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Autore: Elos    23/04/2013    7 recensioni
[...] La vita di Wendy era trascorsa in compagnia di un vecchio sogno. Aveva sognato e ricordato l'isola verde, le fate, la luce sempre rosa e come da alba che colpiva l'acqua e si spezzava in un arcobaleno di frammenti, azzurro pallido dove il mare diventava schiuma e turchese nei punti in cui le alghe affioravano quasi sulla superficie dell'acqua fonda, blu dove il galeone spezzava le onde a otto nodi, e il cielo si riempiva di nuvole, lì: nuvole che seguivano la nave pirata come un mantello, come un velo, pesanti nuvole cariche di pioggia e di fulmini e di paura, e in quell'ultima notte le nuvole si erano aperte e la prua aveva tagliato un cielo pieno di stelle, gonfio di luna.
Era stato magnifico.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Wendy Darling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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. evoluzione



Ci sono sogni che passano come una vita intera nell'arco di una sola notte, sogni che cominciano quando si chiudono gli occhi e che non sono più lì al mattino, scomparsi, la luce del giorno se li è mangiati, sogni che passano come una vita intera dal tramonto all'alba e poi ci sono vite che passano come un sogno, così, sognando con gli occhi spalancati.
La vita di Wendy era trascorsa in compagnia di un vecchio sogno. Aveva sognato e ricordato l'isola verde, le fate, la luce sempre rosa e come da alba che colpiva l'acqua e si spezzava in un arcobaleno di frammenti, azzurro pallido dove il mare diventava schiuma e turchese nei punti in cui le alghe affioravano quasi sulla superficie dell'acqua fonda, blu dove il galeone spezzava le onde a otto nodi, e il cielo si riempiva di nuvole, lì: nuvole che seguivano la nave pirata come un mantello, come un velo, pesanti nuvole cariche di pioggia e di fulmini e di paura, e in quell'ultima notte le nuvole si erano aperte e la prua aveva tagliato un cielo pieno di stelle, gonfio di luna.
Era stato magnifico.
Aveva sognato le sirene spaventose e lucenti e le caverne inquiete, il ticchettare di un orologio mai digerito e il suono che faceva l'acqua sbattendo contro la carena ingrassata, l'odore denso della foresta, dell'albero cavo, dei falò nell'accampamento indiano, l'ossidiana negli occhi di Giglio Tigrato e il fumo azzurrato che si era levato leggerissimo dai fuochi verso il cielo. Aveva sognato e sognato e sognato, tutta una vita passata a sognare e alla fine anche Capitan Uncino era diventato un sogno senza spavento, così, e non aveva più ricordato tutta la paura provata camminando su una tavola di legno, cadendo, cadendo, con l'acqua che le veniva incontro, ma solo le vesti sontuose di velluto rosso, la piuma, i capelli nerissimi e ricci e come si era inchinato, facendola passare, com'era stato bello il duello, poi, le stelle e le nuvole aperte e tutto quel cielo, il cielo, lasciando la seconda stella dopo il mattino.
Aveva sognato e sognato, aveva sognato tutto questo, ma non aveva mai sognato Peter. Era complicato sognare Peter quando ogni mattina apriva gli occhi e si svegliava accanto a qualcun altro, e la persona che le dormiva vicino aveva un sorriso brillante come l'acqua dell'Isola, gli occhi come quelli di Giglio Tigrato, era un uomo buono e dolce e avevano cominciato i loro giorni insieme con un po' d'incertezza, un po' di stupore, ma poi i giorni erano diventati mesi e i mesi si erano fusi assieme in una collana lunghissima di anni belli, luminosi, e poi erano venuti tanti bambini a cui raccontare le storie dell'Isola, la terra verde, le fate, la luce, il cielo.

