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Autore: Shichan    15/05/2013    0 recensioni
Se c’è una cosa che ho imparato – qualcosa che tutti sappiamo, ma ci serve inspiegabilmente una conferma per esserne certi – è che persino la persona più coraggiosa o la più arrogante e sicura di sé ha paura della morte.
[WakamatsuSakurai implicito][Hunger Games!Kuroko no Basket]
[Prima classificata al "Kuroko no Basket Contest – Kuroko on AU" indetto da Rota sul Forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Un ringraziamento a Kaoroar per aver disegnato il modello dei vestiti, dando un senso a ciò che c’era/non c’era nella mia testa (ero comunque pronta a vestire tutti da albero o da pannocchia, sì.), e ad Acchan per il betaggio dei primi due capitoli.
Le informazioni sulle piante sono state prese da wikipedia o dal web in generale.
Chiedo venia per la formattazione del testo, se vi appare strana: ancora una volta il mio essere anti-tecnologia ha colpito.

 

 

Se c’è una cosa che ho imparato – qualcosa che tutti sappiamo, ma ci serve inspiegabilmente una conferma per esserne certi – è che persino la persona più coraggiosa o la più arrogante e sicura di sé ha paura della morte.
Su questo non hai più dubbi dopo gli Hunger Games, che tu sia stato un tributo o un semplice spettatore: non importa quanto questo o quel rappresentante del proprio distretto abbia mostrato un’aria sicura durante la Mietitura, alla sfilata o alle interviste.
Ha paura, e sa che c’è solo una minima possibilità che questa, alla fine, si riveli infondata.
L’unica cosa che cambia, è come l’affronti e cosa mostri di te.

 

