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Autore: Lady Viviana    03/05/2013    3 recensioni
Song-fic ispirata dalla canzone di Fabrizio De Andrè “Amore che vieni, amore che vai” e dalla lettura di “Acciaio” di Silvia Avallone.
Il titolo è il miglior sunto che ci possa essere, la macchina citata è una slot-machine, di quelle di cui sono pieni bar e tabaccherie. E la storia potrebbe essere quella di chiunque.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Silvia Avallone e ai personaggi di “Acciaio”, che con le loro storie
mi hanno ispirato questo racconto.
A chi conosce bene la ludopatia e combatte ogni giorno per uscirne.

 
Quei giorni perduti a rincorrere il vento

C’era una volta un bar fumoso e sporco, la polvere che si ammassava negli angoli bui senza che nessuno pensasse di spazzarla via. Il proprietario sedeva tutto il giorno su uno sgabello alto dietro il bancone, il registratore di cassa vicino a lui, la mano destra che stringeva una sigaretta perennemente accesa, quella sinistra che si spostava dai soldi al bicchiere.
Non erano molti i clienti che osavano mettervi piede per un caffè e per questo gli avventori si conoscevano tutti, benché nessuno si sforzasse mai di fare conversazione:  grigi erano loro e grigio ciò che li circondava. Solo due rumori, perciò, rompevano il silenzio: quello della televisione sempre accesa e la musichetta fastidiosa e squillante delle monetine che cadevano nella slot-machine. Lei, la Macchina, era l’unica nota di colore nel locale: un grande cubo colorato posto al centro del bar come un trofeo che catalizzava gli sguardi vuoti dei pochi seduti ai tavolini con i bicchieri in mano.

un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi da me tornerai


Tuttavia quella non era una macchina come tutte le altre, era speciale, era animata e tutte le volte che le monete tintinnavano dentro di lei e un povero senza soldi se ne andava via, disperato per lo stipendio perso, un lieve ronzio la percuoteva, spingendo tutti ad allontanarsi, con il timore che potesse esplodere. Non conosceva altro modo, Lei, per esprimere quello che provava a essere la causa di tanti problemi, mangiatrice famelica dei soldi che quegli uomini faticosamente guadagnavano.
All’inizio il proprietario aveva chiamato infuriato la ditta che si occupava della manutenzione, ma poi, di fronte ai loro sguardi stupiti che di solito si riservano a un mistico in preda alle allucinazioni, aveva rinunciato, limitandosi ad allontanarsi al momento opportuno.
Questo, finchè, una fredda mattina d’inverno, quando un giovane operaio si giocò (e perse) i soldi per la spesa della settimana, qualcosa cambiò.  

e tu che con gli occhi di un altro colore
mi dici le stesse parole d'amore


Da quel giorno la fortuna volse dalla parte dei giocatori e molti si ritrovarono a guadagnare anche quattro volte quello che avevano speso, gioia e sollievo dipinti dopo tanto tempo sui loro volti segnati dalla stanchezza.
Il bar non fu mai affollato come allora, mentre una fila sempre più lunga di disperati che saltavano anche il lavoro pur di tentare ancora una volta la sorte, si snodava dalla macchina fino al marciapiede fuori dal locale. Il padrone del bar, al contrario, covava la rabbia sotto il suo sorriso falso, mentre, fra un bicchiere e una sigaretta, cercava una soluzione a quell’invasione di soldi nelle tasche dei suoi (pochi) clienti.

fra un mese fra un anno scordate le avrai
amore che vieni da me fuggirai

 

Un mese dopo

Gli operai dovettero con fatica farsi strada in mezzo a uomini sdraiati nei sacchi a pelo o addormentati appoggiati al muro prima di riuscire a raggiungere la saracinesca e introdursi nel negozio vuoto. Erano sconvolti da ciò che avevano appena visto benché avessero sentito parlare della “macchina dei miracoli” (che ormai conoscevano tutti in città). In pochi minuti smontarono tutto, trasportando nel camioncino tutti i vari pezzi attraverso un ingresso laterale; quando finirono stava albeggiando e i primi uomini si stavano stiracchiando in cerca di un caffè e di una brioche.
Il bar aprì, come ogni mattina, mentre i due operai si lasciavano alle spalle quel luogo e si allontanavano a tutta velocità nella strada deserta verso la consegna successiva.
L’anima meccanica non c’era più, separata in segmenti di plastica e metallo malamente accatastati sul retro di un furgone, destinati alla discarica cittadina come un rifiuto qualunque. Mentre coloro che aveva cercato di salvare (in realtà rovinandoli ancora di più) si accorgevano che era finito tutto, che erano tornati a essere dei disperati che perdevano tutto e vincevano mai, senza neppure riuscire a capire perché, come se fosse stato tutto un sogno. E il padrone del bar, invece, sogghignava dall’alto del suo sgabello, godendosi il ritorno alla normalità, quella in cui lui aveva il potere su quegli uomini che altro posto non avevano per andare oltre a quello squallido bar.

venuto dal sole o da spiagge gelate
venuto in novembre o col vento d'estate

io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai
amore che vieni, amore che vai

  
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