Era stata sempre buona con Capitan Uncino, Wendy, nelle sue storie. Lo raccontava sempre visto dal suo lato migliore.
Aveva cercato di buttarla in acqua e di uccidere Peter, ma Wendy sapeva che non era colpa sua, non proprio, non precisamente. Era solo la sua natura. La sua storia.
Tutte le storie devono avere un Capitan Uncino. Non sono umane, le storie.

Niente Peter, perciò. Niente Peter il giorno del suo matrimonio e niente Peter il giorno in cui aveva messo il suo primo paio di calze lunghe, da donna, e niente Peter ad ogni suo parto, quattro parti senza dolore e il quinto che era stato una fatica, un lungo parto che aveva lasciato il suo bambino ad annaspare per un po' come un anatroccolo annegato, il suo piccolo, topino, gattino. L'avevano chiamato Peter, poi, e Wendy aveva pensato ai suoi Bimbi Sperduti che mai sarebbero diventati grandi, mai adulti. Questo poteva, invece. Poteva crescere. Viaggiare. Poteva avere altri figli, figli suoi, i figli sono una benedizione, sono come l'immortalità degli uomini. Poteva invecchiare, il suo Peter.
Anche invecchiare, aveva scoperto Wendy, poteva essere una benedizione.

Avevano avuto un'unica figlia femmina e l'avevano chiamata Jane.
Wendy la vedeva affacciarsi dalla finestra, certe notti, e guardare su, su, su, il naso puntato verso il cielo e gli occhi pieni di qualcosa d'altro, e si chiedeva se... si chiedeva se...



Dopotutto, la seconda stella era sempre lì, a cercarla bene.



La vita di Wendy era trascorsa in compagnia di un vecchio sogno. Aveva sognato e aveva ricordato e non aveva mai rimpianto, mai, neanche quando la vita si era divertita a lasciarla con un punto nuovo di dolore, la morte di sua madre, la malattia di suo padre e quella del terzo dei suoi bambini, che se n'era andato troppo presto, senza avere il tempo di crescere, quello di invecchiare. A Wendy piaceva pensare che avesse già raggiunto l'Isola, lui, e che la stesse aspettando lì. Il suo eterno bambino che non sarebbe mai diventato uomo.
Nessun rimpianto, aveva pensato. Ogni giorno è un regalo, oggi più di ieri, domani mille volte più di oggi, mentre il suo viso liscio si asciugava e le sue labbra diventavano più sottili, piccole rughe attorno agli occhi e alla bocca che erano il segno di ogni volta in cui aveva riso. Aveva riso spesso: era stata molto felice, Wendy, per tutti i giorni in cui era stata viva.
Peter le aveva offerto un sogno lungo un'infinità, lungo come il cielo, più delle nuvole e del mare, ma Peter non poteva offrirle Jane, Peter non poteva offrirle Peter, non poteva offrirle uno sposo buono e dolce dal sorriso come l'acqua dell'Isola, non poteva offrirle un mondo che cambiava e che si guardava cambiare. I giornali annunciavano cose diverse ogni giorno, e alcune erano terribili e schifose, perché gli uomini erano molto più cattivi dei pirati, molto più cattivi di quanto Capitan Uncino e la sua storia avrebbero mai potuto essere, ma altre erano belle, così belle da farla piangere, così nuove. Tutto un universo in evoluzione.
Non si sarebbe mai evoluto, Peter.



