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Autore: _Lightning_    06/05/2013    13 recensioni
«Immagino quindi di non poterle chiedere un tipo di musica un po' più... adatto al lavoro.»
«Cosa c'è di più adatto al lavoro?» ribatté Tony, anche lui divertito da quell'insolita conversazione.
«Al mio lavoro.» precisò Pepper.
«La musica più calma che potrei offrirle sono i Nirvana.» disse con un ghigno.
«Da lei non mi aspettavo certo Beethoven.» commentò Pepper.
«E perché no?»

[pre-Iron Man // pre-Pepperony]
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Tony Stark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Intermezzi comico-musicali firmati Stark'
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Sonata N°5 «Primavera» (o anche: I Love Rock 'n' Roll)



Le dolci note del pianoforte riempivano il salone, facendosi strada fin lì dalla piccola stanza adibita a sala musica che si affacciava su quell'ampio spazio. La melodia, delicata e armoniosa, sembrava fluttuare nell'aria come chiedendo di essere ascoltata. Un accordo deciso e vibrante chiuse la successione di note e il silenzio tornò a regnare per un poco, prima di essere spodestato da una nuova cadenza, ugualmente soave.

La stanza del pianoforte era piccola e stretta, ma accogliente, coi vecchi mobili di legno che emanavano un senso di calore e le file e file di libri e spartiti stipati nella libreria che donavano un tocco di colore con la successione di copertine variopinte. L'unica finestra stretta e allungata, con un sedile morbido incassato nel davanzale, era accostata e lasciava entrare un soffio di fresca aria primaverile che faceva ondeggiare le tende chiare. Addossato alla parete, in risalto contro lo sfondo giallo tenue del muro, troneggiava un pianoforte verticale, fonte della musica che aleggiava nell'enorme casa.

Maria era seduta compostamente al piano, con gli occhi socchiusi e il volto concentrato, mentre le mani sfioravano appena i tasti con movimenti aggraziati. Indossava un semplicissimo vestito estivo ricamato a delicati fiorellini azzurri e portava i capelli scuri e ricci raccolti in uno chignon un po' spettinato, ma sembrava ugualmente una pianista sul palco, nel pieno di un concerto.

Timidamente, una testolina bruna fece capolino dalla soglia spiando con occhi vivaci quell'insolito spettacolo. Schiuse cautamente la porta entrando in punta di piedi, e con espressione sognante si avvicinò, per poi fermarsi accanto a lei. Osservò le sue mani che si rincorrevano sulla pista bianca e nera senza raggiungersi mai, ipnotizzato dai loro movimenti leggiadri. Maria lo guardò di sottecchi senza smettere di suonare e incontrò il suo sguardo incantato.

Infine, le dolci note si attenuarono fino a spegnersi del tutto, sfumando di nuovo nel silenzio.

Tony non osò muoversi, gli occhi nocciola ancora spalancati e increduli che fissavano la madre, e le orecchie che ancora risuonavano del suono pieno e vitale della melodia.

Maria si voltò verso il figlio, regalandogli un sorriso radioso e una carezza affettuosa sulla guancia. Il bambino a quel punto si riprese dallo stupore e si arrischiò a parlare con titubanza, come se temesse di rompere quell'incanto:

«Non ti ho mai sentita suonare.»

«Non lo faccio spesso,» ammise Maria, con una vena di rammarico nella voce, e i suoi occhi scuri si spostarono dal volto del figlio al legno lucido del pianoforte.

«Perché non suoni mai?» chiese ingenuamente lui.

Il sorriso della madre si incrinò un poco, ma il suo tono rimase caldo e gentile:

«Tuo padre dice che lo disturba. Così suono quando lui non c'è,» spiegò con semplicità.

Tony annuì gravemente in un gesto che non si addiceva alla sua età, poi aggrottò le sopracciglia e storse un po' la bocca nell'espressione assorta che assumeva quando era impegnato a trafficare con le sue invenzioni. Infine si sciolse in un sorriso compiaciuto, come se avesse trovato la soluzione a un rompicapo particolarmente complesso:

«Mi insegni?» chiese speranzoso.

Un lampo di sorpresa passò negli occhi di Maria, subito sostituito dall'affetto più puro. Scivolò di lato facendogli posto sullo sgabello troppo alto, e Tony si arrampicò goffamente su di esso, sedendosi con i piedi ciondoloni e la mani che arrivavano scomodamente alla tastiera. Maria regolò l'altezza del sedile, permettendogli di arrivare a toccare terra con le punte delle scarpe, osservando attentamente suo figlio.

Era strano vederlo attratto da qualcosa di così "frivolo", come l'avrebbe definito Howard: aveva visto Tony immerso in macchinari, circuiti e robot fin dalla più tenera età, sotto la burbera guida del padre o più spesso da solo, e mai si sarebbe aspettata un simile interesse da parte sua. Si sentì immensamente felice nel vedere il volto gioioso di Tony, per una volta libero da tutte le preoccupazioni premature che lo segnavano costantemente.

«Voglio suonare quello che suonavi tu,» affermò deciso, con l'espressione testarda di quando s'incaponiva su qualcosa.

Maria rise e lo baciò sulla testa, intenerita da tutta quell'ambizione.

