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Autore: Eruanne    16/05/2013    9 recensioni
Sulle note di Evestar ci addentriamo nelle prime avvisaglie di quel vortice di azioni e eventi che portarono i nostri giovani innamorati de "La Quercia e l'Iris" Thorin e Karin a separarsi.
Dal testo: "Inspirò ed espirò per farsi coraggio, si morse le labbra per non gridare il suo risentimento, la sua angoscia profonda, certa di non rivederlo per il restante tempo che Aulë le avrebbe concesso.
Non sapevano che il destino li avrebbe fatti incontrare molto presto, e non sarebbe stato affatto clemente."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Ohilà ragazze ^^, eccomi qui con questa benedetta one-shot! Non voglio svelarvi nulla, solo che ci sarà un po' di tristezza ç___ç
Come sempre, mi rimetto al vostro giudizio!
Vi auguro buona lettura e vi invito a leggerla con un brano tratto dalla colonna sonora del “Signore degli Anelli” e de “lo Hobbit”,
Evestar – che è anche il titolo della storia ;)

http://www.youtube.com/watch?v=im5CIpMFo4Q





Evenstar

Evenstar




I passi risuonavano forte lungo il corridoio di pietra nera e i gradini lisci; si fermò su una piattaforma, stringendo la ringhiera dorata tra le dita. Fece vagare lo sguardo giù, ai vari livelli e abitazioni che si scorgevano, osservando alcuni gruppetti di nani che passeggiavano o si scambiavano qualche parola.

Sentì dei saluti e, girandosi, notò dei fabbri alle sue spalle; ricambiò con un cortese cenno del capo, proseguendo il cammino verso i livelli superiori, alle stanze della corte reale.

Il pomolo della larga spada tintinnava contro il grosso anello infilato nel dito medio, accompagnandolo fino alla camera prescelta; davanti alla porta di legno bussò, sentendo la voce famigliare ordinargli d'entrare: non appena mise piede oltre la soglia, la figura gli rivolse un caloroso e sincero sorriso, al quale rispose con uno più stretto.

La guardò avvolta in quell'abito viola scuro ornato di fili d'oro e gemme preziose, in un bel contrasto con la pelle chiara tipica delle nane di Erebor; i capelli ribelli e lunghi fino a metà schiena ospitavano alcune treccine fermate da placche metalliche, simili a quelle che terminavano le sue trecce ai lati del volto.

Sembrò accorgersi che qualcosa non andava nei suoi tratti, poiché il sorriso le si spense e gli lanciò uno strano sguardo, aggrottando le sopracciglia scure.

<< Qualcosa non va, Thorin? >> domandò, iniziando a preoccuparsi.

Lui non disse nulla, limitandosi a percorrere con brevi passi la distanza che lo separava dal letto della giovane, sedendosi sul materasso; portò le dita intrecciate al mento, osservando un punto indefinito sul pavimento.

Karin seguì il suo esempio, sedendoglisi accanto; giunse le mani in grembo, rimanendo in silenzio: sapeva bene che non doveva forzarlo a parlare. Quando avrebbe decretato il momento adatto le avrebbe rivelato ciò che lo tormentava: e così fu, non appena gli si mise al fianco.

<< Gli ultimi comportamenti del sovrano mi tormentano. La sua malattia è sempre più forte, e lo sta trascinando sempre più nella... >> non pronunciò la parola follia, lasciando che la voce bassa si spegnesse.

Karin evitò di incrociare il suo sguardo, sapendo che Thorin non sarebbe stato felice di leggervi pietà e tristezza.

Ma era anche vero che, ora più che mai, il principe aveva bisogno di conforto: e se era venuto da lei, doveva parlare, fare qualcosa.

<< E' uscito dalla stanza del tesoro? >>.

Thorin scosse mesto la testa << Nemmeno una volta. È rinchiuso là dentro da ore, evitando riunioni importanti col Consiglio, alle quali un sovrano – di norma – dovrebbe presiedere; mio padre non potrà sempre fare le sue veci >> concluse, gli occhi chiari assottigliati.

Karin annuì distratta, posandogli piano la mano sul braccio; il principe continuò a guardare dritto avanti a sé ma le dita le accarezzarono il dorso, in un muto ringraziamento per essere lì ad ascoltarlo. E a sostenerlo.

Non lo illuse con la promessa che sarebbe andato tutto bene, perché entrambi sapevano che non sarebbe successo: quelli erano tempi bui, nei quali dovevano trarre dall'altro la forza necessaria per continuare a vivere. Rifugiarsi nelle bugie e nelle chimere non li avrebbe aiutati di certo.

Improvvisamente malinconica, ringraziò col cuore il cambio di discorso di Thorin, anche se la portò su un altro argomento spinoso.

<< Hai ricevuto la lettera di Dís? >> domandò, la voce mortalmente stanca.

<< Sì >> rispose lei, abbassando gli occhi verso le loro mani intrecciate << A dispetto di come ci siamo lasciate quando è partita le sue parole non erano ostili, ma gentili. Ma la vecchia confidenza... non so, l'ho sentita lontana >> si rabbuiò ripensando alle parole vergate con l'inchiostro nero ed alla sua migliore amica che, ora, era felicemente sposata con un nano dei Monti Azzurri.

<< Da quello che ha scritto, pare che Rili la tratti con rispetto >> mormorò Thorin, sospirando: come lei, non aveva ancora accettato la separazione dalla sorella minore.

<< Già, ed è questo che conta, dopotutto. Certo, Dís non si è mai fatta sottomettere da nessuno, ma... >>.

<< Meglio così >> concluse per lei.

Si guardarono per la prima volta negli occhi, leggendovi molta tristezza e rimpianto. La loro infanzia era finita da tempo, ormai, ma troppo bruscamente; eventi più grandi di loro li avevano trascinati in un vortice pericoloso fatto di acque rapide e gelide, separandoli. Mutando i loro cuori.

<< Dwalin... ti ha parlato? Di lei, intendo >> esalò, stringendo di poco la presa sulla sua mano.

<< No, affatto. Sembra che il nome di mia sorella ormai sia diventato un tabù >> pronunciò laconico, non aggiungendo altro; e cosa mai avrebbe potuto dire? Che era mortificato per gli avvenimenti infausti che si erano abbattuti come una pestilenza sulle loro sorti?

Sua sorella era lontana lunghe leghe di cammino e suo nonno, benché presente nel corpo, era sopraffatto da tormentati e bramosi pensieri.

