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Autore: kazuha89    28/04/2013    2 recensioni
Per una ragazza destinata a diventare il leader della più potente famiglia mafiosa al mondo, non esiste vacanza. Altri nemici si prospettano all'orizzonte: la temutissima squadra di assassini, i Varia! ma Taya ha nella sua faresta, 7 nuove armi a sua disposizione, ovvero il tesoro della sua famiglia, agoniato però anche dai suoi nemici. Specie il loro capo, intenzionato ad avere il suo posto di decimo leader dei Vongola..
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tiepidi raggi di sole mi fecero da sveglia, quella mattina di un pigro martedì di primavera. La stagione era ancora piuttosto immatura e lunatica, e spesso cieli tersi e sereni si cospargevano improvvisamente di nuvole carche di pioggia. L’aria cambiava così spesso temperatura che si era sempre costretti a portarsi dietro un golfino o una felpa. Giorni prima, Bianchi si era arrischiata a fidarsi di un bel sole caldo e aveva mandato i bambini a giocare nel parco giochi dietro casa, e per tutta risposta li aveva riavuti indietro zuppi e con una tripla dose di raffreddore grazie all’ennesimo acquazzone apparso dal nulla. Proprio vero, marzo pazzerello, guardi il sole, ma apri l’ombrello.
Però il tepore di quei fili dorati sul mio viso parevano promettere davvero bene. Erano mesi, che non sentivo il sole cosi caldo sulla pelle. Mi tirai a sedere, e abbracciai le gambe posando il mento sulle ginocchia, e mi sfuggì un lieve lamento: avevo ancora qualche giuntura un po cigolante, dopo il piacevolissimo tet a tet con il caro Mukuro Rokudo e la sua combriccola di amici, alla faccia delle tre interminabili settimane che avevo passato confinata tra le lenzuola nel tentativo di riprendere fiato e l’uso del mio corpo.
Eppure, nonostante il calvario che stavo attraversando per colpa sua, nonostante tutto quello che lui e i suoi compagni di merenda avessero combinato giù in città, nonostante avessero quasi ammazzato me e i miei amici, per non parlare del danno subito dal piccolo Fuuta, che mi chiedevo se sarebbe mai guarito del tutto.. mi era impossibile smettere di chiedermi di tanto in tanto, dove fosse finito dopo che quelle misteriose e agghiaccianti figure dai volti bendati, lo avevano portato via con sé con i suoi complici.
Mukuro, Ken e Chikusa.. le loro parole erano marchiate a fuoco nei miei pensieri. Forse era per quello che non mi riusciva di dimenticarli e basta, come comuni nemici sconfitti in battaglia. E forse era per lo stesso motivo.. che continuavo a sperare che non avessero fatto loro del male..
“Ah, figlia mia, ma che deve fare uno, per spingerti a incazzarti con lui, me lo dici?”
Reborn si era svegliato, probabilmente per colpa del brusio incessante dei miei pensieri, che a detta sua lui poteva sentire chiaramente come se fossero vere e proprie chiacchiere, ed era saltato giù dalla sua piccola amaca sospesa sopra la mia scrivania, per atterrare leggero sul mio copriletto, il fido Leon appollaiato sulla spalla ancora vagamente assonnato. Lo guardai, e gli sorrisi dolcemente.
“Non so cosa dirti, pensa pure che io sia stupida, se credi..ma non mi sento proprio di odiare uno che ha giurato vendetta verso la Mafia, dopo aver subito per mano di essa le cose più indicibili prima ancora di mettere piede nella pubertà, Reborn. Non fraintendermi, però, so benissimo che ha scelto la peggior soluzione immaginabile per pareggiarsi i conti, però.. ”
“Lo so, piccirì, non occorre che mi spieghi. Dentro di te, la tua anima ha sentito forte e chiaro una specie di legame con la sua, dopo che sei riuscita a purificarlo e a capire il dolore che abitava nel suo cuore, leggendo chiaramente la sofferenza da lui provata. Probabile anche che forse Mukuro danni più di tanto non ne farà più, ma voglio comunque che t’imprimi una cosa nella mente: non devi assolutamente metterti a pensare che mo’ che ne hai salvato uno, tutta la gente deviata che pascola su sto pianeta possa redimersi e fare ammenda. La gente malvagia, che fa del male senza un vero motivo, intendo, cattiva solo per il gusto di esserlo..esiste veramente, là fuori, piccirì. Con Mukuro hai solo avuto fortuna, perché lui bene o male era mosso più dal risentimento che dalla fame stessa di sangue. Ma i tuoi nemici, non sono conclusi con lui, temo a ragione. E di fortuna, temo ulteriormente, non credo ne girerà ancora molta..”
Lo guardai, un po angosciata.
“Tu..non è che di recente ti è giunta all’orecchio qualche notizia di altri squilibrati diretti qua, vero?”
Reborn sorrise, sereno.
“Contrariamente a dicerie popolari, anche il crimine va in vacanza, bell’ è papà, e in grande stile aggiungerei. La stagione calda è alle porte, e le famiglie mafiose di ogni parte del mondo portano moglie e parenti o in campagna o al mare, per cui tengono da fare abbastanza. Nelle stagioni calde, il tasso di criminalità per mano della Mafia fa il contrario di quello che fa il mercurio dentro al termometro.”
Sospirai, rincuorata. Decisamente un peso in meno di cui occuparmi, pensai, prendendo un elastico bianco dal cassetto del mio comodino e facendomi una coda laterale. Persino da legati, ormai, i miei capelli arrivavano oltre metà della schiena, ed erano ondulati e rosso mogano come quelli di mia madre, che però dopo la mia nascita si era abituata a portare lunghi non oltre le spalle. Mi misi in ginocchio sul letto, mentre Reborn si accingeva a prepararsi il solito immancabile espresso dalla sua caffettiera preferita, e mi riflessi nello specchio appeso al muro di fronte al mio letto. La solita ragazzina pelle e ossa mi restituì lo sguardo, assonnata. Beh, decisamente poco convincente come massimo esponente tra i boss delle famiglie mafiose di tutto il mondo, bisognava ammetterlo.
Reborn, maestro indiscusso nell’impiccio nei fatti altrui estremo, mi fece correre il minuscolo indice lungo tutta la schiena, facendomi drizzare come un gatto.
“Mangia la pelle del pesce, e vedi che due o tre curvette dove è buono e giusto che stiano, vengono pure su sto corpetto da fame che tieni. Tieni origini italiane, e noi è risaputo che per quanto riguarda la bellezza femminile, teniamo il primato mondiale..”
“No, per me è adorabile così com’è, non si cambia niente!”
Mi voltai, e mi prese un coccolo. Poteva essere passato anche un mese, e potevo avere ancora gli occhi un po cisposi dal sonno, ma avrei riconosciuto anche al buio e a distanza di anni quel dolce sorriso gentile e quegli occhi castani da cucciolone. E come se già non riempisse di gioia riavere Takeshi Yamamoto nella mia vita dopo tutti quei giorni, aveva varcato la soglia della mia camera armato di un sacchetto che odorava di cornetti caldi. Un connubio da far commuovere una statua di granito. Yamamoto allargò ulteriormente il suo splendido sorriso e venne verso di me, posò il sacchetto con la colazione e mi si gettò tra le braccia, con tanto trasporto da sollevarmi di peso. Un paio delle mie articolazioni ancora convalescenti urlarono in segno di protesta, ma non mi sarei sognata mai di lasciarlo andare, nemmeno se mi avesse rotto qualcosa. Reborn aveva tassativamente vietato a chiunque di disturbarmi durante il mio periodo di ripresa dalla batosta subita, per non rallentare il processo di guarigione sottoponendomi a continui stress. Ma ora che stavo di nuovo bene, avevo preteso di poterli rivedere, e Reborn dopo aver fatto controllare, forse fin troppo accuratamente per i miei gusti, al dottor Shamall se effettivamente ero guarita, decise che poteva concedere il suo via libera alla ripresa delle visite in casa Sawada. Ci avevo messo una buona mezz’ora per far smettere di piangere Gokudera, quando l’avevo chiamato per dirgli che ero tornata in salute e che lo aspettavo presto..
“Quanto mi è mancato il mio scricciolo!” disse, allegro, mentre Reborn usciva dalla stanza sbadigliando per andare a svegliare i piccoli e Bianchi. “Oh, ogni sera, ci si ritrovava con Gokudera per sentire se c’erano novità da parte del tuo inflessibile piccolo tutor, e sinceramente si iniziava a sfiorare l’isteria. Poi ieri sera, finalmente hai telefonato! Ah a proposito, il mio vecchio ti manda i suoi saluti!”
“Ricambia e ringrazialo. Ah.. digli anche che mi dispiace infinitamente per quello che ti è stato fatto, che è stata tutta colpa mia se per poco non perdeva suo figlio..”
