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Autore: Sasita    17/05/2013    2 recensioni
Sono passati due mesi oramai da quando Nassar Stuart l'ha rapita per poterla usare come mezzo per riportare in vita Clarisse e poterla rivedere l'ultima volta prima di morire. Ancora, dopo allora, Sophia stenta a prendere sonno la notte, tempestata da pensieri che la distraggono, e torturata da ogni suono che si cela nella notte della Vecchia Capitale. Ma non ogni notte è uguale a un'altra. E ogni momento può essere buono per dare voce a quelle parole che ormai da troppo tempo albergano inespresse nella sua mente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Stuart, Sophia Lord
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In nomine noctis
 

« Quel che proviamo quando siamo innamorati è forse la nostra condizione normale.
L'amore insegna all'uomo come dovrebbe essere. »

~ Anton Cechov


«Per quanto sia allettante l'idea di avere fnalmente te e il regno di Altieres tra queste lenzuola,
non farò nulla di così sconsiderato», disse Gabriel, con la voce rotta. 
«Sono nato da una seduzione calcolata, l'amore fisico usato come un'arma.
E non voglio essere quel genere di uomo»
 
Black Friars, L'ordine della Penna, Cap. 32

 

Il respiro di Sophia si dipanava greve nell’aria cupa della sua stanza al Collegio di Altieres. Si sentiva stanca ma l’agitazione che le asserragliava il petto non le permetteva di prendere sonno. Nella sua testa balenavano i pensieri più disparati: pensava alle mani di Gabriel sulla sua pelle, quando le avevano fatto tanto male da farle sperare di morire e quando adesso, invece, la carezzavano con una venerazione violenta, una possessività amorosa che lo rendeva un ossimoro vivente.
Ma pensava anche ad Ashton e a quel platonico innamoramento che aveva provato per lui; si sentiva sciocca a ripensare adesso a cosa non avrebbe fatto fino a non troppo tempo prima pur di richiamare la sua attenzione, pur di respirare la stessa aria in cui lui camminava, nonostante non gli servisse per portare avanti la sua imperitura esistenza. Riflettendoci a mente fredda si dava dell’idiota, pensando a come si sarebbe dovuta sentire in imbarazzo anche solo a passarci accanto adesso che non provava più lo stesso. Ma in fondo era certa che a lui non importasse e oramai, dopotutto, non importava più neppure a lei. Di una cosa però era sicura: se doveva immaginare Ashton con qualcuno, adesso che per lui non provava più alcuna forma di gelosia, non poteva negare che l’avrebbe voluto vedere con Eloise.
Scacciò i suoi pensieri traviati per qualche istante, concentrandosi invece su qualcosa di diverso dalle faccende amorose. A volte si stupiva quasi di ritrovarsi a pensare di poter in qualche modo somigliare alle sorelle Mayfield e al loro civettuolo pigolare di questo e di quello. Sorrise al pensiero che contrariamente ad ogni aspettativa, era riuscita a diventare loro amica e trovava la loro compagnia gradevole, quasi indispensabile alle volte.
Un cigolio alle imposte la fece trasalire. Non era passato molto tempo dalla notte in cui Nassar Stuart, il padre di Gabriel, l’aveva rapita e drogata per prenderle pelle e sangue nell’estremo tentativo di riportare alla vita Clarisse Granville e vedere il volto che aveva tanto amato per l’ultima volta, prima di morire. Ancora adesso, dopo quasi due mesi da allora, Sophia provava un senso di smarrimento e cupo terrore se ripensava al modo in cui si era sentita, schiava di un volere non suo, in quell’aria intrisa di energia ultraterrena, infernale. Da allora ogni minimo rumore le faceva pregare silenziosamente che giungesse qualcuno a difenderla, tenerla al sicuro. Il primo nome che le veniva in testa era Gabriel: la persona che più al mondo avrebbe voluto accanto nei momenti di terrore che le attanagliavano lo stomaco era lui. Ma poi c’era Cain, suo fratello, a cui lei confidava tutto e da cui lei voleva ogni confessione. Pensare a suo fratello la distrasse dalla paura che aveva provato poco prima.
