Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: LADY ROSIEL    04/05/2013    2 recensioni
{ Delicata FEMSLASH }
L’aria di primavera le scompigliò i morbidi capelli e velocemente arrivò l’autunno, seguito come sempre dal freddo inverno. I giorni trascorrevano placidi e sereni, l’uno dopo l’altro, di anno in anno, e le risate fanciullesche continuavano a propagarsi nell’aria, ad un ritmo frenetico e perpetuo.
Una felicità del tutto incolore.
Possibile che solo lei se ne accorgesse?
::
Nascondendo le sue forme leggermente voluttuose, alternava pesanti maglioni e felpe colorate a larghe camicie pastello, sempre accostate ad un paio di pantaloni o di jeans.
L'eco del suo nome trafiggeva con dolcezza l'immagine mascolina che prendeva vita,
scontrandosi con quel fantasioso dipinto - scrigno di femminilità e di tremante fragilità.
Tutto in quella ragazza le ricordava l’innocenza di un fiore.
“Lasciali parlare. Almeno adesso avranno qualcosa di concreto su cui sparlare!”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
fiori cristallo rev

FIORI DI CRISTALLO

Morbidi passi scompigliavano la tranquillità di quei verdi fili d’erba illuminati dal sole. Le voci divertite e gli schiamazzi dei bambini si diffondevano nell’aria colorandola di speranza. L’eco di quelle urla gioiose arrivava distante alle orecchie di quella piccola e graziosa bambina di sette anni, che solitaria restava sempre in disparte, accovacciata su se stessa all’ombra di un pino.
I capelli corvini le ricadevano sulle spalle, nascondendo i lineamenti sottili del viso e le mani giocherellavano con frenesia su se stesse.
Non era la prima volta che scorgeva la sua immagine.
Quella ragazza era sempre lì, tutti i giorni, sempre da sola. E a quel malinconico pensiero, la piccola Alice si sentì colta da un’infinita tristezza.

«Quella bambina sembra così sola, non possiamo farle compagnia?!» si azzardò a domandare alle sue inseparabili amiche, fermando il pallone con le mani.
«Alice, non lo sai? Quella bambina è strana!» ammise con stizza la più grande.
«Strana?» domandò a sua volta Alice, un pochino perplessa.
«Sì, strana. A lei non piace giocare con nessuno. E’ un maschiaccio antipatico! E poi… Girano voci che sappia parlare con i fantasmi.»
«Credi nei fantasmi?»
«Credo soltanto che sia una persona da cui star lontani. Mi fa rabbrividire.» aggiunse poi, sottraendo il pallone all’amica e lanciandolo in aria.
«Dai, continuiamo a giocare!»
Incitata dall’amica si tuffò a raccogliere la palla, malgrado non riuscì davvero a credere alle sue parole.

C’era qualcosa in quella bella bambina che l’affascinò tremendamente. Forse era solo una sua impressione, ma non le sembrava una cattiva persona.
Le sembrava solamente molto sola.

L’aria di primavera le scompigliò i morbidi capelli e velocemente arrivò l’autunno, seguito come sempre dal freddo inverno. I giorni trascorrevano placidi e sereni, l’uno dopo l’altro, di anno in anno, e le risate fanciullesche continuavano a propagarsi nell’aria, ad un ritmo frenetico e perpetuo. Nulla sembrava voler interrompere quei magici momenti di quiete e allegria che avvolgevano la vita della piccola Alice.
La vita le sorrideva – aveva l’argento in bocca.
Tuttavia, non si poteva dire lo stesso di Crystal – l’eterna ragazzina solitaria. – E quello era uno dei tanti nomignoli, forse il meno brutto, con la quale veniva soprannominata.
Cinque anni erano trascorsi da quando Alice incontrò la sua minuta figura all’ombra di quel grande pino, all’entrata delle scuole elementari. E da allora non l’aveva mai vista sorridere, nemmeno una volta.
Non aveva amici. E nonostante gli insegnanti avessero provato tante volte a farla partecipe delle attività scolastiche, socializzando con i compagni, questi finivano sempre per esserne intimoriti e lasciarla da sola.
La verità era che le malelingue non facevano altro che dilagare, e sul suo conto di era detto davvero di tutto. Nell’ultimo anno, il pettegolezzo che più di ogni altro si era fatto strada su di lei era legato all’immagine mascolina che continuava a mostrare sebbene si scontrasse con la sua natura femminea.
Non era cambiata.
Anche adesso era un maschiaccio.
E forse, ora si atteggiava ad esserlo anche di più.