“Sciocchezze, mi avrebbe servito col sashimi, se avesse saputo che ti avevo mandata là fuori in braccio a quei tipi senza far nulla! E poi io sto un favola, non si vede?”
“Non del tutto, perciò fammi vedere subito il braccio, e deciderò io se stai una favola o no..” mormorai, seria. Lui annui tranquillo, e mi sedette accanto a me sul letto tendendo il braccio destro, a cui sollevai esitante la manica della camicia, per scoprire la pelle dal polso al gomito. Effettivamente era guarito del tutto, ma si vedeva abbastanza nitidamente la cicatrice del morso di Ken. Mentre sfioravo triste con un dito la sua pelle bianca deturpata da quei segni, lui mi mise la mano destra sulla spalla, e strinse le dita attorno alla mia clavicola. Mi fece piegare da una parte..
“Senti? La mia presa è perfetta, anche se adesso sto facendo piano. Non ho subito alcun danno, puoi stare tranquilla! Per i segni dei morsi, non è un problema. Le ragazze da sempre dicono che le cicatrici di guerra fanno figo!”
Lo osservai stupita, mentre gli tiravo giù la manica della camicia e lo osservavo prendere il sacchetto con le brioche. Yamamoto aveva davvero uno spirito unico nel suo genere. Sembrava la classica persona che riusciva a mantenersi calmo anche se parcheggiato nell’occhio di un ciclone. Però, pensai, mentre lo guardavo mangiare carezzandomi la guancia e sorridendomi affettuosamente, un errore come quello che avevo commesso due volte non sarebbe ricapitato. Yamamoto non apparteneva a quel mondo marcio a cui io invece ero destinata sin dalla nascita e a cui non potevo, pur volendolo, sfuggire. Ci era entrato per amor mio, per il mio bene, ma il prezzo da pagare si era rivelato fin da subito insostenibile a mio avviso, anche se lui sorvolava. Quelle cicatrici, sarebbero state il mio debito eterno con lui. Però, c’era anche da ammettere che la sua essenza calma e rassicurante certe volte era la sola cosa che riusciva a placare i miei tormenti. Raffreddava le brucianti ferite nel mio animo come.. la pioggia.
Mentre pensavo a questo, posando la mia mano sulla sua sorridendogli, cercando di trasmettere in quel gesto, la profonda gratitudine e l’affetto che nutrivo per lui, la porta della mia camera si aprì con veemenza tale che per poco non schizzò fuori dai cardini. E l’unica persona da me conosciuta in possesso di tanta grazia nelle sue entrate, fece ingresso.
“Gokudera..” mormorai. Lui rimase un paio di secondi a fissarmi, l’aria di chi ha davanti la sacra famiglia al completo.
“Mia..mia luce! Non trovo le parole per dirti quanto abbia atteso questo mom.. togli quella mano all’istante..”
Aveva cambiato espressione e atteggiamento così velocemente che feci fatica a stare al passo con i suoi pensieri. Poi, mi accorsi che tenevo ancora la mano di Yamamoto, e mi ricordai anche quanto Gokudera trovasse inconcepibile che una qualsiasi forma di vita entrasse in contatto fisico con me. Yamamoto lo guardò indifferente masticando la sua colazione.
“Sennò?” rimbeccò.
“Te la faccio saltare via dal polso..” ringhiò Gokudera avvicinandosi, furioso.
“Col rischio di impiastrare tutti i muri col sangue? Poi toccherebbe a scricciolo ripulire, non sarebbe gentile da parte tua, mi sa.. ”
Osservai Yamamoto, stupefatta. Da quando in qua lo divertiva giocare tanto col fuoco? Aveva visto di cosa era capace Gokudera, cosa lo provocava a fare?
Gokudera però, parve seriamente riflettere su quelle parole, perché assunse un’aria un po stupita. Yamamoto pescò un cornetto al cioccolato dall’involto, me lo porse e lasciò il sacchetto a Gokudera.
“Toh, la mano che volevi far brillare, è la stessa che ti ha preso la colazione. Cornetto integrale senza farcitura, come assurdamente piace a te, guerrafondaio.. ”
Gokudera osservò il sacchetto, poi lo aprì diffidente e ne osservò il contenuto. Per un secondo, notai una certa soddisfazione e golosità nel suo sguardo, ma lo fece sparire subito rimettendo al suo posto il solito sospetto.
“Non ti ho chiesto io di farlo, che non ti venga in mente di dire che sono in debito..”
“Basta, voi due!” sbottai, spazientita. “Neanche cinque minuti, e già litigate.. e tu neanche mi hai salutato per bene, prima!”
Senza lasciargli il tempo di rispondere o replicare, mi alzai dal letto e gli corsi incontro, abbracciandolo forte. L’odore inconfondibile di tabacco, colonia italiana e polvere da sparo mi entrò nei polmoni, che lo accolsero nostalgici. Se solo avesse saputo come mi sentivo davvero in quel momento, neanche avrebbe pensato alla mia mano su quella di Yamamoto. Sì, mi erano mancati entrambi enormemente, ma..nel profondo del mio cuore, sapevo che l’assenza di Gokudera in quei giorni mi aveva marchiata di più di ogni altra. Quante volte avevo sperato che il suo spirito ribelle avesse la meglio sugli ordini impartiti, e lo spingesse a scalare la facciata della mia casa e a bussare al vetro della mia finestra per riuscire, anche solo per qualche minuto, a vedermi. Per parlare con me del più e del meno senza che la Mafia mettesse dito, senza che mi vedesse come il suo leader ma come una semplice ragazza, come se la famiglia Vongola nemmeno facesse parte delle nostre vite. Due semplici studenti in un semplice mondo. Niente guerra, niente morte, solo noi.
“Sono..sono felicissimo di vedervi ritornata in salute, mia luce. Sono stato.. sono stato molto in pensiero..”
Aveva la mano posata delicatamente contro la mia schiena, ma il suo sguardo andava oltre la mia spalla, verso Yamamoto. Ed era carico di qualcosa che non gli avevo mai visto, qualcosa che andava ben oltre la solita malcelata antipatia. Sembrava quasi che Yamamoto, agli occhi di Gokudera, avesse commesso la peggiore delle scempiaggini, qualcosa che lo stesso Gokudera sembrava incapace di concepire. Era furioso, ma al contempo non sembrava capire il perché. Decisi di fare qualcosa.
“Yamamoto è arrivato 5 minuti fa, sai? E ha portato la colazione! Ahaha si è persino ricordato che non puoi mangiare i dolci troppo carichi di creme per via del tuo stomaco, pensa!”
Gokudera annui meccanico, lanciando strane occhiate ora a Yamamoto, ora al mio letto. Realizzando finalmente cosa stesse covando, sbuffai esasperata.
“Oh per l’amor di..per la non so quant’esima volta, Gokudera, il venire a contatto con me non significa oltraggiarmi, profanare la mia santità o che so io, chiaro? Le persone a me care, se vogliono, sono liberissime di abbracciarmi, di darmi la mano, di portarmi la colazione in camera e anche di sedersi sul mio letto, se ne hanno voglia! Anzi, avrei piacere che anche tu lo facessi, invece di trattarmi come se fossi una maledetta bambolina di porcellana cinese.. ”
“Non vorrei trattarti come una bambolina di porcellana, mia luce, ma..è bene che un subordinato tenga sempre a mente qual è il suo posto..”
“Oh certo, un subordinato! Ma si da il caso che io non ne abbia mezzo, di subordinato, io ho degli amici! Ora, o pianti il sedere su quel letto, mangi il tuo bel croissant 5 cereali e fai colazione con noi..o giuro che ti scaravento giù dal balcone!”
Gokudera sgranò gli occhi, allarmato. Yamamoto rise sotto i baffi, inzuppando in suo cornetto nel caffè fatto da Reborn, e rubò il sacchetto dalle mani di Gokudera, che lo incenerì.
“Su,su, sono settimane che non ci si vede, non trascorriamo la rimpatriata a suon di urlacci e sguardi truci! Dai, coglionazzo, i croissant vanno mangiati caldi per rendergli giustizia, e se rimani lì un altro po, finirò per seccarmi anche questo grumo di segatura travestito da colazione!”
“L’unica cosa che andrebbe seccata qui, sei tu, stupido coglione del baseball! E vedi di stare alla larga dalla mia colazione, o muterò la tua nel pasto del condannato..”