«Lo farai, tesoro, ma non ora,» gli disse, alzandosi per prendere degli spartiti che conservava nell'alta libreria là accanto.

Poté giurare di sentire il sospiro scettico del bambino, seguito da una successione di note incerte mentre già metteva alla prova il suo talento pianistico.

«Come si chiama?» chiese concentrato, storcendo il naso nel sentire le note che sembravano tutto tranne che gradevoli.

Contrariato, riprovò ancora.

«Cosa?» Maria scostò una pila di libri mentre cercava indaffarata il suo vecchio libro per pianisti principianti, sollevando pigre nuvolette di polvere.

«Quello che stavi suonando.» Tony abbandonò scoraggiato la mani lungo i fianchi, capendo probabilmente che muovere a caso le mani sul pianoforte non era il metodo giusto.

«È di Beethoven. Sonata N°5, Opera 47 in La maggiore,» recitò con semplicità.

Si voltò a osservare l'espressione perplessa del figlio, che probabilmente si aspettava qualcosa di decisamente diverso e forse più poetico.

«Si chiama anche "Primavera",» aggiunse quindi con dolcezza.

Tony sorrise, di nuovo radioso, finché Maria non si sedette accanto a lui.

La guardò determinato con un guizzo furbo negli occhi vispi schermati dalle lunghe ciglia.

«Voglio impararla.»

 

***

 

Erano mesi che evitava quella stanza. L'aveva addirittura chiusa a chiave, come lo studio di suo padre, come la camera dei suoi genitori, come i suoi occhi quando passava nel salone vuoto. Era sempre stato vuoto, ma mai in modo così definitivo, così doloroso.

Da un mese era tornato ad abitare nella sua vecchia casa a Long Island e da un mese si pentiva di quella scelta. Ma Los Angeles era lontana e aveva affari da svolgere a New York, affari che riguardavano il passaggio di proprietà delle Stark Industries dalle mani di suo padre alle sue e che lo tenevano impegnato ogni giorno, impedendogli almeno di pensare troppo al loro reale significato.

Adesso indugiava davanti a quella porta, rigirandosi in mano la familiare chiave in ferro battuto e ormai scurito. Si portò una mano alla fronte, come se così potesse impedire ai pensieri di sfuggirgli, poi si raddrizzò e infilò la chiave nella toppa, forzando la vecchia serratura che si aprì infine con uno scatto rugginoso.

L'interno era avvolto dalla penombra, l'aria densa di polvere e ricordi.

Si avvicinò alle tende, le scostò e spalancò la finestra, permettendo all'aria fresca e carica d'umidità di invadere quel piccolo e opprimente spazio, dissolvendo il vago odore di chiuso e libri vecchi e facendo scintillare i piccoli vortici di pulviscolo. Fuori danzava una pioggia leggera, tanto fine da essere impercettibile. Sospirò, affatto rincuorato da quella vista uggiosa e grigia.

Si girò, appoggiandosi al davanzale, e si permise finalmente di guardare il vecchio pianoforte addossato al muro. Lo fissò a lungo, registrandone ogni dettaglio, dallo spesso strato di polvere che lo ricopriva alle miriadi di graffi che ne solcavano la superficie nera e un tempo lucida. Un cumulo disordinato di spartiti era poggiato sullo sgabello, stropicciati e ingialliti, altri erano scivolati a terra e spiccavano sul raffinato tappeto borgogna che attutiva il parquet.

Era da quando si erano trasferiti a Malibu che non entrava lì, e a quanto pareva neanche sua madre. Sembrava che tutti in quella casa si fossero dimenticati della sua esistenza. Sospirò di nuovo, inspirando una buona dose di polvere e stantio.

Si avvicinò infine allo strumento, quasi timoroso. Vi poggiò una mano sopra, ritirandola grigia e farinosa. La sfregò sui pantaloni eleganti e raccolse da terra gli spartiti, sfogliandoli svagato come a prender tempo, per poi sistemarli ordinatamente sopra il pianoforte. Posò una mano sul legno d'ebano, esitante.

Poi pulì il sedile con una manica, si sedette esitante e aprì cautamente il copri-tastiera, scoprendo la lucida e ordinata processione di nero e bianco. I tasti erano ancora immacolati, come se non fosse passato neanche un giorno dall'ultima volta che qualcuno vi aveva posato le dita.

Strinse la stoffa dei pantaloni, combattuto, ancora stritolato dalla morsa di ricordi troppo dolorosi. L'ultima volta che aveva suonato era sei mesi fa. Prima dell'incidente.

Le sue mani presero posizione sulla tastiera senza che se ne rendesse conto e premettero i tasti con titubanza, traendone un suono caldo e cristallino. A quel primo accordo ne seguì un altro, con naturalezza, le note e la loro successione come stampate a fuoco nella mente e nelle mani, in perfetta armonia.

La sua memoria aveva scelto per lui quella sonata, forse l'unica che davvero sentiva sua, la prima che gli aveva catturato l'animo e che da sempre lo univa alla musica, e adesso ai ricordi.

Dopo pochi secondi però, un accordo sbagliato ruppe la perfetta successione di note, costringendolo a bloccarsi. Riprovò, e ancora le dissonanze s'infransero spiacevolmente fra loro. Adesso si sentiva perso, e per quanto cercasse di ricordare e ricominciare da capo il pezzo non trovava più l'inizio né la fine della melodia e le sue mani vagavano sui tasti smarrite, producendo suoni isolati e privi di connessione, in un'armonia discordante e incerta.