Non avrebbe mai potuto credere, se glielo avessero raccontato, che Cain e Adrian fossero innamorati. Dopotutto, quanti anni in più aveva Adrian rispetto a suo fratello? Si diede mentalmente della stupida, rendendosi conto che essendo entrambi vampiri, poco importava quanti anni avessero. Il flusso dei suoi pensieri selvaggi, ormai votati a non farla dormire per l’ennesima notte, si interruppe bruscamente quando un fruscio giunse al suo orecchio, proveniente dalle sue spalle.
Si alzò di scatto a sedere sul bordo del letto e le lenzuola che fino a poco prima l’avevano coperta fino alle spalle finirono a terra in un lieve frusciare. A differenza delle sue cugine Alterienses, abituate al clima mite delle terre del sud, per lei l’inverno della Vecchia Capitale non era niente in confronto agli inverni passati in Aldenor, la nazione più a nord del continente.
L’ennesimo fruscio la fece distogliere dall’idea di stendersi di nuovo, così si alzò in piedi e si avvicinò alla scrivania con l’intento di accendere una candela. Un brivido le percorse la schiena quando sentì la porta della camera cigolare. Istintivamente si portò una mano al fianco: legato stretto alla sua coscia da uno dei nastrini colorati e ricamati che le avevano regalato le Mayfield teneva un pugnale che le aveva dato Gabriel, ordinandole in quel suo modo penetrante e perentorio di non separarsene mai.
«Vedo che segui i miei consigli, Sophia».
Sofia.
La voce alle sue spalle era inconfondibile. Si abbandonò a un sospiro profondo, concentrandosi strenuamente sui brividi che il suo nome, pronunciato con quel timbro apparentemente freddo nell’accento di Altieres le procurava. Rimase con le spalle voltate alla porta, in attesa. Sapeva che lui si stava lentamente avvicinando.
Sentì la porta della sua camera chiudersi con un tonfo sordo, quasi inudibile a chiunque. Ma lei era tanto concentrata su ogni minimo suono in quella stanza che sarebbe riuscita a notare anche lo scalpiccio di una formica tra il muro e il battiscopa, se solo ce ne fosse stata una. Il cuore le rombava nel petto in modo languido ma possente. Sentiva il sangue pulsarle nelle orecchie rendendo ogni singola percezione più acuita.
Fu per questo che quando lui la toccò, Sophia trasalì: si era tanto concentrata sui suoni che tutto il suo corpo era talmente teso che un qualsiasi spostamento d’aria le avrebbe fatto venire la pelle d’oca.
Beh, non così tanto però.
«Non ti aspettavo...», si ritrovò a dire semplicemente.
«Vuoi che me ne vada?», rispose secco il ragazzo, serrando con maggior vigoria la stretta delle sue mani sulle spalle della giovane.
«No», rispose sinceramente. Poi sogghignò e si volse per guardarlo in quegli occhi grigi come le nubi di pioggia estiva e luminosi come acque rutilanti di un ruscello di montagna. Gli sorrise, «Ma non credo che sarebbe cambiato qualcosa se avessi risposto di sì».
«Perspicace, principessa trovatella», rispose lui con quel tono sferzante, carezzevole nella sua teatrale rudezza.
«Sono contenta che tu sia qui», sospirò poco dopo Sophia, quando lui la strinse in un abbraccio leggero lasciandole posare la fronte sul suo petto caldo, «Tutti questi rumori... non dormo più bene da quando...». Non completò la frase. Sapeva che non ce n’era bisogno.
«Non preoccuparti. Sono qui, Sophia. Sono qui adesso».
Lei sorrise contro la stoffa scura dell’uniforme da ufficiale dell’esercito di Altieres. Capitano Stuart. Il capitano del suo personale esercito regio. Le faceva ancora venire una stretta allo stomaco il pensiero di essere regina, di avere una nazione da governare al compimento dei ventuno anni, e di avere un esercito al suo servizio.
«Resti?», gli chiese semplicemente.