La Mietitura nel mio distretto non si svolge poi così diversamente rispetto agli altri, ad eccezione del 2 dove si offrono volontari.
Nel Distretto 5 questo non avviene. La piazza principale in cui si svolge ogni anno quest’estrazione, nel suo essere gremita di potenziali tributi e dei loro familiari, è silenziosa come un cimitero. Beh, a modo suo non è un accostamento di immagini sbagliato: chiunque di noi potrebbe essere presto morto.
Una cosa che credo accomuni tutti i distretti, è che quando sei alla Mietitura speri – oltre che di non essere estratto – che ad essere chiamati non siano né i dodicenni, né i diciottenni. Per i più grandi pensi che sì, forse avrebbero più possibilità di sopravvivere, ma sarebbe davvero assurdo averla scampata finora ed essere estratto proprio all’ultimo anno.
Per i più piccoli, invece, ti senti peggio: pensi che non si può avere tanta sfortuna – un solo foglietto tra mille, che scherzo è? –, e che non bisogna prendersi in giro, è raro per non dire impossibile che un dodicenne esca vivo dall’arena. E poi pensi che allora dovresti offrirti volontario, ma mai nessuno a parte un fratello o una sorella potrebbero farlo, e non è detto che accada.
Nessuno ti biasima davvero se non ti offri, perché nessuno ha fretta di farsi uccidere; ma tu sai che potevi garantire al dodicenne almeno un altro anno di vita.
Si può dire che quest’anno abbiamo scampato entrambi i casi, però.
Alexandra Garcìa è salita sul palchetto allestito per l’occasione, ha mostrato il solito video dei Giorni Bui che tutti conosciamo a memoria. Lei non mi dispiace: molti di noi pensano che qualcuno che conosceva abbia partecipato agli Hunger Games, perché non presenzia mai alla Mietitura con l'aria gioviale di chi ti invita ad una festa, com’è tipico dei portavoce di Capitol City.
Lei sta lì, composta, e fa il suo dovere; persino dell’abbigliamento di Capitol, che si sa essere appariscente, ha poco: la cosa che attira di più l’attenzione sono i tatuaggi fini, eleganti e dai motivi floreali che – azzurri come i suoi occhi – le decorano il volto giovane. Anche i capelli lunghi e biondi attirano l’attenzione, ma non si capisce bene se si tratti di una parrucca o meno. Io credo di no: è già molto bella, non ne ha bisogno.
Dopo l’inno si muove verso l’urna che ospita i nomi e li estrae; così ha fatto anche quest’anno: «Izuki Shun.» è stato il primo «Takao Kazunari.» il secondo.
L’unica cosa del protocollo che ha mantenuto è stata la frase di rito a chiusura del tutto: «Felici Hunger Games. E possa la buona sorte essere sempre con voi.»
Izuki ed io abbiamo rispettivamente diciassette e sedici anni quindi, com’è ovvio, non ci sono stati volontari.
Dopo che il tuo nome viene chiamato, non hai tempo di salutare i tuoi cari, non subito: Alexandra e i Pacificatori ti portano via e ti chiudono in una stanza; solo, naturalmente. Come se non ci fosse già abbastanza sconforto.