I suoi lunghi capelli corvini avevano lasciato spazio ad un caschetto nocciola e ad un morbido ciuffo che le ricadeva vaporoso sulla tempia. I suoi occhi celesti, profondi come due grandi oceani, illuminavano il suo volto sempre cupo e rigido – stretto in quell’espressione di totale apatia e disinteresse.
Nascondendo le sue forme leggermente voluttuose, alternava pesanti maglioni e felpe colorate a larghe camicie pastello, sempre accostate ad un paio di pantaloni o di jeans.
L'eco del suo nome trafiggeva con dolcezza l'immagine mascolina che prendeva vita, scontrandosi con quel fantasioso dipinto – scrigno di femminilità e di tremante fragilità.

«Guardala! Anche oggi indossa quegli orrendi skinny Jeans!» bisbigliò crudelmente una ragazza del terzo anno, all’amica al suo fianco.
«Si dice che non abbia mai indossato una gonna in vita sua! Credi che sotto quei jeans nasconda un segreto inconfessabile?! Magari è davvero un ragazzo!» esclamò l’altra, senza nemmeno aver premura di non farsi sentire dall’interessata.
Era abituata a quel genere di calunnia, e senza rivolger loro parola, Crystal ascoltò quelle spietate dicerie, inghiottendo ancora una volta la rabbia, e sfilando a loro fianco, continuando a camminare senza mai vacillare.

Lo aveva sempre saputo.
Alice, in cuor suo aveva sempre capito quanta tristezza avvolgesse quella ragazza.
Molte volte avrebbe desiderato parlarle ed esserle amica, ma tutte le volte si era lasciata soggiogare dalle sue stesse insicurezze e aveva abbandonato quei pensieri.
E per questo si sentiva come un’infame.
Quella ragazza continuava a soffrire e a venir derisa ogni santo giorno!
E lei era lì, impotente, schiava delle sue più remote paure, ad osservare da lontano gli sviluppi di quella vicenda.
Odiava quei comportamenti meschini di cui si macchiavano i suoi compagni.
Odiava scorgere il modo in cui le loro labbra s’increspavano in quei fasulli sorrisi di miele.
Odiava veder soffrire qualcuno solo per poter far appagare qualcun’altro.
Odiava il modo in cui quell’innocente fanciulla veniva additata. E per la sua impotenza, odiava se stessa.

"Perché le persone provavano piacere nel ferire qualcun’altro? Perché non si rendevano conto del dolore che infliggevano?
Quello era un modo malsano per raggiungere la felicità.
"
Una felicità del tutto incolore, possibile che solo lei se ne accorgesse?

«Alice, tu cosa ne pensi?» domandò Laura, sorseggiando con la piccola cannuccia il suo succo alla pesca. «Secondo te, perché quella ragazza non indossa mai la gonna?! Credi abbiano ragione le pettegole del terzo anno?» chiese poi, addentando quei suoi saporiti biscotti ricoperti di crema al cioccolato.
«Non capisco perché tutti debbano parlar male di lei! Se sei così curiosa di saperlo perché non glielo chiedi direttamente?!» rispose con sdegno, sopprimendo quanta più rabbia le fosse permesso nel suo cuore.
«Alice... Ma che ti prende?» le domandò l’amica, osservando la sua reazione seccata, mentre ella s’apprestava a gettare nel cestino la plastica che stringeva con forza fra le mani.
«Nulla di particolare. Sono semplicemente seccata di vedere quanto vi divertiate a prenderla in giro!» aggiunse poi, iraconda e frustrata, incamminandosi da sola verso la sua aula.

Chi poteva stabilire ciò che era "normale" da ciò che era "diverso"?
Se ogni persona era differente dall'altra, allora la normalità era un concetto del tutto soggettivo; perché bisognava etichettare i propri sentimenti, nascondo ciò che si era?
Fingendosi uguali gli uni agli altri, schiavi d'antiquati preconcetti.