Si alzò di scatto, improvvisamente incapace di stare seduto un secondo di più. Fissò quasi con astio lo strumento, poi gli spartiti e infine le sue mani che adesso tremavano impercettibilmente. Chiuse di malagrazia il copri-tastiera e fece scivolare con rabbia gli spartiti dietro al pianoforte, poi tirò di nuovo le tende e uscì dalla stanza con foga, chiudendola dietro di sé col respiro corto.

Si allontanò frastornato, con la testa piena di immagini dolorose e le orecchie che ancora risuonavano di quella melodia ormai perduta.

 

***

 

Gli accordi decisi e aggressivi della chitarra di Angus Young riempivano l'ampio spazio del laboratorio e le orecchie del suo proprietario, attualmente sepolto sotto il ventre di un'Audi che non aveva nessun buon motivo per non funzionare, dato che l'aveva guidata la sera prima.

Tony lanciò un imprecazione soffocata quando una buona dose di grasso per motori gli sporcò le mani e la sua adorata maglietta dei Black Sabbath, ma continuò a forzare quella dannata vite bloccata.

«JARVIS, secondo te perché ti ho installato un impianto stereo da far invidia?» borbottò affaticato, stringendo i denti irritato dall'ennesimo stridio del cacciavite contro il metallo.

«Signore, la signorina Potts sta lavorando in salone e ha chiesto esplicitamente di non essere disturbata.»

Tony sbuffò, segretamente tentato dal fare esattamente ciò che non avrebbe dovuto.

«Allieteremo solo il suo lavoro con un po' di sana musica,» disse con noncuranza, facendo scivolare il carrello e uscendo finalmente da sotto la macchina con un aspetto più adatto a un reduce di guerra che a un miliardario playboy.

Schioccò le dita e la musica aumentò d'intensità, tanto che sentì i bassi rimbombargli nel petto, e le note di Black Ice sovrastarono qualsiasi altro suono. L'uomo sorrise, afferrò un set di brugole e un paio di pinze e tornò a immergersi nel motore ostinato a non funzionare, pieno rinnovata energia mentre canticchiava a tempo con l'assolo e capiva finalmente che il problema di quell'affare non era la vite, ma la placca metallica sottostante.

Riprese a lavorare, totalmente estraniato dal mondo, tanto da non udire neanche il codice elettronico che veniva digitato e lo scatto della porta che si apriva; d'altra parte, dato il volume della musica, non avrebbe potuto sentirli comunque.

Ebbe l'impressione di essere chiamato, ma era troppo concentrato su quel rottame ribelle e sulla voce rauca del cantante per rendersene del tutto conto.

La musica scemò di colpo, lasciando spazio alla voce paziente ma chiaramente irritata di Pepper. Doveva ammettere che aveva resistito più di quanto avesse immaginato. Sogghignò, preannunciando quel che stava per succedere.

«Signor Stark, le ho chiesto gentilmente di non...»

«Ehi! Era il pezzo forte, non può spegnere adesso, non è...»

«... disturbarmi per oggi visto che sto...»

«... rispettoso nei confronti del povero Young, insomma...»

«... visionando i suoi contratti, gestendo il suo lavoro...»

«... era un assolo fantastico e lei l'ha interrotto!»

«... e facendo quello che dovrebbe fare lei

«Se non gradisce gli AC/DC posso passare a qualcosa più classico,» la interruppe tranquillamente lui, le parole distorte dalle pinze che stringeva tra i denti. «Che so, i Led Zeppelin? Le piacciono i Led Zeppelin? A me non molto, ma posso fare un'eccezione.» 

Tony riemerse finalmente da sotto l'auto, con una voce comprensibile e senza aver ascoltato mezza parola di ciò che la donna gli aveva detto. Pepper s'interruppe, sospirando rassegnata e senza commentare lo stato indecoroso in cui versavano i suoi vestiti, mentre Tony riavviava con un semplice gesto l'impianto facendo partire Kashmir.

«Signor Stark, io non so come...»

«Come descrivere quest'innovativa meraviglia? Anche a me mancano le parole, per una volta.» 

Tony fece un sorriso disarmante prima di alzarsi dal carrello e dirigersi verso la consolle invasa di proiezioni digitali di motori e componenti meccaniche. Sentiva lo sguardo esasperato di Pepper pungergli la schiena, così si girò mentre trafficava coi vari progetti.

«Andiamo, le dà così fastidio?» le chiese divertito.

Pepper scosse la testa.

«Non mi darebbe così fastidio, se ascoltasse la sua musica a un volume accettabile,» commentò, sentendosi improvvisamente nei panni di una madre che intima a suo figlio di abbassare lo stereo prima di far crollare casa e timpani.

Al pensiero si lasciò scappare un sorriso, cosa che offrì a Tony l'opportunità per cavarsela, ancora una volta:

«Imparerà ad apprezzare anche lei il rock,» affermò convinto, assumendo un espressione di superiorità. «Con le buone...» le lanciò un'occhiata eloquente, «o con le cattive.» 