Facendo finta di dare un morso alla brioche integrale di Gokudera, Yamamoto lo indusse a fiondarsi su di lui per recuperarla, dando inizio all’ennesima litigata, stavolta in puro stile Gokudera – Yamamoto, e a me non rimase che restarmene lì a guardarli come una mammina esasperata, cercando ogni tanto di metterli calmi, ma senza scomodarmi poi più di tanto. A essere onesti, le loro liti senza senso erano una delle cose che mi era mancata di più. In quei giorni passati in isolamento, con la sola compagnia delle mie fitte, a recuperare centimetro per centimetro la mia naturale mobilità, avevo avuto il tempo di revisionare tutti e 16 gli anni, consci e inconsci, della mia vita. Ed ero giunta alla conclusione che, per quanto mi lamentassi senza posa di quei ritmi isterici e spossanti, gli ultimi 365 giorni erano stati i migliori e i più indimenticabili. Prima, la mia esistenza era in dubbio per essere definita tale, ma in un anno da essere umano che più che vivo poteva essere definito sì e no esistente, ero diventata il centro nevralgico e vitale di un mondo pressoché assurdo ma a volte dolorosamente concreto. Perché io, Taya Sawada, avevo scoperto di possedere dalla nascita, un dono unico nel suo genere, un antico potere vecchio di un secolo forgiato dalle mani di un’antica famiglia mafiosa italiana, i Vongola, che dopo lunghe attese da parte di chi ne attendeva il ritorno, pareva essersi destato proprio in me, nominata automaticamente erede universale dei Vongola, rivelatosi poi i miei antenati.
Tanti erano stati i dubbi, le paure, le negazioni e i momenti di ribellione e di fuga. La mafia che conoscevo io dai notiziari e dai giornali, in fondo, era solo fatta di sangue, omicidi e ingiustizie, non concepivo l’idea di esserne una parte integrale anch’io. Ma col tempo, avevo conosciuto e compreso i sani principi e gli ideali pacifici con cui lui, il cui sangue scorreva nelle mie vene, aveva improntato la sua famiglia. Lui che, attraverso quel sangue, mi aveva mandato in eredità la sua forza, il suo più grande tesoro: le fiamme dell’ultimo volere. Chi possedeva quest’ antico potere, aveva la capacità di leggere fino in fondo all’anima delle persone, e di contrastare ogni nemico. Sì, questo era il dono fattomi da lui che portava il mio sangue. Lui, Giotto Vongola, capo fondatore e primo Boss della famiglia Vongola, nientemeno che il mio tris - tris - tris nonno, un uomo che ancora in tenera età, aveva cambiato il mondo. Beh, sempre se davvero di un uomo si trattava. Grandi e oscuri erano i misteri legati alla figura del mio leggendario antenato, uno dei tanti era che la mente che aveva ideato miriadi d’idee progressiste e visionarie per cambiare il mondo, la mano che aveva guidato quel mondo prigioniero dell’buio verso la luce, erano le mani e la mente..di una donna. Sfortunatamente non esisteva prova tangibile o una qualsiasi testimonianza di ciò, e non giocava a vantaggio di questa tesi il fatto che l’antico potere dei Vongola, le fiamme di Giotto, da sempre si siano reincarnate di padre in figlio solo nella discendenza maschile, senza falli, fino all’estinguersi per la mancanza di eredi maschi portatori. Poi, un secolo dopo la morte del mio glorioso e sibillino avo, le sue fiamme si sono svegliate in me, una femmina. Nel cuore di molti, a sentire Reborn, era celata silente questa speranza, che ora gravava pesante sulle mie spalle.  Non potevo ancora dire onestamente cosa ne pensassi a riguardo, ma si dava il caso che da quando l’antico spirito dei Vongola si era svegliato in me, i miei sogni erano spesso tormentati da una misteriosa voce avvolta dalle tenebre..una voce femminile. Nessuno sapeva di questa cosa, non ne avevo fatto parola con nessuno. Nemmeno con colui a cui la mia famiglia aveva affidato il compito di crescere il mio corpo e maturare il mio spirito in vista dell’assunzione della carica di decimo boss della famiglia: il killer n ° 1 al mondo, Reborn.
Reborn..altra fittissima rete di misteri anche per di lì, quasi fitta come quella del mio nonnino. Ma poco ma sicuro, anche se a differenza di Giotto può farlo, Reborn non risponderà mai neanche in punto di morte alle mie domande sulla sua persona. Però di una cosa ho la certezza: Reborn non è, e non mi convincerà mai del contrario..un bambino normale. O per meglio dire..un bambino vero e proprio.
Beh, ora come ora, francamente non sentivo così impellente la mia sete di risposte sull’argomento Reborn. Avevo altre gatte, da pelare. Neanche un mesetto prima, avevo avvertito sul mio collo e su quello dei miei amici, l’alito mefitico e freddo del triste mietitore. Da lì, avevo deciso che non avrei permesso una seconda volta a dubbi e incertezze di offuscarmi la mente. Non ero più sola, e bisognava che lo ricordassi bene. Non era più il momento delle lacrime, dovevo iniziare finalmente a godermi la vita. Sapevo bene, anche grazie al fatto che Reborn me lo ripeteva con costanza esacerbante, che probabilmente la pacchia non sarebbe durata a lungo. Ma almeno, di quei momenti di pace regalati dalla buona sorte, avrei fatto gran tesoro.
Stavo di nuovo bene, avevo riavuto la vecchia banda indietro. Cosa m’impediva ancora di essere felice?
Finita la colazione, ricevetti una chiamata da Kyoko-chan, che mi invitava a prendere un gelato giù in paese con i piccoli e Haru.
Sì, altro piacevolissimo dettaglio anche questo. Durante la mia assenza, giustificata ai più come la convalescenza in seguito ad un’aggressione da parte delle stesse mani che avevano disastrato i volti dei miei compagni di scuola, Haru e Kyoko avevano chiamato regolarmente mamma per un bollettino giornaliero sugli sviluppi della mia guarigione, a cui loro stesse avevano contribuito imbottendo casa di dolcetti e bibite polivitaminiche fatti in casa da loro. Sante subito..
Avevo inoltre saputo che Ryohei, il fratello maggiore di Kyoko, era letteralmente andato su tutte le furie quando la sorellina gli aveva comunicato che quei balordi avevano osato alzare dito si di me, primo perché sono una donna, secondo, una a lui cara quasi come la sua stessa sorella, e si era unito con le ragazze al gruppo in attesa di novità con Yamamoto e Gokudera, con cui in qualche modo pareva aver legato. Dico in qualche modo perché, strano ma vero, a Gokudera la sua esuberante energia dava vagamente sui nervi. Però a Yamamoto piaceva il suo spirito sportivo, e a sentire Kyoko, si dilettava a far da mediatore tra i due. Altro buon candidato per la santificazione. Ryohei e Yamamoto mancavano solo agli allenamenti del baseball e della boxe, ma al loro ritorno pretendevano resoconti dettagliati sui miei progressi. Credo che sia stato in seguito alla nascita di quei due, che fu coniato il termine “gigante buono”.
Nel pomeriggio speravo di poter vedere il mio entusiastico amico dal guantone d’oro, ma Kyoko mi aveva informata un’ora prima via sms che un suo Kohai aveva bisogno di una allenamento supplementare e che quindi sarebbe stato trattenuto alla palestra, ma che aveva insistito per farmi sapere da sua sorella che mi mandava un bacio e che mi aspettava quando volevo a casa Sasagawa e in palestra. Avevo risposto a Kyoko che accettavo l’invito e ricambiavo il bacio con affetto.
“Il messaggio dice che le ragazze sono già in centro, e sono dirette alla pasticceria del sign. Tanaka. I piccoli sono con arrivati poco fa con Bianchi, e  vogliono una coppa gelato per colazione!”
Decidemmo così, terminata la colazione, di raggiungerle subito, con l’intenzione di pranzare tutti insieme da qualche parte.
Scoprì amaramente, però, che camminare era ancora piuttosto complicato, e a circa metà strada dovetti cedere alle insistenze di Gokudera,e mi aggrappai al suo braccio facendomi sostenere da lui, mentre Reborn, si accampò sulla spalla di Yamamoto. Strano, pensai. Da fantomatico giorno della battaglia contro I Kokuyo, in cui per la prima volta Yamamoto era sceso in campo, Reborn aveva preso il vizio di stargli sempre appresso, come se improvvisamente gli si fosse affezionato. Conoscendo la diffidenza e il rifiuto di Reborn verso il contatto fisico con altri esseri umani, la cosa mi era puzzata da subito. Ma a mo di spiegazione, il mio tutor mi aveva risposto che Yamamoto gli ispirava fiducia perché era buono con me, e che da lassù si poteva godere delle correnti fresche a lui in genere negate. Non me la dava a bere per niente. Anche Gokudera era sempre gentile con me, eppure Reborn non gli era chissà quanto affezionato, e sapevo che Reborn non si sarebbe avvicinato tanto a qualcuno solo per un po di brezza. Ma come al solito, indagare oltre non lasciava speranza a risposte, e così smisi di pensarci. Anche perché il dolore continuava a distrarmi.