Ho perso di vista Shun quando lo hanno fatto entrare nella sua, e dopo pochi passi a me è toccato lo stesso: non mi ricordo nemmeno che mobili arredavano la stanza, per la verità. Pensavo al fatto che in breve la porta, aprendosi, avrebbe rivelato la mia famiglia e che quest’ultima conta mio padre, mia madre e mia sorella minore. Abbiamo fatto un patto, io e lei, quando i suoi dodici anni l’hanno decretata ennesima potenziale vittima dei giochi: chi resta, dei due, deve tenere su la famiglia.
Non ha pianto, quando è entrata: aveva gli occhi gonfi di lacrime mal celate ma è stata brava, e ha stretto la mano della mamma. Papà mi ha abbracciato: «Torna.» ha detto.
«Ci provo.» gli ho risposto abbozzando un sorriso. Non me la sono sentita di promettere o giurare.
Ho abbracciato mia madre e mia sorella più forte che ho potuto, e l’unica cosa che ho promesso è stata: «Sarò sempre Kazunari.» che, vigliaccamente, vuol dire tante cose.
“Lo sarò anche nell’arena”, “lo sarò anche da vincitore”, “lo sarò anche da morto”.
Ho capito che, insieme a loro, veniva portata via anche la madre di Izuki perché quando i Pacificatori hanno aperto la porta l’ho sentita, disperata, nel corridoio.
La madre di Shun non ha che il figlio, ancora vivo.
Mi sono chiesto come si faccia, dopo grida del genere e sapendo cose simili, ad uccidere il tributo del tuo stesso distretto.
Quando Alexandra Garcìa è venuta a prenderci non ha detto nulla e ha mantenuto un’espressione compassata; dall’occhiata che ci siamo scambiati io e Izuki era chiaro che nessuno dei due sapesse se fosse un suo atteggiamento tipico o per via dei Pacificatori che erano con noi.

 

 

Il viaggio verso Capitol City viene generalmente sfruttato per le prime tattiche, il che è il principale motivo per cui da subito ti dovrebbero presentare il mentore che cercherà di venderti al pubblico meglio che può – il che significa cercare di tenerti in vita più a lungo possibile.
Tanto più il tuo distretto è distante, più lungo è il viaggio e maggiore il tempo a tua disposizione prima che tu finisca in pasto al pubblico di Capitol. Il 5 si trova esattamente a metà strada, e il fatto che sia più vicino di altri – come il 12 o il 9 – sembrava aver convinto Alexandra a presentarci il nostro mentore il prima possibile. Quando Kiyoshi Miyaji ci si era presentato davanti, il mio primo pensiero era stato: ci ucciderà lui nel sonno, altro che Hunger Games.
Non è che fosse una brutta persona, ma era l’esempio peggiore di cosa ti fanno i giochi: da quando aveva vinto la sua edizione ne era tornato distrutto in tutti i modi possibili. All’aver tentato di uccidere altre persone per sopravvivere si era aggiunto aver dovuto abbandonare l’altro tributo del 5; non ho mai saputo l’intera storia, ma so per certo che erano amici. Tornato al distretto si è auto recluso nel villaggio dei Vincitori: parla con le persone che incrocia, ma non è più in grado né di sorridere, né di essere gentile, nemmeno con i bambini.
C’è chi l’ha sentito imprecare apertamente contro Capitol, qualcuno ci ha detto che è stato quando gli hanno detto che sarebbe divenuto mentore.
«È questo che fanno i giochi.» aveva detto mio padre una volta, quando commentai che non poteva prendersela persino con i bambini «se anche torni fisicamente sano e salvo, non è detto che tu sia davvero vivo. Né che ti lascino sopravvivere.»
Ora penso di capire cosa volesse dire.