Fece un gesto imperioso e l'impianto parve chiedere pietà per l'esplosione di chitarra e batteria che fuoriuscì dalle casse.

«Immagino quindi di non poterle chiedere un tipo di musica un po' più... adatto al lavoro.»

 Pepper dovette avvicinarsi per farsi sentire sopra gli accordi di I Love Rock 'n' Roll, che probabilmente aveva fatto partire per iniziare la sua opera di conversione. Dopotutto le faceva piacere avere una discussione con lui che non comprendesse i suoi impegni lavorativi... o meglio, i suoi pretesti per evitarli.

«Cosa c'è di più adatto al lavoro?» ribatté Tony, anche lui divertito da quell'insolita conversazione.

«Al mio lavoro,» precisò Pepper, senza celare la non tanto velata accusa.

Forse un'ombra di vaga colpevolezza passò sul volto dell'uomo, ma fu subito scacciata dalla sua solita espressione impertinente.

«La musica più calma che potrei offrirle sono i Nirvana,» disse con un ghigno, trascinando un ologramma con l'esploso di un motore accanto all'auto e osservandolo poi con aria critica.

Distrattamente, cambiò di nuovo brano dall'immenso elenco olografico che fluttuava accanto a lui.

«Da lei non mi aspettavo certo Beethoven,» commentò Pepper, ironica, già rassegnata a tentare di lavorare con quel sottofondo spaccatimpani e avviandosi verso le scale.

Tony si voltò di scatto, a metà tra il risentito e il confuso.

«E perché no?» chiese, un po' brusco.

Pepper si girò e lo osservò perplessa, passando dalla sua maglietta decisamente esplicativa agli altoparlanti che continuavano a diffondere imperterriti musica rock, stavolta i Deep Purple.

«Beh, non mi sembra esattamente il tipo che ascolta musica classica,» rispose, un po' esitante.

L'uomo sembrò pensarci su per qualche istante, come perso nei suoi pensieri, poi scrollò le spalle e si riscosse sfoggiando un sorrisetto incerto che non raggiunse i suoi occhi.

«No, infatti. Non la ascolto da un po',» disse, sbrigativo.

La donna sembrò sorpresa da quell'affermazione, ma prima che potesse chiedere qualsiasi cosa Tony riprese, improvvisamente serio:

«Bene, io devo fare i conti con questo catorcio,» disse, accennando all'Audi che stava riparando «Quindi torno al lavoro,» aggiunse semplicemente, lasciando Pepper decisamente dubbiosa da quelle parole che, pronunciate da lui, erano del tutto fuori luogo.

Non rispose, limitandosi a salire al piano superiore tallonata dalle note energiche e impetuose di Smoke On The Water.

 

***

 

Non riusciva a concentrarsi.

Tony sospirò, assestando un colpo non proprio gentile al bullone che stava stringendo e abbandonando la chiave inglese in un gesto snervato, rimanendo a fissare l'intrico di tubi, viti e metallo sopra di lui. Infine si spinse fuori e salì al posto di guida, avviando l'Audi, che rispose con un rombo ben poco soddisfacente. Aggrottò le sopracciglia e storse la bocca, deluso, per poi girare di nuovo la chiave soffocando il ruggito del motore.

Rimase seduto, tamburellando sul volante cercando di tenere il ritmo con la fine dell'assolo di Eruption.

Forse avrebbe dovuto fare un giro in auto. Possibilmente a velocità sconsiderata, così da scacciare i pensieri che continuavano ad accumularsi nella sua testa e che la musica particolarmente invadente che aveva appositamente scelto non riusciva a soffocare.

Sospirò, teso e nervoso. Non pensava di rimanere così turbato, ma la verità era che non riusciva a frenare i ricordi che continuavano a tornare e a risuonargli nella mente da ore, ormai. Quasi sobbalzò quando nel laboratorio si diffusero le prime note di Bohemian Rapsody, con la voce ammaliante di Freddie Mercury accompagnata dai discreti accordi del pianoforte.

Era un complotto, ne era sicuro. Ma non spense, né abbassò il volume, ascoltando assorto, lo sguardo perso nel vuoto mentre i suoi pensieri trovavano finalmente un ordine, diventando meno dolorosi, quasi piacevoli. Dopotutto, era passato ormai tanto tempo.

A neanche metà della canzone uscì dalla macchina, sentendosi improvvisamente iperattivo.

«JARVIS? La signorina Potts è ancora alla villa?» chiese concitato mentre afferrava e accatastava in una cassetta dei cavi, una livella, alcuni fogli e una quantità impressionante di strumenti di misurazione.

«È appena uscita diretta alle Stark Industries. Ha lasciato detto che non tornerà qui, ma si recherà direttamente a casa propria,» lo informò il computer.

Tony annuì tra sé soddisfatto, mentre indossava gli occhiali e i guanti protettivi e aggiungeva una saldatrice, un trapano e vari altri attrezzi a quelli che già occupavano le sue mani.

«Ottimo. La villa ha bisogno di una ristrutturazione,» annunciò soddisfatto, dirigendosi al piano superiore un po' instabile per il peso dell'attrezzatura. «Attiva gli altoparlanti in salone. E metti qualcosa di un po' più... energico,» ordinò poi.

Fu con soddisfazione che sentì i prepotenti bassi di  T.N.T. risuonare tanto forte da far tremare le pareti.

