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Autore: Wendigo    14/04/2013    2 recensioni
Era notte. Tutti dormivano, eccetto una persona che, non riuscendo a prendere sonno, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina. Durante il tragitto, notò però una debole luce provenire dallo studio: pensò che suo padre avesse nuovamente lasciato acceso il camino, ma, aperta la porta, notò un uomo seduto sulla poltrona. Che non era poi suo padre.
"Entra pure, non essere timido". Incoraggiò l'uomo seduto sulla poltrona. Teneva in mano un piccolo libro che, da come era stato posto il segnalibro, aveva appena iniziato a leggere. "Che ne dici se ti racconto una bella storia?".
La persona si guardò attorno, sospettoso. Si domandava chi fosse quell'individuo ma, dato l'aspetto innocuo, decise di assecondarlo e in pochi secondi era già seduto di fronte a lui. "Chi sei?". Domandò comunque alla fine...
"Chi sono? Se proprio ci tieni te lo dirò dopo averti raccontato qualcosa", si fermò un secondo, "Ti piacciono le storie dell'orrore?".
La persona si chiese perché fosse così ossessionato a raccontarle delle storie ma, non vedendoci niente di male, accennò un "sì" con la testa. L'uomo aprì allora il libro, da cui iniziarono ad uscire fumi neri e voci. "Bene iniziamo".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Drin. Drin. Drin. Che fastidioso telefono.
È da quando sono stata portata qui che non fa altro che squillare ininterrottamente: all’inizio non mi dava molto fastidio, cercavo di ignorarlo e basta. Ma, giorno dopo giorno, ho iniziato a non farcela più. Mi sta facendo impazzire.
Che qualcuno lo faccia smettere! Chiunque mi andrebbe bene, basta che lo faccia! Anche tu che stai leggendo la mia storia! Ti supplico! Fallo, dannazione! Che aspetti?! Perché non lo zittisci?!
Oh, è vero: non puoi zittirlo perché tu non sei realmente qui. Che strana cosa aver appena parlato con un foglio…
Sto davvero impazzendo, non credi?
Però devo fare davvero qualcosa. Come vorrei semplicemente rispondere o scaraventare l’intero apparecchio contro il muro! Ma ho paura che, se lo facessi realmente, l’incubo da cui sono uscita si ripeterebbe; e sinceramente non so se sopravvivrei ancora.
Devo resistere, mi ripeto ormai da giorni, devo scriverti la mia storia. Devo farcela. Poi accada quel che accada: sarò pronta.
Ricorda intanto queste parole mentre leggerai la mia vita: non è una favola quella che sto per raccontarti, per tenerti buoni i bambini o farli andare a letto. Né è frutto della mia fantasia, come tutti stanno cercando di farmi credere da una settimana, senza riuscirci tra l’altro.
È accaduta realmente ed accadrà di nuovo se qualcuno non porrà la parola fine. Se qualcuno non fermerà lui. E ogni volta che succederà, uno dovrà morire. Dolorosamente, lentamente, inevitabilmente. Spero quindi che, scrivendola su questo foglio di carta, tu, chiunque tu sia, abbia il buon senso di credermi. Così una persona saprà la verità e la mia disgrazia avrà avuto un significato.
Okay. Cominciamo.
Lo so che ti sembrerà assurdo già da adesso, ma tutto è iniziato con una semplice telefonata.
Era un sabato sera e, come spesso accadeva, ero fortemente indecisa su come trascorrerlo, se con un film e dei popcorn oppure con un’uscita romantica assieme a mio marito. C'era anche la terza opzione di chiamare una o due mie amiche e di fare invece una serata tra donne, ma decisi di scartarla quasi subito poiché desideravo passare del tempo con Marco. Viceversa mio marito aveva scartato la seconda opzione, dato che, con la coda dell’occhio, lo scorsi già con un vassoio pieno di popcorn in mano.
“Vada per il film”. Mi dissi e, dopo aver acceso il televisore, cominciai a cercare tra i canali televisivi un film che andasse a genio ad entrambi. Marco non sopportava ad esempio i film rosa mentre io gli horror. Due categorie, purtroppo, ampiamente usate.
E fu proprio mentre io girovagavo tra quei canali, che il telefono cominciò improvvisamente a squillare.
Vista l’ora, credevo che si trattasse di mia suocera, che era sempre preoccupata per suo figlio, oppure di un nostro amico che aveva invece scelto la terza opzione. Allora non potevo sapere che era invece lui a telefonarmi.
Andai a rispondere. Come desidero non averlo mai fatto.