 

 

Dal momento in cui siamo arrivati a Capitol City fino a quando non siamo stati rimessi uno di fronte all’altro prima della sfilata dei tributi, io e Shun avevamo avuto modo di capire che rispetto a tutte le altre volte che avevamo visto la capitale tramite i passati Hunger Games, la realtà era tutt’altra cosa: colorata, certo, e lussuosa ovviamente. Ma esageratamente, in un modo che non ti permette di guardarla a lungo.
È boriosa, sciocca e ridicola; tu la guardi e pensi… che stai andando a morire per il divertimento di questo tipo di persone. Non è qualcosa che puoi spiegare o capire da uno schermo.
La sfilata, come ci aveva spiegato Alexandra, è il primo impatto con il pubblico e tanto più forte è, meglio è; per questo ci ha tenuto a sottolineare l’importanza degli stilisti. Non ho inquadrato quello di Izuki finché non ci siamo visti alla sfilata, mentre il mio è qualcuno che Alexandra conosce da un sacco di tempo per quel che ho capito – si sono salutati calorosamente, e lui ha parlato un po’ di lei mentre eravamo insieme.
Non sono riuscito ad inquadrarlo completamente, Tatsuya: è abbastanza pacato e sorprendentemente “normale” – per lo standard di Capitol – da risultare indecifrabile per una conoscenza superficiale.
Forse ha letto sulla mia faccia questa perplessità, o così mi era sembrato mentre si occupava personalmente di farmi indossare il costume scelto.
«Sembri sorpreso da qualcosa che non ha a che vedere con i giochi.» ha detto con un sorriso.
«Sembrate più normali di quanto credevo possibile, tu e Alexandra.» ho risposto, e se hanno trasmesso anche questo, mio padre deve avermi dato del pazzo suicida: non critichi Capitol City se vuoi almeno provare a sopravvivere. Ma Tatsuya ha sorriso.
«Alex ha perso tanto negli Hunger Games. Io e lei siamo amici.»
Non ho capito subito cosa intendesse, poi ho saputo che una persona a lei cara è rimasta uccisa nei giochi; si trattava del tributo che Miyaji ha dovuto abbandonare nell’edizione che ha vinto.
Capitol City fa anche questo: ti distrugge e poi ti fa guidare altri tributi verso la distruzione affidandoti un ruolo importante – mentore, stilista, non fa differenza per loro probabilmente.

 

 