L’immagine sbiadita e un po’ distorta che la sua mente aveva ricreato, sopraffatta dalla lacrime improvvise che acquerellavano il suo volto, era quella di una semplice ragazza come tante altre. Quei pozzi cristallini che osservava da lontano gli sembravano aver la forza della tempesta e la purezza dell’acqua fredda di sorgente. E anche quelle sue mani, sottili affusolate e femminee, le facevano percepire una profonda limpidezza.
Tutto in quella ragazza le ricordava l’innocenza di un fiore. Ai suoi occhi, Crystal era una persona così maledettamente fragile, nonostante quella sua aria da maschiaccio che continuava ad ostentare. Sì, era fragile quanto il cristallo. E a poco a poco, quelle laceranti ferite a cuore aperto, s’insinuavano nelle sue viscere, incidendo quel bellissimo cristallo trasparente che se esposto al sole brillava riflettendo l’arcobaleno.
Erano solo piccole crepe, ma prima o poi il suo cuore si sarebbe spezzato. Era solo una ragazzina di tredici anni.
Non aveva quella forza.

La mestizia s’istigò sul volto – solitamente allegro e spensierato – di Alice, facendola sospirare pesantemente. Con aria assente, rigirava quella mezza matita nelle sue dita, preda di un fastidioso tic nervoso, rimirando il paesaggio irrorato fuori dalla finestra.
Pioveva ormai da alcune ore. Fra poco sarebbe suonata la campanella che avrebbe decretato la fine di quella giornata di scuola, e Alice aspettava impaziente quel preciso istante per sentirsi finalmente libera di poter respirare nuovamente aria pulita. E non era l’aria viziata di cui era pregna quell’aula, a cui faceva riferimento, ma bensì a quel forte senso di malessere che attanagliava il suo stomaco.
A quel peso gigantesco che tratteneva dentro il suo cuore da anni, e che in quel giorno si era fatto sentire con più veemenza del solito.

Possibile che si sentisse così stupida e inutile, da non riuscire neppure ad afferrare le mani della persona che avrebbe desiderato proteggere?

Assorta fra i suoi pensieri e svuotata da ogni sorriso, agguantò frettolosamente il suo ombrello turchese e premurandosi d’afferrare anche il suo zaino, uscì dalla classe senza neppure aspettare la sua migliore amica.
Semplicemente fuggì.
Fuggì da quel luogo ormai divenuto ostile e s’incamminò verso il cortile.

«Non posso crederci quella è ancora là! Non dirmi che sta aspettando il principe azzurro sul cavallo bianco che arriva a salvarla!» esclamò una voce femminea, gracchiando come un corvo. E a quelle parole, udite per puro caso, Alice sussultò involontariamente. Alzò la testa e scostando l’ombrello quel tanto da permetterle d’avere una visuale più ampia, fece roteare freneticamente le pupille da destra a sinistra e poi da sinistra verso destra. I suoi occhi scuri adocchiarono quella minuta figura proprio in prossimità del cancello a scorrimento della scuola, vicino al grande ciliegio che lentamente s’apprestava a sfiorire, colorando di bianco e rosa pallido il viale asfaltato.
«No, magari più che un principe sta aspettando la sua Principessa!» aggiunse l’altra ragazza, ghignando orrendamente, immobilizzando il cuore di Alice.
Quelle parole erano affilate quanto lame.
E nei suoi occhi tremanti d’inquietudine, già poteva immaginarsi il sangue che sgorgava a flotte, imbrattando l’asfalto di un rosso scuro – cremisi.
E lei era lì, immobile come lo era Crystal, distante anni luce dal suo mondo solitario e cupo.
In quell’istante si sentì rapire dall’oscurità ed ebbe ancora una volta la sensazione che quel silenzioso sguardo che s’istoriava sul volto di Crystal celasse una profonda tristezza.
Si sentì straziare il cuore a quella desolante visione.

I suoi occhi, le sue labbra, le sue orecchie, le sue mani, e persino il suo naso, avvertirono distintamente quella silenziosa richiesta d’aiuto, sussurrata all’indomabile vento che da solo non riusciva ad alleviare le sue ferite.
Stava gridando. Crystal stava gridando; era così sola.