Un tempo, quando affermavano che il suo portamento e il suo aspetto rammentavano l'autoritario e fiero Re sotto la Montagna Thror, Thorin si riempiva d'orgoglio, il cuore gli traboccava.

Ma ora, ripensandoci, ne provava solo repulsione.

Lasciò che parte dei suoi timori si esternassero << Temo di diventare come lui, Karin. A volte, nella stanza del tesoro, io... >>.

<< No, Thorin >> l'interruppe lei, il solito fuoco determinato che ardeva nelle iridi nere << Non sei e non sarai mai come tuo nonno: siete due persone diverse, ricordalo sempre >> gli accarezzò una guancia, il cuore stretto in una morsa dolorosa nel vederlo così vulnerabile e incerto.

Non era il vero Thorin.

Ma il nano si costrinse ad annuire, evitando le sue occhiate angustiate: un bussare deciso li fece sobbalzare e scattare in piedi, quasi fossero stati sorpresi nell'intimità; quando Karin diede il permesso d'entrare, apparve il volto severo e dai tratti marcati di Kario che, non appena scorse anche il suo principe e futuro re, fece un rigido cenno col capo lasciando ondeggiare la lunga barba nera, intrecciata secondo il suo rango.

<< Mio principe >> esordì, con la voce che un poco gli tremava; faticava a guardarlo negli occhi, lasciando piuttosto che si spostassero lungo le pareti, o verso la figlia << ti chiedo di perdonarmi, ma desidero conferire con Karin >>.

La ragazza si stupì, poiché mai suo padre aveva chiesto ciò a Thorin, ma il giovane nano annuì << Certo, Kario >> le lanciò una breve occhiata e si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli.

<< Siediti, figlia mia >> esordì il consigliere, i tratti marcati del volto che sembravano ancora più scavati.

Il tono non ammetteva repliche né rifiuti ed era tremendamente serio e formale, così lei fece come ordinato, guardandolo dal basso della sua posizione.

Kario sospirò lisciandosi la barba, arrotolandola tra le grandi dita tozze: sembrava cercare le parole adatte con le quali iniziare, ma lei sapeva bene che suo padre – pur inserito nel Consiglio nel Re - non era avvezzo a lunghi dialoghi, quanto piuttosto ad essere breve e conciso.

E lo fu anche stavolta, seppur con molti tentennamenti.

Man mano che parlava, Karin si sentì sprofondare in un oceano freddo e buio, terribilmente nero; il fiato le si mozzò in gola come se qualcuno l'avesse percossa allo stomaco. Come se qualcuno l'avesse pugnalata più e più volte.

Frastornata, sentì d'impallidire, iniziò a tremare. Era confusa, e a stento ricordò altro di ciò che le disse: le orecchie ronzavano, gli occhi pungevano poiché volevano liberarsi delle lacrime. Una volta che ebbe terminato, Karin tentò di dissuaderlo in tutti i modi: parlò, gridò, supplicò, pregò. Ma non pianse, benché lo desiderasse con tutta se stessa.

Kario, d'altra parte, fu irremovibile, anche se Karin poté vedere e capire quanto soffrisse: perché anche lui sapeva cosa la legava a Thorin; e ciò che le stava imponendo era un gesto ignobile, una condanna che li avrebbe accompagnati per sempre.

Finché avessero avuto respiro in corpo, finché il cuore non avesse smesso di battere, finché le loro menti avessero ricordato.

Le si contrasse lo stomaco, la gola si seccò, le vertigini la presero; con una mano si aggrappò al bordo del tavolino di legno pregiato e lavorato, l'altra volò alla fronte sudata e mortalmente gelida, preda di tremori incessanti.

<< Ti prego >>.

Parole vuote anche alle sue orecchie.

Eppure, però, continuò a ripeterle come una cantilena, la voce sempre più incerta e flebile. Abbandonò ogni formalità, dandogli del tu anziché del voi: sinceramente, non le importò. Ciò che contava era sentire Kario prorompere in una risata canzonatoria, sentirlo dire che era tutto uno scherzo, che lei non avrebbe mai... mai...

Lasciato Erebor.

Lasciato Thorin.

Ma gli dèi, beffardi e sordi alle sue accorate preghiere silenziose, non l'ascoltarono: Kario non cambiò idea, continuando a berciare sul suo imminente futuro e sul fatto che non era quello il modo di accogliere una così onorevole notizia.

Divenne sordo ad ogni sua parola sofferta, ogni suo singhiozzo trattenuto, ogni gesto compiuto.

Arrivò a minacciarla, arrivò a gridare: e mentre l'eco si perdeva nella camera e, probabilmente, anche al di fuori, lei tacque, gli occhi sbarrati e la bocca rosea dischiusa, consapevole come poche volte d'aver perso quella battaglia che, presto, le avrebbe portato via tutto.

Rimase ferma, le braccia mollemente abbandonate lungo il corpo; gli occhi neri divennero lucidi, vide ogni cosa sfuocata, ma non sbatté le palpebre: non ne aveva la forza.

Ogni grammo di energia le era stata risucchiata dal corpo: persino la sua mente sembrava averla abbandonata, facendo sì che non riuscisse a riconoscersi.

Lei, che mai si era piegata, ora doveva chinare il capo e obbedire.

Si morse il labbro inferiore, lo sguardo era immobile a terra: percepì distrattamente una ruvida carezza sul capo, talmente lieve e veloce che pensò d'essersela immaginata; probabilmente suo padre si era ritratto subito, non riuscendo a trovare parole adatte per consolarla.

Non potendo consolarla.

Rabbia, dolore, ira, tristezza, furore e malinconia si amalgamarono, lasciandola sopraffatta e prostrata; ma tutto ciò avveniva nella sua anima, nel suo cuore: nulla si poteva scorgere all'esterno, in un suo tratto, in una sua movenza.

Era immobile, inerte, ferma e fredda come ghiaccio: fu questo, forse, a far decidere Kario; la lasciò sola senza aggiungere alcunché, chiudendo con rammarico e dispiacere la porta alle sue spalle.

Sola, Karin venne sommersa dalla voce furiosa del padre, che continuava ad urlarle la sentenza che l'avrebbe portata alla pazzia.

Una pazzia che, secondo lei, l'aveva già afferrata.