I suoi bambini stanno correndo sulla neve. C'è la finestra aperta ed una luce bellissima che viene da fuori. Il Natale è vicino: le case sono piene di candele, piene di luci, di cose rosse appese alle porte e di agrifoglio e vischio. C'è un'aria di contentezza ovunque ed un profumo di resina aspra e tè dolce.
Wendy sente ridere i suoi bambini, proprio sotto la finestra spalancata, e non sono proprio i suoi bambini, non Peter e Jane e gli altri, ma i figli dei suoi figli e i figli dei figli dei suoi figli, Ha visto tre generazioni dopo la sua, Wendy, e quando si guarda allo specchio trova una vecchina piccolissima e bianca. Le piacciono le sue rughe, tutte le sue rughe, quelle del sorriso e tutte quelle che si sono aperte ogni volta che ha pianto, ma rimpiange i suoi capelli, che erano tanti e belli, del colore della corteccia di faggio.
Ha raccontato le sue storie a tre generazioni di bambini, tre generazioni che se le sono passate, poi, e la storia che racconta sua figlia Jane non è proprio la stessa che raccontava lei – oh, Peter, Peter, pensa certe volte Wendy, ma senza rancore, dovevi proprio rischiare di rubarmela, la mia Jane, per la terra dove non si diventa mai vecchi – ma Uncino c'è sempre, i Bimbi ci sono sempre, e gli indiani, le sirene, il bosco. Il mare.
Quello è stato forse un piccolo rimpianto. Il mare. Non c'è mare a Londra, solo un vecchio orologio dal quale una volta avevano spiccato il volo, tenendosi per mano.
La sua stanza sa di cipria, di talco dolce, sa delle rose appassite nell'angolo e dei libri, colla, carta e pelle, del legno e della polvere, polvere leggera, è l'odore delle case vecchie: c'è polvere in tutti gli angoli, sulla poltrona, sulle coperte ricamate, sulle tende e sulla libreria. A Wendy la sua polvere piace così come le piacciono le sue rughe, è un segno delle cose riempite, accumulate, ricordo dopo ricordo come fossero mattoni. Una vita costruita. C'erano stati profumi, cassettiere piene di gioielli e pennelli vicino alla specchiera, negli anni in cui Wendy era stata giovane: adesso ci sono solo due foto sgualcite infilate tra le cornice e il vetro, ed un flacone quasi vuoto di acqua di rose.
I suoi bambini stanno correndo sulla neve. E' quasi Natale, e Wendy è vecchia. Una vecchina piccolissima e bianca. L'uomo buono con cui ha diviso cinquant'anni di una vita bellissima, dolce come il miele e mille volte più ricca e più piena, è andato sei anni prima a raggiungere il terzo dei loro bambini. Molto tempo prima avevano ricomprato la casa che dà sul cortile, la casa dell'infanzia di Wendy; è una casa troppo grande per viverci da soli, ma Jane era rimasta con loro, Jane con la sua bambina, con la sua Margaret, Maggie, Magpie, la loro piccola gazza, e la casa sembra meno vuota, così, sempre piena di voci e del suono di passi leggeri. La casa che dà sul cortile è di nuovo la casa di Wendy, in questo modo, la sua stanza è di nuovo la stanza che aveva avuto allora, prima, quando c'erano due fratelli a spartirla con lei e la voce di sua madre a riempire la notte di storie, e Peter, Peter Pan, Peter Pan era comparso in quella stanza, una volta. Un'unica volta. Basta una volta, per storie così, non serve altro.
Se chiude gli occhi lo vede ancora lì. Peter Pan. Peter Pan immortale, come le fate, come i sogni, Peter Pan che non voleva cambiare.
Ha i capelli rossi, i vestiti verdi, sorride come sorridono le volpi. E' innocente e bugiardo come tutti i bambini, curioso come un adolescente, giovane, giovane in eterno, non ci sono mai state rughe sul viso di Peter, non avrà mai i capelli grigi, mai le ossa stanche, i piedi gonfi, le caviglie doloranti. Non cammina, Peter: vola.
Se chiude gli occhi lo sente anche parlare. Le chiede una storia. Le dice che la trova più vecchia, sei vecchia, Wendy, perché Peter è innocente, bugiardo e sincero e Wendy è vecchia davvero, invecchiata con le benedizioni del suo corpo che si sfascia ogni giorno di più, e ieri erano le gambe che non la reggono se corre, il giorno prima ancora i polmoni che fanno fatica a riprendersi da una bronchite, le orecchie che non ci sentono più tanto bene e gli occhi che non vedono più l'ago. Oggi è il cuore, pensa Wendy. Anche i cuori invecchiano, ma solo fuori, solo fuori si fanno deboli e stanchi, mentre dentro resta tutto quel che c'è stato messo giorno dopo giorno, il sorriso di un uomo buono e cinque bambini nati vivi, i suoi pulcini, una casa dalle finestre che affacciano sui cortili di Londra e i rintocchi di un orologio che non si spengono mai, e l'Isola, l'Isola, tutta la luce bella dell'Isola dentro al suo cuore di vecchia.
Se chiude gli occhi vede Peter, e lo sente parlare, e quando li riapre Peter è ancora lì. Le voci dei bambini entrano con il vento dalla finestra spalancata e la città è coperta di neve, il cielo limpido e traslucido dell'inverno londinese.
Seduta in poltrona, il suo corpo era stato come un peso ed un ingombro fino ad un momento prima, davvero, ma adesso non pesa più, niente affatto, nossignore. Non le fanno più male le ginocchia e le sue caviglie sono sottili, aggraziate, le sue mani lisce, il suo respiro lieve. C'è Peter immutato dagli occhi verdi e il sorriso di volpe che le offre la mano; Wendy si sporge per afferrarla e il resto del mondo sparisce, esplode, in un groviglio di lucciole d'oro.