 

***

 

Il salotto di Villa Stark non era mai in ordine: era facile imbattersi in componenti meccaniche di dubbia origine, congegni non meglio identificati, attrezzi di ogni specie e progetti spiegazzati e abbandonati in luoghi impensabili.

Ma nulla aveva preparato Pepper al caos che la accolse quella mattina non appena mise piede nell'atrio.

Avanzò di qualche passo, chiedendosi quale cataclisma fosse passato o quale scombinata invenzione avesse provocato il disastro che le si parava dinanzi agli occhi: calcinacci in ogni angolo, polvere di gesso e calce che copriva ogni centimetro quadro del pavimento e dei teli che riparavano alla meglio i divani, attrezzi da lavoro pesanti tra i quali un maglio di almeno un metro di lunghezza dall'aria letale, una saldatrice e un martello pneumatico, sacchi di cemento semivuoti che riversavano il loro contenuto sulle piastrelle un tempo immacolate e pericolosi secchi di vernice sparsi un po' ovunque. Un odore pungente di calce e solventi permeava il salone, costringendola a trattenere il respiro per qualche secondo.

E, naturalmente, a fare da sottofondo a tutto ciò e in perfetta armonia con il caos imperante vi era la musica assordante dell'ennesimo assolo degli AC/DC.

In quella babele, distinse finalmente quella che sembrava un'evidente modifica della planimetria della villa: una parete di vetro occupava ora lo spazio libero sopra le scale del laboratorio e, davanti ad essa, era stata ricavata una specie di piccola conca. Accanto vi era adesso una piattaforma circolare leggermente rialzata rispetto al pavimento, livellata e riempita per metà di cemento in via d'asciugatura.

Pepper corrugò le sopracciglia, chiedendosi per quale motivo Tony continuasse a buttare giù pareti, aggiungere stanze e creare terrazze senza che lei ne sapesse assolutamente nulla. E a tempo record, per giunta. Doveva essere rimasto sveglio tutta la notte per realizzare tutto ciò.

L'autore dell'inatteso cambiamento sbucò finalmente dalle scale, con un voluminoso sacco di cemento sulle spalle e un secchio d'acqua in mano. Indossava dei pantaloni da lavoro e una canotta nera, entrambi ricoperti di calce e polvere così come le braccia e gli occhiali protettivi, ma lui non parve curarsi del suo aspetto e la salutò con un sorriso naturale, come se non stesse mettendo a soqquadro casa per l'ennesima volta e fosse vestito di tutto punto.

«Salve, signorina Potts,» esordì, gettando con uno sbuffo il pesante sacco accanto alla piattaforma e poggiando anche il secchio con un tonfo distorto.

«Buongiorno,» rispose lei, un po' rigida. «Posso chiederle il motivo di questo...»

"Macello," pensò.

«... cambiamento?» disse, accennando al caos che li circondava.

«È casa mia. Ho bisogno di un motivo?» ribatté lui con semplicità e un sorriso insolente, facendo scivolare via gli occhiali protettivi dal volto e lasciandoli penzoloni al collo. «In realtà volevo rinnovare un po' l'arredamento,» aggiunse poi in tono più accomodante, avvicinandosi al tavolino sul quale erano sparsi decine di fogli e prendendone uno a colpo sicuro.

Lo porse a Pepper, incrociando poi le braccia in attesa. La donna scosse la testa prima di iniziare a leggere quella che era una corposa lista alla quale avrebbe dovuto probabilmente provvedere lei, chiedendosi se si sarebbe mai abituata alle stravaganze del suo ingestibile ed eccentrico datore di lavoro.

«Ghiaia,» lesse perplessa. «In salotto?»

«È per la cascata che sarà lì.» 

Tony indicò la parete di vetro e la piccola vasca ai suoi piedi. Pepper evitò di far notare l'opinabilità di piazzare una cascata in salotto, così continuò a scorrere la lista.

«Una statua. Cosa intende con "una" statua?»

«È lei l'esperta d'arte moderna: trovi qualcosa che stia bene sulla ghiaia davanti alla futura cascata,» ribatté lui, scandendo la frase con sicurezza.

«Marmo e parquet?» un sopracciglio di Pepper scomparve sotto la frangetta.

«Il parquet sulla piattaforma, il marmo sui gradini della piattaforma e per il resto del salone.»

Quando entrambe le sopracciglia della donna divennero invisibili, Tony trattenne una risatina e aggiunse:

«Stia tranquilla, ci penserò io: non avrà operai rumorosi e fastidiosi in giro per casa. Anche perché non li sopporterei io stesso,» affermò, ignaro che probabilmente sarebbe stato lui a fare più confusione e a combinare più disastri di un intero cantiere edile.

Pepper sospirò esasperata e lesse l'ultima voce della lista:

«Un pianoforte.»

Stavolta Tony rimase in silenzio e sfuggì il suo sguardo. La donna lo fissò brevemente, ricordando la discussione del giorno prima e ritenendola una coincidenza un po' troppo improbabile per essere tale.

«Che modello?» chiese la donna, prevedendo già di dover passare ore al telefono con un negozio di strumenti musicali nel tentativo di capire cosa volesse il miliardario.