La sfilata dei tributi ti fa sentire come un animale in gabbia, e al tempo stesso oggetto da esposizione. I nostri stilisti hanno fatto un lavoro tale che non importa quanto tu sia vittima, non è semplicemente possibile non restare a bocca aperta almeno per qualche istante.
Sembra che almeno dal punto di vista del vestiario siamo stati fortunati con questa edizione: almeno non siamo vestiti da albero – non lo saremmo stati comunque, quel destino sarebbe potuto toccare al 7, ma il senso è comunque quello. Poteva andare molto peggio.
Per la sfilata siamo stati ripuliti da cima a fondo: il nostro distretto non è particolarmente povero, o sarebbe meglio dire che ce ne sono molti messi davvero peggio di noi come l’11 o il 12. Tuttavia siamo anche abbastanza lontani dal lusso dell’1 o del 2, poco ma sicuro. Quando parlo, quindi, di “darci una ripulita” non sto parlando di un semplice lavarci il viso e dare un senso ai capelli come si potrebbe pensare. Veniamo trattati da vip, ma in realtà tutto somiglia più a come un negoziante lucida al meglio la sua merce perché i clienti la trovino buona abbastanza da pagare per essa.
Lo staff personale di Tatsuya mi ha lavato, raschiato e privato di ogni tipo di pelo potesse essere cresciuto in sedici anni di vita sul mio corpo; pensavo che fosse il tipo di trattamento rivolto solo alle donne – effettivamente non sono in molti a preferire una ragazza pelosa, ecco – ma evidentemente mi sbagliavo, e di molto. O almeno, a Capitol City pare che non ci siano sessisti per quanto concerne il culto del bello e la pulizia e perfezione estetica.
I miei polpacci avrebbero da ridire, ma come ha detto Alexandra, non è saggio andare contro le disposizioni di uno stilista che a conti fatti ha interesse nella tua vittoria.
Vorrei sapere chi non ne ha.
Dopo ore che mi sono sembrate di poco distanti dalla semplice tortura mi sono ritrovato con la pelle più liscia di come l’avevo appena nato probabilmente; mi aspettavo un trattamento simile anche per i capelli e c’è stato un momento in cui ho temuto seriamente che uno dello staff volesse truccarmi come una donna – con la differenza che ad una ragazza dona avere il viso truccato, anche negli eccessi di Capitol… ad un ragazzo ne dubito fortemente. Non so quanto dei ghirigori rosa sul viso mi donerebbero l’apparenza di un avversario temibile nell’arena.
Fortunatamente sia io che Shun siamo stati risparmiati: i nostri capelli sono stati puliti con saponi profumati, pettinati ed acconciati poco rispetto alla vasta gamma di opzioni di cui lo staff era sicuramente dotato.
Siamo stati vestiti separatamente, così come divisi siamo stati per tutto il tempo della preparazione; quando Tatsuya mi ha permesso di vedere allo specchio il prodotto finale la mia espressione non deve essere stata delle più intelligenti. Ha riso: «Qualcosa di strano?» ha chiesto divertito.
«Eh? Strano? No, piuttosto… cioè…» il termine esatto sarebbe per lo più “dialettale”, un modo che abbiamo tra i ragazzi del 5, un paragone strettamente legato a quel che caratterizza il nostro Distretto, l’energia. E ad essa è collegato il vestito che – come ho scoperto una volta riunito a Shun per prendere posizione – fa da compagno a quello di Izuki.
«Come ti è venuto in mente?» è stata l’unica cosa che ho potuto chiedere perché, davvero, a me non sarebbe mai venuta un’idea del genere.
L’abito mio e di Izuki non è, di per sé, qualcosa di strabiliante; sarebbe anche abbastanza strano senza il suo pezzo forte: abbiamo una maglia nera di una semplicità quasi fuori posto per il luogo in cui siamo, mentre i pantaloni sono chiari ma ci fanno sembrare qualcosa di abbastanza contorto da comprendere, visto che ad una prima occhiata sembra che – in un raptus di follia latente – Tatsuya abbia dovuto coprire dei difetti con dei piccoli vetri di forma quadrata che non paiono avere senso di esistere.
Questo se si ignora quello che io stesso ho scambiato per una pettorina in metallo di terza categoria, per di più con un foro al centro.
Sono abbastanza sicuro che i più anziani del nostro Distretto abbiano riconosciuto ad una prima occhiata ciò che occupava quel foro; quanto a me e Shun lo avremo visto una, forse due volte su qualche libro scolastico, ma è raro da trovare in questa forma.
Nel momento in cui ci siamo ritrovati nell’area dove i tributi vengono caricati sulle bighe per poi uscire nell’ordine di numero del proprio distretto, Tatsuya ci sorride mentre lo stilista di Izuki si occupa di scambiare impressioni con alcuni colleghi – “sta vendendo l’idea prima ancora che vi vedano”, ci ha spiegato Himuro.
«Nell’attesa, guardatevi intorno.» ci ha consigliato invece Alexandra, che ho visto sorridere in un cenno d’intesa con Tatsuya per la prima volta «Non avrete molte occasioni per farvi un’idea degli altri tributi senza che questi stiano cercando di uccidervi.» ha aggiunto. Non proprio rassicurante, ma saggio.
Ci sono alcuni che hanno attirato l’attenzione più di altri.