<< Pronto? >>. Già mi aspettavo di sentire la voce stridula di mia suocera o familiare di un nostro amico, e invece niente. Il silenzio più assoluto. << Pronto? >>. Ripetei. Niente di nuovo.
Si sentiva solo un flebile rumore di vento. Anzi no, mi dissi subito dopo: era il suono di un respiro. C’era quindi qualcuno dall’altra parte del telefono. Perché non rispondeva? Aveva forse sbagliato numero? << Pronto?! >>. Il misterioso individuo riattaccò.
<< Chi era, Siso? >>. Mi chiese curioso Marco, sedendosi affianco a me sul divano.
Prima di fraintendere oltre, sappiate che Siso è il nomignolo con cui mi chiama mio marito. Non chiedetemi il perché e il come gli è venuta. Il mio vero nome è Anna.
<< Non lo so: ha riattaccato senza rispondermi >>.
<< Non fa niente. Piuttosto hai scelto un film da vedere? >>.
Gli stavo per dire di no, quando il telefono ricominciò a squillare. Stavolta Marco mi consigliò di ignorare la telefonata e di goderci la serata.
Dopo pochi secondi però scattò la segreteria, dove la mia voce preregistrata pregava la persona di richiamarci più tardi oppure di lasciarci un messaggio dopo il segnale acustico. Fin qui tutto normale. Niente che mi facesse capire che si trattava di lui.
Scattò poi il bip. << Scusami per il ritardo, Siso, adesso vengo ad ammazzarti! Sii un altro po’ paziente >>.
Rimasi letteralmente pietrificata e lo stesso dicasi per mio marito che, azzerato il volume del televisore, mi chiese di riavviare il messaggio. Ubbidii senza perdere tempo: avevamo per forza sentito male. Lo riascoltammo, ma purtroppo avevamo sentito benissimo.
Il fatto più strano era, però, che la voce registrata dopo il bip era simile alla mia. Anzi era proprio la mia.
<< È uno scherzo, Siso? Non fa ridere >>. Mi domandò giustamente Marco, ma poi, vedendo il mio volto confuso e terrorizzato, capì che non era così. Ciò nonostante, volle essere pienamente sicuro << È uno scherzo o no? >>. Mi domandò nuovamente, mentre mi afferrò con forza entrambe le braccia. Era terrorizzato. Bastava vederlo per capirlo immediatamente.
“Ma che razza di uomo sei?”. Pensai prima di svincolarmi dalla sua morsa ed afferrare la cornetta del telefono. << Chiamo la polizia, per sicurezza >>. Digitai il 113 e mi misi in attesa. Cercavo di mostrarmi tranquilla ai suoi occhi. Non serviva che andassi nel panico pure io.
Passarono pochi (e interminabili) secondi prima che qualcuno alzasse la cornetta dall’altro lato e mi rispondesse.
<< Pronto? Devo denunciare un…. >>
<< Mi dispiace >>. Cominciò a dire una voce, sempre identica alla mia. << Le linee sono tutte intasate. Se desidera lasciare un messaggio premere uno, se desidera morire premere due >>. Urlai. << Siso, credevi davvero che ti avrei permesso di telefonare la polizia o a chicchessia? >>.
Mollai la cornetta. Ora ero davvero terrorizzata. << Che facciamo, Marco? >>
Sentimmo un rumore di vetri rompersi.
La luce venne meno.
Un blackout? Ci osservammo a vicenda, ognuno cercando un coraggio inesistente dall'altro.
<< Che facciamo?! >>. Gli chiesi quasi urlando stavolta.
<< Vado… vado a vedere. Tu resta qui, okay? Se noti qualcosa di strano, tu corri nella camera da letto e aspettami lì >>. Gli feci cenno di sì. Marco prese il primo oggetto affilato che trovò e si avviò verso la cucina.
Intanto il telefono squillò. Che avrei dovuto fare? Cosa sarebbe stato peggio: rispondere o no? La mano mi tremava.
<< Pronto? >>
<< Non avresti dovuto mandarmi Marco >>. Ancora la mia voce. << Ora sarò costretta ad ammazzarlo. Che peccato, ci piaceva tanto, Siso >>.
Sentii delle urla di dolore provenire dalla cucina. Poi silenzio. E infine un rumore di
passi pesanti, troppo pesanti per appartenere al mio Marco. Lui era dentro casa mia!
<< Ora vengo da te >>.
Scappai. Scappai come non avevo mai fatto in vita mia verso la camera da letto.
