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Autore: LawrenceTwosomeTime    07/05/2013    1 recensioni
In tempo di crisi, sono poche le persone che possono permettersi di non pensare al domani. Ma Loro fanno parte di quella ristretta cerchia. Almeno finché dura la limonata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce sotto il portico era meravigliosa. Il chiarore del sole, filtrato dalla retinatura in legno, penetrava con una qualità più torbida, insieme alla frescura e all’odore dei tulipani. Era come stare in un minareto: un minareto senza preghiere, toghe o insegnamenti ammorbanti.

“Un altro po’ di limonata?”
“Si, grazie”

Erano giunti da lontano, tutti loro. Beh, tutti tranne Asmodeo, l’ospite. Voleva essere un degno anfitrione, a un tempo cicisbeo e pigmalione.
Erano lì per suonare. Il concerto di protesta non era che una scusa per ritrovarsi; tanto meglio se a casa sua, una casa così grande (e vuota) che spesso si scopriva a desiderare di incontrare qualche spettro – un mostro sepolto, un fuoco fatuo… chiunque avesse una bocca per parlare e potesse tenergli compagnia.

Era uno scrittore, un artista rinomato. E solo. Apprezzato in tutto il mondo, capito da tre – forse quattro – persone.
Quelle quattro persone si trovavano nel suo giardino, sedute sotto il portico, rifornite a intervalli regolari da lui stesso. Non perché fossero troppo pigre per muovere un dito: il fatto è che l’atteggiamento zelante e disponibile del padrone di casa riusciva sempre a metterle a disagio. Un tempo veniva criticato per questo; ora i conoscenti ne lodavano la disponibilità e l’altruismo.
Cosa succede quando un uomo ricco e famoso ti versa la limonata? Dev’esserci qualcosa sotto. Si, sono amico suo, pensava il violoncellista; ma perché deve trattarmi come se fossi l’esattore delle tasse?
La pianista, l’unica ragazza del gruppo, aveva fatto uno sforzo in più. Lui era così perché si. Era il suo modo di manifestare empatia.
Il percussionista ridacchiava tra sé. I mafiosi fanno le minacce in tono calmo e compassato (o almeno, se li era sempre figurati così); i politici incalzano la gente come se ne andasse delle loro vite; e lui? Lui li viziava. Aveva paura che se ne andassero.
Il clarinettista non pensava niente di niente, a parte: “Oh, com’è fresca questa limonata! Ci starebbe bene una mozzarellina in carrozza!”

“Volete qualcosa da mangiare?”, chiese lo scrittore, come se gli avesse letto nel pensiero.

Nel giro di poche ore sarebbero andati all’auditorium, e i musicisti avrebbero suonato, e lui avrebbe letto un pezzo di venti pagine che aveva scritto nell’arco di una mattinata, la settimana scorsa. Parlava di sopravvivenza dell’arte in un mondo vivisezionato dai dividendi. "Eppure non è per colpa della disoccupazione se la gente si suicida; non solo, credetemi. Dimenticate le storie, dimenticate il piacere che produce nutrirvi di storie, creare storie a vostra volta; e dimenticherete tutto. In quest’era di crisi, sembra quasi che sia diventato un delitto godersi la vita, le piccole (e le grandi) cose, e poi ciò che c'è di più importante. Essere felici, a prescindere dalle certezze, dalle rate che si accumulano, dalla maternità che tanto tempo prima sembrava davvero una buona idea.
Non c’è coscienza sociale, o forse ce n’è troppa. Chi piange per le foreste pluviali dimentica di innaffiare i ciclamini, e chi se ne sbatte del divieto di fumare non si accorge che la testa gli sta andando a fuoco"

E al diavolo le lagne! Un bel repertorio di Gershwin e via.
Sarebbe stata una serata fantastica.

Certo, è facile predicare quando vivi in una villa grande e vuota con centinaia di ettari di giardino, dove fatuo e frivolo vanno a braccetto, dove ieri e domani si trascinano pigramente in direzioni opposte e grandi artisti che sono diventati grandi per qualche strano scherzo del destino si lasciano intorpidire le membra dal sole, dal profumo dei mughetti e dalla limonata.

Asmodeo era un uomo onesto, per quanto possa esserlo un poeta. Non era mai riuscito ad afferrare del tutto il concetto di "crisi". A lui importava solo leggere e scrivere, e infine leggere; ascoltare buona musica; e far finta di essere "arrivato", che nel gergo della sua professione poteva significare anche "morto".
Era morto il suo corpo, era morta la sua mente, ma lui viveva. E sarebbe vissuto dopo la sua morte. Beveva la limonata per sentirsi più umano.

Pensava al pozzo pieno di terra, alla melma gonfiata dal calore sotterraneo che eruttava bolle viscide e voluttuose, come labbra di una diva in un film degli Anni 50 – lo so, è una metafora disgustosa, per non dire inappropriata, ma che ci posso fare? La voce narrante è subordinata al narrato, e chiunque pensi il contrario non sa quello che dice.
Cosa stavo dicendo?

Oh, giusto: le sudicie bolle come labbra di una zombificata Marilyn Monroe. Attorno crescevano fiori di mille tipologie diverse – immaginatevi una sorta di creatura di Frankenstein vegetale (cioè, non vegetale nel senso che era idiota, ma… avete capito), con le braccia fatte di girasoli, e margherite al posto degli occhi. Un’abnorme complesso vivente proteso verso un'anarchia irraggiungibile.

Le rigogliose sequoie si nutrono dei pensieri di scarto: canti d’amore, moti d’odio e fluttuazioni e costrutti. I rami irradiano canzoni e stillano suoni.

Il violoncellista è proiettato sulle sue dita e sul salario che avrebbero stretto, la pianista sta sognando ali di farfalle. Il percussionista pensa alla pianista.
Il clarinettista vorrebbe un’altra limonata.

Lo scrittore non pensa. Malgrado tutto, è la cosa che gli riesce meglio.
  
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