I primi, forse perché più vicini, sono stati i due del Distretto 4: la cosa che mi ha colpito di più è stata la differenza di corporatura a dir poco evidente fra loro. Sarà perché io e Izuki non abbiamo mai differito tanto l’uno dall’altro ma, insieme all’atteggiamento diametralmente opposto, è stato quasi lampante quanto male assortita sembri la loro combinazione – per quanto di certo non decisa da loro ma dalla sfortuna, come per tutti noi.
Quello che sembra più robusto e sicuro supera l’altro di tutta la testa e forse anche qualcosa di più; ha i capelli biondi e corti e lo sguardo di chi reputa tutto quello un seccatura immane. Il piccoletto invece sembra solo terrorizzato, e non ha tutti i torti credo: ha i capelli castani e l’aria di chi vorrebbe solo sparire.
I loro abiti sono praticamente complementari e rendono facile riconoscere da dove vengono: pantaloni blu scuro e semplici, maglia che ricorda una rete, un giacchetto di una stoffa sull’azzurrino, che stacca un po’ dal blu ma non abbastanza da risultare sgargiante. Acqua è l’associazione di idee ovvia quando li guardi, e la rete richiama di certo la pesca, attività principale del 4.
«Wakamatsu e Sakurai, Distretto 4.» ha confermato Alexandra, ma non ha aggiunto nulla sulle capacità; avremo tempo per le strategie.
Altri attirano la mia attenzione sommariamente: un ragazzo moro del 7 che sembra tutto fuorché felice del compagno che si è ritrovato, un piccoletto che mi fa sussultare quando mi passa alle spalle per raggiungere la sua biga senza che io lo abbia minimamente notato prima di quel momento, un ragazzo massiccio e che sta imprecando proprio contro quello che credo sia il suo stilista – visto il terrificante richiamo del suo abito al frumento sospetto sia del 9 – e la coppia di tributi dell’11, riconoscibili per la carnagione scura.
Tuttavia sono due quelli su cui mi soffermo nel particolare al pari del 4: il primo me lo fa notare Shun, e sebbene in un primo momento io abbia pensato che fosse perché il compare aveva capelli chiari al punto da attirare l’attenzione, non ho potuto non ricredermi quando l’ho inquadrato davvero.
Alto. Ma non come quello del 10, che non è proprio piccolo. Questo è gigantesco, se non supera i due metri io posso direttamente suicidarmi prima di entrare nell’arena.
Visti gli abiti sporcati volutamente di carbone penso sia quasi certo si tratti della coppia del 12, e prontamente Alexandra me lo conferma con un semplice e sbrigativo: «Murasakibara Atsushi, Distretto 12. L’altro si chiama Haizaki.»
Beh, mi dispiace per Haizaki, perché io non vorrei dormire nello stesso appartamento con la consapevolezza che una volta nell’arena sarò forse il primo che punterà. Nonostante l'ovvio riferimento all'attività del Distretto, comunque, indossano abiti più decenti delle precedenti edizioni: scuri, certo, e stracciati a sicuro richiamo dello stato di povertà e di lavoro estremamente grezzo, ma su più di due metri di persona dubito che qualcosa di elegante o colorato avrebbe donato. Gli abiti strappati in alcuni punti strategici, come ai bordi delle maniche larghe o a quelli della sciarpa lunga che ha attorno al collo – unica differenza sostanziale dalla mise di Haizaki – rendono, invece, l’idea di persona che non si fermerà in un’arena solo perché rischia di sporcarsi le mani come si potrebbe pensare del piccolo del 4, Sakurai.
L’ultimo che attira la mia attenzione è un ragazzo non troppo distante da noi, che se ne sta già al suo posto sulla biga, l’aria per nulla turbata nonostante sia evidente quanta poca voglia abbia di sentire le chiacchiere in cui si sta perdendo il suo compagno. La cosa strana di quei due è che evidentemente stanno avendo una conversazione – passiva da parte del più alto, ma meglio di nulla – ma entrambi non sembrano davvero interessati a farsi capire o ad ascoltare seriamente.
«Che merda di vestiti, poi.» è la frase che riesco a cogliere prima di vedere il moro scendere dalla biga e dirigersi verso lo stilista che, c’è da dirlo, deve aver sbagliato qualcosa.
«E quelli?» chiedo a Tatsuya, che non sa altro se non che sono del 3 e che poi sparisce a cercare Alexandra, di certo più informata di lui in merito. Nel tempo che lei impiega a tornare dal punto in cui stava parlando con Miyaji, ho modo di osservare i loro costumi e provare a capire cosa deve aver voluto fare lo stilista: forse voleva richiamare i colori di un’esplosione e al tempo stesso l’essenza della meccanica che è parte dell’attività principale del 3. Fatto sta che avergli messo addosso una specie di tutina intera arancione con linee che sembrano richiamare un circuito elettrico è stata a suo modo catastrofica; non la peggiore che si veda ma che non aiuta, soprattutto il tributo silenzioso e con gli occhiali il cui colore di capelli non si accosta affatto bene a quello del costume.
«Midorima Shintarou e Hanamiya Makoto.» ci informa Alexandra quando torna.
Poi non c’è più tempo, e saliamo anche noi sulla biga.