L'uomo esitò, poi si riprese e disse sicuro:

«Un Blüthner a mezza coda.»

Pepper lo fissò perplessa e sorpresa, spostando poi lo sguardo verso la piccola piattaforma dinanzi alla vetrata. Spostò di nuovo le iridi chiare nelle sue e vi lesse un misto di malinconia e aspettativa.

«Un pianoforte?» ripeté, incerta.

«Sì. Perché no?» rispose lui, facendo un sorriso un po' sghembo, e i suoi occhi brillarono, come accesi da ricordi lontani e luminosi.

 

***

 

Era una pessima idea, decretò Tony nel momento stesso in cui si sedette al pianoforte.

Rimase una buona manciata di minuti a fissare il suo riflesso sulla superficie nera e splendente, chiedendosi quale strana sequenza di eventi l'avesse portato ad essere seduto là davanti.

Si guardò intorno nervoso, spaziando sul salotto rimesso a nuovo dopo un paio di mesi di assiduo lavoro e altrettante assidue lamentele di Pepper, che mal sopportava la sua mania di sconvolgere la villa perlomeno un paio di volte l'anno rendendola un campo di battaglia. Il pensiero non lo distrasse a lungo, perché tornò a fissarsi le mani e poi di nuovo lo strumento.

Infine si decise a schiudere il copri-tastiera, timoroso, aspettando con angoscia che ricordi dolorosi tornassero a tormentarlo. Non successe. Sentì solo un senso di vaga nostalgia nel vedere i tasti immacolati, ma ancora non riusciva a posarvi le dita.

Non era mai stato particolarmente talentuoso, di questo si rendeva ben conto, e il timore di aver perso anche quel briciolo di abilità conquistato negli anni tra un'invenzione, un progetto e le ore passate in laboratorio lo bloccava totalmente.

Strinse i pugni, dandosi dell'idiota, poi tentò cauto un semplice accordo, che risuonò cristallino nel salone.

Era sempre quel primo accordo, l'unico che probabilmente non avrebbe mai dimenticato. Provò a continuare, esitante, aggiungendo con lentezza anche l'altra mano e rendendosi conto di ricordare quella sonata, sì, ma con difficoltà ed incertezza.

Improvvisamente dimentico di tutte le sue ansie, si lasciò semplicemente guidare dal desiderio di suonare ancora, cominciando a ricostruire con lentezza quella complessa melodia e il legame che aveva perduto con lo strumento, ma che sentiva di poter forse recuperare.

Dopo interi minuti passati sulle prime battute, le rifece da capo con più sicurezza, richiamando poi anche il resto, sempre con gesti misurati ed esitanti, cercando di suonare il più piano possibile.

Si fermò solo dopo un tempo che non seppe definire, e lasciò che il silenzio smorzasse quelle note tremolanti e stentate che gli avevano però scaldato l'animo.

«Non l'avevo mai sentita suonare.»

Tony sobbalzò e si voltò di scatto, staccando all'istante le mani dalla tastiera come se fosse stato colto in flagrante sul luogo di un delitto. Pepper era sulla soglia del rinnovato salone, con un'espressione palesemente meravigliata.

Dopo aver preso coscienza di essere nella situazione più imbarazzante della sua vita, almeno secondo i suoi parametri, cercò di riassumere un contegno. Ricambiò con un sorrisetto un po' incerto, e vagliò mentalmente ogni spiegazione o scusa per giustificare quel che stava facendo, prima di rinunciare, e rispondere a bassa voce.

«Non lo faccio spesso,» disse a mo' di scusa, chiedendosi da quanto tempo fosse in ascolto e avvertendo una vaga sensazione di deja-vù.

«È tanto che è qui?» chiese subito dopo, un po' ansioso, guardandosi intorno alla ricerca di una provvidenziale via di fuga.

Pepper rise con leggerezza e si avvicinò con la consueta eleganza, fermandosi ai piedi dei gradini e fissandolo con occhi che non riuscivano del tutto a celare il suo stupore.

«Qualche minuto,» rispose, e rimase decisamente stupita dal vago rossore che gli colorò le guance.

Mai si sarebbe aspettata di vedere Tony Stark arrossire.

«Non suono da quasi diciott'anni,» butto lì lui come a giustificarsi, agitandosi sullo sgabello e abbassando lo sguardo.

Quando lo rialzò, notò perplesso che un sorriso gentile le attraversava il volto.

«Dovrebbe farlo più spesso,» commentò con semplicità.

Stavolta anche lui fu contagiato dal sorriso e lo mascherò con una smorfia scettica.

«Dice? Sono molte cose, tra cui un ingegnere, un meccanico, un informatico e un genio, ma non un pianista,» commentò Tony, improvvisamente a disagio e facendo incredibile – e personale – uso della modestia, qualità della quale Pepper dubitava conoscesse l'esistenza.

Rimase in silenzio un po' troppo a lungo, non sapendo se dovesse smentire o confermare quell'affermazione: da quel che aveva sentito, non era decisamente un pianista, ma non poteva neanche dire che fosse un disastro completo. Optò per una risposta neutra, sperando che il suo ego non ne uscisse troppo malconcio.

«Ha detto lei che non suona da molti anni.»