C'è l'Isola dietro le lucciole, seconda stella a destra senza aver paura, ogni volta che l'alba sorge le nuvole sull'Isola si fanno bianche come la panna montata e il mare è blu del blu più blu che ci sia, così blu da fare male agli occhi, sirene e Bimbi Sperduti e pirati e Peter Pan giovanissimo e immortale, Peter Pan che non invecchia, che non conosce il mutamento, Peter Pan che non valeva il mondo di Wendy in evoluzione ma adesso è fatta, finita, chiuso. E' ora di andare, le dice Uncino, davvero ora di imbarcarsi: vedi la passerella, è stesa, le vele spiegate, vento di babordo a otto nodi e l'ancora levata. Lascia, dice Uncino, che il mondo continui a cambiare.
Dodici rintocchi d'orologio: poi, dritti fino al mattino.








Note della storia: Quarta e penultima (salvo aggiunte dell'ultimo momento) storia per la serie ever after. I links li trovate più sotto, cliccando sulle icone.
Jane e Margaret non le ho inventate io: ci ha pensato il signor Barrie. Quella di Peter Pan è una tra le più inquietanti storie riprese dalla Disney. I bambini dell'Isola che non c'è che non crescono mai; non diventano mai vecchi, ma non cambiano nemmeno. Il fratello di Barrie morì prima di compiere quattordici anni: e gli unici bambini che non crescono, in effetti, sono i bambini che muoiono prima di poterlo fare.
Vista così non sembra più una storia tanto carina, vero?

Il brano dietro al titolo non è tratto dalla colonna sonora del film Disney. Ho scelto invece Fairy Dance, di James Newton Howard, dalla colonna sonora del Peter Pan del 2003, per la regia di P.J.Hogan. So che a molti non è piaciuto, ma io penso di aver saltellato sul divano per tutto il tempo in cui è durata la visione.
Il più bel film su Peter Pan resta comunque Hook. C'è Dustin Hoffman. Qualunque cosa abbia Dustin Hoffman dentro è potenzialmente un capolavoro.
Sto temporaneamente tentando il suicidio su Cicerone ed ho un esame domani nel quale passerò il tempo raccontando le barzellette (perché non è che abbia molto altro da dire), ma ho deciso di far finta di non dover studiare per, tipo, dieci minuti.



Grazie, come sempre, a chi si è fermato a lasciarmi un parere; doppio con cioccolata a chi si fermerà anche stavolta. Mi dispiace per l'assenza prolungata e per le rade volte in cui faccio capolino: l'ultimo anno di università si sta mangiando via tutto il tempo libero che avevo finora.
  
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