Il ragazzo annuì senza dire niente. La prese per mano nel buio rischiarato dalla luna che penetrava i suoi raggi attraverso i vetri della finestra, e la condusse sul materasso facendola stendere. Poi, senza ancora parlare, si sedette sul bordo iniziando a togliersi i vestiti con cui non poteva dormire. Prima gli scarponi militari, poi la giacca. Sembrava pensieroso, si disse Sophia tra sé e sé. Come se qualche elucubrazione lo turbasse nel profondo. Si chiese se fosse colpa sua, se avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato. Negli ultimi due mesi, dopo l’ennesimo attentato alla sua incolumità, dopo l’ennesimo passo avanti nella scoperta di fatti fin troppo oscurati ed oscuranti nella Vecchia Capitale, lei e Gabriel non avevano mai avuto molto tempo per parlare da soli. Le rare volte che lui era andato a trovarla nascostamente la notte, si erano addormentati dopo le tenere effusioni oltre alle quali non si arrischiavano ad andare. Dopo quella dichiarazione del ragazzo, che le aveva detto di non essere come suo padre, di non impossessarsi di un corpo per prendere un trono, lei aveva capito che lui ci teneva davvero. Ci teneva a lei, ci teneva a Altieres e, in realtà, teneva anche a se stesso. Perché aveva la consapevolezza, a quanto pare, che prendersi il suo corpo quando ancora non era il momento giusto avrebbe forse rovinato la empatica intesa che si era creata tra di loro.
Sophia, stesa come era con la schiena contro il muro, poteva vedere le spalle coperte di Gabriel, dritte come una postura impeccabile richiede, ma non tese. Sentiva il suo respiro regolare e intuiva i lineamenti del suo profilo, lievemente volto verso il cicaleccio che giungeva da fuori la finestra, forse opera di qualche studente avventato che a quell’ora della notte ancora stava a far baldoria nella sua stanza.
Rimasero in silenzio a lungo. Un silenzio rilassato in cui lei si sentiva al sicuro, protetta. Poi il ragazzo sospirò e Sophia non seppe più trattenersi dal fargli delle domande.
«C’è qualcosa che non va?»
Il giovane si volse e la guardò con un sorriso sghembo che nascondeva un che di arrogante, ma anche di intenerito dalla tiepida domanda che la ragazza le stava rivolgendo.
«Penso», rispose.
«A cosa?»
«A te», rispose inaspettatamente lui dopo qualche minuto d’attesa in cui Sophia pensò che non le avrebbe risposto più. «A te, Sophia».
Sofia.
La giovane sovrana trattenne un sospiro e chiuse gli occhi un istante per reprimere quel calore che le saliva al ventre ogni volta che lui la chiamava per nome. Rimase in silenzio, in attesa. Sapeva che se l’avesse lasciato fare, poi lui avrebbe parlato di nuovo.
Il giovane si distese al suo fianco e si coprì con le lenzuola calde, che sapevano di lei, e le passò un braccio sotto la nuca affinché Sophia potesse posare il capo sul suo petto. Lei non esitò: si lasciò guidare come una bambola e si strinse a lui quel tanto che le permetteva di percepire la propria pelle a contatto con il corpo di Gabriel, nonostante lui fosse ancora vestito.
Passò un lunghissimo intervallo di tempo, la ragazza era vicina a cedere al sonno, cullata dal battito ritmico del cuore del giovane capitano, poi, improvvisamente lui le sollevò il viso con decisione e la baciò. Ridestata bruscamente, lasciò che lui le lambisse le labbra con la punta della lingua; si abbandonò ai brividi che le scorrevano lungo tutto il corpo e poi, quasi distrattamente, schiuse le labbra permettendogli il passaggio all’interno della sua bocca. Il bacio che le diede era così colmo di desiderio e passione, così premente, così profondo, che si sentì quasi svenire. Quelle particolari staffilate di dolore misto a piacere che le procurava toccandola quando voleva farla piegare alla sua volontà le stavano annebbiando ogni cognizione spazio-temporale. Poi lui, così come l’aveva afferrata, la lasciò, e ricadde sul cuscino con eleganza.
«Stavo pensando che ti odiavo, che l’unica cosa che volevo era vederti soffrire, rinunciare a tutto ciò che non meritavi, a ciò che non amavi quanto lo amavo io». Lo disse con un tono aspro, tagliente. Quasi rabbioso sotto certi aspetti. Sophia rabbrividì e cercò i suoi occhi con i propri. Lui la guardò in viso con un mezzo sorriso che gli illuminava il volto incupito.
«E adesso invece l’unica cosa che voglio è baciarti, accarezzarti... possederti». Ridacchiò e quel suono, seppur sommesso, aveva per la principessa un che di soave che la faceva andare in pezzi e poi la ricomponeva, con la velocità e la maestria di un giocoliere.
«E’ un male?», si ritrovò a chiedere ad occhi chiusi.
«Dipende», disse lui, «Non so a che istinti devo andare dietro, principessa».