«È un modo carino per dirmi che sono una schiappa?» fece una smorfia fingendosi offeso, per poi concedersi una risatina nel vedere la sua espressione impacciata. «Mi serve un po' d'esercizio,» ammise infine con un sospiro.

Aveva davvero voglia di suonare in quel momento, anche perché l'imminente viaggio d'affari in Medio Oriente lo avrebbe probabilmente tenuto lontano per un paio di settimane e temeva di perdere la poca determinazione che sentiva adesso.

«La lascio solo, allora,» dichiarò Pepper, sentendosi improvvisamente di troppo.

Non coglieva con esattezza le dinamiche di quella situazione, ma aveva intuito abbastanza per capire che Tony non avrebbe voluto che quell'inaspettato lato della sua personalità venisse allo scoperto, soprattutto non davanti a qualcuno.

«No, rimanga.» 

La voce di Tony risuonò stranamente incerta. Pepper, già in procinto di andarsene, si fermò interdetta, fissando il volto di Tony adesso acceso da una luce vivace.

«Mi serve un pubblico. O meglio, qualcuno che mi applauda nonostante la mia discutibile esibizione,» aggiunse poi, invitandola a raggiungerlo al piano con un gesto spigliato, facendole posto sul sedile.

Pepper diventò all'incirca del colore dei suoi capelli, ma salì con passo sicuro i gradini del piccolo palco e si affiancò dubbiosa a lui, per poi sedersi esitante sul lato libero dello sgabello. Tony dovette accorgersi del suo imbarazzo, perché ammiccò con aria giocosa, facendo sì che la sfumatura scarlatta delle sua guance virasse su un più deciso bordò.

«Come mai così tesa? Eppure la musica classica dovrebbe rilassare.»

Pepper gli lanciò un'occhiata vagamente omicida: Tony stava decisamente approfittando della sua pazienza.

«Non doveva esercitarsi, lei?» lo rimbeccò, suo malgrado divertita.

Il miliardario obbedì all'istante, portando le mani sulla tastiera e strappandole con decisione un accordo che risuonò palesemente stonato. Il suo sorrisetto trionfante s'incrinò appena.

«Ok. Questo è più difficile che riparare auto.»

Pepper non commentò, limitandosi a rivolgergli uno sguardo incoraggiante. In realtà era più concentrata ad osservare le mani dell'uomo che si muovevano incerte sui tasti, ma con una certa eleganza.

Nonostante Tony passasse più o meno tre quarti della sua giornata in laboratorio, tra saldatrici, olio per motori, grasso e chissà quali sostanze chimiche, le sue mani erano sempre perfettamente pulite e curate, e Pepper pensò tra sé che in quel momento, coi palmi segnati da calletti e scottature nascosti, sembravano proprio quelle di un pianista.

Era uno spettacolo insolito vedere Tony Stark in difficoltà, ma contrariamente a quanto potesse far credere il suo carattere difficile non si scoraggiò, limitandosi a lanciare qualche imprecazione soffocata quando sbagliava o non riusciva a ricordare il tema, rifiutandosi inoltre di chiedere aiuto a JARVIS per recuperarlo.

Pepper non osò parlare per non interrompere la sua concentrazione, ma ogni tanto era lui a voltarsi verso di lei come in cerca di sostegno, per poi riprendere a suonare con un lieve sorriso sulle labbra.

«Che pezzo è?» si decise poi a chiedere la donna, durante una breve pausa in cui Tony aveva l'aria di combattuto contro un esercito di barbari, invece di aver semplicemente suonato parte di un adagio.

«"Primavera". È una sonata di Beethoven,» rispose lui, un po' distratto, preso a visualizzare mentalmente lo spartito per ricordarne le note. «È uno degli ultimi pezzi che ho imparato, e penso anche di capirne il perché: me lo ricordavo più semplice,» commentò, pestando l'ennesimo tasto sbagliato con una smorfia. «Non sono mai riuscito a suonarlo come mia madre,» aggiunse, un po' più mestamente.

Pepper si accigliò appena, intravedendo il motivo di tutta quella segretezza e titubanza nel mostrare quel lato di sé. Lui le rivolse uno sguardo fugace, forse rendendosi conto in quel momento di aver parlato ad alta voce, poi sospirò, senza smettere di suonare. Incontrò i suoi occhi limpidi e comprensivi e strinse le labbra, traendo un altro respiro profondo.

«Non so esattamente perché decise di insegnarmi a suonare seriamente. Forse perché era l'unico modo per tirarmi fuori dal laboratorio ed evitare che facessi infuriare mio padre.» 

Le sue mani non si staccarono dal piano mentre parlava, muovendosi persino con più sicurezza e fluidità. Intravide Pepper che ascoltava assorta e continuò con più sicurezza.

«In realtà a lui non importava molto che suonassi, bastava che non lo facessi in sua presenza, né in presenza d'altri. Credo lo ritenesse un qualcosa di inutile, inadatto a chi secondo le sue aspettative era destinato a dirigere le Stark Industries e a seguire le sue orme,» disse tutto d'un fiato, camuffando la sua rabbia dietro un velo d'indifferenza che si riversò in un paio di accentature un po' più veementi sulle note. «Poi i miei... se ne andarono. E io non sono più riuscito a suonare e sono passato a musica più... dinamica.» 

Fece un mezzo sorriso addolorato, ritraendo improvvisamente le mani dalla tastiera. Scosse leggermente la testa, improvvisamente confuso.