 

 

Quando il mio nome viene chiamato dall’intervistatore, mi avvio verso il palco scenico e ho a malapena il tempo di incrociare Izuki che sta tornando giù avendo appena finito; non è stata una brutta prova la sua.
I tributi prima di lui ci hanno permesso di farci un’idea su cosa dobbiamo aspettarci nell’arena, cosa che io e Shun vorremmo evitare di fare.
Distretto 1, Reo è quello che ci è rimasto più impresso: ha un modo educato e affabile di parlare, il che non fa ben sperare su che razza di persona si possa dimostrare con in mano un’arma. Il compagno sembrava più impegnato a preoccuparsi per lui che di tutti gli altri tributi avversari.
Distretto 2, due armadi che non sarà un bene se finiranno con l’allearsi tra loro: non sembrano particolarmente intelligenti, ma non sembra nemmeno che gli serva un elevato quoziente intellettivo per metterne al tappeto almeno cinque di noi.
Distretto 3, Shinchan e occhi-cattivi (Hanamiya). Ho cominciato ad affibbiargli soprannomi nella speranza di non iniziare a considerarmi spacciato ancor prima di salire sul palco: non sembra che Shinchan e occhi-cattivi collaboreranno – il primo è un fanatico della Dea della Fortuna e convinto che il suo favore gli permetterà di non morire in arena, il secondo sembra fuori di testa abbastanza da piazzare una bomba sotto il letto del suo compagno, se questo gli bastasse ad eliminare in anticipo anche solo un esponente della concorrenza. Sembra furbo e non è un bene.
Distretto 4, il gigante e il bambino: Wakamatsu ha detto poche parole, e fra queste c’era la sua intenzione a non far morire il suo compagno. Sakurai ha per lo più balbettato e si è scusato anche di cose che non c’entravano nulla – penso che nella mente di buona parte del pubblico sia rimasto il “S-Scusatemi se sono un tributo d-debole” che è stato un po’ come invitarci tutti a prenderlo di mira.
Salgo sul palco accolto da luci, applausi e Imayoshi Shoichi – il nostro intervistatore – che mi porge la mano e mi dà il benvenuto secondo il preciso schema usato con chi mi ha preceduto.
Mi fa accomodare e placa il pubblico con qualche osservazione acuta che riassuma il grosso di quel che si è visto di me dalla Mietitura fino a qui; Alexandra dice che si capisce subito dalla prima domanda dove Imayoshi vada a parare di solito con le interviste, verso quale lato di te vuole orientare il pubblico.
«Takao-kun» richiama la mia attenzione, il sorriso al suo posto che penso non sparisca praticamente mai dalla sua faccia «Izuki-kun ha detto di essere figlio unico. Tu invece hai una sorellina, giusto? Quanti anni ha?»
Sinceramente mi chiedo cosa mai potrebbe essere ciò a cui vuole arrivare, dopo questa domanda; non capisco se cerca di rendermi il fratellone simpatico al pubblico, o lo scemo con la voglia di tornare a casa vivo solo per la sorella minore. La cosa sicura è che so che la mia famiglia – come tutte le altre – mi sta guardando e non ho intenzione di rendergli tutto più penoso.
Sorrido: «L’età in cui ogni fratello maggiore deve preoccuparsi per loro.» replico.
«L’età per la Mietitura? È il suo primo anno?» il bello di Imayoshi è che non partecipa veramente alle tue emozioni, non si sta struggendo all’idea di una famiglia con ben due figli come possibili tributi, ma fa sembrare che invece sia così.
«No, no! L’età in cui devi stare attento ai ragazzini che le girano intorno!» chiarisco subito e il pubblico ride, Imayoshi fa qualche commento per assecondarli. Non ho intenzione di dire una cosa ovvia, certo che sono preoccupato all’idea che dopo di me tocchi anche a lei. Alexandra mi aveva avvisato, però: se fossi il solo a non essere figlio unico la mia non sarebbe una storia così strappalacrime da valermi degli sponsor, ma in caso contrario rischierebbe invece di non essere nulla di speciale.
Niente disperazione per mia sorella, quindi.
«Un fratello premuroso, qualcuno dovrà stare attento, soprattutto se tornerai vincitore.» commenta e sembra liquidare così la cosa.
«Beh, se non torno vincitore tornerò morto, e non penso di essere una gran minaccia.» rimbecco, ancora sorridendo e con un’alzata di spalle; non è tanto voler apparire sprezzante, ma se non la metto sullo scherzo penserò anche io a quante siano le mie effettive possibilità… e credo sia da evitare di fronte alle telecamere.
L’intervista prosegue, Imayoshi fa qualche domanda generica – le sensazioni, l’arrivo a Capitol, il mio rapporto con Shun nel Distretto 5 – e in chiusura rimanda le immagini della sfilata. Rivedo me e Izuki sulla biga che, appena uscita, sembra esplodere di luce.
«Spettacolare e molto bello.» osserva Shoichi «Hai partecipato a questa idea con le tue conoscenze sull’energia, Takao-kun
«Nah, io non sono così intelligente!» assicuro, altre risate «E poi anche per noi del 5 quella è roba vecchia, che abbiamo visto al massimo sui libri di scuola!» assicuro.
Quello che ha usato Tatsuya è una cosa chiamata “Particella di Dio”, un concentrato di energia che si sprigiona in una sfera di colori; con i vetri apparentemente senza senso che aveva aggiunto ai nostri costumi, ne è risultato un gioco di luci che pare abbia incantato il pubblico.
Con le immagini che vanno sullo schermo dietro di noi, Imayoshi conclude la mia intervista.