“Te lo dissi che era ancora presto, per le gitarelle fuori porta..” bofonchiò, osservandomi.
“Sto bene..” rimbeccai, spostando il peso da una gamba all’altra tentando di capire quale delle due mi lanciasse meno fitte di dolore, con Gokudera che cercava di non farmi cadere per terra mentre zampettavo come un airone storno.
“Mia luce, temo che il maestro Reborn abbia ragione, conviene tornare a casa, per oggi..”
Mi ritrovai davanti ai suoi begli occhi verdi carichi di apprensione, mentre sentivo rinforzare la presa del suo braccio attorno alla mia vita, l’odore del tabacco e dello zolfo che entrava zaffate nelle mie narici a ogni movimento.
“No, a mio modesto parere ho fatto fin troppi giorni di riposo, Ho solo un po di ruggine sulle articolazioni, sono settimane che non mi muovo, bisogna che mi sgranchisca, tutto qua. Tu, piuttosto, sei guarito del tutto o stai qui a fare l’eroe? Avvelenamento e affini, intendo..”
Gokudera tirò una boccata alla sua immancabile sigaretta e buttò il fumo verso Yamamoto, che finse di colpire con un’immaginaria mazza da baseball le pestilenziali nuvolette grigiastre, e mi sorrise.
“Io e mister fuori campo qui siamo duri da mandare sotto terra, mia luce, sfortunatamente per lui..”
“Oh, anch’io ti voglio bene, zuccherino!” disse Yamamoto, stropicciando i capelli di Gokudera, che per tutta risposta, tentò di spegnergli la sigaretta in fronte.
“Buoni, bambini, mamma non vi compra il gelato, sennò.. mi fa piacere sentirtelo dire, Gokudera..oh ecco le ragazze..Kyoko-chan, Haru!”
Appena si sentirono chiamare, le ragazze si voltarono, e sui loro bei visi apparve un radioso sorriso, e mi corsero incontro. Wow..chi l’avrebbe mai detto che un giorno santa Kyoko, avrebbe spiccato la corsa al mio indirizzo? Il destino è davvero bislacco, a volte..
“Taya, sia ringraziato il cielo, sei di nuovo in piedi! Mio dio..non potrai mai sapere cosa abbiamo passato io e mio fratello, saputo che quei teppisti ti avevano usato violenza solo perché eri andata a cercare Hibari e il piccolo Fuuta nella loro zona dopo che erano spariti nel nulla..come hanno osato, massacrarti con un bastone! E meno male che Gokudera e Yamamoto hanno riportato solo qualche ferita, e che il bambino si è nascosto in tempo prima d’esser visto. E davvero tremendo pensare che al mondo esistano persone tanto malvagie.. ”
Mi prese il viso tra le mani, tiepide e profumate di vaniglia, come probabilmente lo erano quelle della sua collega diretta, la Vergine Maria.
Haru non sembrava in gradi di proferire parole tanto era commossa, e optò quindi per una manifestazione corporale della sua gioia, stritolandomi in un abbraccio. Mi parve di sentire le ossa sbriciolarsi come grissini. I piccoli mi vennero incontro in gran carriera dall’area giochi del parco, i tre musetti glassati alla panna e cioccolato. Haru trattenne i due più piccoli e più imbrattati, che avevano già spiccato il balzo per atterrarmi in braccio.
“No, pandorini, la vostra mammina non sta ancora bene, le fate male se le saltate su come delle molle. Coccole moderate, da bravi.. ”
I –pin e Lambo, contro ogni legge terrena, annuirono diligenti, e mi diedero una guancia a testa un leggero bacino al gelato.
“Ahaha.. dolci nel vero senso della parola, scricciolo!” ridacchiò Yamamoto, mentre Kyoko mi toglieva con una salvietta imbevuta la glassa dalle guance schivando taglietti e ferite, e Haru tentava di smacchiare i visetti dei piccoli. Mentre osservavo Lambo tentare di azzannare la salvietta umida vicino al suo naso, dietro di lui notai Fuuta, nascosto dietro Gokudera, un po’ in disparte per evitare la sorella, seduta al tavolino a sfogliare un giornale di moda.
“Tu non mi saluti? Non farai mica il timido, spero.. ” dissi, sorridendogli.
Fuuta parve preso in contropiede, e un po’ esitante sbucò da dietro la schiena di Gokudera, e si avvinò piano, le manine candide attorcigliate in grembo. Non potevo dire, in sincerità, di non aver previsto una cosa simile. Fuuta da sempre, aveva un carattere remissivo e mite, e viveva nel terrore di mancare di rispetto a chicchessia in qualche modo. Potevo dunque immaginare in che stato riversasse la sua coscienza, dopo che, manovrato e sottoposto a indicibili torture da quei tipi, aveva prima venduto e in seguito cercato di uccidere me, che lui vedeva come sua madre, e aveva pugnalato in grembo Bianchi, la donna che lo allevava e accudiva come se fosse suo.
Con questi pensiero atroci, mi morsi vigorosamente la lingua per evitare lamenti traditori, e mi chinai verso il maggiore dei miei “figli”.
“Mettiamo subito le cose in chiaro, prima che certi pensieri, non sbagliati ma di più, prendano gamba: nessuno, neanche per un millesimo di secondo, si è mai fatto venire in mente che tu sia colpevole di qualsiasi cosa tra quelle che sono successe, intesi? Quella serpe ti ha manovrato come un burattino usando i suoi fetidi trucchetti sadici, e tu questo lo devi tenere bene a mente. Io.. mamma sa che non faresti mai male a nessuno. E lo sa anche Bianchi. Va meglio adesso..cucciolo?”
Bianchi, dietro di lui, si era alzata mentre parlavo, e ora era alle spalle di Fuuta, una mano posata sulla sua testina biondo grano. Dalla sua miniaturizzata maglietta di tela di ragno sbucava una buona dose di pancia, dove era ben visibile un bel taglio obliquo e roseo, ormai cicatrizzato del tutto, ma che probabilmente le sarebbe rimasto a vita. Fuuta ci guardò entrambe, i dolci occhietti color miele colmi di agognato sollievo, poi spiccò un balzo e schioccò un bel bacio al cioccolato e vaniglia sulla guancia di Bianchi, per poi correre da me ad abbracciarmi forte.
“No, lascialo fare..non sento dolore, adesso..” dissi ad Haru, che era intervenuta per fermarlo.
“Già, neanche rifarmi da capo il trucco mi è mai dispiaciuto di meno, devo dire..” commentò Bianchi, togliendosi la glassa dalla guancia e pescando dalla borsa la cipria, tirando furtivamente su ogni tanto col naso.
Mentre la osservavo ridendo tra me e me, alle mie spalle il silenzio fu infranto da un boato assurdo. Tutti i presenti si voltarono sorpresi, e i piccoli corsero verso Bianchi, spaventati. Ma prima che qualcuno potesse capire cl’origine di quella tonata, ne venne una seconda e stavolta l’edificio alle mie spalle saltò letteralmente per aria, lanciandosi attorno detriti e un polverone che avvolse tutto. Feci appena in tempo a spingere Fuuta verso Bianchi, che una pioggia di calcinacci e pezzi di cemento mi caddero addosso a pioggia, colpendomi dolorosamente la schiena e varie parti del corpo. Yamamoto mi piombò addosso come una saetta, mi prese di peso in braccio e iniziò a correre in direzione opposta all’esplosione, zigzagando per evitare pezzi vaganti di muro che cadevano da ogni direzione, con Gokudera al suo fianco che correva all’indietro nel tentativo di capire cosa diavolo avesse causato il crollo di quel palazzo.
Trovammo finalmente riparo da quell’inferno dietro una grossa parete di cemento, appartenente al palazzo caduto una trentina di metri più in là, e Yamamoto mi posò a terra, per poi tirare il collo oltre il muro per vedere dove fossero le ragazze e i bambini.
“Non vedo niente, e poco fa mi è parso che fosse venuto giù un altro edifico, dal botto che si è sentito!”
“Cazzo.. ma chi diavolo è che decide di demolire mezza città senza sfollare le persone?” ringhiò Gokudera, guardando dappertutto con fare agitato.
“Hayato! Hayato, dove sei, rispondimi!”
Una voce femminile venne dal nuvolone di polvere, alle nostre spalle. Era Bianchi.
“Sorella! Vieni da questa parte, siamo qui, stiamo bene! segui la mia voce!” rispose Gokudera, arrischiandosi ad alzare la testa oltre la parete che ci offriva riparo. “Voi state bene? Le ragazze ei piccoli?”
“Stiamo bene, i piccoli hanno solo preso un bello spavento.. Hayato, Reborn è lì, vero?”
Automaticamente, la mia testa roteò verso Yamamoto. La sua spalla era vuota, Reborn doveva essere caduto durante la fuga. Schizzai in piedi, le ferite alle gambe e i vecchi dolori ben attivi, e iniziai a guardarmi attorno, febbrile. Reborn.. dove diavolo era finito?