Alice prese coscienza di aver ignorato quella disperata richiesta d’aiuto per così tanto tempo, calpestando quanto di più prezioso la natura aveva generato: quel bellissimo fiore di cristallo. Spinta dal suo stesso coraggio, che per anni aveva preferito assopirsi dentro di sé, strinse con rabbia l’ombrello e corse verso di lei, raggiungendola in pochi istanti.
Crystal con sorpresa alzò la testa e osservò quella particolare ragazza, credendo le fosse corsa in contro con l’intento di deriderla e di ferirla; proprio come facevano tutti.
Eppure, in quei suoi occhi marroni non vi trovò cristalli acuminati pronti a trafiggerla, e per la prima volta in vita sua, si sentì quasi umana.
L’ombrello di Alice cadde non appena ella riuscì a scorgere, da vicino, quel candido viso dai lineamenti delicati e perfetti.
I profondi oceani lapislazzuli la fissarono incredula e rimanendone ammaliata, si sentì affogare nei loro più reconditi abissi, intravvedendo pesanti lacrimoni grandi come sfere di cristallo, imperversare con irruenza. Le piccole gocce di pioggia continuavano a cadere dal cielo in un pianto liberatorio, scivolando sui loro corpi infreddoliti e mescolandosi con quelle lacrime di cristallo, il tempo sembrò pietrificarsi.
Non si era sbagliata, Crystal stava piangendo, strepitando come facevano i neonati.
Probabilmente, in quei lunghi anni aveva pianto così tanto da affogare nei suoi stessi occhi.

Dandosi mentalmente della stupida, per non essersi voltata prima a scorgere quei suoi occhi liquidi, e colta da un desiderio irrefrenabile, si tuffò sulle sue labbra, accarezzandole e assaggiandole con delicatezza.
Erano inaspettatamente morbide come il velluto e calde come il sole, quelle sue labbra, seppur le erano sempre apparse talmente nivee da crederle fredde come il ghiaccio.
Stava baciando una ragazza per la prima volta. E nonostante un leggero disagio che le imporporò le guance, infiammandole, si sentì inondare da un fremito repentino che disperatamente bramava l’amore di quelle labbra diafane.
Sciolsero l’unione di quel bacio leggero – al sapore di vaniglia e zucchero – solo qualche istante dopo, mentre alle loro spalle un chiacchiericcio frenetico prendeva vita.

«Perché lo hai fatto? Vuoi umiliarmi, anche tu?!» domandò con amarezza, tradendo la dolcezza di quel bacio, assumendo un’espressione contrariata che però agli occhi di Alice sembrò l’ennesima richiesta d’aiuto, alla quale s’aggrappava disperatamente.
«No. Voglio esserti amica.» ammise in un sussurro trascinato dal vento. «Voglio camminare al tuo fianco.» aggiunse poi, timidamente.
«N-Non… Non dire fesserie!» esclamò Crystal, incollerita. «Nessuno vuole essermi amico!».
«Io voglio esserlo.» ammise con determinazione Alice, sorprendendosi di aver ritrovato tanto coraggio per fare ciò che stava facendo.
«Non posso crederci!»
«Le hai viste? Si sono… Baciate!»
Quel fastidioso brusio risuonava nelle loro orecchie come l’irritante ronzio di una zanzara pronta a pungerti, succhiandoti il sangue.
«Vattene via.» riprese parola Crystal, bisbigliando appena. «Questo non è un gioco, adesso anche tu sarai il loro bersaglio. Le persone sono crudeli. Vattene via. Prima che sia troppo tardi.»
«Non voglio andarmene da nessuna parte, a meno che tu non voglia seguirmi.»
«Non ergerti a Dio. Loro t’annienteranno.» sibilò socchiudendo i suoi occhi in due piccole fessure, calcando le parole.
«Lo facciano pure se desiderano! Non li lascerò calpestare i tuoi sentimenti in questo modo!» affermò senza esitazione, lasciandosi coccolare dalla pioggia. «Mi sono comportata come una codarda sino ad oggi; non voglio più esserlo.»
«Non li senti i loro giudizi, soffocarti l’anima?» chiese Crystal, con gli occhi ancora lucidi.