Lei lo guardò di nuovo, con un cipiglio incuriosito a incresparle il volto dalla pelle liscia e candida.
«Non voglio prendere niente di te, fino a che non ci sarà nessuno che possa accaparrare diritti su di te, se non me».
«Cosa intendi con questo?»
Lui le ravviò una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio. Poi sorrise, «Intendo che fino a quando non sarò sicuro che sarai mia non voglio metterti e mettermi in condizione di fare una promessa che poi potremmo non mantenere. Non voglio che un giorno tu possa pensare che ti abbia condotta a farmi condividere con te il regno tramite una mera sottomissione carnale».
Lei sorrise e scosse il capo, tornando a posare la guancia sul petto di Gabriel. «Non penserei mai una cosa del genere», confessò dopo un istante.
Lui guardò la testa della ragazza con una caparbia incomprensione, accarezzandole i capelli delicatamente.
«Perché?»
«Perché mi fido di te. Mi fido di quello che c’è tra noi».
Un improvviso silenzio carico di aspettativa si propagò tra di loro, lasciando che calasse una cortina di parole non dette che tacitamente gridavano per essere pronunciate. Pensieri non ancora formulati, frasi non ancora articolate. Sentimenti nascosti dietro tante scuse, tanti giri di parole. Tante promesse spaventose che nascondevano interrogativi eterni.
Gabriel si spostò nel letto e scese, portandosi su un fianco, fino a che il suo viso non fu all’altezza di quello di lei. Posò la guancia sul palmo della mano, sorreggendosi sul gomito poggiato sul materasso, «Credo sia ora di dirlo, ormai», sussurrò. Il suo timbro era greve, arrochito da qualcosa che cercava di celare nella profondità del suo essere.
«Dire cosa, Gabriel?», si ritrovò a chiedere lei. Si sorprese di notare un tono più sensuale di quanto avesse voluto. Si meravigliò di se stessa e, nel buio della stanza, arrossì.
«Che ti amo, Sophia».
Ti amo, Sofia.
La semplicità con cui quelle parole gli scivolarono via dalle labbra la disarmò. Boccheggiò un istante di troppo, prima di accorgersi che sul volto del ragazzo era comparsa una ruga di apprensione e nei suoi occhi era baluginato il tornado della rabbia dell’umiliazione.
«Oh...», esalò la ragazza, «Ti amo anche io».
Lo sguardo del ragazzo si fece limpido e le nuvole tempestose che si celavano nelle sue iridi cerulee si diradarono, lasciando spazio a un cielo limpido nella sua candida chiarezza.
«Davvero?», le domandò.
«Non sono mai stata più sincera...»
«Non dovresti», disse Gabriel con un sorriso sghembo, «Io potrei tramortirti con un solo tocco, e non ho avuto remore in passato a farlo».
Lei lo sfidò con uno sguardo arrogante, «E io potrei ucciderti con il solo suono della mia voce. E, anche se inconsapevolmente, l’ho quasi fatto in passato. Allora? Siamo pari. Possiamo reciprocamente annientarci, o difenderci»
«Sembra sensato, principessa trovatella», ridacchiò lui posandole un lieve bacio sulle labbra, «Mi sorprende che tu abbia recuperato tutta questa arguzia, nelle desolate lande di Aldenor».
«Idiota», sibilò lei con un sorriso.
Lui la guardò di nuovo, quel combattimento interiore tra il sentimento e la ragionevolezza, tra la passione e la testardaggine del suo carattere si affollava dietro ai suoi occhi.
«Ti amo», le disse di nuovo.
Lei lo guardò, squadrandolo da sopra la superficie nivea delle coperte.
«Ti voglio», gli rispose sullo stesso tono, prima di tuffarsi sulle sue labbra e cancellare ogni altra cosa con il contatto della sua lingua.
Con uno scatto felino, senza neanche sapere come le fosse venuto in mente, Sophia si portò sopra di lui a cavalcioni, facendo scontrare i loro bacini coperti. Lo vide fremere sotto il suo corpo in quel interminabile istante in cui le loro labbra si separarono. Lui la guardò; le pupille dilatate dal desiderio la accesero di una consapevolezza mai avuta prima.
Il suo corpo lo eccitava. Si sentì avvampare non appena formulò quel pensiero. Pochi secondi dopo si stavano di nuovo baciando, ma con un’intensità nuova. Le mani di Gabriel rilasciavano di tanto in tanto sulla pelle di lei delle brevi scariche di blando dolore, che la facevano fremere e incurvare contro il corpo del ragazzo. In un impeto di improvvisa iniziativa, lei si sfilò la veste da notte e rimase seduta sul bacino del ragazzo in modo eretto.