“Sto qua, tranquilla. Il figlio qua mi ha disarcionato per sbaglio, ma teneva buoni motivi..”
Reborn spuntò a mo’ di fungo al mio fianco, impolverato e corrucciato. Sospirai sollevata.
“Tieni poco da sospirare, bell’è papà. Qua teniamo un problema, mi sa.. ”
Notai che lanciava occhiate in tutte le direzioni, come se cercasse di captare qualche presenza. Bianchi e le ragazze apparvero dalla nube di polvere, confuse e impaurite. Bianchi raccolse Reborn e lo strinse a sé.
“Reborn, che sta succedendo?” gli chiese.
“Sto giusto cercando di capirlo..” rispose lui, assorto, sempre gettandosi occhiate intorno.
“Comunque sia,la nume di polvere si sta posando, meglio vedere se ci sono feriti in giro..”
Incerta sulle mie gambe un po disastrate, iniziai a camminare verso il centro della piazza, ma avevo fatto si e no tre metri, quando all’improvviso qualcosa mi piovve addosso con la grazia di una palla demolitrice, mandandomi al tappeto. Cadendo, il mio fondoschiena urtò con forza sul duro asfalto, mozzandomi il fiato. Convinta di essermi come minimi sbriciolata l’osso sacro e inebetita dalla botta, cercai di spingermi via di dosso l’oggetto volante che mi aveva atterrato, ma posandoci le mani su per sfilarlo via dalle mie gambe, ebbi un sussulto: non era pietra o legno. Era qualcosa di morbido.. ed era caldo!
Interdetta, iniziai a scansare la polvere che avevo sollevato cadendo, e finalmente riuscì a vedere che cosa mi aveva colpita. E per poco non mi prese un colpo. Non mi aveva colpita un detrito..ma un ragazzino!
Rapida, spostai i pezzi di cementi e legna lì attorno, lo sfilai piano via dalle mie gambe e lo adagiai delicatamente per terra, la testa posata sulle mie ginocchia, e posai esitante le dita sul suo collo, pregando dio che fosse ancora vivo. Fortunatamente, il suo cuore batté vigorosamente contro i miei polpastrelli. Stava bene. Cercai allora di toglierli la polvere dalla bocca e dagli occhi, in modo che non la inghiottisse o non si accecasse una volta sveglio. Aveva il viso piccolo e pallido, e la sua pelle era morbida quasi come quella di Fuuta, il che mi fece pensare che doveva avere al massimo tredici anni. Aveva i capelli coperti di polvere e cemento, ma si notava lo stesso che erano di un bel biondo grano, lunghi quasi fino alle spalle con un bel ciuffo sul davanti, e tagliati in maniera ordinata intorno al viso, incorniciandolo per bene. Indossava dei vestiti piuttosto strani, una giacca nera, una camicia bianca infilata nei jeans scuri e una maglietta rossa, ed erano tutti strappati e sporchi di polvere. Il poveretto doveva essersi beccato il colpo in pieno, quando il primo palazzo era venuto giù. Speravo non avesse subito danni gravi, anche se non mi sembrava avesse niente di rotto. Delicatamente, iniziai a soffiargli in faccia e a picchiettargli una guancia.
“Ehi, ragazzino, mi senti? Da bravo, apri gli occhi, se mi senti, su..”
Niente, continuava a restare incosciente.
“ Oh accidenti.. Gokudera, Yamamoto, venite qua, svelti, mi serve aiuto! Avanti, sforzai, apri gli occhi..”
Finalmente, il ragazzino parve riscuotersi dal suo sonno, e iniziò a fare delle smorfie, segno che si stava risvegliando. Lentamente, aprì gli occhi al giorno. Erano di un bellissimo azzurro cielo.
“Oh meno male, bravo.. resta sdraiato, però, se ti muovi rischi di svenire di nuovo..come ti senti?”
Il ragazzo mi guardò dal basso verso l’alto, vagamente suonato, tentando di mettermi a fuoco. Quando finalmente parve riuscirci, iniziò a biascicare cose senza senso.
“Oh buon dio, non so dire quanto sia rammaricato per tutto questo. Cielo, che terribile confusione, devo aver creato.. oh, diamine..”
Aveva cercato di mettersi seduto, ma lo aveva fatto troppo velocemente, e si era fatto venire un capogiro.
Mentre lo riposavo preoccupata sulle mie gambe e lo osservavo aprire e chiudere gli occhi dalla pupilla dilatata al massimo, Yamamoto arrivò di gran carriera, con Gokudera e compagnia alle calcagna.
“Scricciolo! Tutto bene? Abbiamo visto caderti addosso qualcosa, ma poi si è alzata ancora questa maledetta polvere,e  ti abbiamo persa!”
“Quel qualcosa era questo ragazzo.. no, non ti rimettere a dormire, devi restare sveglio, o rischi di collassare di nuovo!”
Cercai di fargli stare su almeno le spalle e la testa tenendolo su con le braccia, mentre gli toglievo i capelli dal viso e gli continuavo a soffiare in faccia per tenerlo sveglio. Parve riaversi di nuovo, stavolta un po’ meglio di prima, e Bianchi mi venne in soccorso porgendomi una borraccia con dentro il succo di frutta dei piccoli. Lo trangugiò vorace, e a ogni sorso parve prendere un po’ di colorito sul viso cereo. Gli riuscì perfino di star seduto da solo. Dopo aver bevuto, rimase lì un po’ a respirare a fondo.
“Fai respiri profondi, dentro dal naso, fuori dalla bocca..” gli dissi, pulendogli il viso con una salvietta umida. Lui obbedì, e parve star meglio, anche se sudava copiosamente. “Come va, adesso’”
“Mo..molto meglio, grazie. Vi.. vi sono grato per il vostro aiuto, gentil si..”
Si era voltato a guardarmi con aria gentile, ma appena mi aveva visto in faccia, era sbiancato di nuovo, e mi guardava allucinato.
“Oh dio..non starai di nuovo per svenire?” chiesi, preoccupata.
“Vo..vossia qui, perchè?” chiese, allarmassimo, e mi prese le mani tra le sue. Vossia? Vossia nel 21° secolo? Era rimasto un po’ indietro con i tempi, il ragazzo!
“Ahm.. ok, penso proprio che un altro paio d’orette di sonno, in fondo non ti starebbero scomode, sai?”
Lui apri bocca per rispondere, ma nell’istante in cui lo fece, dal nulla nell’aria si propagò un suono talmente ostile da mandare in frantumi i timpani. Persino gli allarmi di alcune macchine dei dintorni, fecero scattare gli allarmi. Ma quel che era peggio di quel suono infernale, era che pareva, anche se inverosimilmente..un urlo umano. Ma che razza di essere umano poteva produrre un urlo simile?!
Appena quel boato cessò, il ragazzino biondo scattò in piedi, trascinando su anche me.
“Voi..dovete lasciare immediatamente questi luoghi, prima che vi accada il peggio, mia signora..”
“Ma..ma io..”
“Oh, di bene in meglio..che stai a fare tu qua?”
Reborn era arrivato, e si era rivolto subito a quello strano ragazzino, che parve riconoscerlo.
“Maestro Reborn..beh, temo a ragione che voi abbiate già capito il motivo della mia presenza qui, maestro..”
“Rogne, a modesto parere mio..” borbottò Reborn. “sbaglio?”
Il ragazzo denegò, e Reborn emise un versetto stizzito, mentre nell’aria echeggiò ancora quel verso disumano.
“Ok, qui i tempi stringono, occorre muovere il portapacchi..Signore mie, questo non è posto per fanciulle e piccirilli. Bianchi, piglia le ragazze e i Bimbi e levate in fretta le tende da qua, vai..”
Bianchi annui seria, e sospinse lontano le ragazze e i piccoli. Quando fu certo che fossero tutti al riparo, Reborn mi prese salda per un braccio.
“Cammina, devi levarti anche tu da qua, svelta..”
Senza poter replicare, Reborn iniziò a trascinarmi via, ma non facemmo un passo, che venne un terzo orrendo urlo. Stavolta così vicino che mi fischiarono le orecchie. Ma stavolta, quell’urlo..arrivò accompagnato da un uomo, dal suo padrone.
Era decisamente più grande di me, sia d’età che di stazza. Indossava pantaloni di pelle e un cappotto lungo fino ai fianchi, neri come la pece, e dei robusti stivali fino al ginocchio, e dalla testa gli scendevano lunghissimi capelli lisci, candidi come la neve fresca, tagliati in una frangetta ribelle che gli copriva appena gli occhi, gelidi e folli come mai ne avevo visti. Stava in piedi su un rimasuglio di palazzo distrutto, l’aria esaltata e un sorriso isterico in faccia. Poi, cogliendo alla sprovvista tutti, cacciò l’ennesimo urlo, facendo vibrare l’aria tutt’attorno:
“VOOOOOOOI!ECCO DOVE TI ERI ANDATO A FICCARE, STRAMALEDETTISIMO SCARAFAGGIO DÌ MERDA!!”