Chiusi subito la porta a chiave, presi un tagliacarte dal mio comodino e mi raggomitolai in un angolo della stanza, piangendo. Desideravo che fosse solo un incubo o, se proprio doveva essere reale, che fosse un scherzo di pessimo gusto.
Squillò nuovamente il telefono e, poiché non risposi, scattò infine la segreteria.
<< Perché scappi? Tanto morirai che tu lo voglia o no. Non sai da quanto tempo ho aspettato questo momento! Dal momento in cui ti ho vista per la prima volta, non ho fatto altro che seguirti ogni giorno, a lavoro, a casa, al cinema, dovunque. Ho persino fatto un’operazione in via sperimentale per avere la tua voce. Ma non mi basta, non mi è mai bastato! Mi capisci, vero? >>
Mi feci un po’ di coraggio e alzai la cornetta. << Chi sei?! Perché fai tutto questo!? >>
<< Davvero non l’hai capito? Ma anche se capissi adesso, non importerebbe più >>. Smise di parlare per qualche istante. << Guarda alla tua destra >>. Lo feci ma, invece di ritrovarmi faccia a faccia con un estraneo armato e minaccioso, vidi solo la mia immagine riflessa da uno specchio. Cosa voleva significare? Che il maniaco ero io stessa? Era ridicolo! << Prima ero troppo emozionato per parlarti, così ho riattaccato; ma adesso posso dirtelo: io sono lui ma voglio essere te! E prima ancora che tu me lo chieda: sì, sono arrivato >>.
<< Sei solo un pazzo! >>. Ebbi il coraggio di dirgli.
La maniglia della porta cominciò a muoversi freneticamente ma, per fortuna, la porta rimaneva chiusa. La maniglia iniziò quindi a muoversi più velocemente, con impeto sempre più maggiore.
Capii allora due cose: che lui non mi avrebbe mai lasciata in pace poiché la sua ossessione nei miei confronti era troppo grande per lasciarsi fermare ora da una semplice banale porta di legno; e che lo dovevo combattere di persona, se volevo uscirne viva quella notte.
Strinsi di più il tagliacarte, mi diressi lentamente verso la porta e girai la chiave.
La maniglia aveva smesso di muoversi, come se lui mi stesse aspettando.
L’afferrai, spalancai la porta e con un rapido gesto infilzai lui col tagliacarte. Sentivo il suo caldo sangue toccarmi le dita. E la sola idea mi accapponò la pelle.
Avevo appena ucciso una persona! Ero un’assassina!
<< Perché l’hai fatto, Siso? >>. Gli stavo per rispondere con un “Muori, bastardo!” ma c’era qualcosa che non andava con la sua voce: non era uguale alla mia! Ebbi un dubbio. Alzai quindi lo sguardo verso il suo volto e in quel momento capii di aver appena piantato il tagliacarte nel petto di Marco.
Poco dopo si accasciò a terra, era pallido come un cadavere. Forse lo era già.
<< Credevi davvero che fossi io? Credevi davvero che mi sarei fatto uccidere con quel tagliacarte? Sei un ingenua! >>. Riprese fiato. << Che bel modo di uccidere, non credi, Siso? Sei un’assassina! Ma non ti preoccupare troppo: hai già chiamato la polizia e hai confessato il tuo omicidio. Tra poco verranno a prenderti. Naturalmente ho fatto tutto io a posto tuo, ma, avendo la stessa voce, è stato come se l’avessi fatto direttamente tu in realtà. Arrivederci, Siso >>.
Lui  riattaccò.
Poco dopo arrivò davvero la polizia, ma ciò che vide fu solo una donna immersa nel sangue del proprio marito, e vicina all’arma del delitto pieno delle sue impronte digitali. Provai a convincere i poliziotti che il colpevole non ero io ma lui, però non mi crederono.
A causa della mia versione dei fatti, venni persino etichettata pazza e rinchiusa in un manicomio vicino. Non oso dirti cosa ho dovuto passare qui dentro ma cercavo di consolarmi col fatto che non ci fossero telefoni nel manicomio, almeno non dove stavano le “celle” dei pazzi.
Un giorno, però, me ne portarono uno per ordine del mio psicologo che credeva si trattasse soltanto di fobia. Pensava che l’avrei superata in questo modo e che mi sarei definitivamente convinta dell’inesistenza del mio maniaco. D'altronde il telefono era anche sconnesso, quindi nessuno poteva chiamarmi.
Eppure, dopo che venni lasciata da sola, il telefono cominciò a squillare. Lui era tornato.

 
 
   
 
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