Si sentiva rigenerato, il suo spirito era in parte tranquillo: dopo un estenuante ma appagante pomeriggio nelle immense fucine di Erebor - in cui aveva dato sfogo alla sua irrequietezza con possenti e scandite martellate - e dopo un rilassante bagno caldo nelle sue stanze, era quasi rinvigorito. Si era persino lasciato coinvolgere in una specie di gara di bevute con Dwalin, anche se i fiumi di birra si erano notevolmente ridotti in quei tempi, per tutti e due. Scosse la testa, facendo ondeggiare la corta chioma corvina sulle ampie spalle, tentando d'impedire ai pensieri che tanto gli avevano offuscato la mente di riprenderne possesso: ora, ciò che più desiderava, era la pace.

E, per Durin, l'avrebbe ottenuta.

Passeggiò lentamente sulle grandi gradinate di Erebor, salutando e scambiando convenevoli con i nani e le nane presenti, ricevendo inchini in quanto principe e futuro Re sotto la Montagna; alle frequenti domande sulla salute di suo nonno rispondeva con pacatezza e distacco, ma dentro sé sentiva ribollire il sangue nelle vene, la bile minacciava costantemente di salirgli in gola. Ma frenò qualsiasi impulso e ardimento, rimanendo impassibile e algido, seppur con fatica.

All'ennesimo interessamento, all'ennesima occhiata colma di pietà, digrignò i denti senza essere notato; poi, una mano sulla spalla lo riscosse e, girato il capo, si scontrò con un altro paio di occhi azzurri molto simili ai suoi.

Il piccolo gruppetto di sudditi li lasciò, e i due rimasero in silenzio a squadrarsi: Thorin fece vagare lo sguardo sul viso del nuovo arrivato, somigliante al suo ma al tempo stesso così diverso.

<< Mi aspettavo un ringraziamento per il salvataggio >> esordì quello, facendogli alzare un sopracciglio, scettico << o forse erano loro a dovermi ringraziare? Dopotutto, li hai praticamente trucidati con lo sguardo: dovresti imparare a controllare maggiormente le tue emozioni >>.

<< Come fai tu, fratello? >> accusò Thorin, intrecciando le dita dietro la schiena.

Frerin sorrise, ma non vi era alcun calore in esso, né nei suoi occhi << Infatti, ma credo tu stia imparando in fretta: non ti vedo per nulla turbato >> ammise, improvvisamente serio.

Thorin aggrottò la fronte, perplesso << In verità lo sono, ma non desidero che altri ne vengano a conoscenza >>.

<< Altri? >> ripeté, trattenendo a stento un sogghigno << Ogni abitante di Erebor, ormai, ne è a conoscenza. La notizia è dilagata in fretta come una malattia invernale >>.

<< Eravamo d'accordo che non avremmo fatto trapelare nulla >> iniziò ad infervorarsi il maggiore << Qualche guardia deve esserselo lasciato scappare >> sputò tra i denti, la collera che minacciava di esplodere.

Frerin non gli diede ragione, ma iniziò a guardarlo con una strana espressione, forse non credendo alle sue orecchie << Thorin, ti assicuro che le guardie non ne erano a conoscenza prima di stamattina >>.

Alla frase, il futuro Re si immobilizzò, corrugando le folte sopracciglia scure << Sono loro a guardia della camera del tesoro: sanno quanto tempo passa il sovrano tra le monete sonanti, stringendo l'Archepietra tra le dita >> sibilò, abbassando di colpo il tono di voce.

Con suo stupore, vide Frerin sgranare leggermente gli occhi chiari, e lisciarsi pensoso e allarmato le treccine della barba nera, ben più corte di quella di Thorin, fermata solo da una placchetta metallica.

<< Allora non ne sei al corrente >> mormorò piano, in un tono comunque udibile dall'altro.

<< Che cosa diamine dovrei sapere, Frerin? >> sbottò Thorin, al culmine della pazienza. Era sempre stato più irrequieto e impulsivo del fratello minore, che era la compostezza e la tranquillità fatta nano: e, forse proprio per queste caratteristiche, era anche così dannatamente pericoloso.

Thorin lo sapeva bene.

Ma, sinceramente, ora non aveva proprio tempo per i suoi giochetti contorti << Dunque? >> domandò insofferente.

L'altro lo guardò negli occhi, facendogli capire che non erano buone notizie. E l'intuito venne confermato dalle parole che pronunciò subito dopo.

<< Riguarda la tua Karin >>.

Una mano invisibile si serrò attorno al suo cuore.



Leggeva, ma le rune diventarono macchiette indistinte, confondendosi tra loro in un miscuglio che le fece girare la testa e salire la nausea.

Alzò il capo dal tomo, lasciando che gli occhi si soffermassero sulla candela accesa: si perse a contemplare la tremule fiamma rossastra, desiderando bruciare piuttosto che rimanere in quell'inedia maledetta che l'aveva presa; non riusciva più a far nulla, solo rimuginare. Rimuginare, rimuginare, rimuginare.

Senza sosta, senza tregua.

Aveva persino pensato di fuggire lontano: ma dove, e con quali mezzi? L'idea era stata scartata immediatamente.

Si morse ancora il labbro, sentendo il taglietto allargarsi, l'odore pungente del sangue e il suo sapore di ferro le invasero la bocca; sospirò gravemente, afflosciando le spalle irrigidite. Di nuovo, portò il palmo della mano sulla fronte, rimanendo nella posizione che le permetteva di reggersi la testa, di premere l'arto sulla tempia per cercare di pensare e trovare una soluzione. Ma la mente era bianca e linda: e lei era così vuota!

La porta della stanza si spalancò con furia, sobbalzò sulla sedia ma riuscì a reggere in qualche modo il libro tra le dita; girò il busto, riconoscendo con un tuffo al cuore Thorin, il suo Thorin, livido in volto, gli occhi azzurri che brillavano minacciosi e irati.

La resa dei conti era giunta, infine.

E ne ebbe paura.

<< Perché non me l'hai detto? >> tuonò, non appena varcata la soglia.

<< Non si usa più bussare? >> Karin si bloccò, non credendo d'essere riuscita a parlare. Da quando aveva ricevuto la notizia, non era riuscita ad articolare nulla.

Si maledì per la frase brusca, specie quando vide il nano lanciarle una gelida occhiata che, in realtà, tratteneva un ardente furore.

<< Karin! >> sbraitò, abbattendo un pugno sul tavolo di legno.

Non l'aveva mai visto in quello stato, e le barriere di freddezza e distacco iniziarono a sgretolarsi: sentì di nuovo gli angoli degli occhi pizzicarle, ma batté le palpebre e si morse la lingua, tentando di trovare un po' di controllo; eppure il vederlo furente la distrusse più di ogni altra cosa.