«Sono due ragazze.»
«Lo avevo detto che quella era strana!»
«E’ immorale.»
«Baciarsi in quel modo, davanti a tutti. Sono scandalose!»
Quel chiacchiericcio pungente era come un coltello conficcato fra le scapole: tremendamente doloroso e soffocante.
Da quelle loro vili labbra, affioravano parole e concetti che forse nemmeno loro conoscevano a pieno, ma sui quali sancivano i loro spietati giudizi che sputavano come fango su quelle due giovani coetanee. Rinfacciando loro innegabili colpe d’innanzi a Dio.

«Lasciali parlare.» disse Alice, sbattendo velocemente le palpebre, senza lasciarsi impaurire da quelle calunnie ingrate, consapevole di quanta forza avesse dovuto stringere nel petto la compagna, per sopprimere le lacrime. «Almeno adesso avranno qualcosa di concreto su cui sparlare!» aggiunse poi, soffermandosi a sfiorarle una guancia. E a quel gesto tanto delicato, Crystal non seppe più trattenere quel pianto furioso e scoppiò puntuale come un ordigno.
Liberando gli occhi da frammenti di cristallo stagnanti e la gola da una voce afona e incolore.

Con un gesto fulmineo, Alice raccolse il suo ombrello e tingendo il cielo grigio in turchese, riparò entrambe dalla pioggia, sebbene fossero ormai già bagnate da capo a piedi.
«Guarda: quest’ombrello è dello stesso colore dei tuoi occhi. E’ il colore del cielo!»
«Il cielo di oggi, però… E’ grigio e nuvoloso!» ribatté in preda alle lacrime, Crystal.
«Allora impegniamoci a farlo nuovamente risplendere!»
Crystal sorrise debolmente, increspando le soffici labbra in una tenera espressione che celava il desiderio di voler esser felice. E quasi di riflesso, anche Alice sorrise compiaciuta.

Era il primo sorriso che le vedeva colorarle il volto. E quasi aveva il timore che si trattasse solo di una sua fervida fantasia.
Nel momento in cui la sentì piangere a gran voce, poggiandosi contro il suo petto, travolta dagli spasmi violenti, abbracciando la sua forza, Alice giurò che le sarebbe rimasta accanto per sempre. E desiderando naufragare, ancora una volta, fra i suoi occhi e abbronzarsi sotto i caldi raggi del sole che le sue labbra emanavano, sfiorò con le dita le sue labbra chiare e invitanti, ora tintesi di vita.

Incuranti delle malelingue e dei pettegolezzi che di lì a poco sarebbero presto degenerati, si presero per mano vicendevolmente, camminando assieme, passo dopo passo, ora finalmente libere.
Lo scroscio della pioggia, lentamente, si placò, e nell’aria frizzante si diffuse la tiepida fragranza dei ciliegi.
Gli occhi di Crystal non erano dissimili da quelli di Alice: entrambi desideravano solamente abbracciare l’amore.

 

 

© LADY ROSIEL/Luna Azzurra

eunhae become strangers+++

AUTRICE TIME: Questa narrazione prende spunto da una ragazza che frequentava la mia stessa scuola media dell'epoca, una ragazza che ha sempre vissuto la sua sessualità come un qualcosa particolare. Lei, infatti si è sempre posta come un ragazzo e portava quel bellissimo nome che invece era scrigno di femminilità e fragilità: Crystal. Ovviamente i fatti accaduti nella storia sono di pura fantasia.
La canzone che mi ha piacevolmente ispirata e cullata nel mentre questo racconto prendeva vita, è stata:
• Xiang Xing Fu De Ren (Lett.: LE PERSONE CHE DESIDERANO LA FELICITA') di Rainie Yang •
Una melodia dolcissima e malinconica. Intensa e commovente.
La parte finale della canzone, quando Rainie aumenta l'intensità della sua voce è l'apice dell'emozione.
.
Se desiderate ascoltarla, vi metto il link di youtube, collegato al videoclip - ovviamente con la stessa temtica del mio racconto. La scena del bacio è stata: "waoh!" Davvero sorprendente e toccante.(Rainie Yang è anche un'attrice).

Spero solamente che apprezziate, e che il tutto non vi sembri troppo nonsense!
Ovviamente sono sempre qui, pronta ad accettare commenti, vostre riflessioni e perchè no, anche le critiche!

Detto questo: Buona Lettura!



   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LADY ROSIEL