A quelle parole, il ragazzino balzo indietro come una gazzella, parandosi davanti a me come per cercare di nascondermi o ripararmi, le braccia strette attorno alla mia vita, le mani tremanti contro la mia schiena, gli occhi fissi sull’ uomo dai polmoni d’acciaio. Lui per tutta risposta baldo con eleganza dal cumulo di macerie, e iniziò ad avanzare verso di noi, il passo lento ma deciso, il sorriso esaltato sempre al suo posto. Notai che nella mano destra guantata di nero, stringeva una lucente spada. E notai che i segni sui vestiti di quel ragazzino parevano essere proprio segni di taglio, larghi e profondi. Mi corse un brivido.
“Lui.. è stato lui a farti queste ferite e a scaraventarti giù da quel palazzo?”
Il ragazzino mi diede una rapidissima occhiata.
“Si, ma solo perché non ho concesso più di ciò, mia signora..” soffiò.
L’uomo, nel frattempo, aveva messo tra di noi ormai una decina scarsa di metri, e ora stava fermo a osservarci, il dito che correva su e giù lungo il filo della sua spada. Sembrava un puma appiattito tra le erbe alte che osserva l’antilope al pascolo, leccandosi i baffi. Decisamente poco incline al pacifismo.
“Allora..” disse in tono un po meno assordante, ma sempre piuttosto altero e aspro. “Direi, pidocchio, che è arrivato l’ora di tirare le somme. Te lo ripeto per l’ultima volta, e bada che non sto scherzando, mi hai già fatto perdere abbastanza tempo con questo cazzo di acchiapparella..dammeli!”
Il ragazzo ringhiò adirato, e mi strinse ancora più forte.
“Mai..anche se dovessi attraverso l’arma che impugni, spargere su questa terra ogni singola goccia del mio sangue..non te li darò mai!!”
L’uomo non parve gradire la mancata collaborazione del ragazzo, perché assunse un’espressione funesta e saldò la presa alla sua spada. Il ragazzino però non perse posizione, e scivolò ancora più vicino a me. Ormai il mio respiro finiva disperso lungo il suo collo. Poi, improvvisamente, sentì qualcosa di gelido premuto contro la pelle della pancia.
“Mia signora..” mormorò il ragazzo, mentre osservava l’uomo caricare il suo attacco respirando a fondo come un toro davanti al rosso. “Mi è permesso concedervi una manciata di istanti, vi prego dunque di farne tesoro e di essere scaltra. Ora, io attirerò l’attenzione di quel tipo verso di me, e voi rimarrete immobile in attesa di un mio segnale. Quando questo giungerà, v’imploro, mia dolce signora.. scappate, il più velocemente concesso a voi..”
“Co..cosa? tu..non pretenderai mica che ti lasci qua in braccio a quell’invasato, spero!”
Era impazzito, la botta aveva ufficialmente fatto danni, straparlava! Guardai oltre la sua spalla, lo spadaccino urlante. Non era un volto a me conosciuto, eppure in quei suoi occhi grigi e folli, leggevo come fosse scritta la sete di sangue. Trascinava al suo seguito, un velo di violenza che gelava la pelle. No, non potevo assolutamente lasciare quel povero ragazzino alla mercé di un essere simile, lo avrebbe fatto a pezzi in un istante.. Ma un istante dopo avermi impartito gli ordini, vidi il ragazzino portarsi schivo una mano alla bocca, e un istante dopo lo sentì inghiottire rumorosamente qualcosa. Quello che successe dopo, mi fece decisamente dimenticare i miei buoni propositi di paladina della giustizia.
Dall’attaccatura dei capelli dorati del ragazzino, dello stesso splendido azzurro dei suoi occhi, vidi scaturire delle lingue di fuoco guizzanti, non fosse per il colore, praticamente identiche alle mie. Mentre osservavo quel fenomeno straordinario, il ragazzino partì all’attacco di quel tizio, sguainando dalla giacca due strani oggetti simili a dei boomerang in acciaio, e lo vidi avventarsi come una belva sul suo nemico. Iniziarono un duello serrato, colpendosi senza pietà l’uno con l’altro, mandando scintille ovunque ogni volta che le loro armi si toccavano.
“Tsè, rogne è minimizzare la cosa, figlio mio..”
Reborn mi era giunto alle spalle senza che lo sentissi, e ora osservava cupo il duello.
“Reborn, le mie fiamme.. perchè quel ragazzino ha le mie fiamme?”
“Non tiene per nulla le fiamme tue, quelle sono celesti, è n’altra roba..ma mo’ non tieni tempo per fare domande, ce ne dobbiamo andare appena ti da il segnale, come ha detto..”
“Ma..anche ammesso che è bravo, non lo posso lasciare qui con quel pazzo, Reborn!”
“E invece si, e gli faresti dispetto disobbedendo alla sua richiesta, piccirì. Lui può farcela contro quell’armadio, ma tu.. tu non porteresti mai a casa la pelle, al suo posto. E poi non credo tu possa combattere contro quell’uomo nemmeno potendo..”
Stavo per chiedere perché di quella strana affermazione, quando un fischio acutissimo echeggiò nell’aria.
“Ecco il segnale.. Muoviti, leviamoci da qua, svelta!” disse Reborn, e senza esitare un secondo, mi prese per il braccio e iniziò a trascinarmi via di peso, Senza volerlo, iniziai a correre il più veloce possibile. Il senso di colpa mi bruciava l’anima come una candela sotto un foglio di carta. Se quel poveretto moriva, sarebbe stata solo colpa mia, che non lo avevo aiutato..
Raggiungemmo in fretta gli altri, situati oltre 300 metri dal punto in cui era in corso il combattimento di quei due.
“Mia luce, stai bene? Chi diavolo è quel pazzo urlatore?”
“Non lo so..ma quel ragazzino lo sta affrontando da solo per proteggermi..”
“Piantala di commiserarti, te lo dissi mo: lui può farcela contro quel tipo, tu no! E pure che fossi capace, ti ho già detto che non sono certo tu possa schierarti contro di lui. In sincerità, mi sto giusto chiedendo perché minchia si sta comportando così, francamente..”
“Come sarebbe a dire che non capisci perché fa cosi? Vuoi dirmi..che conosci anche il bestione ,oltre che il ragazzino? Dimmi subito chi sono, ora!”
Ma prima che giungesse risposta, ci fu l’ennesima esplosione, e la polvere tornò ad avvolgere ogni cosa. Un attimo dopo, dalla coltre venne un urlo, ma non era dell’uomo con la spada.
Spiccai all’istante una cosa nella nube, alla cieca tra le macerie, Gokudera e Yamamoto al seguito, pregando dio di essermi sbagliata su ciò che credevo fosse successo..
Finalmente, a tentoni raggiunsi il punto del duello, e in mezzo a un cumulo di detriti e pezzi di cemento, vidi il corpo del ragazzino, disteso nella polvere.
Corsi immediatamente da lui, e con mani tremanti, lo recuperai dalla nuvola di polvere, Ma appena lo ebbi tra le braccia, qualcosa mi colpì in mezzo alla schiena, scaraventandomi via come un fuscello. Dolorante e stordita dal colpo, cercai di rialzarmi e di capire che cosa mi avesse colpita con tale forza di impatto, ma ero ancora faccia in giù sul marciapiede polveroso, che un ‘ombra mi si parò alle spalle. Un’ombra longilinea e che teneva un oggetto allungato in mano..una spada!
“Non lagnarti con me, caramellina, io l’avevo avvisato quel pidocchio..” sentì ringhiare in tono acido alle mie spalle, quello che riconobbi come lo spadaccino dai capelli lunghi. “E lui aveva avvisato te.. dimmi, perché non hai fatto come diceva e sei scappata, eh?”
Maledetto.. ci aveva lasciato fare apposta, era stato al gioco!
Incapace di muovere le gambe e il busto a causa del violento colpo subito, tentai di mettere distanza tra me e lui trascinandomi nella polvere carponi, in preda al terrore.
Mesi prima, avevo combattuto contro colui che la malavita organizzata, la schivava come fosse un bacillo della peste, un uomo che prima ancora di avere un’ombra di barba, aveva sterminato un0intera famiglia con le sue sole forze. Un uomo che rispondeva al nome di Mukuro Rokudo. La paura per me, da quel giorno, aveva avuto le sue sembianze, nessuno pareva in grado di incutermi più paura di lui. Eppure, in quel momento, sdraiata tra la polvere e i detriti, osservavo il mio carnefice avvicinarsi e pensavo: Mukuro.. tu nemmeno la metà, mi hai spaventato..