<< Thorin... >> tentò di dire qualcosa, ma qualsiasi altra parola venne inghiottita dai toni elevati del giovane principe.

<< Tutta Erebor ne era a conoscenza, ero l'unico a non sapere nulla! Non sono nemmeno stato interpellato! Io, capisci? Io!!! >> iniziò a camminare per la stanza, lunghi passi nervosi e irrequieti.

<< Lo so >>.

<< Lo sai? >> l'interruppe brusco, lo sguardo di fuoco << Dovevi dirmelo, Karin, non appena tuo padre te ne ha parlato: anzi, andrò io stesso a scambiare quattro parole con lui riguardo questa decisione scellerata!!! >> esclamò, la voce perennemente alta.

<< Non puoi! >>.

Thorin smise di muoversi, guardandola come se la vedesse per la prima volta: il grido sembrò riecheggiare nella stanza, quasi a voler confermare e rimarcare quel divieto. Rimase in silenzio, lo sguardo incollato al suo viso, pregando d'aver udito male.

<< Non puoi fare nulla, Thorin >> sussurrò lei, stringendosi le braccia quasi a cercare conforto << il Re ha dato il suo consenso >>.

Il nano emise un verso sprezzante, che assomigliava molto ad un ringhio rauco << Il Re non riesce nemmeno a distinguere i suoi famigliari, ottenebrato com'è dalla bramosia! Come poteva rammentare ciò che ci lega? >> la rabbia trapelava da ogni parola, lasciandola stupita come poche volte: mai si sarebbe aspettata un tale disprezzo, soprattutto da quel nipote che tanto strenuamente difendeva il sovrano da ogni accusa, certo di una sua guarigione, anche se impossibile.

E tutto questo odio solo perché lei se ne sarebbe andata. Per sempre.

<< Devo parlare con i nostri padri, assolutamente >> decretò, dandole le spalle; Karin ancorò gli occhi neri alla sua schiena, coperta dalla camicia blu con intarsi geometrici ai lati. 

Espirò, il volto contratto in una smorfia sofferente << Non li dissuaderesti. Kario è stato irremovibile >> replicò asciutta, gelida come un inverno rigido.

<< Sono il suo principe e futuro re: una mia parola e potrei impedirlo! >>.

<< Andando contro il volere di tuo padre? No, Thorin, non ci riusciresti. E lo sai >>.

Era vero, maledettamente vero.

Per lui, l'obbedienza e il rigore erano fondamentali, essendo parte della sua educazione e del suo essere, specialmente verso chi gli era superiore di rango. Specialmente se si trattava di suo padre, o di suo nonno.

Chinò il capo, girandosi; ora, negli occhi non vi era più ira, ma sofferenza: una devastazione tale da lasciarla senza fiato, che le serrò lo stomaco e lo torse con violenza.

Di nuovo, le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma le cacciò.

<< Non posso permetterti di partire >> le si avvicinò molto, ora pochi centimetri li dividevano << Non ti lascerò sposare un altro nano >> la voce era bassa e vibrava di nuova collera. O era profondo dolore? Non avrebbe saputo dirlo.

Tenne lo sguardo basso: una voglia assurda di piangere e urlare si impossessò di lei, ma strinse i pugni tanto da far sbiancare le nocche.

Le mani di Thorin si posarono sul suo volto e glielo alzarono per osservarla negli occhi << Ci dev'essere un altro modo! >> ribatté, ostinato.

Anche stavolta, però, lei negò col capo << Ci ho provato. Mi sono opposta, ho urlato, pregato, supplicato cercando di farlo ragionare, ma nulla; e quando gli ho detto che il mio cuore apparteneva ad un altro, continuava a dirmi che lo sapeva, che lo faceva per me e sperava capissi. Ma capissi cosa? >> gridò furiosa, mentre la rabbia iniziava a montare prepotente.

<< E' colpa mia >> esordì il nano dopo lunghissimi minuti di opprimente e denso silenzio << Avrei dovuto reclamarti tempo fa >> disse, rammaricato.

<< Non potevi saperlo. Non addossarti sbagli che non hai compiuto >>.

Le cinse i fianchi con le braccia, in un abbraccio sofferto ma deciso << Il saperti con un altro già mi logora >> posò la fronte sulla sua, lasciando vagare lo sguardo sul volto che amava, percorso dall'angoscia e dal tormento del destino tragico che incombeva.

Improvvisamente, il velo di inezia si strappò e un'idea terribilmente... semplice, ma al contempo così azzardata invase la mente della giovane lasciandola allibita. Si ritrovò a parlare, sussurri che giunsero alle orecchie del nano e alle sue come grida.

<< Fammi tua >>.

Thorin si staccò da lei, il volto confuso e incredulo; i lineamenti si indurirono quasi subito, ed aprì la bocca per parlare, venendo però bloccato da Karin.

<< Non... posso sopportare l'idea che qualcun altro possa... possa >> balbettò, vedendo interrotta.

<< Ciò che chiedi è totalmente sbagliato, lo sai >> disse, duro come la roccia che li circondava.

Ne era a conoscenza, ma il sentirglielo dire le strinse ugualmente il cuore: lo guardò, ora lontano pochi passi che parevano lunghi metri.

<< Sbagliato? >> ripeté, disorientata << Che c'è di sbagliato nel voler fare l'amore con te? >>.

<< Tutto, se lo intendi come gesto ai danni del tuo futuro marito >> non seppe spiegarsi da dove riuscì a trovare la forza per pronunciare quelle parole ma, se possibile, ebbero il potere di farlo sprofondare sempre più.

Un ulteriore gelo scese su di loro, talmente penetrante che ebbe il potere di farla tremare: Thorin se ne accorse, ma strinse la mascella per impedirsi di raggiungerla e stringerla. La vide alzare il capo e guardarlo, ora senza paura: gli occhi neri brillavano di cocciuta determinazione, la stessa che apprezzava e malediva quando discutevano; che, dopotutto, amava profondamente.

<< Quando ci siamo donati queste collane abbiamo promesso, Thorin: lo ricordi? >> chiese, stringendo il mithril tra le dita.

Certo che lo rammentava.