Lui la guardò estasiato, sfiorando con gli occhi ogni minimo particolare di pelle catturasse nell’ombra notturna. Il suo respiro si fece pesante.
Sophia arrossì sotto quello sguardo scrutatore, che sembrava quasi scorticarla tanto a fondo cercava di vedere. Si sentì quasi toccare dalle pupille del giovane quando delineò le forme morbide dei suoi seni.
Poi lui si tirò su a sedere, lasciandola stare sopra di sé, e le si avvicinò al volto fino a sfiorare con il proprio respiro le labbra di lei.
«E’ questo che vuoi?», le chiese.
«Toccami», pregò lei. Il suo tono era così lieve che sarebbe stato quasi inudibile se non fosse stato così vicino alla sua bocca. Senza smettere di guardarla negli occhi, il giovane fece scorrere i suoi polpastrelli sulla schiena nuda della ragazza, giungendo fino alle spalle per poi ridiscendere, languidamente, verso l’incavo della sua gola. I brividi che corsero sulla pelle di Sophia, sconvolta nella sua prima esperienza al di là dei baci, lo mandarono in estasi. Sul suo volto si dipinse un desiderio intenso, misto di una passione violenta e di un amore tenero.
Muovendosi scrupolosamente, Gabriel la portò sotto di sé e premette il proprio corpo contro il suo. I vestiti andarono velocemente a terra, senza la minima cura che si stropicciassero o si sporcassero. Rimasero intenti nel provare semplicemente la sensazione di essere pelle a pelle. Due epidermidi distinte unite in ogni poro, in ogni segmento piccolo o grande, da una stessa sostanza. Si carezzarono come intenti a scoprirsi piano piano, mentre i baci divenivano sempre più profondi. Più intensi. Più desiderosi. Quando lui le sfiorò il basso ventre, innocuamente, la sferzata di piacere che la travolse fu tanto veemente che si spinse contro di lui con tutta la forza che possedeva, facendola desiderare di essere sua all’istante.
«Ti voglio», ripetè.
«Sei sicura?»
«Non potrei esserlo di più».
Gabriel non se lo fece ripetere ancora. Le baciò le labbra morbide e spinse piano il suo corpo contro quello di lei, sicuro di non sbagliare. Poi, travolto dal desiderio, con una mossa decisa e violenta scoprì il calore che racchiudeva nel segreto del suo corpo. Il gemito che Sophia emise, inarcando la schiena e gettando la testa all’indietro, gli dipinse un sorriso compiaciuto e rasserenato sulle labbra. Rimase immobile aspettando che lei gli concedesse di continuare. La principessa aprì gli occhi e lo guardò, con un sorriso sghembo.
«Mi avevano detto che avrebbe fatto male, la prima volta», si ritrovò a dire.
«E…?»
«Non mi fa male».
Questo era per lui un tacito assenso. Così si chinò su di lei e le baciò la pelle del seno, mentre, con più delicatezza di quanto fosse entrato, iniziò a muoversi dentro di lei.
Ogni movimento era un onda impetuosa che la travolgeva, così Sophia rimase cosciente di tutto fino a che non divenne impossibile, ed affogò in un vortice di passione da cui non sarebbe più voluta emergere.





Dice l'autrice:
Effettivamente è molto che rimando di scrivere una fanfiction su questa serie di romanzi che tanto mi colpì quando la iniziai e che ancora oggi, dopo aver finito - in folle ritardo, lo ammetto - il terzo libro, continua ad ammaliarmi. Lady De Winter è capace di creare un universo parallelo in cui tuffarsi, quando se ne ha la possibilità, è quasi come cambiare dimensione. Adoro leggere i suoi libri e adoro immaginare cose che li riguardino. Così, finalmente, ho trovato l'ispirazione. 
Non nego che la mia OTP, per quanto riguarda Black Friars, sia Ashton con Eloise. Ma, ehi, chissà che non scriva qualcosa a riguardo, prima o poi. Intanto mi sono gettata in un esperimento con la nostra neo-Blackmore e il misterioso Capitano Stuart. Spero vi piaccia. E spero piaccia alla sua particolare autrice, che stimo molto.
Un bacio a tutti quelli che recensiranno, e anche a quelli che leggeranno solamente.

Sasy
   
 
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