e che avesse paura del suo
nome.
Una di quelle paure che non aveva mai espresso ad alta voce, ma che lei
doveva avergli
letto sul volto, perché subito sulle sue labbra si
formò il sorriso che
dedicava solo a lui, quello dolce che le accendeva gli occhi, e
pronunciò le
parole di cui lui aveva più bisogno.
«Scherzavo, Gab. Signora Lightwood sarà
perfetto.»
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Erano giorni che minacciavo qualche amica con l'idea di una Heronwood, la coppia che ho amato di più in Clockwork Princess, ma erano anche mesi che non mettevo mano alla tastiera o alla penna per scrivere qualcosa che non avesse a che fare con la medicina. Durante un viaggio a Londra che ho fatto recentemente, una sera, prima di addormentarmi, ho scritto questa storia. Non è lunga e non è neanche complessa. Ma l'ho scritta e ne sono felice.
Spero sia piaciuta anche a voi.
La dedico a tutti i romantici che non smettono di sognare, e in particolare al gruppo di lettura e sostegno che ogni giorno mi fornisce nuove letture. Voi sapete chi siete ^____^