<< Le nostre vite si sono legate, così come i nostri cuori e le nostre anime. Ho promesso di essere tua finché il respiro non avesse abbandonato il mio corpo, e tu hai fatto altrettanto: quindi, come puoi rimproverarmi ciò che ti sto chiedendo? Come potrai convivere con la tua coscienza sapendo che condividerò il talamo nuziale con un altro nano? >> scattò, agitata.

Le narici di Thorin fremettero, le folte sopracciglia nere si aggrottarono severe, i denti sfregarono tra loro: sapeva che quella era la verità, eppure per quanto volesse non poteva ammetterlo, dati gli atri problemi che insorsero.

Problemi che non sembravano preoccupare Karin.

<< Hai una vaga idea della reazione che potrebbe avere Dain? Potrebbe scatenare una guerra contro Erebor! >> disse, cercando di controllare la stizza nella voce.

Si diresse verso la porta, non riuscendo a sostenere la sua vista: lì però si fermò, la mano sulla maniglia e lo sguardo fisso sulla chiave nella toppa; desiderava davvero andarsene e voltarle le spalle in quel modo?

Era dilaniato dal dubbio: da una parte la mente con l'onore verso la sua dimora e la sua gente, dall'altra il cuore con l'amore per Karin. Se avesse accettato e il cugino ne fosse venuto a conoscenza – perché l'avrebbe scoperto, poco ma sicuro – l'avrebbe certamente punita per poi costringerla a rivelare il suo nome: e in quel momento, Erebor sarebbe stata condannata. Maledì quell'incresciosa situazione, e se stesso per essere stato così cieco: se solo si fosse legato a lei in tempo, tutto questo non sarebbe mai avvenuto!

Sospirò, constatando che, se ora fosse uscito da quella stanza, l'avrebbe persa per sempre: senza lottare, senza poter far nulla per tenerla con sé.

Senza reclamarla. Senza possederla.

Se ora fosse uscito da quella stanza non se lo sarebbe mai perdonato, lo sapeva.

La decisione definitiva si stagliò nella mente, chiara e limpida come acqua.

Che i Valar e Durin mi perdonino.

Con un movimento secco girò la chiave e si voltò verso di lei che, al rumore, aveva compreso e sgranato gli occhi, esterrefatta.

Sembrava sul punto di scoppiare a piangere ma non lo fece, e lui non le diede il tempo: colmò la distanza che li separava con ampie falcate e, agguantatala per un braccio, l'attirò a sé con rudezza e impeto, affondando le dita nella chioma ribelle; le labbra si unirono in un bacio bramoso e tormentato al tempo stesso, che mostrava i primi segni di nostalgia e senso di perdita.

Fu un bacio così intenso che li lasciò senza respiro, al quale se ne aggiunsero altri frenetici e irruenti.

Quella notte si amarono per la prima volta, unendosi con ardore e sentimenti ben lontani da come se li erano immaginati: l'amore era comunque presente, ma parve loro di aver assunto un dovere, un obbligo prefissato e dettato dagli eventi.

Fu questa consapevolezza, probabilmente, a distruggere le difese di Karin: quando si trovò accoccolata al corpo caldo di Thorin, con una mano posata sul suo petto ampio e le braccia possenti che l'avvolgevano, diede quel permesso che aveva negato a lungo; lasciò che le lacrime scendessero dagli occhi lucidi per perdersi lungo le guance, infrangendosi sulla pelle di Thorin. Si ritrovò a singhiozzare disperatamente, sopraffatta; nascose il volto con la mano destra quando sentì aumentare la stretta vigorosa sul suo corpo: Thorin capiva, e cercava di consolarla.

Non avrebbe voluto mostrarsi in quello stato, specie dopo il bellissimo momento appena passato, ma doveva sfogarsi, o non ce l'avrebbe fatta a superarlo.

Le dispiacque enormemente e si vergognò, ma cambiò opinione quando, oltre ai baci sui capelli, percepì anche qualcos'altro. Qualcosa che li bagnò un poco.

Con fatica alzò il volto dal petto alla ricerca dei suoi occhi e, con un tuffo al cuore, li notò lucidi: Thorin stava piangendo.

Una lieve scia umida di lacrime sofferte versate per quel futuro ineluttabile e solitario, contro cui non avrebbe potuto combattere ed opporsi, edotto dal triste senso di rassegnazione e perdita che l'accompagnava.

Il vederlo così distrutto e disperato la trascinò nel baratro più nero della sofferenza: perché solo ora sembrò capacitarsi dell'amore che Thorin provava per lei, inesprimibile a parole e fatti, eppure così vero e reale.

Un amore totalmente ricambiato e che mai sarebbe scomparso o mutato, nemmeno tra cento anni.

Rimasero abbracciati, cercando di assaporare ogni briciola di calore emanato dai loro corpi, uniti più che mai; ogni attimo li portava vicini alla separazione definitiva, lasciando un vuoto incolmabile dove poche ore prima vi erano i loro cuori: sembrava essere passato così tanto tempo dalla mattinata infausta, ma ora esso scivolava rapido – troppo rapido – dalle loro dita, saldamente intrecciate.

Non pronunciarono alcuna parola d'amore, né d'addio: stettero in silenzio finché il sonno non li colse e, esausti e con ancora il peso delle lacrime non versate tra le ciglia, si addormentarono.




Karin deglutì a vuoto per l'ennesima volta, cercando di ingoiare il fastidioso magone che voleva risalirle in gola: diede un'ultima occhiata ai fagotti pronti con all'interno alcuni vestiti pesanti e altre poche cose che suo padre l'aveva obbligata a prendere; alla sua muta domanda – non era ancora riuscita a dirgli alcunché, rimanendo costantemente in silenzio – aveva risposto dicendole che il resto dei bauli già pronti e addossati alla parete sarebbero partiti poco dopo di loro, e che li avrebbe trovati nella sua nuova dimora.

Si alzò dal letto, cercando in tutti i modi di non pensare a quello che era accaduto la notte precedente, o sarebbe impazzita di dolore: ogni singola mattonella o dettaglio le rammentava Thorin, facendole desiderare una morte rapida e indolore piuttosto che percorrere le leghe fino ai Colli Ferrosi.

Come avrebbe sopportato i lunghi anni di vita che le si prospettavano davanti, accanto ad un nano che non amava e del quale non conosceva nulla se non il nome e il grado di parentela con Thorin?

Thorin, sempre e solo Thorin.

La mente non riusciva a staccarsi da lui, a discernerlo da se stessa: perché, quando i Nani decidevano di legarsi a qualcuno, lo facevano totalmente e completamente, senza riserve. E il loro amore, se ricambiato, durava per l'eternità, anche oltre la soglia della Morte.