Che cosa potevo fare..che cosa potevo fare?
Un improvviso stupore sul volto dello spadaccino. Uno strano colpetto sulla mia schiena. Un oggetto freddo premuto sulla mia scapola.
“Ecco che puoi fare, piccirì..”
L’uomo dai lunghi capelli candidi non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa fosse successo, che era già tardi. Le calde e piacevoli fiamme arancioni e oro brillavano già in mezzo alla mia fronte, fluendo in tutto il mio corpo come energia liquida fusa al mio stesso sangue, cancellando il dolore al loro passaggio nelle mie vene. Fui investita da nuova forza, e le mie gambe recuperarono capacità di sostegno del mio peso. Da dietro l’angolo, Gokudera e Yamamoto sbucarono di corsa, ma Reborn alzò un braccio ammonitore.
“No, figli, non è aria per i vostro polmoni, chista..”
Gokudera accese una delle sue sigarette, fissando lo spadaccino, invelenito.
“Spiacente di dover abdicare un ordine, maestro Reborn, ma..non permetto a nessuno, finché calco il suolo di questo mondo, di sfiorare anche solo col pensiero la decima luce..”
“Idem con patate..” rincarò Yamamoto, estraendo la mazza da baseball in acciaio regalatagli da Reborn, che con un suo brusco movimento mutò in katana, e torcendola tra le mani, nervoso.
Reborn sbuffò stizzito.
“Padroni..” disse, e sparì in mezzo alle rovine dei palazzi crollati.
Lo spadaccino sembrava decisamente irritato.
“Chi.. o che cazzo pensate di essere, per reputarvi degni di pararvi di fronte a me, eh?!” sbraitò, la lama della sua spada che roteava in aria, sibilando. Senza dargli risposta, Gokudera e Yamamoto partirono all’attacco, Gokudera scagliando in aria decine di candelotti e Yamamoto attaccandolo frontalmente. L’uomo avrebbe subito danni, pensai, non esisteva margine di errore: o Yamamoto lo avrebbe affettato, o Gokudera gli avrebbe fatto saltare via qualche pezzo. A casa incolume, non sarebbe tornato mai.
Tranquillizzata, decisi di soccorrere il ragazzino, abbandonato tra le macerie, per metterlo a riparo da altro colpi vaganti, ma non mi ero nemmeno ancora mossa, che la dinamite di Gokudera esplose, provocando un frastuono assordante. Ma, invece di sentire il tizio urlare di dolore, sentì invece degli strani suoni gutturali. Un attimo dopo, due forme contorte volarono fuori dal polverone provocato dalla dinamite esplosa. E quando la nuvola si fu diramata, vidi con orrore che si trattava di Gokudera e Yamamoto. Fuori di me dallo shock, corsi da loro per vedere cosa gli era capitato. Ringraziando il cielo erano vivi entrambi, ma decisamente malconci. Sembravano aver subito violente percosse e diversi tagli da lama. Ma..non poteva essere stato quel tizio, aveva avuto si e no una ventina di secondi di tempo, prima dell’esplosione!
Ma venti secondi fu esattamente il margine di tempo a me concesso per ragionare, prima che un secondo colpo, molto più poderoso del primo, mi scaraventasse di slancio contro la parete di un edifico. Le fiamme dell’ultimo volere racchiuse nel proiettile che Reborn mi aveva sparato in corpo rendevano la mia soglia del dolore sconfinata. Eppure, conficcata in quel muro come uno stupido chiodo, riuscì lo stesso a sentire diversi muscoli e ossa, protestare animatamente. Ora capivo davvero perché Reborn rompesse tanto affinché non affrontassi quel mostro, e la sua insistenza nel mandare via i miei amici. Come pure trovava un senso, la smania di quel ragazzino di allontanarmi da quel posto. Non so se poi lui sapesse delle mie fiamme così simili alle sue, ma..probabilmente sapeva che non sarebbero bastate comunque, contro quel malefico spadaccino..
“Ok, cosetta, ora che la spazzatura è stata portata fuori, le cose sono due: o mi dai quella stramaledettissima scatola, o mi prenderò la tua stramaledettissima vita..”
“Sca..scatola? non ho nessuna scatola, io!”
La risposta non parve quella giusta, e lo spadaccino mi si scagliò addosso, piantandomi con tutta la sua forza, l’elsa della spada dritta in pancia mozzandomi il fiato. Sangue caldo iniziò a uscirmi dalla bocca, e le mie fiamme si spensero inesorabilmente. Completamente stremata dal dolore e dai colpi subiti alla testa e alla schiena, avvertì le forze scemarmi e uno strano desiderio di sonno farsi avanti. La vista iniziò ad appannarsi, ma riuscivo ancora a sentire i passi dello spadaccino farsi vicini. Sarei morta, era certezza.
Avvertì poi un tocco pesante lungo tutto il corpo, e voraci dita frugarmi ovunque, ma non avevo la forza di muovere nemmeno un muscolo, e dovessi subire in silenzio. D’un tratto, sentì la stoffa della mia camicetta lacerarsi, e la brezza primaverile solleticarvi la pancia. Poi, iniziò a frugare anche nelle tasche della mia gonna, finché a un tratto, qualcosa mi fu sbattuto bruscamente sotto il naso, e avvertì un forte odore di ferraglia. Sfocato, vidi che mi stava mostrando una specie di cofanetto antico.
“Non avevi la scatola eh, schifosa sgualdrina bugiarda!”
Non ebbi la forza di rispondere, ma ero decisamente sgomenta. Da dove l’aveva tirata fuori? Non avevo niente di simile a una scatola con..
Mi venne in mente come un lampo. Il ragazzino.. me l’aveva messa addosso lui! E l’avevo anche sentito, ripensandoci, quell’oggetto freddo premuto contro la mia pancia. Doveva avermela fatta scivolare in tasca prima di affrontarlo senza che me ne accorgessi..
“Che perdita di tempo, non sarebbe stato più semplice fare come dicevo? Beh, chissene, il mio lavoro l’ho fatto, posso tornarmene alla base, finalmente. Prima e ultima volta che faccio il fattorino, si fottano tutti..ah, merda, prima devo finire qui, vero..”
Detto questo, alzò la lama della sua spada e la tese sotto il mio mento.
“Dato che sei una signorina, farò veloce.. un bel colpo secco!”
Ecco, sentivo il filo freddo di quella lama sfiorami la trachea. Pochi istanti, e sarebbe finita, stavolta per davvero. Era durata davvero poco, pensai, questa decima luce dei Vongola..
Un rumore improvviso ruppe il silenzio come vetro, un rumore simile a uno schiocco. Il tizio imprecò a pieni polmoni, disturbato da qualcosa che non riuscivo a vedere. Strizzai gli occhi, e li costrinsi a mettere a fuoco. Qualunque cosa avesse fatto quel rumore, aveva frenato la mano del mio assassino, e dovevo sapere che cos’era.
Dire che la mano dello spadaccino era stata frenata, non poteva essere più giusto. Sfocato come attraverso un vetro bagnato, vidi una specie di laccio scuro attorcigliato attorno al polso dello spadaccino, che da esso veniva tirato indietro. Sembrava un bue preso al lazo.
“Dio onnipotente..” senti dire in lontananza, da una voce che per quanto fossi stordita, mi suonò familiare. “Ma non ti capita mai di soffermarti a riflettere, su quanto vastamente tu faccia schifo..Superbi Squalo?”
Lo spadaccino, che a quanto avevo appena sentito si chiamava Squalo, sbraitò irato.
“Tu..che cazzo fai tu, qui? Casa tua è l’Italia, inutile pezzetto di merda.. ”
Si avvertì un altro schiocco sonoro, e vidi Squalo incespicare, strattonato da quella fune legata alla sua arma. Dio, non riuscivo a vedere niente da lì a due metri, ma ero certa che fosse chi parlava, che teneva l’altra estremità di quel legaccio.
“Ah si, e perché la tua qual è, Francoforte? Ora, vedi di fare il bravo bambino, e sparisci dalla mia vista, prima che perda quel poco di pazienza che mi rimane, e ti ammazzi qui in mezzo alla piazza, e ti assicuro che sono davvero al limite, specie dopo quello che ti ho appena visto fare..”
La voce di chi aveva appena parlato ebbe un leggero tremito, segno che era davvero arrabbiato, e sentì i suoi passi farsi vicini. Mi mancava pochissimo ormai, per perdere completamente i sensi, ma mi parve di vedere Squalo un po’ sulle spine. Non doveva piacergli l’idea che quel misterioso tipo di avvicinasse.
“Che cazzo ti frega di quello che faccio?” sbraitò.