 

 

I giorni dell’addestramento, ci ha detto Miyaji, devono essere sfruttati per due cose: cercare di capire le capacità altrui e aumentare le nostre. Ha consigliato a me e Izuki di lavorare con chiunque capiti, di non provare a nascondere in cosa siamo bravi, ma di mantenere al tempo stesso un profilo basso: «Non c’è bisogno di strafare» ha detto «ma nemmeno di fare i modesti.»
Con Izuki ci siamo divisi per osservare più tributi possibili e darci informazioni a fine giornata, cercando al contempo di seguire i corsi di sopravvivenza nelle aree che ci servono davvero.
Sono pochi quelli che lavorano insieme e fra di loro sono spiccati ancora una volta Wakamatsu e Sakurai che non si sono divisi un attimo. Quello alto del 9 – Kagami se non sbaglio – e uno dei due dell’11, tale Aomine Daiki, hanno rischiato di finire alle mani il primo giorno. Il primo sembra andare abbastanza d’accordo con l’altro del 9, mentre Aomine è menefreghista abbastanza da fare come gli pare; l’altro dell’11, Eikichi, non sembra disperato all’idea di fare da solo. Dubito si aiuteranno.
Il piccolo dell’8, che ho scoperto chiamarsi Kuroko Tetsuya, è mostruoso nella mimetizzazione: anche quando non si camuffa passa già inosservato, forse per il profilo basso che ha di natura, ma se si impegna è introvabile e questo non è un bene. Avrà poca resistenza fisica, ma se non lo si vede beh, non lo si può nemmeno attaccare.
Atsushi, quello alto del 12, ha ciondolato da una stazione all’altra senza un apparente logica e ha mollato a metà quella dei nodi. Haizaki, il suo compagno, si è concentrato sulle armi.
I due del 10 sono stati quasi invisibili e mi è sembrato che non sapessero nemmeno da dove iniziare; quelli del 7 hanno confermato la prima impressione: quello moro e non altissimo, Kasamatsu Yukio, sembrava volere molte cose nella sua vita ma non ritrovarsi Tsutagawa lì, fosse anche solo per il tempo dell’addestramento visto che nell’arena saremo tutti, indistintamente, nemici. Ha cercato il più possibile di tenersi alla larga dalle stazioni in cui lavorava, se non quando era inevitabile interagire con lui.
Non si è nemmeno impegnato a nascondermelo quando abbiamo scambiato qualche parola lavorando sui nodi; sembrava particolarmente nervoso, così mi sono lasciato sfuggire un: «Proprio non ti va a genio, eh?»
La sua risposta è stato schioccare la lingua tra i denti, seccato: «Sto solo sperando che si impicchi nelle reti quando passerà da qui.» ha borbottato, e non ho potuto non ridacchiare.
Anche se crearsi una simpatia adesso equivale a crearsi solo degli ostacoli, a dire di Miyaji.

 

 

Seduti sul divano del nostro appartamento, Miyaji e Alexandra al fianco mio e di Shun, teniamo gli sguardi sullo schermo sul quale stanno passando da un po’ i punteggi dati ai tributi. È l’ultimo tassello mancante all’idea che possiamo farci su chi evitare più possibile nell’arena.
Al momento i sei dei primi tre distretti hanno ottenuto voti tra il dodici (Reo), l’undici (uno del 2 e occhi-cattivi del 3) e il dieci di Shinchan e dell’altro del 2. I due del 4 hanno preso un nove – Wakamatsu – e un sei.
L’immagine di Shun appare sullo schermo e, dopo poco, un otto svetta vicino a lui; il tempo di qualche breve commento e la mia foto prende il posto della sua: in breve la affianca un dieci assolutamente inaspettato. Ai voti che seguono prestiamo attenzione solo per quanto riguarda i più alti o quelli di persone che abbiamo adocchiato all’addestramento.
Kasamatsu ha preso un otto, Kuroko – da cui mi aspettavo un voto simile a Sakurai – un sette, stesso voto preso anche da Kagami del 9 e che non sappiamo come interpretare.
I due del 10 confermano l’impressione avuta in addestramento con dei voti mediocri; Aomine dell’11 ha conquistato un otto che penso sia però ben diverso da quello di Shun o Kasamatsu.
Atsushi del 12, da cui mi aspettavo almeno un dieci, si è fermato al nove e questo non mi aiuta a capire bene cosa dovremmo aspettarci da lui. Finiti i voti, spegniamo lo schermo e rimaniamo in silenzio per qualche momento.
A parlare è Izuki: «Ed ora? Decidiamo delle strategie?» incalza Miyaji, che però non risponde subito.
Io e Shun ci guardiamo, e probabilmente pensiamo la stessa cosa: i voti solitamente decretano per ogni Distretto quale dei due tributi valga la pena di vendere meglio al pubblico. Su quale dei due puntare, a conti fatti.
In questo momento il mentore del 4 di sicuro non ha l’imbarazzo di questa scelta, vista la differenza di voti dei suoi; ma nel caso di Miyaji non c’è tutta questa differenza, o meglio la questione è che la differenza di punteggio tra me e Izuki non è così indicativa, perché le nostre capacità si bilanciano.
Dipende unicamente da cosa abbiamo mostrato di fronte agli Strateghi, che non è comunque tutto quel che mostreremo nell’arena.
Miyaji deve sostanzialmente scommettere e sperare di non sbagliare, se vuole che almeno uno di noi due torni a casa.

 

   
 
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