Non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo, né ad amare Dain: era un concetto inconcepibile e assurdo.

Aprì la porta della stanza, percorrendo lentamente il corridoio; i piedi la condussero agli alti livelli e, senza rendersene conto, le arrivò sul volto la dolce brezza del vento fresco, in una specie di carezza malinconica che si scambiano due innamorati prossimi al distacco: sembrò rammentarle quanto le sarebbe mancata Erebor, quanto le sarebbero mancati i suoi amici. Quanto le sarebbe mancato lui.

Combatté ancora contro la voglia assurdamente potente di lasciarsi andare a nuovi pianti disperati, lasciando vagare lo sguardo oltre la terrazza scavata sul fianco della Montagna: di fronte a lei, la città di Dale sembrava intoccabile al di là delle sue mura di pietra; poteva quasi percepirne la tranquillità e la serenità che vi prosperavano, ben lontane dai sentimenti che la stavano annientando.

Strinse il parapetto con foga, puntando lo sguardo sulla valle e sullo strapiombo ai suoi piedi: sarebbe bastato così poco, in fondo! Solo un avanzamento, un lieve salto... e tutto sarebbe finito. Per sempre.

Aborriva l'idea e ciò che avrebbe comportato per coloro che le volevano bene ma, d'altronde, che senso aveva vivere senza poter rimanere accanto alla persona che si amava più di se stessi?

<< Non pensarci nemmeno >> una voce sconosciuta la destò, e sbatté le palpebre confusa. Girando il capo, riconobbe la figura di Frerin, a pochi passi da lei.

Il venticello faceva ondeggiare pigramente il suo pesante mantello nero di pelliccia, del tutto identico a quello che portava Thorin; la camicia blu scuro tendente al nero era leggermente in tensione, dato che aveva giunto le mani dietro la schiena, forse per abitudine. O forse per impedirsi di toccarla.

Un pensiero che, bene o male, la portò alla realtà distogliendola da qualsiasi congettura di morte.

<< Non sono dell'umore adatto per volere compagnia, Frerin >> disse, scartando di lato quando lo vide avvicinarsi pericolosamente con un leggero ghigno sulle labbra.

<< Mi chiedi di lasciarti sola in questo momento così delicato? Se lo facessi, potrei ritrovarti ai piedi della Montagna: e non nel tuo aspetto migliore >>.

Karin incassò la stoccata, ma mantenne lo sguardo fermo e impassibile << Non ne avevo l'intenzione >>.

<< Ah no? Andiamo, Karin, ormai ti conosco bene. Ho visto la tua espressione, e posso capire ciò che hai pensato >> disse, muovendo ancora qualche passo verso di lei che, al contrario, si era ritrovata bloccata con la schiena addosso ad una larga colonna.

<< Hai pensato che non saresti riuscita a dimenticare mio fratello, che l'avresti amato per sempre e che non saresti riuscita a trovare la forza necessaria per sopravvivere a Dain, non è così? >> ora il ghigno si allargò abbondantemente, mentre i gelidi occhi azzurri percorsero il corpo, facendola rabbrividire di disgusto.

Si sorprese, poiché non pensava avrebbe indovinato i suoi tormenti: dopotutto, però, era sempre stato tremendamente bravo a spiazzarla.

<< Ti capisco, sai? >> continuò, rendendosi conto che non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione nel rispondergli << Ho provato le medesime sensazioni quando ho compreso che il tuo amore per Thorin non si sarebbe mai sopito: perciò, ho solo, come dire... accennato la faccenda del matrimonio conveniente a tuo padre, dopo aver ascoltato per caso una conversazione con Thrain >> confessò innocentemente.

Karin poté sentire il cuore fermarsi, e non indagò sulla natura del discorso tra suo padre e il principe, focalizzandosi sul fatto che era stato quel maledetto a proporre l'idea che l'avrebbe condotta lontano.

Non vi erano parole per esprimere il suo stato d'animo: era sconcertata e allibita, e a stento poteva credere alle sue parole, pur sapendole vere; Frerin mentiva spesso per raggiungere i suoi scopi, era vero: ma, quando si trattava di lei, non mentiva mai.

Come in quell'occasione.

La rabbia si impossessò di lei dopo lo stupore iniziale, gli occhi brillarono di astio e collera: se fosse stato un nano qualunque, l'avrebbe preso per la camicia e strattonato con furia.

<< Sei stato tu? >> sibilò, le mani contratte e le unghie conficcate nella pelle << No, come... come hai potuto? >>.

Lui, per tutta risposta, piegò un angolo della bocca sottile verso l'alto ed allargò le braccia << Te l'ho sempre ripetuto, Karin: o mia o di nessun altro >>.

La vide schiudere maggiormente la bocca rosea, sconvolta come non mai; desiderò attirarla a sé e schiacciarla, premendo il corpo contro il suo, cercando di placare l'istinto che gli ribolliva nel sangue.

Karin scosse la testa, incredula: si aspettava che la voce le uscisse tremula, invece si mantenne fredda, aggiungendo anzi una punta di sarcasmo.

<< Sappi che i tuoi sforzi sono stati vani. Sei giunto troppo tardi >>.

La frase lo gelò, immobilizzandolo: la mente gli rivelò ciò che non avrebbe mai ammesso ad alta voce; ma bastò uno sguardo al volto di Karin per capire che non mentiva.

Quando si rese conto che Frerin aveva compreso ogni cosa, provò un piacere selvaggio e inaspettato: la voleva solo sua? Bé, Thorin era arrivato prima, come sempre.

<< Non sarò mai tua, o di Dain, o di nessun altro. Thorin mi ha reclamata, il mio cuore è e rimarrà sempre suo! >> alzò il tono di voce, facendo sì che quelle affermazioni le dessero forza e la riempissero d'orgoglio.

Frerin schiumava d'ira, tremava: impazzito, l'agguantò per un braccio, strattonandola verso il baratro; cercò di divincolarsi ma era più forte di lei e le forze, dopo quei lunghi giorni, l'avevano abbandonata.

<< Lasciami, subito! >> ordinò, il volto a pochi centimetri dal suo.

Ma non le diede ascolto, i tratti contorti in smorfie furenti << Tu menti! >> scattò, facendo dardeggiare gli occhi azzurri sui suoi.