“Mi frega, eccome..” senti rispondere, stavolta a meno di un paio di metri da me, e finalmente riuscì a capire di chi si trattasse, e automaticamente le lacrime iniziarono a scorrermi sul viso. “Perché la ragazza a cui hai strappato i vestiti e frugato in giro per il corpo in maniera tanto ignobile..è il mio amatissimo tesoro!”
Il buio calò davanti ai miei occhi improvvisamente, e tutto quello che avvenne dopo, non fui in grado di vederlo, solo qualche rumore in lontananza. Poi, avvertì come una sensazione di tepore improvviso, e mi venne avvolto attorno alle spalle qualcosa che sembrava un grosso cappotto col collo di morbida pelliccia, e un buonissimo profumo di dopobarba mi entrò nei polmoni, spalancandoli. Sentivo che ora potevo rilassarmi, ero al sicuro. Avrei voluto dire grazie, ma non ne avevo la forza. Chiusi solo gli occhi, avvolta in quel bel calduccio, dopodiché fu il nulla.
Mi parvero dieci anni di sonno, quelli che vennero dopo. Aprì cosi faticosamente gli occhi, che temetti persino di aver subito dei danni al cervello. E la prima cosa che mi trovai davanti fu... una teiera a fiorellini.
Lentamente, e cigolando come non mai, mi spinsi a sedere. Mi girava un po’ la testa, e avevo male dappertutto di nuovo, ma nel complesso stavo abbastanza bene. Non capivo dove fossi, l’ambiente non era fatto familiare.
“ Ti svegliasti, si?”
Per poco non mi prese un colpo. Reborn stava appollaiato ai mie piedi, dove un attimo prima, ero sicura, non fosse.
“Si..” risposi.
“Eh, piccirì, tu devi dire tante volte grazie che da sempre porto il cappello, altrimenti al gente potrebbe vedere i ciuffi di capelli bianchi che mi sono venuti co’ sta bella giornata, vai. Ma me lo vuoi dire, figlia mia, perché ti è tanto difficile darmi retta, eh?”
“quanto.. quanto ho dormito?” chiesi, confusa.
“Un paio d’ore, non di più. Le fiamme si erano pure spente, ma il loro effetto era ancora in circolo nel tuo corpo, ti hanno tenuta insieme..”
“Ah.. no, Gokudera,Yamamoto, il ragazzino!” esclamai, ricordando solo ora che anche loro erano feriti gravemente.
“Sono in una stanza qua affianco, stanno bene. Però temo che non siano molto allegri. Il uaglioncello è bene ammaccato, ma sano. Un paio di giorni, e lo rimettiamo in pista.. ”
“Ah, grazie a dio..” sospirai, rincuorata. “Li voglio vedere, per piacere, Reborn..”
“Vabbuò, ma 5 minuti, che stai ancora un po stordita..”
Usci dalla stanza. Pochi istanti dopo, v’irruppero Yamamoto, Gokudera e il mio prode salvatore.. Dino cavallone. Erano settimane che non lo vedevo, e sinceramente aveva scelto il momento perfetto, per una rimpatriata. Gokudera mi venne incontro zoppicando, mentre Yamamoto mi sedette accanto, il viso un po incerottato e il polso sinistro fasciato. Entrambi, esibivano taglietti e lividi qui e la.
“Perdono, mia luce, siamo stati incapaci di proteggerti..” bofonchiò Gokudera, amareggiato. Yamamoto teneva la testa bassa, il bel viso scuro.
“Silenzio, non dire queste assurdità! Sono felice che stiate bene, piuttosto.. ”
“siamo stati presi in contropiede, per quello ci ha stesi, tutto qua!” rimbeccò Yamamoto, sbuffando.
“No, è andata come doveva andare, e voi due avete avuto quello che vi spettava, teste di minchia..”
Reborn era tornato, e i due ragazzi distolsero lo sguardo all’istante. “Siete vivi solo perché qualcuno, al piano di sopra, aveva 5 minuti liberi, e ha guardato in basso, Dicci qualcosa anche tu, Dinè..”
“Ha ragione lui..” annui Dino. “quella bestia, io la conosco bene, non era possibile per due novellini, batterlo..”
Mi parve di sentir gemere l’orgoglio di Gokudera e Yamamoto in segno d’indignazione. Dino parve fiutare lo stesso odore, perché venne subito da me.
“Oh tesoro mio, mi sento uno schifo..se solo fossi arrivato prima, quel maiale..” disse, sfiorandomi le guance con le labbra, con tocco delicato.
“Non devi, sono viva grazie a te..” risposi, sorridendo, mentre lo lasciavo carezzarmi i capelli, apprensivo. “E anche quel ragazzino ti deve la vita. Poverino.. ha cercato anche lui di proteggermi da quel mostro..posso vederlo, per favore? Vorrei assicurarmi che sta.. ”
Nel pensare a quel ragazzino coraggioso, mi tornò in mente quello che era successo.
“Reborn..credo che tu mi debba spiegare un paio di cose..” dissi. Reborn annui.
“Qua ero, che ti aspettavo..” rispose lui. Vidi Dino farsi avanti, serio. Gokudera e Yamamoto ascoltavano silenziosi ma attenti.
“Bene..” dissi, decisa. “In primis, chi è quel ragazzo, e perché mi chiama “mia signora”? Secondo.. perchè aveva le mie stesse fiamme e infine, sopra ogni cosa..perchè sia io e che lui per poco non finivamo ammazzati da quel demonio..solo per quella strana scatoletta? Cosa contiene,e chi era quel tale che la desiderava tanto da far morti?
Reborn annui. Dino e company lo osservavano tesi.
“Ok, andiamo in ordine. Uno, il ragazzo come si chiama non lo so, l’avrò visto tipo un paio di volte, ma so che lavora per la famiglia. Ti chiama “mia signora” per quello, penso. Sei il suo capo massimo, in fondo, dopo il nono..”
“Ok, fin qui ci siamo..poi?” risposi, cercando di inghiottire le mie proteste sull’ennesimo sfruttamento minorile della mala.
“Poi..come ti ho già detto, le tue e le sue sono fiamme diverse. Non ho idea, però come faccia lui ad avere le sue. Un paio di domande, le teniamo per quando sarà sveglio, eh?”
“Ok..va’ avanti..l’ultima domanda..la scatola e il tizio..”
I presenti manifestarono agitazione, specie Dino.
“Eh, il tipo..come ha già detto Dino, il suo nome è Squalo, ed è un assassino professionista, uno dei migliori sulla piazza. Fa parte di una squadra sceltissima di killer, di cui poi e il vice capitano, chiamata..Varia.”
“Varia..” ripetei, stranamente scossa da un brivido. Percepivo il male, in quelle cinque lettere..
“Per quanto riguarda il suo volere la scatola..pure io voglio quella risposta, piccirì..”
Dino imprecò secco.
“Credevo sapessi qualcosa, accidenti! Mi è preso un colpo, quando ho saputo che la scatola era diretta qui, e che lui era partito subito per il Giappone con l’intento di rubarla. Insomma.. Squalo! Lui non oserebbe mai, lo sai..”
“Ah figlio mio, ormai non so più niente. Solo una cosa è certa.. se la scatola è stata mandata di punto in bianco qua col Nono ancora su, e se i Varia improvvisamente sono impazziti, significa che a casa sta succedendo qualcosa di strano, e non mi piace per niente..”
Reborn e Dino erano tesi come corde di violino, ed io ancora vagavo nel buio. Ma non sembravano in gradi di spiegare niente, per cui tacqui. Poi però un dettaglio m’indusse a parlare.
“Ma..come sarebbe a dire che Squalo non oserebbe mai rubare quel cofanetto, e che i Varia sono impazziti? Cosa vedete di strano, nel fatto che un pazzo e la sua banda vogliono rubare qualcosa?”
“Semplice..” rispose Reborn. “Il motivo è lo stesso per cui, pure se alla fine te l’ho concesso, all’inizio non volevo che affrontassi Squalo..”
“Ovvero?” incalzai.
“Ovvero..”intervenne Dino. “Che tu non puoi affrontare Squalo,ne tantomeno i Varia..perchè sono dalla nostra parte..”
Per poco non caddi dal letto.
“Quel maniaco.. è..un Vongola?!” biascicai, senza fiato. Dino annui.
“Si, o almeno lo era prima che lui e i suoi osassero oltraggiare la legittima edere al trono dei Vongola e osassero rubare il tesoro di famiglia..”
“Te..tesoro? intendi..la scatolina di ferro?”
“Si, quella scatola contiene il più grande e antico tesoro dei Vongola, la fonte del grande potere della famiglia..”
“E.. e cioè?” chiesi, esitante.
“I 7 anelli dei fondatori ” rispose Reborn. “meglio conosciuti come..i 7 spiriti dei Vongola.”
  
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