«Non so perché proprio adesso,» si schermì, sbuffando appena. «Ma voglio suonare. Di nuovo,» aggiunse, squadrando incerto la sua reazione. «È strano?» le chiese poi, alzando un sopracciglio.

Pepper voltò il capo, scuotendo appena la testa.

«No, non è strano. È inaspettato,» disse poi dolcemente, tornando a guardarlo. 

Vide il volto di Tony farsi incredulo, per poi aprirsi un un'espressione grata che gli addolcì le iridi nocciola. La guardò a lungo senza parlare, come se stesse cercando qualcosa da dire senza riuscirvi.

«Dopo tutti questi anni non si è ancora abituata?» commentò infine fintamente contrariato, regalandole un ghigno sfacciato e posando le dita sul piano con nuova sicurezza e pensieri più sereni, mentre Pepper ascoltava e lo osservava rapita.

«Questo non vuol dire che smetterò di tormentarla con del sano rock durante le sue ore lavorative,» disse all'improvviso l'uomo, sfoggiando un sorrisetto soddisfatto.

«Avrà modo di farsi perdonare,» buttò lì Pepper, con fare misterioso.

Tony la guardò, improvvisamente interessato.

«Posso forse cavarmela annullandole tutte le riunioni per un mese? O vuole forse chiedere qualcos'altro?» chiese, con una punta di malizia.

Pepper ignorò le sue solite avances spudorate e rispose tranquilla:

«No, accompagnandomi finalmente a un concerto,» lo sorprese, facendo però comparire un brillio di felicità nei suoi occhi. «Almeno adesso non ha più scuse per corrompere l'orchestra.[1]»

Tony scoppiò a ridere, fissandola con aria di sfida e un sogghigno furbo.

«Vedremo.»

E poi l'unica voce che rimase a colmare il salone fu quella del pianoforte.


 



 
~





Note Dell'Autrice:

Salve a tutti!
Tanto per cominciare io... no, non ho sinceramente idea di cosa ho scritto. Potrei passare ore a tentare di spiegare come quest'idea malsana si sia insinuata nella mia mente, ma mi limiterò a dire che è una specie di vendetta (?) per la discutibile musica presente nell'ultimo film di Iron Man. Come infatti sa più o meno mezzo fandom -o almeno la piccola parte che mi segue assiduamente e a cui ho rotto immensamente le palle a proposito-, la mancanza del caro e vecchio Rock 'N' Roll non m'è andata particolarmente a genio, e così ho scritto 'sta cosa. No, la connessione logica in realtà non c'è, ma diamola per buona. Oltre a ciò, l'idea di Tony "pianista" m'era sempre garbata assai, ed essendo il suo pianoforte l'Amore -no, davvero, lo voglio in salotto-, ho finalmente deciso di dare libero sfogo al Light-verse in cui il caro e fin troppo tormentato Tony strimpella allegramente. Come unica spiegazione al fatto che non lo si vede mai suonare nei film, ho inserito un accenno al "viaggio d'affari in Medio Oriente". Eh, già, quel viaggio. Immagino che poi il caro Tony non abbia più avuto molta voglia di suonare... quanto, quanto posso esse cattiva? *fischietta*
Non nego che qua dentro ci sia molto di personale, infatti stavo per mettere OOC negli avvertimenti, ma poi ho deciso di affidarmi al fato e alle improbabili recensioni. Mi preparo al lancio di ortaggi.

Ultimissime precisazioni, poi la smetto di rompere l'anima: sono seriamente innamorata della Sonata N°5 di Beethoven, nonostante in realtà sia per pianoforte e violino e non un pezzo da solista; visto che l'adoro, l'ho piazzata nella storia facendo probabilmente rivoltare nella tomba il povero Ludwig. Infine, anche tutti i brani citati -tra i quali non figurano volontariamente i soliti Back In Black e Iron Man ché mi son assai stancata di veder nominare solo quelli come se fossero gli unici esistenti- fanno parte dei favoriti della sottoscritta e non scherzo quando dico che ho iniziato ad ascoltare gli AC/DC dopo aver visto il primo film di IM. Ne consiglio l'ascolto durante la lettura perché gasano non poco. Credo che io e Tony andremmo parecchio d'accordo riguardo alla musica... *fantasie mentali*
Edit: tutto ciò è stato scritto prima che Civil War vedesse la luce. Diciamo che in seguito ho avuto un micro-infarto nel vedere la scena di Maria che suona il pianoforte e ho avuto la tentazione di chiedere i diritti ai Fratelli Russo :'D
Basta così, mi dileguo.

Ringrazio chiunque passerà di qui e leggerà/recensirà, e un grazie enorme alla mia beta JuliaSnape che ho assillato per giorni con questa shot turbando probabilmente a vita le sue notti. Ti voglio bene <3


-Light-


P.s. La battuta finale sul concerto fa riferimento a un episodio che per ora esiste solo nella mia fantasia, giusto per chiarire che, no, non vi siete persi niente e non sto citando eventi "reali". Edit: sorpresa! Adesso questo episodio esiste anche su "carta" e lo trovate qui -> L'Arte dell'Inganno (con Orchestra)
P.p.s. Freddie <3
   
 
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