<< Ne sei certo? Sai che non è così >> rispose, tremando ma cercando comunque di non abbassare lo sguardo << E' la verità. E non ti dirò che mi dispiace per te >> sibilò ancora, perfida: non le importavano le conseguenze, voleva solo vendicarsi per ciò che aveva combinato il fratello minore di Thorin.

Lo odiava. Con tutto il suo cuore, la sua mente, la sua anima.

Frerin aveva rovinato tutto.

Lo vide accogliere la follia, la mano destra saettò verso l'alto, forse a volerla schiaffeggiare, punendola per l'affronto.

Ma, grazie ai Valar, qualcuno arrivò in suo soccorso.

<< Frerin! >> la voce grave di Balin li raggiunse, ed il minore dei Durin si allontanò di scatto da lei, cercando di ricomporsi.

Non disse nulla, fronteggiando con lo sguardo il già anziano nano e consigliere di suo nonno; dopo un silenzio carico di ansia e pesante, il nuovo arrivato parlò.

<< Tuo padre desidera parlarti >> annunciò, secco.

Seguì con lo sguardo il principe e, quando fu lontano, permise alla rabbia cieca che l'aveva colto quando li aveva sorpresi di scemare: ma solamente in parte.

Karin gli si era avvicinata con lo sguardo chino, mortificata ma sollevata << Grazie, Balin >> esalò, guardandolo finalmente negli occhi.

Annuì: dentro sé avrebbe voluto abbracciarla e consolarla, assicurandole che sarebbe andato tutto per il meglio, che ce l'avrebbe fatta perché era coraggiosa; ma erano solo bugie.

<< Ti ha fatto del male? >> domandò, mentre il tono faticava a rimanere calmo e composto come avrebbe voluto.

<< No >>.

<< Dovresti dirlo a Thorin >>.

<< No >> ripeté ancora, scuotendo di poco la testa.

Balin alzò le sopracciglia cespugliose, sgomento << Ha il diritto di sapere! >> ribatté, infervorandosi << Da quanto va avanti? >>.

<< Thorin è a conoscenza di quello che prova Frerin, e l'ha redarguito più volte >> disse a fatica << ma non voglio che venga a sapere di quest'ultimo episodio >>.

<< Perché no? >> domandò esasperato il nano.

Lei, al contrario, serrò gli occhi, lasciando che la tristezza tornasse in lei << Ha altri pensieri di cui preoccuparsi, al momento >>.

Balin tacque, maledicendo il Fato e coloro che avevano fatto sì che tutto questo accadesse.

Strinse la mascella, contraendola: era sempre stato un nano pacifico e tranquillo, per nulla iroso come suo fratello Dwalin; ma, ora, proprio non riusciva a calmarsi! Il sapere che la sua protetta, dolce e amabile bambina sarebbe andata lontano, senza la figura di Thorin al fianco, gli montava una rabbia inaudita e gli faceva salire i fumi alla testa.

Karin provò un moto di grandissimo affetto per colui che aveva sempre reputato come il migliore dei padri e al quale voleva bene come se gli appartenesse davvero: gli posò una mano sul braccio, gli occhi neri scintillarono di nuovo.

Tentò di sorridergli, ma fu un'impresa ardua << Abbi cura di te, Balin. E sta' accanto a Thorin: avrà bisogno di te, ora più che mai >> voleva aggiungere così tante altre parole, ma le morirono in gola, soffocate dal pianto che la colse.

Il nano annuì, asciugandole le lacrime con le mani callose ma delicate << I giorni si inaspriranno e le notti vigili si susseguiranno. Ma sono certo che riuscirai a trovare il tuo indomito coraggio, e il tuo carattere così forte. Ti chiedo solo di non odiare tuo padre, Karin: ha sempre cercato il meglio per te, anche se le sue decisioni non sempre possono essere condivise >>.

<< Il mio posto era qui, lo sai; e lo sapeva anche Kario >> mormorò glaciale.

<< E' vero >> ammise, pieno di tristezza e rimorso per averle detto quelle frasi; le strinse le braccia, guardandola con amore << Buona fortuna, bambina mia >> alcune lacrime brillarono sulle ciglia, e solo due riuscirono a staccarsi per procedere il loro cammino sulle guance del nano, perdendosi tra la folta barba grigia.

<< Grazie. Anche a te, Balin >>.

Padre avrebbe voluto aggiungere; il consigliere sarebbe stato il genitore che aveva sempre desiderato, quello che l'avrebbe protetta e amata. Colui che non avrebbe mai permesso una tale decisione reputandola sciocca e insensata, combattendo fino allo stremo per opporsi.

Lo abbracciò di slancio, cercando di trasmettergli tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti: sentì la sua risposta vigorosa che, ad un certo punto, la sollevò di poco da terra. Le parole non dette furono molte, come le lacrime che non riuscirono a versare. Non completamente.



I colpi tuonavano potenti come poche volte là sotto, a cadenza regolare, rimbombando sulla roccia; Thorin picchiò con tutta la forza che possedeva sull'incudine, accompagnando lo sforzo e la fatica con ringhi e grida frustrate.

Era solo nelle fucine di Erebor, la rabbia e l'impotenza che gli permeavano le membra come uniche compagne.

Ad ogni martellata sulla pesante ascia che stava forgiando, gli apparivano il volto stravolto dalle lacrime di Karin e quello granitico del padre; infatti, non appena si era risvegliato quella mattina - verso l'alba – aveva lasciato silenziosamente la stanza della ragazza che, troppo stremata dal pianto, non si era mai mossa: nemmeno quando le aveva posato un bacio sulla fronte e uno ultimo sulle labbra.

Poi si era diretto verso la Sala del Trono, sicuro di trovarvi il principe: infatti, non appena aveva spalancato le pesanti porte con intarsi d'oro e pietre preziose, aveva scorto Thrain.

Rammentò con dolore e collera la lite che ne era seguita e come avesse avuto ragione Karin: per quanto avesse urlato, si fosse opposto e avesse cercato di placarsi per conciliare il suo punto di vista con quello del genitore, alla fine aveva perso.

Thrain era stato inflessibile.

Batté ancora il ferro bollente ma, in uno sbalzo di furia, gettò il martello e scagliò a terra l'arma, con violenza: il tintinnio l'accompagnò per lunghi secondi, venendo poi sostituito da una voce ben conosciuta.

<< Non vai a salutarla? >>.

Thorin nemmeno si voltò, continuando a dargli la schiena << No >>.

Lo sentì inspirare, immaginandoselo scuotere la testa in un muto rimprovero; ma, sinceramente, non gli interessava.

<< Dovresti, invece: manchi solo tu >> gli ricordò.

<< L'ho già fatto >> ammise Thorin << e non mi importa di ciò che pensano gli altri >> finì, duro.

<< Hai ragione, ma dovresti comunque andare: per lei. E soprattutto per te >>.

Thorin si voltò verso la voce sempre più bassa dell'amico, guardandolo in volto: Dwalin sostenne tranquillamente il suo sguardo, le braccia muscolose incrociate al petto che si alzava e abbassava a cadenza regolare.

Si passò una mano sulla fronte, togliendosi il sottile velo di sudore, indeciso sul da farsi: ma, ancora una volta, fu l'amico e parlare per primo.

<< Guardala un'ultima volta, Thorin, perché col passare degli anni il suo viso e il suono della sua voce diverranno solo un labile ricordo >>.

Il principe guardò di sfuggita il guerriero, ricordando che anche lui, tempo prima, si era trovato nella medesima situazione con la partenza di Dís: fu questo, probabilmente, a convincerlo del tutto.

Annuì solamente, dandogli una pacca sulla spalla quando gli passò accanto: poi, sfrecciò fuori dalle fucine, salendo le ripide scalinate due gradini alla volta.

Corse come mai in vita sua, i muscoli che si tendevano e si infiammavano sotto le larghe falcate; il respiro era breve e affannato, la saliva mancava.

Salì i vari livelli, rapido, ringraziando mentalmente di non indossare alcuna cotta di maglia o mantello che gli avrebbero impedito i movimenti.

Si spronò a procedere più veloce, avendo la sgradevole sensazione di essere in ritardo.

Presentimento confermato quando raggiunse le stanze di Karin: dentro, non vi era più nessuno.

Lei non c'era.

Imprecò a gran voce, battendo un pugno sul muro: poi, riprese la sua folle corsa.

Non si curò dei nani che incontrò al suo passaggio, né delle occhiate che gli rivolsero: probabilmente lo stavano considerando un pazzo, come consideravano suo nonno.

Col fiato ormai corto, si aggrappò al parapetto della terrazza che, pochissime ore prima, aveva ospitato proprio Karin: e, con un tuffo al cuore, la vide.



L'andatura del pony bianco era lenta, estremamente lenta: e ciò non faceva che aumentarle i pensieri che vorticavano senza sosta nella mente; l'addio davanti all'intera popolazione di nani era stato straziante, ma in qualche modo era riuscita a mostrarsi distaccata: questo perché, poco sotto il trono dov'era seduto Thror, non vi era Thorin.

Non si era mostrato, e ciò l'aveva sollevata e terrorizzata insieme: si era sentita... sola, e tradita, in qualche modo; ma era anche vero che, se avesse posato lo sguardo nei suoi occhi azzurri indagatori, sarebbe venuta meno ai suoi propositi.

Era giusto così, in fondo: il loro addio era avvenuto la sera precedente.

Strinse le redini della cavalcatura e, per un attimo, un lieve prurito alla nuca la distolse dalle preoccupazioni: una sensazione strana si impossessò della bocca dello stomaco, come quando sai per certo che qualcuno ti sta osservando.

Fermò il pony lanciando un'occhiata al padre, in sella al suo e alcuni metri più avanti, ignaro del gesto della figlia; poi, esasperatamente lenta si girò, temendo cosa avrebbe visto.

O chi.

Gli occhi la condussero lungo il fianco della Montagna Solitaria, là dove sapeva esserci la lunga terrazza che permetteva una buona visuale della valle rocciosa e spoglia che si stendeva fino a Dale: e lo vide.

Avrebbe riconosciuto quel portamento fiero e regale ovunque: Thorin era arrivato, alla fine. Il cuore le si serrò, mani invisibili lo stritolarono con furia, gli occhi tornarono a pizzicarle e, data la distanza che li separava – non molta, ma i nani possedevano una buona vista – concesse comunque alle lacrime il permesso di solcare il volto un'ultima volta.

Si ancorarono agli occhi dell'altro, rivelandosi ciò che mai avevano pronunciato, cercando d'imprimersi ogni tratto nella mente per non scordarlo.

La consapevolezza che non si sarebbero rivisti mai più ebbe lo stesso devastante impatto di una spada calata nel corpo o, peggio, nel cuore.

Avrebbe voluto scendere e tornare dentro, al sicuro nella Montagna: al sicuro con lui.

<< Karin! >>.

Un richiamo, ma non quello che desiderava ardentemente: non era la voce che amava, ma quella di Kario.

Non avrebbe voluto abbandonare quel doloroso ma indispensabile contatto: invece, sentì il capo abbassarsi, la mano tirò piano le redini per far tornare il pony sul sentiero che l'avrebbe condotta al suo futuro incerto.

Distolse lo sguardo, mentre l'ultima lacrima scendeva.

Inspirò ed espirò per farsi coraggio, si morse le labbra per non gridare il suo risentimento, la sua angoscia profonda, certa di non rivederlo per il restante tempo che Aulë le avrebbe concesso.

Non sapevano che il destino li avrebbe fatti incontrare molto presto, e non sarebbe stato affatto clemente.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Saaaaalve ç____ç!!! Oddei celesti, ci siete ancora dopo la lettura?
Io ho una tristezza, mamma mia... so che è brutto da dire, ma spero d'essere riuscita a trasmetterla anche a voi lettori/lettrici, oltre all'amore dei protagonisti, già presente nella storia originale!
Perdonatemi, ma VOLEVO scrivere il loro addio!!! Questa non era la storia di cui vi avevo parlato - che spero di riprendere – ma mi auguro vi sia piaciuta ugualmente ^^ quindi, se vorrete lasciarmi qualche recensione, mi farete ben felice :)

Bene carissime, al prossimo capitolo di “La Quercia e l'Iris”. Un bacione grande :*

Vostra, come sempre

Anna

P.S. So bene che, in realtà, Dís rimase con suo fratello anche dopo la venuta di Smaug però, ai fini della storia, ho dovuto modificare questo aspetto: se riuscirò a concludere l'altra one-shot, capirete il perché della scelta ;))), anche se qui è mooolto intuibile e si comprende bene! Inoltre, qui Frerin è un po'... come dire... subdolo e s*****o? O.o Bé, serviva un “cattivo” ;D, ed il fratellino praticamente quasi identico di Thorin si è rivelato adatto: spero possiate perdonarmi! :* :*

  
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